Trovo sul sito Rai Libro questo intervento di Eraldo Affinati, che pubblico con il suo consenso, ringraziandolo (Dario Voltolini)

Impressioni di lettura
di Eraldo Affinati
In questi anni c’è stata una moda che ha riguardato Raymond Carver: lo scrittore ebbe il tempo di assistere alla nascita di una fascinazione a suo danno, io dico. Sarebbe assurdo pensare che gli dispiacesse apprendere l’ammirazione da lui suscitata; ma sappiamo che cominciò, ancora in vita, a conquistare una certa distanza dalle categorie critiche che tendevano a incapsularlo. Tuttavia, se avesse potuto assistere alla deflagrazione del suo mito letterario, avvenuta negli anni Novanta, non solo negli Stati Uniti, ma soprattutto in Europa, secondo me non sarebbe stato contento. Non mi riferisco soltanto alla fin troppo abusata immagine minimalista che, senza dubbio, non ci aiuta a comprendere lo spirito intimo della sua narrazione. Carver è diventato una maschera, un costume dell’immaginario contemporaneo: in questi casi ci si allontana dalla verità di uno scrittore che è sempre complessa, contraddittoria, difficile da comunicare.


Conoscete il CERIT (Centro Riscossione Tributi)? Ne sentirete parlare parecchio negli anni a venire. Si tratta di recupero crediti, un titolo sicuro nella borsa del futuro.
Ma-ia-hii
Rispondo in ritardo alle reazioni suscitate (su l’Unità, 
Lello Voce ha aperto un bellissimo sito molto ricco (
Come è noto i Subaltern Studies – così come anche i Postcolonial Studies – sono nati in un preciso milieu geo-politico; a parte il caso di Edward Said, il quale risulta piuttosto esserne fra gli ispiratori, si tratta per la gran parte di intellettuali indiani – alcuni dei quali insegnano in università occidentali – che tra gli anni ’70 e ‘80 del secolo scorso hanno portato un attacco frontale alla tradizione storica nazionalista indiana e a quelli che erano e sono chiamati Area Studies, veri e propri studi governamentali dedicati all’analisi storico-antropologica di enormi aggregati di territori e popolazioni che, anche in tal modo, sono stati unificati/esotizzati dai poteri transnazionali.

(In questo articolo di Antonio Moresco pubblicato sull’”Unità” sono nominati i libri di Moresco, di Scarpa, miei e un libro collettivo firmato da alcuni collaboratori di Nazione Indiana. Nel postarlo ho avuto perciò qualche perplessità. Tra gli stili di comportamento che Nazione Indiana si è data c’è infatti anche quello di non lodarci e imbrodarci a vicenda, né di recensire libri di amici solo perché sono di amici. Dapprima avevo perciò pensato di tagliarne via un pezzo. Ma poi mi sono accorta che avrei alterato la natura dell’articolo, che è una risposta a ciò che altri ha detto. Ed è una risposta che si ribella al finto galateo di chi gioca con le carte truccate, di chi non fa che ripetere da un po’ di tempo a questa parte che non c’è più nessuno nella stanza, pretendendo che chi è nella stanza nemmeno ribatta qualcosa. “Ah, sì? Tu dici che ci sei? Ah, ti lodi da solo, narcisista!”. Come in quel film di Bunuel, “Abbasso la libertà!”, dove c’è una bambina che tutti danno per dispersa, che tutti cercano, e che continuamente zittiscono quando tenta di dire “Ma io sono qui”. Se quindi in questo pezzo si parla, tra le altre cose, anche di Nazione Indiana e dei suoi collaboratori, è perché altri li ha dati per inesistenti. Perciò mi prendo la responsabilità di pubblicarlo nella sua interezza. Carla Benedetti)
