➨ AzioneAtzeni – Discanto Secondo: Patrick Chamoiseau
Discanto Secondo
“Hanno speso per autori molto inferiori a Chamoiseau, li hanno spinti, hanno premuto presso i recensori affinché i libri fossero recensiti. Sono libri magari anche “bellini”, ma c’è la differenza che passa tra una grande descrizione, un grande affresco del mondo e della storia come Texaco e i giochini di intellettuali di medio calibro italiani che devono fare vedere quanto sono intelligenti. Siamo veramente su pianeti diversi. Non hanno fatto nulla per Chamoiseau. È un augurio che non ha molto senso nell’Italia di oggi, ma io mi auguro sempre che ci siano dei lettori che scoprono autonomamente, casualmente, il libro, lo leggono, se ne innamorano e lo fanno conoscere agli amici.” Sergio Atzeni, Seminario di Parma, 1995 ‘Sergio e Patrick si riconoscono nella poetica della creolità, nel racconto epico-mitico delle minoranze, nella sperimentazione linguistica. ‘Pastori della diversità’ (Giuseppe Marci). Sergio Atzeni è stato il traduttore del romanzo Texaco di Patrick Chamoiseau, vincitore del Prix Goncourt nel 1992 e uscito inizialmente in Italia per Einaudi nel 1994 e attualmente disponibile nell’edizione de Il Maestrale .di Patrick Chamoiseau
Ho conosciuto Sergio durante un mio breve soggiorno a Parigi. Lavorava allora alla traduzione del mio romanzo Texaco. Ci siamo incontrati al bar dell’albergo. Io credo molto al primo sguardo, prima ancora che intervengano parole e gesti. Una percezione immediata, ben poco razionale, che spesso mi orienta, e determina le mie amicizie, e stabilisce le mie complicità. Vedendo Sergio Atzeni, la mia sensazione è stata immediata: un poeta, uno scrittore, una vampa di vita, semplice, tattile, che ama davvero i libri e la letteratura. Una sensibilità estrema, una esigenza, anche, una grande attenzione agli altri e il costante scrupolo di permettere agli altri di esprimere al meglio ciò che sono. Ho avvertito la modestia e l’erranza interiore in questo intimo trionfo che vivono coloro che dispongono di vero senso poetico. Parlammo a lungo, e spesso, e io non parlavo più a un traduttore ma a un alleato dietro il quale sentivo lo scrittore senza concessioni né compromessi, lontano da qualsiasi vanità. Eravamo d’accordo che le lingue devono perdere il proprio orgoglio ed entrare nell’umiltà dei linguaggi, dei linguaggi liberi, dei linguaggi folli, dei trasalimenti che le rendono disponibili a tutte le lingue del mondo. Eravamo d’accordo che una traduzione non deve essere una chiarificazione, ma diventare la messa a disposizione d’un elemento delle diversità del mondo in una lingua d’accoglienza. Eravamo d’accordo che la traduzione non deve andare da una lingua pura a un’altra lingua pura, ma organizzare l’appetito delle lingue tra loro nell’ossigeno impetuoso del linguaggio. Eravamo d’accordo che una traduzione non abbia più timore dell’intraducibile, ma sciami a dar conto di tutti i possibili intraducibili. Ed eravamo d’accordo che una traduzione onori innanzitutto l’irriducibile opacità di ogni testo letterario; che, in questo mondo che ha finalmente la possibilità di risvegliarsi, il traduttore divenga il pastore della Molteplicità. Il paese di Sergio è terra di linguaggi, d’ombra e di luce, e di molteplicità. Lui capiva quel che io dicevo. Lo sapeva già. Avevo in Sergio una bella proiezione di ciò che mi sforzo di diventare nelle pene della scrittura. Il mondo ha perduto uno di quei poeti discreti che fondono la forza dei venti e delle stagioni. Io ho perduto un amico. Fratello, senza di te, mi sento d’improvviso impoverito di mille anni.Pour Sergio*
J’avais rencontré Sergio Atzeni durant un bref passage à Paris. Il travaillait alors à la traduction de mon roman Texaco. Nous nous étions rencontrés dans le bar de l’hôtel. Je crois beaucoup au premier regard, avant même que les mots et les gestes n’interviennent. Une perception immédiate, bien peu rationnelle, qui me renseigne souvent, e qui détermine mes amitiés, et qui installe mes connivences. En voyant Sergio Atzeni, mon sentiment a été immédiat: un poète, un écrivain, une flamme de vie, simple, tactile, aimant vraiment les livres et la littérature. Une sensibilité extrême, une exigence aussi, une grande attention aux autres, et le souci constant de permettre aux autres d’exprimer au mieux ce qu’ils sont. J’ai perçu la modestie et l’errance intérieure dans ce triomphe intime que vivent ceux qui disposent d’un vrai sens poétique. Nous parlâmes longuement, et souvent, et je ne parlais plus à un traducteur mais à un allié derrière lequel je percevais l’écrivain sans concession ni compromis, loin de toute vanité. Nous étions d’accord pour que les langues perdent de leur orgueil et qu’elles entrent dans l’humilité des langages, des langages libres, des langages fous, des tressaillements, qui les rendent disponibles pour toutes les langues du monde. Nous étions d’accord pour qu’une traduction ne soit pas une clarification, mais qu’elle devienne la mise à disposition d’un élément de la diversité du monde dans une langue d’accueil. Nous étions d’accord pour que la traduction n’aille pas d’une langue pure à une autre langue pure, mais qu’elle organise l’appétit des langues entre elles dans l’oxygène impétueux du langage. Nous étions d’accord pour qu’une traduction ne craigne plus l’intraduisible, mais qu’elle devienne comptable, et essaimeuse, de tous les intraduisibles possibles. Et nous étions d’accord pour qu’une traduction honore avant tout l’opacité irréductible de tout texte littéraire, pour que, dans ce monde qui a enfin une chance de s’éveiller à lui même, le traducteur devienne le berger de la Diversité. Le pays de Sergio est une terre de langages, d’ombre et de lumière, et de la diversité. Il comprenait ce que je disait. Il le savait déjà. J’avais en Sergio une belle projection de ce que je m’efforce de devenir dans les affres de l’écriture. Le monde a perdu un de ces poètes discrets qui fondent la force des vents et des saisons. J’ai perdu un ami. Frère, sans toi, je me sens tout d’un coup appauvri de mille ans. * Ringraziamo Patrick Chamoiseau per averci concesso di ripubblicare il ricordo che mandò alla rivista cagliaritana La Grotta della vipera per il numero dedicato a Sergio Atzeni all’indomani della scomparsa (72/73, autunno-inverno 1995), su iniziativa del direttore Giuseppe Marci. Ne riprendiamo il testo nella versione proposta dalla rivista Tradurre. Teorie pratiche strumenti, n.9, autunno 2015, per gentile concessione del direttore Gianfranco Petrillo.
* Azione Atzeni- mode d’emploi
di
Gigliola Sulis e Francesco Forlani
‘E scoprirai quello che resta di un uomo, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui’. Sergio Atzeni, Il figlio di Bakunìn Il 6 settembre del 1995, inghiottito dal mare come l’amato Fleba il Fenicio, Sergio Atzeni perdeva la vita nelle acque dell’isola di Carloforte. Sardo, appena quarantenne, era stato militante comunista, anarchico leader studentesco, impiegato insoddisfatto, sindacalista, pubblicista. Dopo la fuga dall’isola, tra l’Emilia e Torino, divenne correttore di bozze, lettore di manoscritti per case editrici, sontuoso traduttore – un testo su tutti: Texaco di Patrick Chamoiseau. Per tutta la vita fu intellettuale rigoroso, poeta e scrittore immaginifico, autore di romanzi-mondo come Apologo del giudice bandito, Il figlio di Bakunìn, Il quinto passo è l’addio, Passavamo sulla terra leggeri, e di una cascata di racconti tra cui Il demonio è cane bianco, I sogni della città bianca, e Bellas mariposas. Come nel Figlio di Bakunìn, pensando oggi a Sergio, ci chiediamo: che cosa resta di uno scrittore, dopo la sua morte, nella memoria e nelle parole altrui? Per rispondere a questa domanda, abbiamo invitato degli autori legati all’opera di Atzeni a dare nuova vita ai personaggi o ai luoghi o alle atmosfere della sua opera. Interpretando, riscrivendo, stravolgendo creativamente, in totale libertà. Un coro di voci diverse per una raccolta di racconti brevi, una rifrazione e moltiplicazione di frammenti post-atzeniani. Assolutamente vietata l’agiografia, e ‘massima penalità per chi si prende troppo sul serio’, come scriveva Sergio in uno dei suoi ultimi articoli per “L’ Unione Sarda”. Nasce così il gioco del discanto*, da intendere sia come far decantare delle buone pagine in nuove storie sia come costruzione di voci in forma di polifonia medievale. * Francesco Forlani ‘Nella Sardegna magica in cerca di Sergio Atzeni, “Reportage”, n.10, 2012, ripreso nel 2017 da Minima Moralia Gigliola Sulis, ‘Chi era Sergio Atzeni?’, “Le parole e le cose”, 22 novembre 2012Si può seguire il PODCAST su:
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Dopo aver letto i vostri due post ho iniziato a leggere i libri di Atzeni che avevo in un angolo in attesa. Nazione Indiana è la mia fonte sacra. Grazie dei vostri suggerimenti e del vostro approccio critico.