Articolo precedente
Articolo successivo

Il canto del popolo ebraico massacrato

di Yizhak Katzenelson
tradotto da Helena Janeczek

Katze

Sotto troverete due canti del poema Il canto del popolo ebraico massacrato Li ho trasposti dallo yiddish cercando di mantenermi il più possibile fedele a modi epici dell’originale. Un bellissimo lavoro per il Giorno della Memoria lo troverete in Unità di Crisi . Segnalo inoltre che del poema esiste una traduzione integrale edita da Giuntina (h.j.)

I Canta

1
«Canta! Prendi in mano la tua arpa, vuota, svuotata e misera,
sulle sue corde fini getta le dita pesanti
come cuori, come cuori afflitti. Canta l’ultimo canto,
canta degli ultimi ebrei in terra d’Europa».

2
– Come posso cantare? Come posso aprir la bocca,
se sono rimasto io da solo –
mia moglie e i miei due bambini- orrore!
Inorridisco d’orrore…si piange! Sento ovunque un pianto-

3
«Canta, canta! Alza la tua voce afflitta e rotta,
cerca, cerca lassù in alto, se c’è ancora Lui,
e cantagli…cantagli l’ultimo canto degli ultimi ebrei,
vissuti, morti, non sepolti e non più…»

4
– Come posso cantare? Come posso alzar la testa?
Deportata mia moglie e il mio Benzion e il mio Yomele- un bimbo –
Non li ho più qui con me e non mi lasciano più!
O ombre oscure della mia luce, o ombre fredde e cieche.

5
« Canta, canta un’ultima volta qui sulla terra,
getta indietro la testa, fissa gli occhi su di Lui
e cantagli un’ultima volta, suonagli la tua arpa:
qui non ci sono più ebrei! Massacrati, e non più qui!».

6
– Come posso cantare? Come posso fissare gli occhi e alzar la testa?
Una lacrima ghiacciata mi si è appiccicata all’occhio…
vorrebbe staccarsi, strapparsi via dall’occhio
– e non può cadere, Dio mio!

7
«Canta, canta, alza il tuo sguardo cieco al cieli alti,
come ci fosse un Dio lassù nei cieli…salutalo, saluta con la mano-
come se da lassù una grande fortuna ci splendesse e ci illuminasse!
Siedi sulle rovine del tuo popolo massacrato e canta!

8
– Come posso cantare? Se il mondo per me è deserto?
Come posso suonare con le mani rotte?
Dove sono i miei morti? Io cerco i miei morti, Dio, in ogni rifiuto,
in ogni mucchio di cenere…O, ditemi dove siete.

9
Gridate da ogni pezzo di terra, da sotto ogni pietra,
da ogni grano di polvere, da tutte le fiamme, tutto il fumo-
è il vostro sangue e succo, è il midollo delle vostre membra,
è la vostra anima e carne! Gridate, Gridate forte!

10
Gridate dai visceri delle fiere nel bosco, dai pesci nello stagno-
Vi hanno mangiati. Gridate dai forni, gridate grandi e piccoli:
voglio uno strepito, un lamento, una voce, voglio una voce da voi,
grida popolo ebraico massacrato, grida, grida fuori!

11
Al cielo non gridare: ti sente quanto il cielo, il mucchio di letame.
Non gridare al sole, non rivolgerti a una lampada…Ah se potessi
spengerlo come si spegne una lampada in questa tana d’assassini!
Tu, popolo mio, mi splendevi, tu mi davi luce!

12
O mostrati a me, popolo mio, dimostrati, tendi le mani
dalle fosse profonde e lunge per miglia e stipate,
strato su strato, coperti di calce e bruciati.
Su! Su! Alzatevi dall’ultimo, dal più profondo strato.

13
Venite tutti da Treblinka, da Sobibor, da Auschwitz,
da Belec venite e da Ponary e ancora da altrove, ancora, ancora!
Con gli occhi spalancati e gelati e con grida e strepiti privi di voce,
venite dalle paludi, dal fango profondo, dai muschi marci-

14
Venite essiccati, macinati, stritolati, venite,
mettetevi intorno a me, in tondo, in un grande anello-
nonne, nonni, padri, madri con bambini tenuti in grembo-
venite ossa ebree ridotte in polvere, in pezzetti di sapone.

15
Mostratevi a me, dimostratevi, venite tutti, venite,
voglio vedervi tutti, voglio guardarvi tutti, voglio
gettare uno sguardo muto, ammutolito sul mio popolo massacrato-
e voglio cantare…sì…datemi l’arpa- io suono!

3-5.10.1943.

IX Ai cieli

1
Così ebbe principio, incominciò…Cieli, dite perché, dite per chi?
Perché sulla terra tutt’intera ci tocca essere tanto umiliati ?
La terra, sordomuta, ha come chiuso gli occhi…Ma voi, voi cieli, voi avete visto,
stavate a guardare voi, lassù dall’alto; eppure non vi siete capovolti!

2
Non si è rannuvolato il vostro azzurro, scontato azzurro, splendeva falso come sempre,
il sole rosso come un boia crudele ha continuato a girare in tondo,
la luna, vecchia sgualdrina peccatrice, andava a passeggiare in voi la notte,
e le stelle sconce brillavano, strizzavano gli occhietti come topi.

3
Via! Non voglio alzar lo sguardo, non voglio vedervi, non voglio saper nulla di voi!
O cieli falsi e bugiardi, o lassù nell’alto bassi cieli! Quanto mi addolora:
Io vi credevo un tempo,vi confidavo gioia e tristezza, riso e pianto,
ma voi non siete meglio della schifosa terra, del grande mucchio di letame!

4
Io vi lodavo, cieli, io vi inneggiavo in ogni mia canzone, ogni mio canto-
io vi amavo come si ama una moglie; lei non c’è più, disciolta come schiuma.
io somigliavo sin dalla mia infanzia il sole in voi, il sole fiammeggiante del tramonto
alla mia speranza: “così svanisce la mia speranza, così muore il mio sogno!”

5
Via!Via! Vi siete fatti beffa di noi tutti, beffati il mio popolo, beffata la mia stirpe!
Da sempre voi ci sbeffeggiate: già i miei padri, i miei profeti sbeffeggiavate!
A voi, a voi – alzavano gli occhi, alla vostra fiamma si accendevano,
i più fedeli a voi qui sulla terra che sulla terra si struggevano per voi.

6
A voi anelavano….a voi per primi esclamavano: haazinu!- Ascoltate!
E solo poi la terra. Così il mio Mosè e cosi Isaia, il mio Isaia: shimu!- Udite!
E shomu! gridava Geremia: shomu! A chi, se non a voi? Perché d’un colpo vi siete estraniati?
O aperti e vasti cieli, luminosi e alti cieli! voi siete tali quali alla terra.

7
Non ci conoscete, non ci riconoscete più- perché? Saremo poi
tanto diversi, tanto cambiati? Ma se siamo gli stessi ebrei di sempre-
e anche molto migliori…Io no! Non voglio paragonarmi ai miei profeti, non devo,
ma loro, tutti quegli ebrei portati a morire, i milioni massacrati ora –

8
Loro sì, sono migliori: più provati, purificati dall’esilio! E quanto vale
uno dei grandi ebrei di allora di fronte a un piccolo, semplice, qualsiasi ebreo di oggi
in Polonia, Lituania, Volinia, in ogni terra d’esilio, – in ogni ebreo si lamenta e grida
un Geremia, un Giobbe disperato, un re deluso intona il Qohelet.

9
Non ci conoscete, non ci riconoscete più, nessuno: come fingessimo di essere altri.
Ma noi siamo gli stessi, gli ebrei di sempre, e come sempre pecchiamo contro noi stessi,
e come sempre rinunciamo alla nostra felicità e vogliamo ancora salvare il mondo-
E voi, com’è che siete così azzurri, voi cieli azzurri, mentre ci stanno massacrando, com’è che siete così belli?

10
Come Saul, il mio re, nella mia pena cercherò la maga,
troverò la strada disperata e scura per Endor,
e chiamerò fuori dalle tombe tutti i miei profeti e tutti implorerò: guardate, guardate in alto
ai vostri chiari cieli e sputate loro in faccia: “che siate maledetti, maledetti!”

11
Voi cieli stavate a guardare da lassù quando hanno portato i bambini del mio popolo
– per navi, su treni, a piedi, in pieno giorno e nella notte scura- a morire,
milioni di bambini, mentre li ammazzavano, hanno alzato le mani a voi- non vi siete commossi,
milioni di nobili madri e padre- non si è accapponata la vostra azzurra pelle.

12
Voi avete visto i Yomele di undici anni, semplice gioia! gioia e bontà,
e i Benzion, i piccoli geonim così seri e studiosi…consolazione di tutto il creato!
Avete visto le Hanne che li hanno avuti e consacrati a Dio nella sua casa,
e siete rimasti a guardare…Non avete nessun Dio in voi, cieli! Cieli da niente, cieli smagliati!

13
Non avete nessun Dio in voi! Aprite le vostre porte, cieli, aprite e spalancate
e lasciate entrare tutti i bambini del mio popolo massacrato, del mio popolo torturato,
aprite per la grande ascensione: tutto un popolo crocefisso con gravi sofferenze
deve entrare in voi…Ciascuno dei miei bambini massacrati può essere il loro Dio!

14
O cieli desolati e vuoti, o cieli come un deserto vasti e desolati,
io ho perso in voi il mio unico Dio, e a loro averne tre non basta:
il Dio degli ebrei, il suo spirito e l’ebreo della Galilea che giustiziarono, sono pochi:
ci hanno spediti tutti quanti in cielo, – o schifosa e vigliacca idolatria!

15
Rallegratevi, cieli, rallegratevi!- Eravate poveri, adesso siete ricchi,
che messe benedetta- tutto, tutto un intero popolo, che gran fortuna, vi è stato regalato!
Rallegratevi cieli lassù con i tedeschi, e i tedeschi si rallegrino quaggiù con voi,
e un fuoco dalla terra salga fino a voi e divampi un fuoco da voi fino alla terra.

23-26.11.1943

Print Friendly, PDF & Email

8 Commenti

  1. Frammento
    di Miklòs Rodnoti, scritta il 19 maggio 1944, durante la sua detenzione in campi di concentramento nazisti
    (da Poesie, Bulzoni editore, traduzione di Bruna dell’Agnese e Anna Weisz-Rado, Roma 1999)

    Io vissi sulla terra in un’età in cui l’uomo era
    a tal punto degradato che uccideva per il suo piacere
    non soltanto perché gli era stato comandato.
    A corromperlo fu la fede nelle menzogne,
    un delirante autoinganno la regola di vita.

    Vissi su questa terra in un’età che premiava
    i vili informatori di polizie, i cui eroi erano
    ladri assassini e spie, e i pochi che tacevano,
    o che, semplicemente, rifiutavano l’applauso
    erano odiati come fossero appestati.

    Vissi sulla terra in un’età, in cui chi avrebbe
    voluto protestare doveva nascondersi,
    doveva mordersi i pugni, per la vergogna.
    Impazzita la gente sogghignava per i loro orribili
    destini, ebbri di sangue e lordura.

    Vissi su questa terra in un’età
    in cui la madre era una maledizione,
    le donne incinte erano felici di abortire
    perché i vivi invidiavano i morti destinati
    a imputridire; sulla tavola schiumava la coppa del veleno …

    …….

    Vissi in questa terra in un’età
    nella quale taceva anche il poeta;
    attendeva, sperando che un’antica
    tremenda voce nuovamente si levasse;
    nessun altro sarebbe mai potuto erompere
    in maledizioni adatte a un tale orrore,
    se non l’autore di terribili parole,
    Isaia, il profeta.

    Todtnauberg
    di Paul Celan,
    1967, dopo una sua visita ad Heiddegger ed alla sua casa di Todtnauberg.
    (da P. Celan, Poesie, a cura di Giuseppe Bevilacqua, traduzioni di Giuseppe Belvilacqua, I meridiani, Mondatori, Milano 1998)

    Arnica, eufrasia, il
    sorso dalla fonte con sopra
    il dado stellato,

    nella
    malga,

    la riga nel libro
    – quali nomi accolse
    prima del mio? -,
    la riga in quel libro
    inscritta,
    d’una speranza, oggi,
    dentro il cuore
    per la parola
    ventura
    di un uomo di pensiero

    umidi prati silvestri, non spianati,
    orchidee selvatiche, sparsamente,

    più tardi, in viaggio, parole crude,
    senza veli,

    chi guida, l’uomo,
    che anche lui ascolta,
    percorsi a
    mezzo, i viottoli
    di tronchi sulla torbiera gonfia,

    umidore,
    forte.

  2. Fuga di morte

    Nero latte dell’alba lo beviamo la sera
    lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo di notte
    beviamo e beviamo
    scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti
    Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti che scrive
    che scrive all’imbrunire in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
    lo scrive ed esce dinanzi a casa e brillano le stelle e fischia ai suoi mastini
    fischia ai suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra
    ci comanda ora suonate alla danza

    Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
    ti beviamo al mattino e a mezzogiorno ti beviamo la sera
    beviamo e beviamo
    Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti che scrive
    che scrive all’imbrunire in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
    I tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti

    Lui grida vangate più a fondo il terreno e voi e voi cantate e suonate
    impugna il ferro alla cintura lo brandisce i suoi occhi sono azzurri
    spingete più a fondo le vanghe voi e voi continuate a suonare alla danza

    Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
    ti beviamo a mezzogiorno e al mattino ti beviamo la sera
    beviamo e beviamo
    nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
    i tuoi capelli di cenere Sulamith lui gioca con i serpenti
    Lui grida suonate più dolce la morte la morte è un maestro tedesco
    lui grida suonate più cupo i violini e salirete come fumo nell’aria
    e avrete una tomba nelle nubi là non si giace stretti

    Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
    ti beviamo a mezzogiorno la morte è un maestro tedesco
    ti beviamo la sera e la mattina e beviamo e beviamo
    la morte è un maestro tedesco il suo occhio è azzurro
    ti colpisce con palla di piombo ti colpisce preciso
    nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete
    aizza i suoi mastini contro di noi ci regala una tomba nell’aria
    gioca con i serpenti e sogna la morte è un maestro tedesco

    i tuoi capelli d’oro Margarete
    i tuoi capelli di cenere Sulamith

    (da Poesie – Paul Celan, Mondadori, Milano, 1976)

  3. Grazie per l’assistenza tecnica (agli idioti informatici come me) e poetica.Manco farlo apposta il Katzenelson l’ho tirato fuori nell’ambito di un seminariosulla traduzione di Celan che sto facendo a Napoli. Avevo già in programma di mettere su (azz..mi sento un dj!) un po’ di poesie di Celan in varie versioni, ma poi mi piaceva di più presentare questo testo molto più sconosciuto, immediato e spurio.

  4. Helena ha un origine tedesca, un cognome polacco, una famiglia ebraica, un marito terrone, vive in Brianza e lavora a Milano.
    Per farla breve è l’Europa fatta persona! ;-)

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Di quale “cancel culture” si parla in Italia?

di Bruno Montesano e Jacopo Pallagrosi
Negli Stati Uniti, a un anno da Capitol Hill, si continua a parlare di guerra civile. Questa è la dimensione materiale della cosiddetta...

L’orso di Calarsi

di Claudio Conti
«Da una parte l’Impero ottomano, dall’altra la Valacchia. In mezzo il Danubio, nero e immenso». Lara è sul fianco e ruota la testa all’indietro, verso Adrian. Rimane così per un po’, con la reminiscenza del suo profilo a sfumare sul cuscino.

Amicizia, ricerca, trauma: leggere Elena Ferrante nel contesto globale

L'opera dell'autrice che ha messo al centro l'amicizia femminile è stata anche veicolo di amicizia tra le studiose. Tiziana de Rogatis, Stiliana Milkova e Kathrin Wehling-Giorgi, le curatrici del volume speciale Elena Ferrante in A Global Context ...

Dentro o fuori

di Daniele Muriano
Un uomo faticava a sollevarsi dal letto. Un amico gli suggerì di dimenticarsi la stanza, la finestra, anche il letto – tutti gli oggetti che si trovavano lì intorno.

Un selvaggio che sa diventare uomo

di Domenico Talia Mico, Leo e Dominic Arcàdi, la storia di tre uomini. Tre vite difficili. Una vicenda che intreccia...

Soglie/ Le gemelle della Valle dei Molini

di Antonella Bragagna La più felice di tutte le vite è una solitudine affollata (Voltaire) Isabella Salerno è una mia vicina di...
helena janeczek
helena janeczek
Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: