POTENZA CENTRALE. L’uomo più disastroso che io abbia mai frequentato
di Mina De Sanctis
[18/07/25, 17:18:21] Te ne intendi di bollette del gas?[18/07/25, 17:23:39] Vediamo
[18/07/25, 17:24:15] Se ti mando la bolletta e le foto dei contatori
potresti aiutarmi a fare un calcolo? Io non ho il gas a casa e non ci capisco nulla
[18/07/25, 17:25:30] Ok, manda
Foto bolletta
Foto contatore inizio mese
Foto contatore fine mese
[18/07/25, 21:20:15] che dici quindi? Io nel frattempo ho fatto un calcolo, vorrei confrontarlo con il tuo, così da scrivere alla proprietaria con più cognizione di causa
[18/07/25, 21:21:21] sono a cena, poi guardo e ti dico

Si dice che l’uomo sia finito. Il patriarcato – il sistema ontologico su cui si basa il suo raggio d’azione – va combattuto, abolito e riconosciuto nelle sue manifestazioni più mimetiche. Sono in treno e ascolto il Fandango di Scarlatti, la musica perfetta per sostenere il mio accanimento verso Dario: l’uomo più disastroso che io abbia mai conosciuto. Dario ha studiato Economia e non sa risolvere il problema matematico presentato da una bolletta del gas. Tifa la Lazio ed è di destra ma non lo sa. Lo trovo innocuo quanto pericoloso. E vedrete voi stessi in cosa consiste la sua pericolosità.
Mi piace il suo marcato accento del centro Italia: caldo e squillante. Sto viaggiando per incontrarlo. Lo chiamo alle 8 di mattina per accertarmi che stesse partendo anche lui. Dice che ha fatto tardi ed è distrutto. Mi innervosisco, va bene che è fidanzato ma almeno vorrei incontrarlo intero.
Immagino già un mare di frustrazione ma parto lo stesso. Non ne posso più di stare qui, è pieno di comitive arroganti con passeggini, donne giovani al 2°-3° figlio, credo non lavorino. Gli uomini lavorano, fanno i gradassi, tozzi e torniti. Le donne sedute tutte da uno stesso lato parlano tra loro di bambini, parti etc. Sembra di stare nel sogno meloniano inoltrato. Non vedevo così tante persone aggregate con bambini da quando ero piccola negli anni ‘80 ma le mamme allora erano tutte un po’ Lady D.: oltre allo stesso taglio di capelli avevano la stessa espressione sul volto, appesantite dal matrimonio, annoiate e tristi.
Questi invece incedono orgogliosi e spavaldi prendendosi tutto il marciapiede.
Insomma evado. Se Dario dormirà in hangover io passerò il tempo continuando a scrivere di lui e quando mi annoierò di scrivere di lui, gli farò un ritratto. Cosa c’è di meglio di un modello che dorme? Titolo del ritratto: L’uomo più disastroso. La bocca un po’ aperta, il mento proteso verso il nulla, un occhio mezzo aperto, la mano chiusa sul cuscino. Per non sentire i versi osceni che forse farà, ascolterò un altro Fandango, quello di Boccherini rinforzato con le nacchere. Tutto ok, tutto organizzato, andiamo avanti.
Una conoscente esperta di epistemologie femministe già 15 anni fa mi disse: l’uomo è finito. Lo disse con accento fermo del centro Italia e io annuii timidamente come se dovessi obbedire ad un ordine. In questo momento mi direbbe che sto dando troppa attenzione a Dario, e avrebbe ragione.
Il suo essere un traditore lo rende affettato e manierista. Il dramma che recita consiste nel restare lì perché queste cose si fanno gradualmente (traduzione 1: aspetto che lei se ne renda conto e mi lasci; traduzione 2: non so dove andare a vivere; traduzione 3: in realtà voglio stare con lei ma dico in giro altro per far presa sulle possibili vittime). Dice di essere in crisi, ovviamente da mesi, vorrebbe un figlio ma lei è troppo grande. Sadicamente gli do dell’idiota a diverse tornate. Gli spiego come funzionano la procreazione umana e quella artificiale, ma sono solo perle ai porci. Lui si incanta incrociando gli occhi e lo fa proprio letteralmente perché è strabico. In quella perdita di messa a fuoco pensava forse alla cicogna o si perdeva nel mio volto. Non mi restava che riprendere la sua attenzione con vari insulti.
Nel suo scenario fatto di una fidanzata, una famiglia di origine lontana che gli manca, subentro io dichiarando di:
1) non voler sentir mai parlare delle sue vicende di coppia
2) non voler avere una relazione con lui
3) non volere dei figli con lui
Continuo il mio viaggio in treno con analisi che oscillano tra il sadismo e masochismo di tutti i personaggi coinvolti. Lo chiamo per sapere se è effettivamente in viaggio e mi chiede se ho un Oki…
L’avevo visto per l’ultima volta due mesi prima, poi era stato in grado di:
1) darmi appuntamento
2) rendersi conto di aver dimenticato impegni presi
3) quindi dare disdetta inventando scuse
4) fare la vittima del suo stesso fallimento e compiacersi di esserne l’attore principale
5) dirmi di voler stare con me e convivere con me (sono proprietaria di casa) prima di partire per un viaggio regalato da lei
6) inviarmi video di spettacoli di danze dal sopracitato viaggio
La disastrosità di Dario mi faceva quasi sentire a mio agio, mai inferiore. Lui avrebbe voluto fare il calciatore ma entrambi siamo stati costretti ad impegnarci in altro, ed eccoci qui. Ieri gli ho chiesto di aiutarmi a fare dei conti per una bolletta, di darmi la sua versione della risoluzione del problema matematico visti i suoi studi universitari. Io l’avevo già risolto e volevo confrontare il risultato. Mi risponde che il calcolo non si po’ fare.
[18/08/25, 17:18:21] Dai seriamente?
Dimostrami che sei intelligente dai che se no mi deprimo!
[18/08/25, 17:18:25] Sforzino dai
[18/08/25, 17:30:39] Io odio fare queste cose
[18/08/25, 17:32:23] Che volevi fare da grande? Per curiosità
Ascolto un Fandango più recente, del funesto 2020 – che ebbe comunque una bella luce primaverile – e questo Fandango è proprio scuro, netto, tutto organo, un organo talmente senza sfumature che sembra sintetico. Non ha nulla di festoso del Fandango, sembra essere l’altra faccia della medaglia: i conti impossibili sulla bolletta, l’hangover di Dario, il suo teatro tragico. Youtube mi suggerisce di proseguire con una passacaglia palindroma ma fermo tutto perché, a questo punto del viaggio, un palindromo potrebbe portare sfortuna.
Infatti. Dario mi chiama mentre sto per arrivare e mi dice con voce squillante e scocciata: “è successo un casino, è successo un casino”. Già mi sento messa da parte, o meglio, nella parte del personaggio che riceve una disdetta. È morto uno zio e deve tornare per il funerale. “Che casino, devo partì domattina presto”.
“Ma scusa devi andare per forza? Inventa qualcosa no? Non è grave se non ci vai, no? Non se ne accorgerà quasi nessuno.
“Macché! i miei genitori stanno tornando e se non mi trovano è un casino”
“Ma dai inventa qualcosa, che sei andato a trovare degli amici al mare”
“Ma quali amici, non posso inventarmi nulla”
Scopro dunque che al di fuori della sua città di origine e di lavoro, non conosce nessuno, che al di fuori della sua famiglia di origine e della convivenza non ha relazioni significative e mi sento caduta proprio in basso (a frequentare uno così).
“è un casino, l’ha saputo anche lei”
“vabbè ma lei è lontana, non verrà mica al funerale”
“tutti si chiederanno dove sono, è un casino”
“ma scusa, tutti penseranno al morto, non a te, non è grave, si tratta di uno zio anziano acquisito dai”
“No no, devo andare per forza”
Sono le ore 14 e vuole andare insieme all’hotel prenotato a fare il check-in e ripartire poi l’indomani mattina presto. Nessun altro programma è menzionato né io sono menzionata, né i tre giorni che dovevamo trascorrere lì insieme. Che schifo.
Sono andata via. Non prima di uno speech-manifesto:
“Non voglio avere più a che fare con te, mi sento veramente caduta in basso. Io ho scelto di essere onesta con me stessa e con gli altri, pago le bollette da sola, le tasse e tutto quanto, se capita pago anche bollette per due case, non convivo con nessuno per convenienza a Milano. Quando ho tradito, dopo poco ho lasciato e sono stata in grado di trovarmi una casa tutta per me. Non sono ricca e non ho il posto fisso. Non voglio far parte del tuo teatrino. Addio Dario”
Rientro nella stazione e guardo il tabellone: Potenza Centrale ore 15.21 binario 3. È la cosa giusta da fare (il nome della città, il costo della vita, l’aria fresca). Potenza: capoluogo della regione Basilicata, una città in uno stato perennemente coevo e senza turisti. Ha subito diversi terremoti, camminando non si capisce se si è a Cinecittà o nel capoluogo dell’arcaica Lucania descritta da De Martino. Di molto bello ha il suo ergersi sul resto, ma mai compatta. Organizzata per ascensori e scale mobili, è un insieme di pezzi.
Prendo un ascensore barcollante che dicono sia “nuovo”, ovvero rifatto dopo l’ultimo terremoto (Irpinia 1980, magnitudo 6.9, X° scala Mercalli). Vado all’Hotel Miramonti, il proprietario mi accorda una camera con vista e letto singolo (io sto bene nel contenimento offerto dai letti singoli, al netto di un’esistenza che di contenimento ha ben poco). Mi consiglia un posto per mangiare “Vai al restaurante Absurd, a 200 mt da qui, dopo l’arco, dile che te ho mandato io”. “Ok, andrò all’Absurd”.
Mi sento come se mi fosse passato un treno sulla testa, ancora presa dalla nausea data dal mio insano divertimento (la frequentazione con Dario) vado all’Absurd e la cena all’Absurd è così buona che mi rimette al mondo: cucina accorata di Lucania con accorati funghi dei boschi lì intorno e risoluto cameriere con sindrome di down, cui chiedo entusiasta un secondo secondo. All’Absurd c’è anche la Gaza Cola e sono tutti adorabili.
Fuori, lo sono un po’ meno. Ho freddo a causa dell’altitudine e ho messo i calzettoni con delle finte Birkenstock-Prada. Mi guardano tutti: ci sono famiglie che passeggiano goffe con passeggini, persone di mezza età a coppie di amici. Anche qui il sud di questa estate 2025 si conferma come la fase inoltrata del sogno meloniano. Le donne abbronzate, vestite nell’idea di avere un aspetto gradevole. Gli uomini invece non se ne preoccupano, hanno pantaloncini corti e maglie ben attillate sulla pancia, il borsello, camminano portando i piedi a destra e sinistra e così occupano tutta la strada.
A colazione al Miramonti, il proprietario mi prepara due caffè perché il primo non mi piace. Dice che ha paura di me perché parlo piano e sono gentile, dice che non riesce a capirmi, che sono una persona particolare. Lui si definisce invece una persona giornaliera, perché “vivere nel passato porta solo brutti ricordi e tristezza”. Non replico. Vado al museo Archeologico, evviva il passato! Non c’è nessuno, mi aggiro nell’epoca precoloniale (il sud Italia è stata una colonia greca), non c’è niente di pacchiano ed è tutto ben allestito con un certo senso della misura. Più avanti ammiro delle teche con assemblaggi di personaggi disposti frontalmente (sime, antefisse, gronde, pinax). Ad un certo punto appare un urlo acutissimo di una bambina. Attenzione: non un urlo di richiesta, di pianto, di rivendicazione ma un urlo astratto, assoluto, perfetto, isolato, per se (come si dice in inglese). Mi affaccio e trovo i genitori che mi guardano un po’ imbarazzati e si scusano. Mi avvicino per curiosità: Letizia ha 8 mesi ma ha un corpo di 12, mi scruta in silenzio. Fa un altro urlo, ha una voce incredibile, i genitori mi dicono ridendo che da grande probabilmente farà la cantante. Io mi appassiono all’idea del canto: “Sì assolutamente sì, fatele studiare canto!! Se la voce crescendo non sarà bella, mal che va potrà insegnare, se invece sarà bella farà la cantante. Pagano bene eh, tra ensemble, cori, opere classiche e contemporanee etc., è un ambito per sua natura internazionale, non c’è solo la nostra piccola Italia eh”.
I genitori si guardano negli occhi quasi approvando. Continuo: “Ah, a Potenza c’è anche il conservatorio, è dedicato a Gesualdo da Venosa: principe, madrigalista, assassino della moglie e dell’amante (colti in flagranza), nato l’8 marzo, del segno dei pesci. Fu assolto per giusta causa (all’epoca e fino a qualche decennio fa) e si racconta che visse poi sempre nel tormento, componendo madrigali dai titoli come Moro, lasso, al mio duolo – O dolorosa sorte, chi dar vita mi può, ahi, mi dà morte –. Morì ricco e giovane nel suo castello in Irpinia.”
E qui la conoscente esperta di studi di genere, con accento del centro Italia mi direbbe che sto dando troppo spazio all’uomo Gesualdo, e avrebbe ragione… Dunque, la mia gita inaspettata a Potenza è stata più interessante e serena del giorno, o giorni, che avrei trascorso con Dario, l’uomo più disastroso che io abbia mai frequentato. In treno verso Potenza Centrale avevo fatto un ritratto di Dario, a memoria perché non ho sue foto. Penso che non lo rivedrò mai più, le linee sono leggere, il volto va a zone, è quasi lui ma mi viene da piangere perché non riesco a fare quegli occhi strabici che mi piacevano tanto. Anche qui la mia conoscente avrebbe ragione ma non posso ignorare il divario ancora non colmato tra ciò che dà del calore sbagliato e ciò che è interessante e sereno. Nelle cuffie ascolto il Fra’ Martino Campanaro in minore di Mahler (Sinfonia n°1, terzo movimento) che ha trasformato l’allegra canzoncina folk in una marcia funebre. E con questo sono passata da una pericolosità di Dario, all’Absurd fino ad un certo Unheimlich freudiano (che per essere unheimlich vuol dire che un tempo fu heimlich, cioè familiare).
Per dovere di cronaca, riporto in conclusione il mio calcolo della bolletta (non ho studiato economia né matematica), poi approvato dalla proprietaria di casa e dalle conoscenti interpellate:
