di FRANCO BUFFONI
“Santo di tutti”, recita la pubblicistica generalista di ogni orientamento. Italiana e polacca. Al di fuori di queste due aree linguistiche, soltanto i media cattolici si occupano con enfasi “italiana” dell’evento attualmente in corso in Vaticano. Vista con occhi laici da Ginevra o da Bruxelles, per non dire da Londra o da New York, questa “beatificazione” non esce dai trafiletti della cronaca. Potrei dunque non occuparmene cambiando canale, leggendo altri giornali.
Cito solo tre categorie, che hanno buone ragioni per non considerare “loro” questo nuovo “beato”:
– i morti della guerra civile jugoslava, messa in moto dall’improvvido e prematuro riconoscimento dell’indipendenza della Croazia voluto – contro il parere dei suoi stessi consiglieri – da Giovanni Paolo II.
– i bambini nati con in corpo il virus dell’Aids, come conseguenza delle campagne di Giovanni Paolo II contro l’uso del profilattico.
– gli omosessuali che ancora oggi, grazie all’insegnamento di Giovanni Paolo II, non vengono ricordati nel giorno della memoria; e grazie al suo catechismo continuano ad essere oggetto di “giuste” discriminazioni.
Ricordo bene l’alto livore caritativo che mosse Giovanni Paolo II in occasione del Gay Pride 2000 a leggere con stizza dalla finestra del Palazzo apostolico alcuni brani del “suo” catechismo. Fu un “hate-speech” in piena regola, capace ancora oggi di ispirare i mandanti di Militia Christi finanziati con l’8 per mille.
C’è un’immagine che più di tutte riassume il mio pensiero: quella di Giovanni Paolo II che avanza lentamente nei corridoi vaticani tenendo per mano Fidel Castro. I due più grandi omofobi della seconda metà del Novecento uniti nella loro contadina testardaggine contro quella sporcacciona sovrastruttura borghese che ai loro occhi era l’amore. Per un’altra persona. Dello stesso sesso.








