di Alessandro Garigliano
Quando sotto le mura di Troia si doveva scegliere il modo di assediare la città, al fine di espugnarla, vi furono due punti di vista, due atteggiamenti esistenziali, archetipici: uno era il cavallo di Ulisse. Affrontare la dura realtà coi colori dell’intelligenza. Sfruttando l’astuzia penetrare la meta bramata. Vengono usate insomma le stesse armi della realtà multiforme e cangiante. Achille, invece, contrasta la realtà affrontandola di petto. Nel caos della guerra, Achille, si distingue perché non accetta compromessi. Non viene distolto dalla confusione della situazione eccezionale. Continua a credere nei valori assoluti, alti, che non si lasciano intaccare dalla volgarità della guerra, e della quotidianità in genere. Il muro di Troia, per Achille, deve essere abbattuto con la integrità ottusa che egli ha appreso dal passato. In questo senso, ‘Ndrja Cambrìa, affronta il viaggio di ritorno, la conquista del villaggio natale, allo stesso modo di Achille. Mentre “l’Odissea ci insegna ad accettare la realtà com’è: Itaca”,(52) Cariddi da ‘Ndrja è stata ricreata dalla memoria e dai sogni, ma nella realtà non esiste. L’Ulisse interpretato da P. Citati pare essere l’eroe della vita, che si adatta alla vita, che si fa contagiare dai fatti che la sconvolgono in continuazione, anzi il suo Ulisse non sa vivere senza di essa, non
accetta di sostare nella beatitudine di un mondo mitico senza tempo. Al contrario, ‘Ndrja, sembra stagliarsi in un’atmosfera solenne e romanticamente eroica, a cercare fortissimamente la fissità del mondo delle madri. Insomma, per noi ‘Ndrja è per molti sensi l’eroe della morte.



“‘Dove stiamo andando’, chiede Enrico di Ofterdingen, l’eroe dell’omonimo romanzo di Novalis, alla misteriosa figura femminile che gli è apparsa accanto all’antichissima rupe nella foresta, dove è diretto il nostro cammino? ‘Sempre verso casa,’ gli risponde la fanciulla, conducendolo a una larga e luminosa radura”.(1)
Nei giorni scorsi ho letto Le parole della memoria, un libro edito da Cadmo che raccoglie interviste rilasciate da Romano Bilenchi nell’arco di tempo che va da 1951 al 1989, anno della sua morte. In un’intervista l’autore del Conservatorio di Santa Teresa elenca una serie di libri da lui profondamente amati. Uno di questi è Bellarmino e Apollonio, dello spagnolo Ramón Pérez de Ayala, del 1921.



E’ nato un altro blog, o diario in rete. A proposito, lancio un concorso: la vogliamo inventare una parola italiana degna della nostra lingua, invece di questo orribile monosillabo dal suono troglodita e glottorachitico, BLOG? “Diario in rete” è bello ma è fatto di tre parole. Ne voglio una, una sola! Che cosa si vince? Ma l’immortalità, no? L’ingresso nei dizionari, da qui all’eternità… Lessicografi, scribacchioni, chiacchierini, fonofagi, verbivori, forza! Io vado via qualche giorno, ma quando torno esigo di trovare una parolina semplice e meravigliosa, tutta nuova, neonata profumata che strilla bellissimi vagiti.

Terza parte della conversazione avvenuta il 19 marzo 2002 tra Vincenzo Consolo, Laura Pariani, Tiziano Scarpa e Emilio Tadini (moderatori: Paolo Di Stefano e Ranieri Polese) al Teatro Studio di Milano, a cura della Fondazione Corriere della Sera (fondazione.corsera@rcs.it), ora disponibile nel fascicolo fuori commercio MADRE LINGUA – Percorsi di versi e di parole. Questa volta Paolo di Stefano rivolge una domanda a Emilio Tadini (ricordo che le immagini, peraltro inconfondibili, sono quadri di Tadini stesso).


Nella primavera del 2002, la Fondazione Corriere della Sera ha organizzato un ciclo di conversazioni sull’uso della lingua italiana nelle arti della parola (narrazione, poesia, canzone). Ecco i titoli degli incontri e l’elenco dei partecipanti:
Sono in guerra con lo stato italiano e in special modo con uno dei suoi ministeri: quello della pubblica istruzione. Il ministero a cui ho dichiarato guerra è un ministero determinato, ma la mia guerra vale anche contro i precedenti ministeri, contro i precedenti governi e dunque ancora contro lo stato.
