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mater

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mater (# 13)

di Giacomo Sartori             Sempre pollo! sempre pollo! sempre pollo! declamavi scimmiottando l’agiata vicina durante la guerra il pollo noi ce lo sognavamo la notte dicevi sprofondando nei marosi d’una risata per una volta vera     Da domani   da domani andiamo al ristorante sempre e solo al ristorante non voglio più stare ai fornelli dicevi                               Mi guardano   mi guardano come fossi una mummia sei sbottata l’ultima volta che t’ho accompagnata a sciare     All’ospedale   all’ospedale mentre assaporavi un sopore di tregua singhiozzavo e singhiozzavo (non potevo domarmi) al piede del letto mio nipote e la sua bella covavano ieratici la loro incoluminità di giovani sportivi (grazia simmetrica d’etruschi)                                               Ho sognato   ho sognato che dovevo passare la maturità e non sapevo...

mater (# 12)

di Giacomo Sartori Volevo dirti volevo dirti che il libro su dio vendicchia benino anche se certo la critica latita (i clerici delle lettere son così ligi ai riti prestabiliti così disattenti così asserviti!) i cattoliconi svicolano e gli esteti atei sogguardano da sopra   volevo dirti che le beghe ereditarie non sono poi serie archiviati i conticini si squaglieranno certo come avanzi di neve in aprile   volevo dirti che sono un po’ giù questa sera la pioggiolina è tanto lagnosa (lo zelo si dilava nel buio umido) ma certo passerà certo verrà mattina verrà il sole sfacciato non devi preoccuparti   volevo dirti...

mater (# 11)

di Giacomo Sartori Al maestro dicevo al maestro dicevo ch’eri sempre fuori sempre fuori di giorno e di notte (soprattutto la notte) fuori con la pelliccia fuori con i rossetti ogni sera via nella notte buia con le calze a rete poi i pomeriggi saldata alla cornetta sbraitando chissà che tutti quei nomi che chiamavano per fissare l’ora e fare baldoria   lui t’ha convocata non senza prosopopea ma anche clemente (cristiano praticante) ognuno fa quel che il fato gli posa sul capo ha esordito quel tuo mestiere (se di mestiere potevasi discorrere) era quel che era dovevi però pensare pure ai...

mater (# 10)

di Giacomo Sartori     In una foto   in una foto sulla neve (sfondo di pareti simili a pandori) hai calzoni rastremati di protosportiva scarponi di pelle fissi l’obiettivo (certo tua figlia) contenta dell’attimo gli occhi sorridono (poi scruteranno da uno scranno di disincanto) ancora coerente con te stessa   minuscolo sciatore famelico di contatto premo la spalla sulla tua coscia una tutina di panno quasi d’aviatore cincischio le manopole canto o grido il mio broncio (labbrette protese) pencolo il mio bisogno la tempia sull’anca del mio sostegno   per non concedermi quello ch’anelo il tuo braccio fugge all’indietro     Dovresti andare in vacanza   dovresti andare in vacanza lavori sempre mi...

mater (# 9)

di Giacomo Sartori           Come potevano come potevano l’incongruenza del pensiero la presunzione la foia di primeggiare la petulanza (in sintesi lo snobismo) dare un cocktail così umano e così toccante come potevi farti tanto amare? (tu ch’amare sapevi male)     A spezzare l’idillio   a spezzare l’idillio tsunami arcano (pedissequa gelosia guardando indietro) giunse la voce adulta una prima amichetta poi un’altra quasi mogliettina e non parliamo dei rivoluzionari i grezzi operai il prete spretato il grecista comunista coacervo trasandato (scarpe sformate e capelli unti) m’hai ripudiato come si congeda un domestico ch’ha rubato   pure l’amico tanto caro lo squisito omosessuale (il mio padrino): radiato dai radar del mio esistere (niente più...

mater (# 8)

di Giacomo Sartori   Portavi i fiori portavi i fiori sulla tomba di famiglia brullo muro nel cupo del colonnato (neoclassicismo malmesso dei cimiteri) dov’è il dandy che tanto t’è mancato (presenza immateriale) tua mamma cosmopolita dalla lingua tagliente suo fratello incisore quello erudito professore e libraio più giù nella lista lo scienziato mazziniano poliomielitico bigamo tuo cugino narciso figlio d’una scopata militare nei Balcani in fiamme (la madre l’ha portato in un involto e s’è riavviata) superbo e permaloso (fino alla fine bisticci e paci d’indomiti vecchini) due tue sorelle ben più belle (e sposate ben meglio) e altri nevrotici (mica si...

mater (# 7)

di Giacomo Sartori Eri bella mentre morivi eri bella all’ospedale senza rossetti e fronzoli senza plateali parole   eri bella avviata alla morte priva d’attrezzatura bramosa di concludere (sobbarcandoti pur sempre la lunga marcia)   eri bella prima di morire (basta ospedale) davvero tanto bella finalmente calma finalmente assorta (con una così faceva voglia ricominciare)   eri bella finalmente leggera nell’etere della morfina leggera come una piuma leggera come il tuo nome stavi bene e te ne andavi   eri bella sballata e rilassata senza più disprezzi senza fingere interesse senza esigere d’essere finita   eri tanto bella divertita e incantata dalla recita privata (danze certo di morti) avevi vinto (il dolore e le...

mater (# 6)

di Giacomo Sartori Adoravi i risotti adoravi i risotti il prosciutto di Parma i formaggi cremosi i bianchi secchi i rossi leggerini la frutta gonfia di succo e i dolci tutti i dolci morbidi o crostosi i cioccolatini il torrone burroso piluccavi avidi bocconcini becchettatine d’uccello mimetizzate nelle arguzie spigliate o analitiche (guai all’ingordigia solo il volgo s’abbuffa e strafà) detestavi i buongustai e chi mangia d’appetito se sceglievo un buon posto decriptavi il menù stringendo le guance e poi chiedevi del pollo normale pollo arrosto indignata del disservizio (davvero non servite pollo?)                                           Mi raccontavi   mi raccontavi ch’avevi sbagliato tram poi...

mater (# 5)

di Giacomo Sartori   Il tuo fascismo il tuo fascismo era la voluttà della neve l’asprigno di resina (pino mugo e larice) l’aria grezza nei capelli la disciplina dell’alpinismo le risate interclassiste la sera (eterno brio di giovinezza)   il tuo fascismo era la nostalgia d’un dandy appena intravisto dei dettami e delle norme che non t’aveva lasciato (neppure per interposta persona)   il tuo fascismo erano le libidini del tuo corpicino indomito e ligio i severi precetti che gli imponevi la tua perseveranza   il tuo fascismo era la febbre delle forme della bellezza dei vestiti dei mobili antichi della distinzione   il tuo...

mater (# 4)

di Giacomo Sartori   Più di tutto   amavi i libri i fiori i cieli i film chiacchierare viaggiare ridere ma più di tutto più di tutto adoravi sciare fin da ragazza fin dal fascismo su e giù e ancora giù l’aria cruda sugli zigomi giù e sempre giù leggera e intrepida nel riverbero cereo su e giù e su e poi di nuovo giù sulla scorza viscida dei grattacapi nel fondovalle (come tagliare il traguardo della fine del mese?) giù in ebbrezza vitalista (per non dire postfascista) giù nel bianco giù nell’azzurro   perfino molto anziana scivolavi lieve sulla pelle della neve   anche sui...

mater (# 3)

di Giacomo Sartori   come foglie di novembre   non mi dicevi ch’era morto l’amico d’una vita o l’ultraconfidente crollato un altro bastione dissertavi e divagavi murata nella logorrea (stizziti guizzi del mento)   le persone sparivano dalle tue frasi troppo tese come foglie di novembre da tralci traumatizzati   qualche spettro riafforava anni o decenni dopo fossile ben conservato carezzato con discrezione da un’altra era     eri molto bella   scavata e senza rossetto (l’odiato rossetto d’eccentrica borghesaccia d’acculturata baldracca) i capelli fini e candidi sovrimpressa ormai a tua madre eri più grave eri molto bella    cosa ci faccio   cosa ci faccio io...

mater (# 2)

di Giacomo Sartori   come facciamo con le sedie   come facciamo con le sedie ci tenevi tanto a regalarmele tu ma poi mancava il tempo per andare a sceglierle veniva la festa successiva avevo altre urgenze l’anno seguente ero  via il Natale dopo ancora mi faceva fatica   un po’ era anche per non farti spendere diciamola tutta (anche le vecchie accoglievano le chiappe stando un po’ accorti)   ridevamo di queste sedie che non arrivavano né a Natale né mai adesso come facciamo è il mio compleanno e il tempo lo avrei (scegliere è niente) tu...

mater

di Giacomo Sartori   poi ricordo   quando mi scopro stanco o le cose smottano mi dico che devo proprio chiamarti (il solito opportunista) poi ricordo che sei morta     la psicanalista mi dice   la psicanalista mi dice che da bambino m’hai preso in ostaggio sa che so ci tiene però a ribadirlo   non infierisce sul presente accarezza il coperchio della trappola terapeutica (e insomma retorica) posponendo l’affondo certo prematuro con magnanime inspirazioni d’umanesimo junghiano       le nostre chiamate   le nostre chiamate si avviticchiavano al tempo atmosferico e alle maniglie dei giorni in reciproca auscultazione dei carsi sotto le frasi   tu parlavi dei...
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