Via dalla pazza folla olimpionica

di Gianni Biondillo

Anche a costo di apparire irrispettoso, quando penso alle Olimpiadi invernali che si terranno fra circa tre mesi, mi viene sempre in mente Enrico Berlinguer quando, nel lontano 1981, parlò della “spinta propulsiva” della Rivoluzione d’Ottobre ormai esaurita. Ecco, con dimensioni ben più modeste, lo associo, e giuro senza ironia, alla spinta propulsiva che inebriò i milanesi quando decisero di proporre nel 2006 la candidatura di Milano a EXPO2015.

Io c’ero. Fu un’ubriacatura collettiva. Tutto era Expo, in quegli anni, anche cose che con l’Esposizione universale non c’entravano nulla. Tra l’altro, nessuno davvero aveva capito cosa fosse, a cosa servisse. Ma l’improvvisa riapparizione di gru e cantieri che stavano trasformando radicalmente il volto della città fu, nell’immaginario collettivo, addebitata tutta ad EXPO2015.

Io c’ero, insisto. E scrivevo dell’inutilità di una Esposizione Universale in un mondo dove le merci, le novità, l’innovazione, erano a portata di un click. Che insomma Expo serviva solo a restituire l’idea che Milano fosse di nuovo una città globale, dopo che gli scandali di Tangentopoli ne avevano appannato e affannato l’immagine. Operazione di marketing urbano oggettivamente riuscita. Era dalla Swinging Milan degli anni Ottanta – la Milano prêt-à-porter del compianto Giorgio Armani raccontata da Martin Scorsese in Made in Milan – che la città non si dava così tante arie. Era diventata la “Place to be”.

La città dove esserci. E io c’ero. Quale sia stata poi la legacy di Expo non lo sa nessuno, anche perché nessuno sa per davvero di cosa trattasse. Di Food? Di Global Experience? (“eredità”, “cibo”, “globale”, “esperienza”, tutte parole che dal 2015 non esistono più nell’italiano corrente). Qualcuno si ricorda di Foody? Qualcuno sa dirmi cos’era e a cosa sia servita la “Carta di Milano”? Eppure Expo, per davvero, mise in moto l’immaginario collettivo. Fu la spinta propulsiva.

Ebbene, oggi, con un evento altrettanto globale e mediaticamente molto più importante quale quello delle Olimpiadi, sembra che la cosa non interessi più a nessuno. La spinta al posto di rinvigorirsi s’è esaurita. Non c’è più alcun cuore di milanese che batte all’avvicinarsi di questo evento globale. Cos’è successo?

Ripeto, io c’ero a Expo e ci sono oggi per le olimpiadi, ma sono in un certo senso un’eccezione. Oggi un milanese su tre non era qui quando Milano vinse la candidatura battendo Smirne. Quei milanesi che volevano Expo hanno vissuto gli ultimi quindici anni vedendo impoverire la loro condizione lavorativa, abitativa, sociale, fino a fuggire da Milano, dato il costo insostenibile di una città diventata una “Place to buy”. Chi voleva Expo o se ne è andato o ha l’età della pensione (che però viene continuamente spostata sempre più in là).

Non esiste nulla come lo sport che riesca ancora a stimolare entusiasmi nazionali senza scomodare i nazionalismi. Cioè a farci sentire italiani, fratelli, solidali, senza che la cosa sia un problema di schieramento partitico. L’ultimo rito popolare, dopo che le elezioni politiche sono ormai ad appannaggio di una schiacciante minoranza. Nonostante ciò i milanesi, quelli vecchi e quelli nuovi, non credono più neppure alle olimpiadi. Quasi tre settimane di gare, atleti, giornalisti, televisioni, confusione, traffico. E poi? Cosa resta alla città? Qual è la legacy? Lombardia e Veneto credo siano le due regioni che più hanno rimpinguato il medagliere nazionale. Lo sport di base, qui, non ha bisogno di stimoli (ai milanesi basterebbe che le piscine pubbliche non chiudano, come invece sta accadendo). Cos’altro? Qualche impianto nuovo, qualche impianto rinnovato, qualche strada asfaltata. E il villaggio olimpico che diverrà uno studentato (privato, ovviamente). Ottimo. Tutto qui?

È il potere d’acquisto in picchiata degli stipendi medi, i sette euro per un chilo di pane, la carta igienica da portare a scuola, l’emigrazione della gioventù qualificata verso nazioni più ricettive, la paralisi della borghesia produttiva (e innovativa) trasformata in borghesia finanziaria indifferente ai destini della città, è questo quello che interessa oggi al popolo milanese. Che interessa a me. Non certo fare la fila (si prevedono due milioni di spettatori) per acquistare un biglietto per una gara o un evento (sperando che i cambiamenti climatici non ci regalino, beffardamente, un febbraio poco invernale).

Fossi furbo, cosa che non sono, per quelle settimane affitterei a costi proibitivi casa mia e con quel guadagno me ne andrei su qualche isola tropicale a rilassarmi. E magari a guardarmi le olimpiadi in televisione. Cosa che non escludo molti milanesi sicuramente faranno.

(precedentemente pubblicato, il 30 ottobre scorso, su Repubblica-Milano)

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

articoli correlati

Iroko

di Simone Redaelli
Le mattine che usciamo di casa assieme, è ancora buio. Se è inverno, come oggi, troviamo il furgone pieno di ghiaccio. Io entro e mi siedo al mio posto. Papà apre la portiera del guidatore, mette in moto, e la richiude.

Thrilla in Manila

di Gianluca Veltri
Cinquanta anni fa, il 1° ottobre del 1975, si tenne a Manila, tra Joe Frazier e Muhammed Alì, l’incontro di box più drammatico che si ricordi. Terzo e decisivo appuntamento tra due rivali acerrimi.

Vi avverto che vivo per l’ultima volta

Gianni Biondillo intervista Paolo Nori
Dopo il 24 febbraio 2022 mi è sembrato chiarissimo che la vita di Anna Achmatova, la società crudele, orribile e insensata nella quale viveva erano molto simili alla nostra.

Milano, a place to bye

di Gianni Biondillo
Fossi ricco sarebbe bellissimo vivere a Milano. “Portofino è a due ore di macchina; in 45 minuti si può pranzare sulla terrazza di Villa d'Este sul Lago di Como; e in tre ore si possono raggiungere St. Moritz, Megève o Verbier”. Il problema è che non sono ricco.

Quell’amore lì

di Linda Farata
Da ieri è in libreria il romanzo d’esordio di Linda Farata, autrice che qui su Nazione Indiana abbiamo già conosciuto, in quanto partecipante (e finalista) del concorso “Staffetta Partigiana”. Con vero piacere pubblico un estratto dal romanzo, ringraziando l’editore che ce lo ha concesso.

Il trattamento del silenzio

Gianni Biondillo intervista Gian Andrea Cerone
Dopo il successo del tuo primo giallo, dopo un anno, sei già in libreria. Lo stavi scrivendo prima ancora di sapere come sarebbe andato "Le notti senza sonno"?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: