Qui: appunti dal presente 2#

1946-D1-40-0012-m01.jpg
Spettatori di guerra?

di Velio Abati

Rispondo volentieri alla sollecitazione, toccando due aspetti.
Il primo, anche se nella “proposta” non risulta il più evidente (punto 3), è la questione del ‘bello’ nella rappresentazione della realtà. Dico subito che a me pare il vecchio tema del rapporto tra arte e vita, o se si vuole tra arte e realtà. Su questo, penso che l’arte non sia obbligatoria e forse neppure rientri nell’ordine delle priorità, ma se la si pratica se ne devono accettare le ambiguità.

Ogni tentazione di scorciatoie è pericolosa, se non francamente reazionaria, perché se non ci sono dubbi che l’arte intrattiene suoi solidi legami di rispecchiamento della realtà e sempre addita al suo fruitore il dovere d’imitazione (sii, nella tua vita reale, come me) è altrettanto vero che nella nostra società dello sfruttamento e dell’alienazione quel dovere, al suo fruitore – sempre ipocrita -, glielo presenta contemporaneamente come premio già posseduto, compromettendolo nella condizione di correità: mon semblable, mon frère. Mi metto su questo piano generale, perché penso che l’indignazione per la bellezza delle foto delle torri gemelle, di cui ci parlano le citazioni di Sontag, non sia diversa dal disprezzo dei lavoratori, ricordato nella celebre inchiesta di Bourdieu, per la fonazione borghese riscontrabile nel francese delle classi medie e alte, o dall’indignazione verso l’arte che i rivoluzionari hanno sempre avuto nei momenti acuti di scontro dal 1789 a oggi, preferendole senz’altro la propaganda.

Voglio dire che là dove la gestione collettiva della vita comune o pare a portata di mano o si mette a nudo come misura insopprimibile di senso, le ragioni stesse della vita reclamano la caduta d’ogni ipocrisia, pretendono la rottura d’ogni indugio per passare alla pratica dell’obbiettivo. Chi bazzica con l’arte non può illudersi – non so per quanto lunga fase della storia – di non essere, come un odierno Dante, un vivo in un mondo di morti, che sono poi quelli che più gli stanno a cuore.

Ma su questo non dico nulla di nuovo. C’è però il rischio, se non leggo male la proposta di Parizzi, che in essa si sovrappongano fino a farne coincidere i perimetri i concetti di arte e di formalizzazione. Il dar forma, come ci ricorda anche Marx, è un’attività propria di ogni manifestazione umana, per quanto non esclusiva dell’uomo. Dar forma è organizzare secondo un fine, voluto o no. Senza la capacità formativa della prassi umana, la nostra specie animale non sarebbe diventata, come senza la capacità gestaltica non saremmo in grado di vedere la foresta in un insieme di alberi. La prima conclusione è che se l’arte è forma, non tutta la forma è arte. La seconda è che l’attività formativa non è un fare vuoto che si ripeta uguale a se stesso, ma produce e si fa storia, per cui anche chi si occupa d’arte non può limitarsi a dare (o leggere) forma, ma deve dare e leggere a partire dalle forme storicamente prodottesi nel campo specifico in cui si muove: fare e leggere arte non è opera da improvvisatori, per quanto ogni improvvisatore possa leggervi e produrvi qualcosa.

La seconda cosa che ho da dire è più generale e riguarda tutti gli altri punti della proposta. L’intera problematica del documento visivo, del dolore degli altri, della compassione, ecc. nasce dal contesto concreto in cui essa si è prodotta: la società dello spettacolo. Le stesse parole qui impiegate per introdurre gli appunti sono trasparenti: “la nostra condizione di spettatori davanti al dolore degli altri”. È vero, la trasformazione dei partiti a comitati elettorali con l’attacco durissimo alle organizzazioni storiche di partecipazione e controllo sociale ha lasciato spazio enorme all’industria della comunicazione, cioè alla colonizzazione e alla messa a profitto della comunicazione sociale tra le persone, ma è vero che quell’imponente operazione è in parte ideologica: sia nel senso che non lo è ai gradi che ci vuol far credere, sia nel senso che vuole convincerci della bontà o per lo meno naturalità del processo in corso.

Ciò che voglio contestare nella maniera più energica è che noi saremmo davvero e per intero spettatori. Bisogna invece denunciare:
a) la pianificata funzione mistificante che i mezzi di spettacolarizzazione di massa svolgono nel momento stesso in cui lasciano filtrare le notizie,
b) che tale logica risponde agli interessi economici e di comando politico dell’attuale fase capitalistica,
c) che se siamo al di qua dello schermo non è vero che siamo al di qua della guerra.
Basta riflettere un attimo sui deliri paranoici di rimozione e onnipotenza in cui è presa la vita ordinaria del cittadino israeliano, basta chiederci quanto ancora realisticamente ci riguardi l’annotazione machiavelliana sui sudditi (“e mentre fai loro bene, sono tutti tua, òfferonti el sangue, la roba, la vita, e’ figliuoli”), per capire che se sembriamo spettatori d’immagini, siamo in realtà attori, beneficiari e vittime dei fatti che esse quotidianamente denegano. Ma se guadagniamo questa posizione di sguardo sugli altri e su di noi, se abbiamo il coraggio della verità, ci rammenteremo che il capitalismo ha soppresso da tempo le isole del mondo e che la spada taglia sempre da due parti.

(Qui: appunti dal presente, n°9, primavera 2004)

(immagine di Goya dai “Caprichos”, A caza des dientes)

Print Friendly, PDF & Email

2 Commenti

  1. concordo appieno con Abati. Siamo colpevoli nostro malgrado, altro che spettatori.
    bel tema di discussione, comunque
    lello

  2. Forse Machiavelli bisognerebbe citarlo per intero, non a metà. Machiavelli non dice che il popolo si può comprare o plagiare, ma esattamente il contrario: finché stai in sella è con te, appena accenni a smontare ti si rivolta contro. Il popolo, per Machiavelli, non è spettatore ma nemmeno attore: è sciacallo.
    Che poi Machiavelli abbia ragione o torto, è tutta un’altra storia.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Autenticità e poesia contemporanea # 3

di Marilena Renda
...Personalmente trovo molta più verità poetica nei saggi e nei romanzi che nella poesia, e più ancora nella forma del saggio narrativo; ci trovo spesso una verità al grado zero, non inquinata dagli sfarfallii e dalle sovrastrutture estetiche che spesso usiamo per raccontare la verità con il risultato a volte di evitarla, di nasconderla.

Il contenitore è il suo contenuto: su “Stellare nero” di Alessandra Greco

di Antonio Devicienti
...tale caleidociclo si [chiama] "Stellare nero" (Benway Series, Colorno, Tielleci 2023), autrice Alessandra Greco, solido geometrico complesso, ma di pochi grammi di peso, capace di caricarsi, nello sguardo e nella mente di chi guarda e legge, d'una densità concettuale ed estetica particolarmente suggestiva...

Il voto francese che interessa tutta l’Europa

di Andrea Inglese
A sentire qualche amico italiano, la situazione francese è davvero preoccupante, perché l’estrema destra francese non è come quella italiana, in fondo moderata e “bonacciona”, come il nostro popolo che sembrerebbe intrinsecamente inefficace anche nel fare il male.

Su “Scritture verticali. Pizzuto, D’Arrigo, Consolo, Bufalino”

di Mariano Baino
Riguarda la prosa di quattro grandi “irregolari” della letteratura italiana contemporanea questo studio di Gualberto Alvino: quattro autori «d’eccezionale competenza linguistica e consapevolezza estetica», i quali «lavorano al trivio fra prosa, poesia e speculazione lato sensu filosofica...

L’antologia di RicercaBO

di Leo Canella
E' in uscita l'Antologia di RicercaBO (2007-2023) da Manni Editore a cura di Renato Barilli e Leonardo Canella. Che io Barilli so chi è ma l'altro? Canella c'ha due sopracciglia pelose due bruchi bellissimi che vatteli a vedere su Google. Metti Canella.

La caduta

di Walter Nardon
E così arrivò anche la caduta. Del tutto inattesa, simile a una perdita d’attenzione che non si può recuperare e che poi, vista da vicino, si mostra spaventosa. Una messa in minoranza nel consiglio di amministrazione del Comitato Promotore di Sviluppo lo aveva indotto a presentare le dimissioni.
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: