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German Amok

di Feridun Zaimoglu
traduzione di Helena Janeczek

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La sorca d’arte non sfugge allo sguardo: una tediosa ragazza con i porri, di statura media e di qualità mediocre, in questo istante completamente nuda salvo una parrucca rosa pallido e quindi una delizia per i signori di una certa età presenti fra il pubblico. E’ la sua serata e il suo spettacolo, ella spalanca il suo stupido musetto per tenere un discorso davanti a tutta la compagnia (i maschi sono ovviamente in maggioranza) che deve aver limato per settimane.

“…perche VOI dovete sapere che io sono il vostro nemico, io su questo piedistallo spoglia come una statua di marmo, io il grande avvenimento della stagione. Ma credetemi: preferirei di gran lunga squarciare narici, strappare budella e semplicemente massacrare tutta la schiera che si è qui riunita in nome dell’arte…”

Fantastico! Un paio di idioti si mettono ad applaudire entusiasti, ma c’è subito chi si volta e con la faccia più compunta chiede silenzio. La sorca d’arte ha appena cominciato la sua tirata, tuona con furore, la cerchia dei conoscenti iniziati non tollera interruzione e nel caso estremo sbatterebbe ogni filisteo fuori dalla sala a calci in culo. Quindi anche io sto zitto, limitandomi ad augurarle un cancro alle grandi labbra. Urge che me la ripassi un’altra volta, anche se mi costa un certo sacrificio, però me la sbrigo in fretta. Un segreto ben custodito. Spero che la sorca d’arte si faccia presto confortare da un altro loverboy – gira voce che si sia presa in casa un coniglietto dalla lingua calda e adorna di piercing.
“.. questo è un rito. Questa non è arte. Qui per voi non c’è niente da comprare. Andate via e lasciatemi celebrare il mio rito da sola…”
I suoi discorsi alla platea sono corsi di primo livello per soggetti deliranti inibiti. Le giro la schiena e acchiappo un bicchiere di spumante tiepido. Come c’era d’aspettarsi il buffet è devastato. Alla peste culturale berlinese basta questo per accorrere numerosi, i cagacazzo e le racchie, i magnamonnezza e i guardoni di fica nuda non si lasciano sfuggire nemmeno il più penoso evento sottoculturale. La tristezza di tutti quei simpatici happening li sollazza. Che fare, anch’io in fondo sono venuto di corsa, non c’è voluto nessuno per trascinarmi qui. In parallelo all’atto centrale, dieci monitor mostrano il video di un persiano in esilio per niente d’accordo con la perdita della propria cittadinanza, il quale ora vuole convincere il mondo di essere davvero una piccola canaglia. Ha arruolato una drag-queen come protagonista, un essere terribilmente ricoperto di trucco che si fa i boccoli alla parrucca bionda, si ciancica le tette a forma di pomodoro pieno di ormoni e chiede al macchinista di succhiarle i capezzoli. Però la risata di scherno che risuona dall’off la rende triste. Adesso deve fargliela vedere, adesso il travestito si butta sull’onanismo di protesta. Chiude gli occhi, si palpa i testicoli. Geme e smania come una pornostar di terza classe. Mi annoio, non ho nessun debole per i traditori del proprio sesso perché tendono a denudare pubblicamente i loro cazzi.
Istafa la vede diversamente, si è piazzato accanto a me e ha incrociato le braccia, si pizzica la barbetta ossigenata e da l’impressione che chiunque e qualsiasi cosa sia affar suo. In questo momento lo interessa la domanda come mai uomini che non ne fanno quasi uso possono essere dotati di uno scroto di simili possenti dimensioni. Non posso essergli d’aiuto, mi pare ozioso riflettere sui genitali maschili estranei ai propri. Lui come sta? Non lo sa di preciso. Io come sto? Be’ grazie, poco da fare e professionalmente infelice, se capisce quel che intendo. Non dovresti accanirti sulla pittura, dice, lo spirito dei tempi – o sarebbe meglio parlare di spiriti del tempo – ha eliminato la tela imbrattata. Spazzatura del mondo antico! E’ così buono da concedere che ciascuno a modo suo, a ciascuno il suo pennello, ahah, ma non devo stupirmi più di tanto, se i galleristi non vogliono saperne di me. Passerà, dico, i fighetti dei video arriveranno presto alla bancarotta. Ma daai, dice, certo che sei proprio un apocalittico, tu, e si fa strada fra la massa fino alla prima fila per piantare indisturbato gli occhi addosso alla sorca d’arte nuda.
Bei tempi: un tizio dell’Anatolia accorre in difesa di un travesta della capitale: che vada al diavolo. Il suoi genitori ritagliano buoni sconto dai giornali e lui, l’arrampicatore, si infila i mocassini con la soletta deodorante.

Da: “German Amok”, Kiepenheuer & Witsch, 2002, pp.11-13
Il dipinto in copertina è di Feridun Zaimoglu

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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