Il Novecento secondo Nicola Vacca
di Romano A. Fiocchi
Il titolo dice già tutto: Mi manca il Novecento. Libri, scrittori e altre divagazioni (Galaad Edizioni, 2024). Per quanto possa sembrare un saggio, è in realtà un libro nostalgico, un gesto d’amore. Nicola Vacca ci racconta il suo Novecento e non esita a chiamarlo adottando l’espressione coniata da Hobsbawm: ‘il secolo breve’, ossia il secolo che si condensa nel lasso di tempo tra lo scoppio della Grande Guerra e la caduta dell’Unione Sovietica. Certo, in 181 pagine lo scrittore pugliese non ha la pretesa di raccontarci tutta la letteratura del Novecento, tanto meno di riassumerla con una selezione meditata degli autori che più la rappresentano. Vuole piuttosto trasmetterci l’entusiasmo delle sue letture, delle sue ricerche, dei suoi studi, il suo senso di appartenenza – sia cronologico sia passionale – al secolo più travolgente della storia occidentale, nel bene e nel male. Soprattutto vuole che la sua ricchezza letteraria non vada dimenticata attraverso omissioni e rimozioni.
Scrittore, intellettuale, critico militante, da tempo Vacca si prodiga in un’instancabile operazione di divulgazione del Novecento, non sistematica ma sincronica: scrive su giornali cartacei, riviste on-line e blog, organizza eventi, pubblica libri (Sguardi dal Novecento, 2014; Lettere a Cioran, 2017), ne progetta altri: è appena uscito, sempre su Emil Cioran, L’uomo perplesso, edizioni Qed. In questo Mi manca il Novecento, volume maneggevole e di agile lettura, raccoglie i suoi articoli pubblicati su svariati periodici, su carta e in rete, integrandoli con appunti personali e citazioni di altri critici, sempre alla ricerca della frase illuminante che focalizzi l’essenza di una poetica.
Il libro è composto da cinquantadue capitoli di circa due pagine e mezzo ciascuno. Passa così in rassegna ventisette autori italiani e diciannove stranieri (a qualcuno dedica più di un capitolo, tre addirittura a Pier Vittorio Tondelli che considera «il cuore degli anni Ottanta»). Il Novecento di Nicola Vacca è fatto soprattutto di scrittori italiani ma sottintende quanto la letteratura italiana del periodo sia un impasto di scambi culturali europei e non solo. Non per nulla si parla di Proust, Joyce, Camus, Kundera, Céline, Carver e così via fino all’amato Cioran. Si notano assenze di rilievo, c’è ad esempio Carlo Levi ma manca Primo Levi, tra i poeti non si vede Montale, tra gli stranieri neppure un accenno a Herman Hesse, tanto per fare qualche nome illustre. In compenso affiorano autori misconosciuti e in apparenza poco rappresentativi che andrebbero invece sottratti all’oblio, come Luigi Compagnone, che Vacca definisce «una delle più intelligenti, caustiche e acute voci partenopee». O un altro napoletano, Velso Mucci, citato in più occasioni da uno storico della letteratura del peso di Natalino Sapegno. Oppure ancora il russo Osip Mandel’štam, condannato ai lavori forzati e morto in un Gulag a Vladivostok, i cui versi sono giunti a noi grazie alla sua compagna di una vita che li aveva mandati a memoria.
Insomma, Mi manca il Novecento è una piacevole carrellata emotiva tra autori noti, notissimi e meno noti. Non è esaustiva, lo si è capito, ma neppure vuole esserlo: sono i ricordi di un lettore innamorato del ‘secolo breve’. Si va dal «grande romanzo civile» di Antonio Tabucchi a Ennio Flaiano, «anatomista dell’interiorità e osservatore di costumi». Quindi Pasolini, la nostra «coscienza critica», Sciascia, «eretico e politico sempre dalla parte della libertà», il Guido Morselli di Dissipatio H.G., che «cammina tra le macerie del mondo estinto», Daniele Del Giudice, con l’intuizione folgorante di un romanzo come Lo stadio Wimbledon. Poi Dino Buzzati, Tommaso Landolfi, Gesualdo Bufalino, Curzio Malaparte, Alberto Moravia, Piero Chiara, Luciano Bianciardi, sino a giganti come Pirandello e Svevo, mescolando scrittori e poeti (poeti italiani del calibro di Lucio Piccolo, Vincenzo Cardarelli, Leonardo Sinisgalli, Attilio Bertolucci, Antonio Porta, Roberto Roversi, e poeti stranieri come Paul Éluard, Rafael Alberti e Vladimir Majakovskij, quest’ultimo suicida con un colpo di pistola al cuore), ma anche scrittori sui generis come quell’«autentico e viscerale demolitore dell’esistente» che è Carmelo Bene, «il nostro Artaud». Con Céline non ha mezze parole: «Quel grande figlio di puttana di Louis-Ferdinand», così intitola il capitolo a lui dedicato. Ma c’è anche il Pasolini critico letterario negli anni della collaborazione al settimanale «Tempo», pronto a stroncare senza pietà pur di rispettare la sua estrema correttezza: «Quando recensisce un libro non serve altro se non la sua coscienza di uomo e di lettore, che non è altro che un lettore tra i lettori».
Proprio perché salta dalla letteratura da viaggio di Bruce Chatwin a quella monumentale di Thomas Mann conservando un taglio tra divulgatore e giornalistico, Mi manca il Novecento è un libro che si legge con piacere e leggerezza, suggerisce nuove letture ed evoca reminiscenze di altre, spinge a tornare ad aprire vecchi e amati volumi come quella sorta di bibbia letteraria che è per me la Guida al Novecento di Salvatore Guglielmino. Il libro di Nicola Vacca, dunque, compie egregiamente il suo scopo: ricordare alle vecchie e alle nuove generazioni tutto un patrimonio letterario di alto o di altissimo livello di cui dobbiamo – no, non certo copiare le idee, perché ogni tempo ha le sue – ma conoscere e studiare. Il volume si chiude così con un autentico ordine perentorio: «Il Novecento letterario italiano non si può archiviare».
