Materiali per due mostre: Gianluca Codeghini a Siena e a Firenze
di Andrea Inglese
Raccolgo qui testi e immagini relativi al lavoro artistico e musicale di Gianluca Codeghini, amico, collaboratore, e soprattutto protagonista di due recenti mostre personali dedicate al rapporto tra la dimensione visiva e quella sonora.
La prima mostra, intitolata Blast: From Dust to Noise, è a cura di Elio Grazioli presso la galleria Frittelli Arte Contemporanea a Firenze (26 giugno – 28 settembre 2025). La seconda mostra costituisce un progetto più ramificato dal titolo NoiSe >< Derive ed è a cura di Stefano Jacoviello all’interno di Derive della Chigiana International Festival & Summer Academy 2025 (Siena, 8 luglio – 14 settembre 2025). Quest’anno l’istituzione ha realizzato un focus ispirato all’opera del compositore francese Pierre Boulez, di cui ricorre il centenario della nascita. Il progetto ha diversi livelli di complessità e complicità in quanto è il risultato di collaborazioni tra diversi istituzioni, coordinate dal direttore artistico della Chigiana Nicola Sani. Codeghini ha così potuto confrontarsi attivamente con tre sedi diverse, dentro e fuori le mura di Siena: con l’Accademia Chigiana promotrice del progetto, con il Complesso Museale S. Maria della Scala e con lo spazio InnerRoom space concept ospitato nel negozio di coppe e medaglie Fusi&Fusi nella zona fuori mura Open Toselli, insolita sede periferica in un’area di transito.
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Cosa ascoltiamo quando vediamo un rumore o cosa vediamo quando lo ascoltiamo? Quale è la sua consistenza, la sua natura e il suo punto d’incontro o è più un luogo di scontro, di rottura e provocazione? Non è così semplice decodificare quanto accade in una mostra di Gianluca Codeghini, gli elementi in gioco sono molteplici e accadono sempre un momento prima o poco dopo, risultando volutamente tanto assertivi quanto sfuggenti. Anche la materia con cui esercita il suo punto di vista non è mai la stessa, così che queste sue mostre tra Firenze e Siena sembrano avere più autori, a volte uno e in certi nessuno e questo perché Codeghini gioca a forzare i limiti dei concetti, a muoversi sui bordi delle cose, a confondere se stesso e gli altri al punto tale, cito da un suo testo, da lasciare nella memoria il dubbio di aver ascoltato altro o di non aver ascoltato affatto, una condizione che declina su tutto il suo operato che sia linguistico, performativo, visivo o musicale.

Piecemeal, 21 luglio chiesa di Sant’Agostino in Siena (ph. Roberto Testi)
Piecemeal (2008/2025) una partitura per coro dalla doppia natura: installazione sonora diffusa lungo il percorso del Complesso Museale di Santa Maria della Scala per tutta la durata della mostra, e performance dal vivo eseguita il 21 luglio nella chiesa di Sant’Agostino a Siena dal Coro della Cattedrale di Siena “Guido Chigi Saracini”, diretto da Lorenzo Donati. L’opera è una semplice e al tempo stesso improbabile azione vocale, in cui i coristi cercano di dare forma a un’idea andando oltre il proprio ruolo. Si trovano confrontati con una condizione in cui ogni tecnica non serve più, è annullamento, perché si entra in uno stato di sospensione, aleatorio, fatto di rumori, un piacevole “rumore bianco”, che invita alla condivisione e crea complicità tra esecutori e ascoltatori.
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Nella sede della Chigiana troviamo l’installazione al neon NoiSe (2003), la stanza è totalmente avvolta da una luce azzurra.

Noi se (scritta neon azzurro) 2003.
La materia di Codeghini, in effetti, è il rumore: non quello assordante che copre, ma quello impercettibile che rivela. È il sussurro che disturba l’inerzia, lo scarto che interroga il visibile, il dubbio che ci obbliga a guardare e a pensare lateralmente. Le sue opere ci disarmano: non offrono soluzioni, ma ci restituiscono il senso della complessità e del limite.

Don’t Stop Smiling. 2005-2025.
Si tratta di opere dall’apparenza innocua che producono processi attivi al punto tale da lasciare nella memoria il dubbio di aver prodotto altro o di non averlo fatto affatto. C’è sempre una via di fuga nell’interpretazione di un’opera, un gesto o suono di Codeghini; è come se la loro funzione non dipenda da ciò che sono ma dalla possibilità di essere altro. In un testo del catalogo, Cristiano Leone focalizza quanto siano disarmanti queste opere che in apparenza non offrono soluzioni, ma ci restituiscono il senso della complessità e del limite, perché: “come ci insegna Codeghini, è proprio là dove il linguaggio si inceppa, che comincia il vero ascolto. E anche una deriva, se accolta con fiducia, può diventare un’origine.”

Entrée (colore nero non fissato su vetro), 1991/2001
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Non abbiamo compiuto un passo importante, semplicemente stiamo provando.
Alessandro Broggi, Noi, Tic, Roma 2024
Alessandro Broggi, scomparso di recente, è una presenza costante e imprescindibile di questa mostra. Tra i due è nata una collaborazione costante e intensa dopo il loro incontro nel Parco di Veio alla Fondazione Baruchello per Roma Poesia nel 2007. Questa frase la troviamo sia esposta in mostra che sul catalogo, insieme ad altre che accompagnano e introducono molte riflessioni del curatore Stefano Jacoviello.
Scrive quest’ultimo, nel suo intervento intitolato Se noi :
Noi non è dunque affatto un’espressione pacifica. Diverso dall’io, dal tu, dall’essi, deitticamente stabili, noi contiene una comunità con le sue inevitabili turbolenze[1]. Perché dentro quel noi nascono le individualità dei sé: si sottraggono all’ omogeneità per un miraggio di indipendenza, confidano nel sentirsi autonomamente proprie, si incontrano e confrontano, si rispecchiano e si rinfacciano. La scissione continua delle identità – che non sono mai date di per sé ma nascono congiuntamente nella relazione che le interdefinisce –, questa rigenerazione dell’insieme scaturita dal dividersi testardo in elementi più piccoli, rapidi, apparentemente slegati, provoca la vitalità della comunità e il rumore che ne deriva.
Un rumore che è il resto di una continua trasformazione: invade infinitamente lo spazio neutro che ci circonda, impedisce di tracciarvi una rotta e sulla spinta di una indefinibile mancanza ci conduce alla deriva. Il rumore è il fuori-campo che cerca disperatamente l’orizzonte del fuori-senso. È l’insignificante che si sottrae alla forma per restare disponibile a prenderne un’altra, e poi eventualmente lasciarla sotto l’impulso di un contatto improvviso, di un gesto inatteso. Il rumore è il sintomo della presenza imminente del senso, che resta sulla soglia della comprensione, in attesa che qualcuno ne senta la pressione oppure la convogli nell’indifferenza silenziosa.
[1] Paolo Fabbri, “Identità: l’enunciazione collettiva”, in aut aut, 385, 2020.

Crudeltà unite, 2025
In mostra troviamo anche una selezione di video. Ne ricordo almeno tre che hanno una valenza sia installativa che documentale. Il primo ha come titolo Dalle stalle alle stelle (1993) ed è un’azione rumoristica durata tre giorni e tre notti tra i sassi di Matera, una performance dissipativa realizzata grazie al supporto di G. Magnabosco al sax giocattolo. Il secondo video dal titolo Crudeltà inaudite (2007), realizzato al Mart di Rovereto in collaborazione con D. Bellini, ha come protagonisti due gatti che abbattono delle armate di soldatini bianchi (oltre seimila) in uno scenario metafisico con una colonna sonora realizzata appositamente dall’autore, utilizzando gli intonarumori di Luigi Russolo. Il terzo video There’s still for a bit (2017) ha sempre la stessa natura e documenta alcuni concerti ad personam in cui Codeghini, con l’ausilio di caramelle effervescenti, si avvicina all’orecchio dello spettatore, offrendogli un concerto in esclusiva della durata di circa un minuto.
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Sulla mostra Blast: from dust to noise alla Galleria Frittelli di Firenze, vale la pena di citare questo passaggio del curatore Elio Grazioli, presente nel catalogo:
La polvere è della materia, e con essa dell’immagine, della realtà e del linguaggio, quello che il rumore è del suono, dell’armonia, del canone in quanto polveroso. Non si tratta di un elogio della distruzione, di un discorso nichilista, tutto va in frantumi, polvere alla polvere, bensì di un blast, una esplosione, cioè di una strategia nientemeno che rivelatrice anzi, di una polvere che diventa figura, benché e anzi propriamente altra, differente – nel duplice senso della parola – e di un rumore che evidenzia i caratteri del suono invece che darli per scontati e in tal modo subirli. Naturalmente c’è anche della trasgressione, senza la quale è ormai impossibile aprire gli occhi e gli orecchi…

Elusive void of pleasure, 2019
Concludo con un riferimento a Flaw order, uno dei miei pezzi preferiti. Ognuno ha sognato di vedere concretizzata la frase fatta: un elefante in una cristalleria. Codeghini ci offre la sua versione rock di questa frase. Si tratta di un’azione performativa consistente nel “suonare” una batteria allestita con oggetti di vetro e ceramica (vasi, tazzine, caraffe, statuette, ecc.), che sostituiscono rullanti, piatti e charleston. L’uso di questa baterria-scultura coincide con una composizione specifica per rumori di porcellana e vetro in pezzi, ma una volta terminata la distruzione, rimane comunque una forma sparpagliata e residuale, che non cessa di esistere anche se sono ormai subentrati il silenzio e l’immobilità.

Flaw order
