Fanfani e il nudo

The Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs: Print Collection, The New York Public Library. “Cats.” The New York Public Library Digital Collections, 1876

di Riccardo Eymann

«Je vous ai compris!»

Con le braccia spalancate da De Gaulle redentore, il nudo pronuncia (è la terza volta) il suo apriti sesamo, e spera che ora lo sportello faccia tac. Siccome però non succede niente, no?, assolutamente niente, nulla, e il suo labbro inferiore (è la terza volta) trema di nuovo a vuoto, decido così, giusto per smorzare un po’ la tensione, di liberarmi da un peso dalla bocca dello stomaco che mi tormenta da due giorni — dico: due giorni —, e gli vomito una noce di pelo dritta sul tappetino del lavandino. Lui, bontà sua, non si scompone neanche più di tanto, dice giusto che schifo, il nudo, che schifo t’era rimasto proprio indigesto quel pelo?, e nemmeno mi degna d’uno sguardo, il nudo, anzi se ne sta lì e continua a fissare il timer che è da dieci minuti che segna zero punto zero zero.

E io penso: questo è proprio scemo, scommetto che a farmi visitare non mi porterà mai e che se gli dico che c’ho l’artrite mi ride in faccia.

«Je sais ce qui s’est passé ici. Je vois ce que vous avez voulu faire. Je vois que la route que vous avez ouverte est celle du blocage et du mensonge!»

Ma non esiste qualcosa come l’artrite, esistono solo le articolazioni e i liquidi sinoviali. Mi fa male tutto mentre mi lecco, però, questo è un segno certissimo che è una roba seria. E poi io ho una brutta storia d’artrite, in famiglia, me lo diceva sempre anche mia madre.

«Sei ancora ed oggi come sempre una povera comunista!»: il tac non arriva neanche con il Silvio, e il nudo ha freddo e ora il labbro gli trema ancora di più, poverino, sicché bisognerà dirglielo, prima o poi, in prima persona, io, a me la responsabilità politica, morale, storica e tutto il resto: nudo, qui ci vuole una nuova regola, la trecento ventuno, to’: mai fidarsi dei contaminuti delle lavasciuga, mentono sempre. Così anche questo tipo di commercio col mondo l’abbiamo regolato e tu sei lì tranquillo, e non hai più di questi problemi, e mi porti a visitare. Eh, se l’avessi saputa prima, questa bella regolina, caro il mio nudo! Adesso non te ne staresti lì come un pirla ad aspettare dei vestiti che non vengono.

Sbuffa pure, sbuffa quanto vuoi, guarda, sbuffa che ti passa — e adesso apre di nuovo l’acqua per rifarsi la doccia. Povero nudo: è già la terza, e francamente si vede proprio che s’è rotto i coglioni.

E se fosse la pronuncia? Mia madre, quella che mi diceva che c’avevo l’artrite anch’io, no?, finirai tutto rattrappito e artritico a morire in un cofano d’una qualche automobile se non ti prende nessuno a te, se non te ne vai, ecco lei parlava un francese perfetto — ma è solo perché era cresciuta in Svizzera. Poi certo, in generale la pronuncia può anche non avere nessuna rilevanza, sia chiaro: parlare una lingua è solo un fatto di significati, la fonetica è roba per gente chic. Ma in casi come questi, in cui è necessario trovare la chiave d’accesso al mondo numinoso del fulgore e del Bene e del pulito e di tutto il resto, allora, forse, dico, anche la pronuncia può avere una sua parte d’importanza, un suo potere, una sua penetranza, insomma, chiamatela come vi pare.

Per la frustrazione del nudo, però, — e ve lo dico senza malignità — il suo francese fa cagare e non ha mai penetrato proprio niente, nemmeno quando stava alla rue d’Ulm e pure continuava a dire maten, bien, saten

Ah, erano proprio altri tempi, m’aveva preso da poco, ero riuscito a tenermi i coglioni, lui mi portava in giro per strada, una roba rarissima, e mi guardavano tutti. Cogentissima la disposizione transitoria centodue: la destra è la sinistra e viceversa — una fase ch’è parsa un’eternità, giuro —, e a momenti non ci ammazzavamo per andare anche solo al Panthéon, che è lì dietro, e si faceva una fatica tremenda, col nudo che non sapeva dove mettere i piedi, girava la testa dappertutto e con le direzioni che andavano ribaltate per stare nel Bene e nel pulito: destr sinistr destr sinistr, tutto sbagliato, e lui che ripeteva lorsque dans une centaine d’années les historiens s’occuperont de nous, ils diront sans aucun doute: ‘quelle étrange époque! Où ce que l’on appellait la droite n’était pas à droite, où la gauche n’était pas à gauche, et où le centre n’était pas au milieu!’, per riderci su.

Mica ci pensavo di finire con uno così, io: era mia madre che voleva che mi prendesse qualcuno, l’ho già detto, che voleva piazzarmi in qualche famiglia, tutto per ‘sta artrite, con bambini o meglio se solo single, così avrebbero avuto il tempo di starmi dietro quando mi si sarebbe stortata la schiena, (perché ti si storta anche a te come al papà, che poverino me l’hanno anche tirato sotto); e che quella volta che venne il nudo a prendermi e quasi non lo fece per una cosa che dissi mi diede pure un ceffone che me lo ricordo ancora.

«Io mi rivolgo a voi, lavatrice ed asciugatrice in un unica soluzione: restituite alla libertà, al tepore della casa, alla pelle del mio corpo i vestiti che custodite!»

Perché, no?, gli storici sono tutti tacchini, gli avevo detto quando m’aveva parlato del suo mestiere (ricercatore espertissimo in socialdemocrazia europea ma che zoppica non poco in Hayek e in Friedman, e comunque la mia vera passione è il gollismo), tutti, dal primo all’ultimo, e anche tu, guardati, un tacchino fatto e finito, che magari vai anche negli archivi di Stato e poi torni a casa con tutto lo sporco del passato, e la polvere, anche — c’è la polvere negli archivi di Stato, no? —, che io ci sono allergico e magari inizio anche a starnutire e mi si secca il naso, e lo sanno tutti che i gatti col naso secco non vanno avanti tanto.

Ed era qui, alla fine, che la mamma m’aveva dato il famoso ceffone e m’aveva squadrato male: è un po’ esigente, mio figlio, lo perdoni, è un po’ viziato. Sono sicura che con lei si troverà benissimo. È di queste parti, lei? No, noi siamo originari del Rodano Alpi, mio padre era di là, era partito in Svizzera a lavorare in un albergo come accalappiatopi prima di scendere giù, ché non lo volevano più. Sa cosa dicevano, ‘volevamo far morire i topi, sono arrivati i gatti’. Sono sicura che mio figlio si troverà benissimo con lei.

Il nudo comunque mica s’era scomposto più di tanto: questa del tacchino me la devi spiegare, m’aveva detto. E io gliel’avevo spiegata, no?, che i tacchini sono fra gli animali più scemi, e lo sono tanto da pensare che se il padrone va da loro una settimana intera a portar da mangiare sarà sempre così, e invece un bel giorno il padrone arriva, il tacchino gli va incontro tutto gaudente pensando di mangiare e poi invece il padrone gli tira il collo e se lo cucina. Sono scemi, i tacchini, ecco, come gli storici, che vogliono il generale dal particolare e non ce la fanno proprio. Mi stupisco che lei perda tempo a fare il tacchino, sembra tanto intelligente!

Fatto sta che impressionante!, m’aveva detto il nudo, anzi rag-guar-de-vo-le! E m’aveva adottato seduta stante, imposto le mani e battezzato con un nome improponibile (addirittura in latino: ego tibi nomen impono…), e m’aveva portato a casa tutto felice, per la gioia della mamma che non vidi più.

Che poi, sia chiaro, parlando di nomi: checché se ne dica, ai gatti non importa d’avere un nome, e mica si rendono conto d’esser chiamati quando li cercate. Noi sappiamo, e forse meglio di voi, che i nomi non hanno niente a che fare con quello che esiste, e che un Fuffi, un Micio o un Felix non fanno se non la vostra, di felicità.

Incidentalmente, comunque, a me era capitato un ‘Fanfani’, ma su questo non voglio dire una parola di più.

«J’invite tous les lave-linges séchants qui veulent rester libres à m’écouter et à me suivre», dice il nudo, ma non ne viene ancora nessun tac. Così è triste, e a me verrebbe voglia di dirgli che bisognerà proprio attribuire alla trecento ventuno una supremazia sulla quattro (regola numero quattro: la verità attiene più alla retorica che alla logica, quindi tutto è possibile, quindi esistono le parole magiche) che ha usato fin qui per far aprire la lavasciuga (e per vincere il bando, e per trovare un reviewer gentile).

Il nudo mi guarda: «Fanf, vai a vedere se si apre…»

«Non si apre se non fa tac.»

«Lo so, ma tu guarda lo stesso, prova.»

«Non posso.»

«Dài, Fanfani, fammi ‘sto favore. Sennò guarda che ti tiro le orecchie.»

«Non posso, mi fa male la schiena.»

«Come ti fa male la schiena?»

«Ma sì, da un po’ di giorni. È artrite, lo so: Fanfani muore.»

«Ma non dire cazzate. Prova ad aprire la maniglia senza forzarla, intanto. Poi ti do un’occhiata. Così nudo non posso uscire, no?»

Con la zampa provo a sbloccare l’asciugatrice che tiene in ostaggio tutti i vestiti strapuliti del nudo, che senza è anche più nudo del solito, e dio che male, è proprio artrite, vero? L’oblò è bloccato.

«Mi dispiace.»

«Non importa: non si apre se non fa tac, giusto?»

«Giusto.»

«Quoi qu’il arrive, l’eau de la douche ne doit pas s’éteindre et ne s’éteindra pas!»: il nudo incomincia a fare un’altra doccia. Sono stanco, esco dal bagno. Vado fino in camera, gli armadi sono tutti aperti e vuoti: la maggioranza dei vestiti sono finiti dentro ai sacchi scuri che adesso ingombrano il corridoio. È una nuova ossessione, una perversione recentissima che gli è venuta al nudo: distinguo, distinguo, munda et immunda, e in un pomeriggio ha discriminato i vestiti puliti da quelli strapuliti, e per star sicuro che quelli strapuliti erano proprio puliti li ha lavati di nuovo e s’è lavato anche lui in contemporanea. Adesso è lì dentro, e finché non s’apre l’asciugatrice non può mica andar nudo per casa, no?

Certo che può! Che ci sia un divieto questo lo pensa lui, io gliel’ho anche detto, il bello è questo: gliel’ho detto, io, sissignore, al nudo: guarda che non ti devi mica vergognare, so come sei fatto, non farti scrupoli, ai gatti non dà mica rossore il veder nudi i nudi. Aumenta semmai il nostro compiacimento, questo sì, nel vedere quanto siate sprovveduti, quindi datti pure una calmata. Ma lui non ha voluto sentir ragioni: no, Ffanf, q-questioni di principio: non si può, non si può.

Ma, che volete farci?, ogni tanto arrivano, le ossessioni, ed è sempre un divertimento. Perché è sempre stato stravagante, il nudo: a invertire destra e sinistra, ad attaccarsi alle parole magiche de mon général… Quando mi portò a casa, per dirvi, mi fece fare tre bagni, non ne potevo più. Guarda che sono pulito, gli dicevo, guarda che splendore, guarda queste zampe polidattile, non vedi che linde e che nitore? Ormai le pulci si sono trasferite tutte al di là del mare, oltre la vasca, basta lavarmi. Piuttosto vai a fare qualcos’altro, no? Un bel training autogeno, vuoi?

«Ils ne passeront pas

Finalmente il tac arriva. Corro verso il bagno, mi fa male tutto ed è artrite, lo so, e ora il nudo sta aprendo l’oblò («il Front popu non delude mai»): raccoglie un fagotto di vestiti strapuliti che stringe fino alla camera, ciabattando mentre gli vado dietro. Poi mi chiude fuori («Eddai, Fanf, eh! Non essere morboso!»), e mentre sto seduto fuori il mio mal di schiena aumenta: senza dubbio è artrite e sto morendo. Ripenso a tutti i momenti belli e a quelli meno belli e so di morire. Mi chiedo se dovrei lasciare testamento.

Di fatto l’unica cosa a cui sono veramente legato sono i miei coglioni. Dovetti contrattare per tenermeli, quando il nudo m’adottò: lui rideva e mi prendeva in giro, che te li tieni a fare, i coglioni, se tanto non ti farò mai incontrare nessuno?, ma per me la questione era seria: non dovevo assolutamente venire castrato.

«Guarda che ho firmato un documento quando t’ho preso: eh!, bisogna proprio: zac!»

«Ma roba da matti: io i coglioni me li tengo, figuriamoci. Signorsì, me li tengo eccome!»

«Eh lo so, Fanf, che tu vorresti tenerteli, ma il gattile e l’ASL dice che bisogna toglierteli, sennò magari mi scappi, poi si sa come funzionano queste cose: la carne è debole, si indulge un po’ troppo in certe frequentazioni e poi vien fuori troppa prole.»

«E anche se fosse? La mia sarebbe un’esigenza e un diritto.»

«Purtroppo questi sono i termini posti dall’ASL: castrazione per tutti i gatti e le gatte adottati in gattile, il documento è questo. Certo, se potessi provare d’essere di razza allora forse se ne potrebbe discutere, ma così…»

«Razzista di merda. So di gatti del gattile che se li sono tenuti e non hanno mai dato problemi a nessuno. Potrei tenermeli anch’io.»

«Potresti se ti impegnassi in un voto di castità, la più severa castità. E oh, s’intende: vita natural durante.»

«Ma non ho dei diritti anch’io? Cosa mi resta così? La nuda vita?»

Il nudo allargava le braccia: «Senti, mio caro: i gatti non esistono come soggetti capaci di autodeterminazione e quindi sotto questo rispetto non hanno diritti di alcun tipo. La costituzione su cui si basa la nostra mutua convivenza per voi è una costituzione concessa, octroyée, capisci? Siamo noi che ve la diamo, quindi siamo noi che decidiamo cosa si può fare e cosa no. E in questo caso non è previsto che un gatto di un gattile si tenga i coglioni. L’unica cosa che ti posso concedere è un privilegio: non castrarti. Perché il bello di questa costituzione è che nessuno sa di preciso che cosa contenga, perché non è mai neanche stata scritta, quindi possono starci dentro tutte le eccezioni del caso. Però mi devi promettere: niente prole.»

«E se non mi sta bene?»

«Se non ti sta bene tirati insieme, riunisci un po’ di gatti revanscisti dei miei coglioni, assediate la sede dell’ASL, prendetela, scrivete una bella costituzione in cui ponete come principio indiscutibile la vostra integrità fisica e biologica, e ne possiamo riparlare. Fino ad allora le alternative sono due.»

Che poi, scusate, diciamoci un bel po’ la verità: perché avrei dovuto prenderla proprio io, la sede dell’ASL?

«Castità?»

«Vita natural durante.»

«Così sia. Purché si metta agli atti che sarà così più per necessità che per vocazione.»

E mi tenni i coglioni, e partimmo per Parigi.

«Dunque, vediamo un po’ quest’artrite gravissima.»

Uscito dalla camera, per visitarmi il nudo deve lavarsi tre volte le mani, perché proprio mentre sta per venirmi vicino tocca per sbaglio la sedia del male, l’ultima in fondo sul lato lungo del tavolo, e deve correre al lavandino. La quarta volta mi dice: «stavolta non ripetiamo più», e poi inizia a far pressione sulle articolazioni: «Ti fa male qui? E qui? Qui sento qualcosa,» e quando vede che mi spavento minimizza subito: «ma no, no: scherzo.»

Il responso comunque è che lui è un ricercatore di storia contemporanea e non un medico, che a lui non sembra di sentire niente e che di certo non sto morendo, ma che per ogni consulto attendibile bisognerebbe chiamare il veterinario.

Il problema è che il veterinario è sporco.

L’ultima volta che il nudo mi ci ha portato ha dovuto disinfettarsi tutte le braccia fino alle spalle, mentre eravamo in attesa, e quando poi il veterinario è venuto e gli ha chiesto si sente bene?, il nudo gli ha risposto sì, sì, non si preoccupi, non sono pazzo, sono già impazzito due volte ma poi mi hanno curato, e quando il veterinario l’ha guardato ancora più storto lui l’ha buttata sul ridere: scherzo, mio caro, sto solo scherzando. Non ho certo bisogno di vergognarmi quando dico che sono ossessivo-compulsivo. Però io sono io, e lei e lei, ed è per questo che oggi siamo qui! Vede, il vero problema è che tutti si sono persuasi che le cose si regolino da sé, in modo naturalistico, ma sbagliano, io lo dico sempre. Eh, naturalismo, volontarismo, neovolontarismo… Il vero problema è che viviamo alla periferia dell’impero, è questo il problema. E nemmeno nella decadenza, ma nella periferia. La questione, vede, è che c’è stato un tempo cui esistevano il permesso e il proibito, e uno poteva entrare nell’uno o nell’altro come si andava in chiesa o nei postriboli. Adesso è tutto una stessa cosa e mi manda in confusione. Poi, si sa come vanno a finire queste cose: la forma di sintomo eccetera eccetera. Ma mi confondo, m’impappino, e poi lei è un medico, un veterinario, insomma, che glielo dico a fare?

Lui comunque è qui per una vaccinazione e perché negli ultimi giorni ha avuto problemi a urinare.

Così il veterinario era diventato sporco e il nudo non mi ci aveva portato più, e giacché quella volta quello lì si era tenuto il mio libretto sanitario non eravamo potuti più andare altrove: eravamo rimasti attaccati al veterinario sporco, che s’era tenuto tutto il sapere della mia salute.

«Posso anche andare da solo. Mi lasci giù, io entro, ci parlo un attimo e vediamo di risolvere con una prospettiva di vita: sei mesi, forse un anno, non di più.»

«Ma piantala. Piuttosto posso portarti magari settimana prossima, devo chiamare, però, prima.»

«Ma come, non è più sporco?»

«È sporco, ma ci penseremo.»

«Vuoi proprio vedere con soddisfazione, sentirti dire che Fanfani muore. È il sogno di un Tambroni qualsiasi: ti credevo un uomo di sinistra.»

«Guarda che non si muore mica per l’artrite, si campa anche cent’anni.»

«Mia zia è morta settimana scorsa in una RSA, per l’artrite. Vallo a dire a lei.»

«Oh, signore! Ma guarda che l’artrite ormai si cura, c’è la cannabis, la canapa…»

«Si, così magari te la fumi tutta tu, e ti dai una bella tranquillata.»

«Ma se sono goccine!»

Quando viene sera e il nudo si rimette a studiare io mi siedo in cucina e dico il rosario: lo sgrano tutto e prego per tutti, Dio non sta certo a sottilizzare e anche gli animali hanno un’anima, lo ha detto persino il Papa. Poi mi leggo un po’ un giornale da cani, ce ne sono tanti in giro, così mi tengo informato e prevengo pure la demenza, che è un bel vantaggio. Non sapete quanti amici di tredici, quattordici anni si sono trovati con la demenza nel giro di una settimana, un ictus, una roba tremenda — diceva così un’amica del nudo con un gatto che conosco che una brutta serata il suo Diderot s’era messo a gridare per casa: un siamese vero, col muso a triangolo, miagolava come se non ci fosse un domani, gli occhi slavati, e non capiva più niente. Diderot.exe ha smesso di funzionare, diceva quest’amica, e non so se ridere o piangere, è terribile vederlo così, terribile.

«E se divento così anch’io?» Adesso il nudo vorrebbe spegnere la luce: è molto tardi, m’ha già detto due o tre volte, che cosa c’è ancora?

«Ti metterò in RSA, magari ti prendono per la pet-therapy.»

«Come quella mia zia, che s’era pure trovata tra gli anziani che la bullizzavano, le tiravano la coda.»

«Proprio sfortunata tua zia: l’artrite, il bullismo…»

«Eh, una roba di famiglia.»

«Comunque secondo me tu hai un problema d’ansia. Ipocondria.»

«È l’influenza perniciosa dell’ambiente familiare.»

«Sarà. Però adesso dormiamo, ché sono stanco.»

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davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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