mater (# 11)

di Giacomo Sartori

Al maestro dicevo

al maestro dicevo

ch’eri sempre fuori

sempre fuori

di giorno e di notte

(soprattutto la notte)

fuori con la pelliccia

fuori con i rossetti

ogni sera via

nella notte buia

con le calze a rete

poi i pomeriggi

saldata alla cornetta

sbraitando chissà che

tutti quei nomi

che chiamavano

per fissare l’ora

e fare baldoria

 

lui t’ha convocata

non senza prosopopea

ma anche clemente

(cristiano praticante)

ognuno fa

quel che il fato

gli posa sul capo

ha esordito

quel tuo mestiere

(se di mestiere

potevasi discorrere)

era quel che era

dovevi però pensare

pure ai pargoli

approntare pasti caldi

guidarmi nei compiti

(mai li avevo!)

proteggermi dai terrori

(i bimbi paventano

le ombre della notte)

 

nell’uniforme

di vistoso visone

il rossetto scarlatto

e la solita fretta

(un qualche tè

in qualche attico)

tu proprio non capivi

che blaterasse

l’omettino dimesso

(baffetti e riporto)

e ancora meno

l’amore precoce

per le storie

di quel discolo

(vista la penuria

sotto le coperte

le raccontavo

a me stesso)

 

 

Il prossimo romanzo

 

il prossimo romanzo

parla di noi?

mi chiedevi

lavorandoti le nocche

l’importante è che

non parli di noi

dicevi

 

 

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A te

 

a te

si può dire tutto

tua sorella

se le dico qualcosa

subito mi sgrida

dicevi

 

 

Nel sogno

 

nel sogno

tanti parenti

nel tuo salone

io m’occupo del cibo

(questo mi s’addice)

diretto a un tavolinetto

atto alla bisogna

(nella realtà reale

si trova a casa mia)

spingo l’altero pianoforte

lustro cassone funebre

alla deriva

nelle generazioni

(dopo tua mamma

adesso incombe

su mio fratello)

in modo certo maldestro

(la solita furia)

e quindi uno schianto

strappa l’aria

(guardavo dall’altra)

addio mezza coda

giacciono tocchetti

privi di senso

resti improbabili

(certo non ricucibili)

ma non è finita

osservando meglio

le assi del pavimento

(niente antico cotto

quella è la vita vera)

sono sfondate

come da una sciabolata

di titano infuriato

giù verso il regno materno

(la nonna morta da tempo)

ho fatto un disastro

(d’anda analitica!)

impossibile ovviare

o defilarmi

 

mio fratello

propone però

un rimedio

che pare sensato

(il danno è anzi

un’occasione?)

e pure mio padre

(non è più morto)

avanza una soluzione

(ha l’aria migliore)

insomma la colpa

si sfilaccia

farà forse la fine

di questi cirri

strattonati nell’azzurro

di ottobre

 

 

Aspetta di essere famoso

 

non fare più presentazioni

dei tuoi libri

non viene mai nessuno

aspetta di essere famoso

mi dicevi

 

 

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Il problema

 

il problema

è che non dici niente

mai niente

dicevi

 

 

Questo risotto

 

questo risotto

è buonissimo

se c’è una cosa

che ti viene bene

sono i risotti

dicevi

ma anche i biscotti

dovevi fare il cuoco

invece di scrivere libri

che nessuno legge

 

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7 Commenti

  1. Nessuno che metta completamente se stesso nei suoi libri vorrebbe davvero rileggersi o farsi rileggere da chi lo ama. Pensieri come questo scaturiscono da una lettura del genere; il resto sono emozioni: tante e un ringraziamento di cuore per quel che mi hai donato

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giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016) e Baco (Exorma, 2019). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese.
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