Home Blog Pagina 632

L’idea di equilibrio

4

di Andrea Falegnami

{Sangue dal naso, cavatappi, catastrofi, adolescenza. Gente prima non c’è e un attimo dopo c’è, gente che manca da un momento all’altro, gentaccia che mena le mani, persone che ti danno una lezione, lezioni che vengono impartite da nessuno…}

Dopo tutto è pur sempre una storia…
[Da dove comincio? Be’ vediamo alcune tipologie d’incipit:
a. Immissione in media res; vi spiattello là per là una frase, tipo: “A Marco cominciò a sanguinare il naso solo al terzo pugno ricevuto” che voi sicuro già vi figurate Marco che fissa lo Zenith, coi tamponi emostatici nelle froge, a loro volta premute dalle sue mani incapaci di difenderlo ed io comodamente vi ho portato dentro la storia, sta a me poi farvici rimanere;
b. Presentazione immediata d’un personaggio: “Marco ha quindici anni e gli occhi neri e almeno fino ad oggi, non ha mai avuto bisogno di menare le mani in vita sua”;
tuttavia la mia preferita resta sempre la:
c. Presentazione d’una situazione banale e tranquilla, il che lascia supporre che di lì a poco si verificherà l’evento perturbatore, la Catastrofe.
Una catastrofe, nel senso più ampio che René Thom [[il fondatore della teoria delle catastrofi]] attribuisce a questo termine, è una transizione discontinua qualsiasi che si verifica quando un sistema dispone di più di uno stato stabile, o può seguire più di un cammino stabile di trasformazione. Chiaro, no?

Capodanno in piazza

0

di Diego de Silva
fireworks.jpgIl presentatore arrivò che stavano ancora montando il palcoscenico. Nella piazza deserta, il vento aveva rovesciato un cassonetto della spazzatura. I rifiuti più pesanti rotolavano. Il presentatore veniva a piedi dalla stazione con il trolley, offeso per non aver trovato nessuno dell’organizzazione ad aspettarlo. Eppure aveva comunicato l’ora esatta del suo arrivo. Avrebbe rinfacciato questa grave mancanza, di sicuro.
Uno solo si voltò, e trovandosi il vento in faccia contrasse le labbra in una smorfia che sembrò un sorriso. Il presentatore allora pensò che l’avesse riconosciuto, e si tirò su nelle spalle.
Andò fin sotto il palco, schiacciandosi i capelli radi con la mano. Parcheggiò il trolley accanto a sè e alzò la testa in direzione di due operai che in quel momento stavano inchiodando una moquette rossastra sulle assi di legno.
– Scusate – disse alzando un po’ la voce per farsi sentire, – c’è qualcuno dell’organizzazione?

Contro Carver

44

Appunti per un requiem sul post-minimalismo
di Alberto Bogo

carver.jpgSono allergico a Carver. Non tanto ai suoi libri (o ai libri del “prodotto Carver”, visto l´apporto consistente del suo editor), ma dei suoi figli illegittimi. Dello svarione che hanno preso tanti “giovani scrittori”. Carver è un prodotto semplice, non tanto nell’imitazione pedissequa, ma nelle sue infinite declinazioni, delle sue varianti parziali, delle parodie involontarie.

Ci sono una serie di piccoli editori che rovinano schiere di potenziali scrittori dandogli in pasto il kit del bravo minimalista. Il kit comprende una lista di scrittori con in cima Carver, storie superficiali di periferia, racconti di formazione senza epica, il nulla impacchettato a modernità. Nascono così contraffattori della letteratura, taiwanesi della parola, cinesi della narrativa.

Dante vs Carver. Una parodia

6

di Alberto Bogo

eurodante.gif
Mi trovavo a metà strada, circa verso i quaranta. Avevo appena divorziato da Linda Bully, mi stavo recando dal mio amico Jimmy Wait. Mi sono accorto che mi ero perso. Il vialetto era lì in fondo, ne ero sicuro. Vedevo la luce di un televisore, era estate. Intorno adesso avevo solo alberi e buio, non so cosa avessi in testa in quel periodo. Forse ero semplicemente fuori rotta, certo che quella strada era davvero brutta. Mi vengono i brividi solo a pensarci, mi sembrava di stare in un cimitero. Andare da Jimmy altre volte non mi era sembrato poi così male.

Nuovo cinema paraculo: Come ti smonto e rimonto un’umanità da cani

44

Dogville di Lars Von Trier

di Paolo Pecere

«Dogville è un geniale apologo sulla malvagità umana. La Grazia (una struggente e bellissima Nicole Kidman, riconsacrata al cinema d’autore dopo l’affaire Kubrick) venuta a dare un’ultima occasione alla Comunità umana-americana, si scontra con la comune crudeltà e ipocrisia, per tramutarsi infine in violenza distruttiva e… purificazione o provocazione? … Il geniale regista danese mette ancora una volta in scacco i nostri… toccare le corde più… trasparente e feroce come nessun altro… a nudo le nostre… » ecc. – così, forse, Lars Von Trier avrà immaginato la prima recensione al suo ultimo film.

Rue du Bac

4

di Dario Voltolini
(omaggio a Julio Cortázar)

ruedubac.jpg Io sono quello che ha il negozio di liquori in rue du Bac. Il mio non è certo un negozio dozzinale, che venda a un pubblico qualsiasi liquori di dubbia qualità. No. Il mio è un esercizio di classe. Lo si vede subito, entrando: la qualità dei legni che lo arredano, le scansie stagionate, lucidate, incerate con cura. Le tendine, a fare da quinte per la rappresentazione della vetrina allestita. Ho un mobilio sobrio e ben disposto, anch’esso di legno, scuro, con venature calde, bronzee.

Il Natale di Gesù Esposito

0

di Tiziano Scarpa

saltz6-6-1.jpg

Stava arrivando l’inverno, ma quella mattina il sole stendeva il suo mantello caldo sulla città. I ragazzini correvano per la strada in camicia. Solo Filippo aveva freddo. Era salito fino a Sant’Elmo, per guardare Napoli dall’alto. Gli uomini, laggiù in fondo, erano più piccoli di un bruscolo nell’occhio.

Nuovo cinema paraculo: Kappa e Spada

42

Da Kill Bill a Kitano, samurai, clown e buffoni di corte

di Serafino Murri

Quando Big Jim Jarmusch, con la discretezza degli antesignani, diffuse incastonandolo nell’occhio semichiuso modello Black De André di Forrest Whitaker-Ghost Dog il modello adamantino del Samurai urbano come unica forma attiva di opposizione uguale e contraria all’autismo indotto dalla società dello spettacolo integrato nella sua fase metastatica, non credo avesse considerato il rischio che l’inesorabile lama dello sputtanamento sarebbe piombata a spiccarne la testa con dentro tutti i sentimenti e i mantra nel giro di così pochi anni com’è accaduto in questo guerriero, posticcio 2003.

La trappola del fuorigioco

11

di Andrea Bajani

guzzanti_nazione.jpg

Coloro che per mestiere fanno ridere la gente hanno una lunga frequentazione con i meccanismi della censura: è un patto implicito, quello che regola la gestione non conflittuale della messa in ridicolo, o della traduzione in riso, di alcuni aspetti della vita associata. Si conoscono le regole e le si condividono, se per condivisione si intende l’accordo che rende possibile una coabitazione tra due parti. Finché la condivisione persiste, persiste la coabitazione. Nel momento in cui salta, scatta il fuorigioco e si rimette in discussione l’assetto complessivo: si fischia l’infrazione, si ferma il gioco e si concede potere di manovra a chi ha subito l’infrazione. Coloro che per mestiere fanno ridere la gente appartengono a una categoria, che per semplificazione chiamiamo “del comico”, che storicamente ha fatto alzare in più di un’occasione la bandierina del fuorigioco. Una categoria, e non la sola naturalmente, che ha fatto scattare più di una volta la tagliola della censura.

Due poesie

0

di Helena Janeczek

orsetti.gif

Tre mesi

Nascono insieme dalla stessa gola
l’urlo e il pianto
e dilatano in un mantice a due canne,
l’esofago e la trachea. Gonfiano,
premono in alto e in basso
le tue viscere nere dalla nascita,
ma ora coperte pietosamente di bianco,
dove si consuma il profumo di latte
dolce perché ti dimentichi ogni volta,
e non ricordarci più che fa tremare.

Epitaffio per un orsacchiotto

Aveva perso un pezzo di sé,
che era un peluche.
Gli aveva dato un nome,
lo aveva nutrito,
ma non lo aveva preso come figlio.

“Lui è il mio orsetto,
e io sono il suo bambino “.

Il pelo sporco raggrumato,
il naso di plastica scorticata,
l’esalazione umana.

Platone e la fecondazione eterologa

4

di Beppe Sebaste
fleur3.jpg

…. un ulteriore campanello d’allarme per una civiltà che non sa risanarsi, non sa evolversi, non sa trovare un equilibrio nella e con la natura.

Caro Ministro

3

di Diego De Silva

bossi.gif
hendrix.jpg

Caro Ministro Bossi,

in classe di mia figlia c’è una bimba color nocciolina tostata, Cristina. È dolce, affettuosa, e molto bella. Ci sono altri bambini dolci, affettuosi e molto belli in classe di mia figlia, ma Cristina la noto di più perché spicca, in mezzo a tutto quel bianco. Ma è un interesse solo mio, agli altri bambini non importa.

I due fratelli e lo Zio

1

Collines.jpg

Di Andrea Inglese

L’antefatto lo conoscete. La coppia è giovane e inesperta, comunque non priva di entusiasmo. Hanno nomi importanti, che lasciano il segno: Adamo ed Eva. Tutto secondo copione: la convivenza, la scoperta della sessualità genitale, il primo figlio, bruttino ma robusto, dai tratti vistosamente semiti, la pelle olivastra, nero e riccio di capelli. Poi la nascita di un secondo figlio. Il primo era Caino, questo lo chiamano Abele. Subito lo viziano. Abele, poi, ha questa faccia da angioletto, un vero WASP, dai modi insopportabilmente eleganti, i boccoli d’oro, l’occhio celeste, sempre ironico, sprezzante, distaccato.

Qualcosa che viene da lontano #4

0

di Piersandro Pallavicini

martins_foto.jpgE I KUREISHI, I RUSHDIE? Dunque non bastano le intenzioni, la consapevolezza, non basta avere storie vulcaniche da raccontare, non basta una buona tecnica. Arrivati a questo punto, passati più di dieci anni dagli esordi, e con le basi, gli spazi, le possibilità editoriali e gli errori già commessi ben evidenti agli occhi di tutti, è lecito aspettarsi qualcosa di più. È lecito, insomma, ora, cominciare quel processo di rimozione del nome e della quarta di copertina dai libri dei migranti, alla ricerca del libro davvero grande e capace di farsi ricordare in sé e per sè. Libro davvero grande e memorabile che ancora non c’è stato, è vero, ma che è facile indovinare dove andare a cercare per il prossimo futuro: occorre, infatti, andarlo a cercare dove c’è il talento. Presso gli scrittori veri e puri. E allora ecco una rassegna dei nomi cui ci si può rivolgere.

Qualcosa che viene da lontano #3

0

di Piersandro Pallavicini

Mbacke.jpgPOI LA SECONDA ONDATA… È stato il 1999 l’anno in cui sono usciti per Portofranco la raccolta di racconti Il Sole d’Inverno di Muin Masri e il romanzo Verso la Notte Bakonga di Jadelin Mabiala Gangbo, nonché, per Bompiani, il romanzo La Straniera di Younis Tawfik. Ed è stato li che è cambiato qualcosa. Masri è palestinese, Gangbo congolese, Tawfik iracheno, e tutti e tre, con storie diverse alle spalle, contano su una lunga permanza in Italia e un perfetto padroneggiare della nostra lingua. I loro libri sono stati scritti senza pesanti mediazioni editoriali: a questi autori, le loro case editrici hanno provato a far fare gli scrittori-e-basta.

Qualcosa che viene da lontano #2

0

di Piersandro Pallavicini

Ron.jpgAREE PROTETTE E RISERVE INDIANE…Un valore aggiunto di questi primi libri stava nel senso di possibilità che hanno offerto. Nell’idea che una narrativa scritta da chi viene da lontano potesse trovar spazio anche in Italia. L’effetto delle aperture di credito, nella scrittura, è quello di creare movimentazione di idee, di chiamare altri allo scrivere, di suggerire a chi già scrive di provare a spingersi più in la. In questa direzione hanno dato una mano anche altri libri, stampati in modo più appartato da un fitto sottobosco di case editrici piccole e piccolissime, nonché le pagine di riviste letterarie di carta o elettroniche.

Qualcosa che viene da lontano #1

0

di Piersandro Pallavicini

muin1.jpgViene difficile anche solo definirli, tanto le etichette sembrano tutte inadeguate se non, in qualche caso, persino sottilmente offensive: scrittori migranti, scrittori allofoni, stranieri che scrivono in italiano, scrittori (e qui, francamente, sale un brivido d’orrore) “extracomunitari”… E ulteriore incertezza c’è sui confini di questo recinto, poichè di sicuro vi rientra chi è nato altrove, si è spostato in Italia ed è riuscito a padroneggiare abbastanza la nostra lingua da saperci scrivere racconti e romanzi, ma anche, per una specie di contiguità culturale, chi è figlio dell’immigrazione e ha l’italiano come prima lingua. E ancora: con quale metro giudicare i libri di questi scrittori? Occorre considerarne il contenuto in connessione alla biografia dell’autore (e dunque tener conto, se del caso, del valore aggiunto che viene dalla testimonianza sociale), oppure cancellare nome cognome e quarta di copertina e leggere, per farsi un parere sul libro come tale?

Viaggio in Argentina #7

4

di Antonio Moresco

Buenos Aires.jpgSono qui in Argentina da diversi giorni e non sono ancora riuscito ad andare al cesso. Il mio cagare sta diventando argomento di discussione quotidiana tra noi. Contiamo i giorni. Tre, quattro, cinque… E non ci sono segnali. Eppure mangio: bife al sangue, medialunas, quelle incredibili torte col dulce de leche… “Vedrete che succederà all’improvviso” dico agli amici.

Viaggio in Argentina #6

0

di Antonio Moresco

El Atletico.jpgAndiamo a mangiare il solito bife con Nic e Laura. Raccontiamo loro quello che è successo al Boca. Lei non dice niente. È un po’ stanca, va a casa a riposare. Passiamo il resto del pomeriggio e la serata io e Giovanni da soli. A un certo punto ci viene la smania di andare a vedere il tango. Rintracciamo un locale dove Laura ci aveva detto che fanno il tango per i turisti, con le ballerine scosciate. Quando arriviamo è tardi. Io sono vestito come uno straccione, Giovanni è in mutande.

Viaggio in Argentina #5

0

di Antonio Moresco

Juicio y castigo.jpgAscolto i racconti di Laura, di quando è venuta le altre volte in Argentina, dei peruviani e dei boliviani con le loro facce da indios, immobili per giorni sotto i ponteggi dei cantieri, in attesa che qualcuno cada o si faccia male per poter prendere il suo posto. L’amica che le ha confessato di aver mangiato per disperazione anche un topo. “Come hai fatto?” le ha chiesto Laura, intendendo come hai fatto a vincere lo schifo, ecc… L’amica invece, intendendola come una domanda tecnica, le ha risposto: “L’ho lavato con un pezzo di sapone prima di cucinarlo!”.

Eulero

7

di Christian Raimo

eulero.gif

Ho l’amore nel sangue, dice lui, e prova a abbracciarla, una, due volte, da dietro, da davanti.
Abbiamo vent’anni, lei fa la voce sicura, Non possiamo pensare che le cose siano queste, le stesse, per tutta la vita.
Sono seduti vicini, guardano tutti e due per terra, ma mattonelle diverse.
E poi tu, gli chiede lei, allora che cos’è che vuoi condividere con me? Tutto, dici “tutto”… “tu-tto”… ma che cazzo vuol dire “ tutto”… che è che pensi?
C’è di più di quel che credi, la carica, le stringe l’avambraccio e le dice: Ci sei? Perché dubiti che non può essere veramente “tutto”? Le mette la punta delle dita sulle labbra, lei non le scosta.
Ci sono infiniti numeri primi, dice lui.