Le scimmie… (25)
di Dario Voltolini
ammatassati
sala macchine chiusa a chiave
sigillata vuota tecnici assenti
pavimenti basculanti
reti locali abbandonate
paralizzate
chiosco di fiori accanto al cimitero
sgommavano macchine all’uscita del curvone
nottetempo tra i fari e i lampioni bianchi
qualche ombra e qualche movimento
qualche ruota bruciata sul cemento
e ondeggiavano i fianchi malamente
con gesti stanchi finchƩ non albeggiava
non era spento
solamente riposava nella notte
e aspettava nuovi fiori per tombe diurne
di chi se ne fregava non essendoci più
lo stesso stupidissimo contorno di case sfitte
circonda il chiosco la mattina presto
e il giorno vince sulla luce dei lumini
elettrici sulle fiammelle dritte tra fiori
in plastica che io non riconosco
facessimo
quadrato intorno al chiosco impediremmo
a quegli spettri di soccombere ai guasti del passato?
il maglio lo si sente battere dal monte
probabilmente amplificato dalla valle
infatti da vicino l’officina
ĆØ poco rumorosa
balugina bensƬ bluastra per l’azione
di saldare ferri e acciai
e quando il sole tramonta e i gatti
se ne vanno via tra i bidoni
dentro la fucina fondono i rottami
inutili cascami
riccioli metallici
e sembrano un po’ strani
questi gemiti meccanici
nell’elettronico diffuso svaporare
ĆØ una pentola a pressione
in cui strisciano catene e fanno un suono
come di raglio
rispetto alla gru
quelle masse stavano sul fondo
agguerrite nel mantenere la posizione
proterve
incallite
dopodichƩ la gru
le arpionava e le innalzava
sradicandole dalle barbe e dai filacci
una specie di gru dipinta di blu
che stava al cielo come il granchio
all’acqua e schioppettando dal didietro
quasi scoreggiando esflatulava
lo scarico del motore dal condotto
ammatassati
sala macchine chiusa a chiave
sigillata vuota tecnici assenti
pavimenti basculanti
reti locali abbandonate
paralizzate
chiosco di fiori accanto al cimitero
sgommavano macchine all’uscita del curvone
nottetempo tra i fari e i lampioni bianchi
qualche ombra e qualche movimento
qualche ruota bruciata sul cemento
e ondeggiavano i fianchi malamente
con gesti stanchi finchƩ non albeggiava
non era spento
solamente riposava nella notte
e aspettava nuovi fiori per tombe diurne
di chi se ne fregava non essendoci più
lo stesso stupidissimo contorno di case sfitte
circonda il chiosco la mattina presto
e il giorno vince sulla luce dei lumini
elettrici sulle fiammelle dritte tra fiori
in plastica che io non riconosco
facessimo
quadrato intorno al chiosco impediremmo
a quegli spettri di soccombere ai guasti del passato?
il maglio lo si sente battere dal monte
probabilmente amplificato dalla valle
infatti da vicino l’officina
ĆØ poco rumorosa
balugina bensƬ bluastra per l’azione
di saldare ferri e acciai
e quando il sole tramonta e i gatti
se ne vanno via tra i bidoni
dentro la fucina fondono i rottami
inutili cascami
riccioli metallici
e sembrano un po’ strani
questi gemiti meccanici
nell’elettronico diffuso svaporare
ĆØ una pentola a pressione
in cui strisciano catene e fanno un suono
come di raglio
rispetto alla gru
quelle masse stavano sul fondo
agguerrite nel mantenere la posizione
proterve
incallite
dopodichƩ la gru
le arpionava e le innalzava
sradicandole dalle barbe e dai filacci
una specie di gru dipinta di blu
che stava al cielo come il granchio
all’acqua e schioppettando dal didietro
quasi scoreggiando esflatulava
lo scarico del motore dal condotto