Psalm/Salmo x3
di Paul Celan
Psalm
Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm,
niemand bespricht unsern Staub.
Niemand.
Gelobt seist du, Niemand.
Dir zulieb wollen
wir blühn.
Dir
entgegen.
Ein Nichts
waren wir, sind wir, werden
wir bleiben, blühend:
die Nichts-, die
Niemandsrose.
Mit
dem Griffel seelenhell,
dem Staubfaden himmelswüst,
der Krone rot
vom Purpurwort, das wir sangen
über, o über
dem Dorn.
SALMO
Nessuno c’impasta di nuovo, da terra e fango,
nessuno insuffla la vita alla nostra polvere.
Nessuno.
Che tu sia lodato, Nessuno.
E’ per amor tuo
che vogliamo fiorire.
Incontro a
te.
Noi un Nulla
fummo, siamo, reste-
remo, fiorendo:
la rosa del Nulla,
la rosa di Nessuno.
Con
lo stimma anima-chiara,
lo stame ciel-deserto,
la corona rossa
per la parola di porpora
che noi cantammo al di sopra,
ben al di sopra
della spina.
Traduzione di Giuseppe Bevilacqua
Salmo
Nessuno ci impasta di nuovo da terra e da fango,
nessuno dà parola alla nostra polvere.
Nessuno.
Tu sia lodato, Nessuno.
Per amor tuo vogliamo
fiorire.
A Te
in-contro.
Un Nulla
eravamo, siamo, ancora
resteremo, fiorendo:
del Nulla la rosa
di Nessuno.
Con
lo stilo d’animo chiaro,
il filamento di un cielo desolato,
la corona rossa
della parola di porpora, che cantammo
sopra, oh quanto sopra
la spina.
Traduzione di Luigi Reitani
Salmo
Nessuno di nuovo ci impasta di terra e di fango,
nessuno parla alla nostra polvere.
Nessuno.
Che tu sia lodato, Nessuno.
A te piacendo noi
fioriremo.
A te
incontro.
Un niente
eravamo, siamo, saremo
noi sempre, fiorenti:
La – niente, la
rosa nessuno.
Con
lo stilo chiaro d’anima,
il filamento cielo-deserto,
la corona rossa
per la parola purpurea che cantammo
sopra, oh sopra
la spina.
Traduzione di Helena Janeczek
Invitata da Camilla Miglio cui avevo mandato alcune mie traduzioni, ho tenuto l’autunno/inverno scorso un seminario all’Orientale di Napoli in cui abbiamo lavorato sul problema traduzione/ ermeneutica/ interpretazione di tre poesie di Celan.
Mi piacerebbe scrivere qualcosa su quest’esperienza, ma per ora non ce la faccio. Quindi alla fine ho pensato che presentare anche su N.I. una poesia in più versioni possa essere più interessante che proporre soltanto gli originali e le mie traduzioni.
Ps. Ogni contiguità con il sacramentario di Garufi è puramente casuale (ma il caso, a volte, signori miei….) h.j.
– 1.segue
Elena giusto tre domande a margine della poesia (decisamente un capolavoro)
E’ possibile avere l’anno delle tre traduzioni?
ovvero i traduttori erano presenti allo stesso seminario?
Nella prima traduzione c’è un a capo che fa torto alla prima prova (reste-remo)
In tedesco esiste una differenza tra niente e nulla? O c’è una sola parola (come in francese)?
non posso “capire”i tre punti di vista perchè il tedesco non é tra le mie lingue, devo pero’ confessarti che il verso da te tradotto con:
Un niente (nulla nelle altre)
eravamo, siamo, saremo
noi sempre, fiorenti:
La – niente, la
rosa nessuno.
mi è piaciuto moltissimo anche se avrà fatto storcere il naso ai puristi il la- niente, la rosa nessuno
Un Nulla
eravamo, siamo, ancora
resteremo, fiorendo:
del Nulla la rosa
di Nessuno.
noi un Nulla
fummo, siamo, reste-
remo, fiorendo:
la rosa del Nulla,
la rosa di Nessuno.
effeffe
Da francofona quale sei come avresti integrato la traduzione francese (curata recentemente) di Martine Broda e che presenta molte dissonanze con la versione italiana?
PSAUME
Personne ne nous repétrira de terre ou de limon, (fango in italiano…ec ec)
personne ne bénira notre poussière.
Personne.
Loué sois-tu, Personne.
Pour l’amour de toi nous voulons
fleurir.
Contre
toi.
Un rien
nous étions, nous sommes, nous
resterons, en fleur;
la rose de rien, de
personne.
Avec le style clair d’âme,
l’étamine désert-des-cieux,
la couronne rouge
du mot de pourpre que nous chantions
au-dessus, au-dessus de
l’épine.
Caro effeffe,
stamattina ho ricevuto una bella telefonata da un più che carissimo amico francese, e la mia giornata si è illuminata. :-))))
Leggo ora il post della Helena e la luminosità investe anche il pc. :-))))
Poi, sempre dalla Francia (con tutte le mie scuse per la gentilissima Martine Broda), mi arriva un terrificante “la rose de rien” e, di colpo, mi sento mancare… .-)
La traduzione di Bevilacqua è presa dal Meridiano Mondadori uscito nel 1998.
Luigi Reitani- grandissimo traduttore di Hoelderlin- ha tradotto Salmo per una trasmissioni di “Uomini e Profeti” e la rivista “Anterem” credo nel 2005.
La mia idem.
In tedesco c’è una sola parola per niente/nulla. A differenza degli altri tradutto ho preferito la prima per varie ragioni.
– una questione di impasti e simbolismo sonoro (“niente” è più “piccola”, pi soffio di “nulla”) e di registro meno alto, più colloquiale. Per me era importante sottolineare che la poesia di Celan è intrinsicamente colloquio.
Quel “- niente” che ti piace, si ispira a una situazione linguistica in cui magari uno chiede “che hai?” e l’altro risponde “niente…”
-per togliere Celan da una tradizione interpretativa filosofica e/o metafisica (di una certa interpretazione della metafisica) di stampo soprattutto heideggeriano e postheideggeriano
-perché quel nichts/niente è il risultato della “Vernichtung”/”Annientamento” degli ebrei d’Europa.
“rosa nessuno” anzicché “rosa di nessuno”:
Sono assolutamente corrette, credo, entrambe le soluzioni. Il tedesco, come forse saprei, ama le parole composite e ne permette la creazione senza che questo appaia un procedimento particolarmente “sperimentale”. “Rosa di Nessuno” sarebbe, letteralmente” “Niemandes Rose” o “Die Rose von Niemand”. “Niemandsrose” è sospeso fra “rosa di nessuno” o “la rosa che è nessuno”. Se l’originale contiene più di una possibilità di lettura, il traduttore deve scegliere. E’ questo che rende utile la circolazione di più di una traduzione di poesie così ricche di possibilità interpretative
Con “reste-remo” Bevilacqua intende alludere a un resto.
“Entgegen” in tedesco ha la doppia valenza di “incontro a”/ “contro a” (vedi anche il francese).
Avrò dimenticato qualcosa, ma per adesso la chiudo qui…
Cato, perché…non ti piace “rrrien, rrien de rrrien, non, je ne regrette rien…”?
Ragazzi, scusate, sono un covo di refusi..altro che postheiggeriano!!!!
Oltre al titolo l’andamento è di una preghiera e viene reso nella lingua originale in modo irraggiungibile perché è il mezzo di codificazione utilizzato dal poeta. La traduzione di Helena J. è ineccepibile e trovo assolutamente interessante questo tipo di presentazione in più versioni.
Per quanto conosco io il tedesco, Nichts (sostantivo) è niente e nulla e non c’è altra parola.
Poesia e nulla si equivalgono l’uno nonostante l’altro.
Trovo invece una forzatura, sia in Bevilacqua -“insuffla vita”- che in Martine Broda -“bénira”-, non rendere il riferimento alla parola che genera la ri-creazione da parte di nessuno: “bespricht”, da “be-sprechen”, parlare, parlare addosso.
Se posso essere utile, la traduzione di Reitani è uscita sul numero 72 (giugno 2006) di “Anterem”, preceduto da un saggio sul’eresia dove, appunto, mette in relazione l’atto del tradurre con l’attività dell’eretico.
gugl
Nessuno ha mai imprecato contro il Nulla.
Sarà per questo che rimane intatta la sua sacralità.
scusa Helena
e il fango che diventa lemon?
effeffe
Helena, devi scusarmi, ma amo talmente quel “Niemandsrose” che ritengo ogni traduzione del termine, compresa quella italiana, per quanto bella, incapace di renderne la pienezza e la complessità simbolico-semantico-fonica.
E’ un po’ quello che succede, tanto per fare un esempio che non ha nessuna pretesa di accostamento o di parallelismo, con la “Douve” di Yves Bonnefoy.
Comunque le traduzioni sono tutte veramente validissime.
p.s.
Per quanto riguarda il tuo riferimento a Bevilacqua, credo che il termine scelto, “insuffla vita” per “bespricht”, sia sostenuto da una evidente volontà di agganciare i primi due versi al racconto del Genesi biblico (2,7).
*
Anche a me è sempre piaciuto, ad esempio, traducendo pro domo mea, rendere il “Gelobt sei du” con un “laudato sii” di francescana memoria, fedele al richiamo che questo verso mi suggerì la primissima volta che lo lessi: anche per l’effetto di straniamento, e di totale rovesciamento di prospettiva, che il successivo “Niemand” provoca rispetto alla “memoria” che il “gelobt” contiene.
L’unica finezza a me pare proprio questa di Reitani, proprio nel verso cruciale:
del Nulla la rosa
di Nessuno
Qui c’è del genio, che altrove, traduzione francese compresa, dice bene Cato, difficilmente si riesce a sentire consonante all’originale comunque inarrivabile.
La soluzione di Reitani è senz’altro molto elegante, forse troppo (troppo “italiana”, mi verrebbe da dire, con un retrogusto quasi da ermetismo anni 30). Non mi stupisce che Helena ne abbia cercata un’altra.
Dobbiamo comunque dire grazie a lei e a tutti i traduttori.
(p.s. il casuale accostamento con il post di Garufi è il tipico esempio di ciò che, a volte, mi fa letteralmente adorare Nazione Indiana).
Mi accorgo solo adesso che, per la fretta (una mano sulla tastiera e una sulle chiavi di casa), mi era sfuggito un refuso, quindi “seist du”, e pace. Anzi, amen.
@ Andrea Raos
“Adorabile” il tuo post scriptum. ;-)
@ Helena
Visti i temi toccati nel seminario a cui fai riferimento, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi del commento di H. G. Gadamer a “Atemkristall” e se le questioni da lui sollevate sono emerse nel corso dei lavori.
Spero di non aver chiesto troppo, o di essere andato OT.
Non sono un traduttore, non conosco il francese, ma grazie ad Helena, tutti insieme, avete fatto un bel lavoro.
Grazie, Helena, per questo inusuale ma ottimo esercizio di confronto di punti di vista sullo stesso testo, già di suo molto forte. Sono maniacalmente per la traduzione più letterale possibile, compatibilmente con lingua e contesto. Per questo preferisco il ‘resteremo’ di Reitani al tuo ‘saremo sempre’, così come prefersico molto il tuo ‘sopra, oh sopra’ al ‘sopra, oh quanto sopra’ di Reitani o al ‘ben al di sopra’di Bevilaqua. Un punto di difficile resa è il ‘bespricht’. Anche qui trovo migliore il tuo ‘parla alla’ che gli altri. Anche perché non trovo traccia del senso di insufflare che Cato attribuisce alla ricercata analogia con Genesi 2.7.
Comunque una gioia per la pelle. A.
Grazie a Guglielmin che segnala il numero di Anterem sul quale sono uscite le traduzioni di Reitani!
E grazie a tutti…Mi fa molto piacere che apprezziate la proposta.
Proprio perché l’originale è inarrivabile, più di una traduzione aiutano ad avvicinarsi alla sua pienezza.
@ Cato “Laudato sii” è splendido ma su tutt’altro registro di quello che avevo scelto. Ti hai fatto una traduzione di Psalm? Ti andrebbe di condividerla con noi altri? Senza impegno…
“Atemkristall” l’ho letto un bel po’ di anni fa e non lo ricordo benissimo ora. Solo che “gadamerizzasse” molto Celan, lo rendesse più filosofico e meno doloroso di quanto pare a me…
@Antonello “saremo noi sempre” voleva a) emulare la compresenza secca di passato, presente e futuro in un verso solo (waren wir, sind wir, werden)
(eravamo, siamo, saremo)
b) creare un tessuto di assonanze forti SAremo SEmpRE fioRENTI simile a WErden Wir BLEiben BLuehend…
Con Reitani avevamo parlato delle nostre rispettive traduzioni ed eravamo d’accordo che la parola (il verbo, il logos) all’inizio ci doveva stare…
Ogni lettura/interpretazione, di fronte ad opere di questa altezza, quando è supportata dalla passione, dalla dedizione e dallo studio, non fa che aprire orizzonti nuovi all’intelligenza del testo, soprattutto quando il testo si fa esso stesso sostanza e veicolo di sensi indicibili.
Fermo restando il valore di tutte le traduzioni proposte da Helena, io penso che, in riferimento al “bespricht unsern Staub”, la traduzione fortemente e volutamente analogica di Bevilacqua sia comunque affascinante e convincente, non solo perché riporta immediatamente l’autore nel cuore della sua “cultura” di riferimento e delle sue radici (sia pure sul piano sottilmente o esplicitamente conflittuale che sappiamo), ma anche perché allarga a dismisura le maglie del simbolico, precipitando nel nulla-di-storia una trascendenza altrimenti inavvicinabile, inconcepibile.
Provo a ragionare. “Erde und Lehm” sono terra e fango, “la polvere della terra” con cui dio plasma l’uomo, e poi vi alita, come Logos/parola/respiro, la vita (Genesi): l’atto della parola (la prima nominazione) e l’inizio della vita coincidono. Se per Celan il “wieder” rende chiara l’idea/intenzione di una nuova creazione, ciò significa che l’uomo della prima è stato cancellato, annientato, trascinando nel suo nulla lo stesso dio che, adesso, come un indefinito/indefinibile “Niemand”, è incapace di ogni “bespricht”, cioè dell’atto che, attraverso la parola, dà vita, dà alla vita. “Nessuno” esiste proprio perché l’irrimediabile cancellazione dell’umano (sul piano storico e sul piano ontologico) è frutto del nulla-di-parola: il percorso e la metamorfosi di Jahve in Niemand, è lo stesso percorso di progressiva, inarrestabile nullificazione della parola (ossia della vita).
*
Mi piacerebbe sapere se esiste una traduzione di questo testo da parte di un altro grande cultore di lunga data dell’opera di Celan: Michele Ranchetti. Sarebbe bello, e interessante, aggiungerlo alla lista, allargando, con l’apporto di ulteriori confronti, il ventaglio dei “sensi possibili”.
possibile che il salmo sia un controcanto consapevole all’iscrizione che Rilke volle sulla sua tomba a Raron
Rose, oh reiner Widerspruch, Lust,
Niemandes Schlaf zu sein unter soviel
Lidern.
Ho scritto di fretta, dopo aver letto l’intervento di Antonio Sparzani. Siate buoni, nel caso qualcuno volesse “menarmi”: guardate l’ora!
Helena, domani, al ritorno dal lavoro, vedo se posso rispondere a quanto chiedi: sappi, comunque, che, per me, “tra-durre” e “tra-dire”, sono sinonimi (o quasi).
Buona notte.
chiedo umilmente scusa per l’intrusione e per questo (imperdonabile) ot, davvero.
@ db
leggi, per cortesia, nella casella di posta elettronica. se puoi, rispondi. grazie.
p.s.
scusate di nuovo.
Nessuno ci plasma più da terra e argilla,
nessuno scongiura la nostra polvere.
Nessuno.
Lodato tu sia, Nessuno.
Per te noi vogliamo
fiorire.
Contro
te.
Un Nulla
eravamo e siamo e
resteremo, fiorendo:
la rosa di Nulla e
di Nessuno.
Lo stigma chiaro-anima,
lo stame grigio-cielo,
rossa la corolla
della parola purpurea che noi cantammo
sopra la spina,
oltre.
Anin anin a noolis
cumò cal duar il loof
lu cjaparin pe code
lu menarin tal cjoot
Sempre nell’ultimo numero di Anterem ci sono alcune traduzioni di Celan a Mandel’stam, a loro volta tradotte in italiano da Camilla Miglio, la quale, in un breve saggio successivo, commenta Celan traduttore.
Nessuno ci plasma più da terra e argilla,
nessuno scongiura la nostra polvere.
Nessuno.
Lodato tu sia, Nessuno.
Per te noi vogliamo
fiorire.
Contro
te.
Un nulla
eravamo e siamo e
resteremo, fiorendo:
la rosa di nulla e
di nessuno.
Lo stigma chiaro-anima,
lo stame grigio-cielo,
rossa la corolla
della parola purpurea che cantammo
sopra la spina,
oltre.
@ Helena
Continuo ad intromettermi ma vi sento tutti così tolleranti ed amabili – oltre che molto competenti – che non riesco ad eclissarmi.
Si può fare poesia dopo Auschwitz,
aber Psalm ist ein Loblied.
Ich in der
Ich bin da
und wo war Gott als sein Volk in den Konzentrationslagern litt?
La rosa è l’umanità e rosso è il colore del sangue umano che scorreva copioso – e che continua a scorrere – ci sono concessi solo brevi momenti di tregua (Primo Levi).
Ma rosso è anche il colore della vita.
Il Niemand del primo verso ed il Niemandrose dell’ultimo, dico una bestialità con “li preferirei lasciare intradotti” ?
E’ per questo, Mayfly, che ho preferito “niente”. Lì per me non c’è letteralmente più niente e nessuno. Niente di intatto e di sacrale (per parafrasare Magda): non nel senso di una teologia negativa come la si poteva concepire anche prima della, mi ripeto, “Vernichtung”. Per questo ho cercato un registro che fosse sì di Salmo, di Loblied (ah, quanto amaro, sopra la spina), ma secco, privo di riempitivi, di mosse appartenenti alla tradizione lirica alta italiana.
Questa è una dichiarazione pro domo mea, d’accordo, anche se la traduzione di Reitani l’apprezzo moltissimo. Ripeto: il punto non è quale sia la più bella…
Credo di capire quel che vuoi dire con quel “li preferei lasciare intradotti”…
Entschuldigen Sie mir bitte! Mi perdo le lettere oltre che me stessa, infatti :
Ich bin der
Ich bin da
Se capisco bene non è un’ontologia del nulla, ne una teologia negativa, ma ancora di più, di più essenzialmente semplice, qualcosa che anticipa l’ontologia, vanificandola, e sostituisce la necessità del sacro.
E’ cio’ che sta *invece* della costruzione, qualsiasi costruzione.
per Heidegger piu’ che teologia negativa,(interpretazione successiva) parlerei di mistica sottrazione ontologica, che per quanto susciti l’avversione come per una metafisicheria, ha un suo fascino profondo.
@ Helena
Quando verrà il momento e troverai il tempo per raccontare del seminario all’orientale, io ci sarò.
Beste Gruessen.
Come se Celan si riappropiasse della realtà semplice, attraverso la negazione delle superflue costruzioni, e Heidegger toccasse verità per sottrazione metafisica e ontologica del già noto, della sua storia. in comune c’è il flatus mistico(filamento di cielo deserto) e anche la devozione alla parola( purpurea). Altra analogia è l’aspetto catartico della tabula rasa esistenziale. Pero’ dovrei leggere meglio….
alcuni appunti sulla ‘essenzialità’ (sempre risonante, però), sul ‘togliere’, sulla spoliazione della parola come (vertiginosa) tensione etica intrinseca alla forma di questa scrittura, così come ci viene restituita dalle precise scelte traduttorie di helena.
p. levi-celan. si sa del giudizio negativo espresso da levi sulla oscurità della poesia di celan, specchio formale buio, vertigine espressiva intorno al caos che il trauma biografico della shoah consegna al soggetto fino a trascinarlo al suicidio nella senna.
eppure, come diceva lo stesso bevilacqua nella esegesi complicata del senso riposto in Sprachgitter: “celan si richiama, da un lato, alla precarietà di ogni dire, dall’altro alla perfetta geometria che rende perspicua la struttura dei cristalli e vorrebbe trovare riscontro nella struttura del testo poetico”.
è in questa tensione che va ricercata la natura di questa ‘oscura essenzialità’. una tensione etica, che in modi diversi ma complementari (come per levi e celan) arriva a coinvolgere la mathesis della scrittura tout court, l’indicazione preziosa e vitale di una ‘tradizione’ cui richiamarsi – se s’intende la parola (poetica e non) come strumento ‘impuro’. la scrittura compromessa con la sua radice e ragione d’essere fondativa, che è quella di ‘conquistare tacendo’ e di esprimere, infine, la parola che viene dai morti (e dall’attesa inevasa, dalla promessa di futuro).
helena: davvero belle e convincenti le tue scelte, f.
La strofetta di prima l’avevo messa pensando di essere in quell’altro thread, quello delle bestemmie (tengo sempre aperte troppe finestre sul desktop, da qui l’errore) per vedere se otteneva un piccolo effetto “straniante”. Nessun intento ironico su questi argomenti. Magari non serviva, ma ci tenevo a specificarlo. Ciao
@ elena
mi sembra che quanto dice C. ne “Il meridiano” del poetare si può applicare al tradurre: come il poeta tenta una topografia della vita, così il traduttore tenta una topografia del testo poetico. I traduttori come poeti/cartografi di seconda mano. Con relativi strumenti: lessico innanzitutto, usw. O detto altrimenti, viaggio verso l’altro, per decifrarlo. In questo senso i diversi traduttori navigano verso la stessa isola, ognuno convinto che la sua sia la rotta giusta. Non è già il paradigma della democrazia?
Vabbe’, ho già fatto 2 tentativi estemporanei (mi manca il Grimm usw.), e mi riservo casomai il terzo ed ultimo, come per i saltatori.
Il titolo è da prendere serissimo, nel rif. al libro dei Salmi: e programmatico, se al v. 1 c’è riferimento categorico a Gn 2, 7. |Qui un primo problema: Lehm è argilla, a far dunque endiadi con Erde, mentre il fango è Schlamm: o no?)|
Il v. 2 insiste sulla polvere, evocando Gn. 3, 19, ossia la maledizione: “Polvere sei, e in polvere ritornerai”: il quale passo poi richiama potentemente l’Ecclesiaste (vanitas vanitatum) e Giobbe (nudo uscii e nudo ritornerò), ossia i 2 libri biblici che fanno da corona ai Salmi. Perciò con estrema conseguenza al v. 4 c’è la lode in II persona singolare, come nei salmi di Davide. C. insomma fa i conti con la tradizione, e con i suoi stilemi. |Qui un secondo problema: bespricht è da contestualizzare in Gn 2, 7 o in Gn 3, 19 + Giobbe? Tutti voi propendete per la uno, e quindi variate sul tema dell’insufflare la vita al primo golem. Io invece no: “NOSTRA polvere” significa che noi siamo già stati creati, e siamo attualmente polvere stante la maledizione. Forse pensando a questo la Brode traduce “benedice” come l’opposto appunto della maledizione. Ma besprechen non ha quest’accezione, mentre ha quella di beschwören, ossia esorcizzare, fare gli scongiuri, insomma redimere in qualche modo, rianimare, risanare. O no?|
continua (spero)
@ db
“Esorcizzare”/”scongiurare” la polvere, come tu traduci, è esatto, letteralmente: equivale ad allontanare ciò che ha reso la polvere tale, quindi a ri-animare, cioè a ripristinare il circuito della creazione”da terra e argilla”: in questo modo, dire nessuno ci riplasma, perché nessuno può impedire che, quanto uscì dalle mani del creatore, sia ridotto in polvere, significa attestare, insieme all’inesorabilità della polvere, l’impossibilità della parola a dire, cioè a creare. Se, dunque, il possibile esorcismo avviene attraverso la parola, ed equivale alla parola che “diede” vita (Genesi), mi chiedo perché, secondo te, la seconda opzione non sia altrettanto valida, per traslazione analogica, inglobante, oltretutto, anche il dettato biblico che giustamente richiami. Tieni presente, come ben sai, che in Celan benedizione/maledizione (cioè preghiera/bestemmia) sono un tutt’uno in una miriade di testi e, molto spesso, proprio l’aderenza alla lettera, si rovescia in un ulteriore, inesorabile sovraccarico di senso/i. Dico questo perché mi piacerebbe seguire fino in fondo il tuo discorso, e anche perché, immagino, non mancheranno altri “luoghi” controversi del testo: ad iniziare proprio dalla coppia simmetrica “nulla/nessuno”. Ma non prenderti nessun impegno, non vorrei fare la figura di quello che “istiga” e poi scompare, visto che per alcuni giorni non mi sarà assolutamente possibile usufruire del mezzo. Un’ultima considerazione: il lavoro di assemblaggio operato da Celan nella compilazione e nella cura delle sue raccolte segue una logica profonda, che rappresenta un ulteriore elemento caratterizzante il disegno complessivo dei suoi testi; niente avviene a caso, a partire dalla successione delle liriche, fino ai continui e sotterranei rimandi e collegamenti a/con testi di altre raccolte. Qui si aprirebbe un capitolo ancora più sorprendente, per certi versi, e forse è meglio soprassedere: voglio solo dire che l’autore semina tracce e indizi, affinché il lettore ne segua il sentiero, nella silenziosa cancellazione che di essi avviene al loro primo apparire. Personalmente, non sono mai riuscito ad avvicinare “Psalm” senza ripercorrere i testi che lo precedono, soprattutto il primo, “Es war Erde in ihnen”, a partire dal quale il processo di osservazione della “riduzione alla polvere” va di pari passo con la “riduzione al silenzio, al nulla-di-suono” della parola. “Es war Erde” / “Es kam eine Stille” / “O einer, o keiner, o niemand”.
@ Helena
Sono assolutamente d’accordo su quanto dici a proposito della lettura gadameriana. La “mia” tra-duzione, per le ragioni accennate sopra, provvederò a fartela avere: inutile postarla, se poi sono costretto a sottrami alle inevitabili “martellate”. Ti dico solo che sono persuaso della profonda radice “religiosa” del testo; “Dir entgegen” lo interpreto come una sorta di “sia fatta la tua volontà”; “die Nichts-, die / Niemandsrose” lo rendo con “un nulla in forma di rosa / la rosa di nessuno”; “seelenhell” è “anima-trasparente”, con evidente allusione alla sua “fragilità”; “himmelswust” con vuoto-di-cielo; in “der Krone rot” / vom Purpurwort”, leggo una chiara allusione al sangue sacrificale.
Buon proseguimento. Questo thread è bellissimo (in tutte le declinazioni semantiche del termine).
Accolgo con piacere il ragggionamento di Cato, con dispiacere la sua imminente assenza: lodato tu sia, o Cato!
Dev’essere chiaro che i vv. 1-2 non si riferiscono entrambi al momento della creazione divina (che sarebbe poi una ripetizione fiacchina), ma il v. 1 alla creazione, il v. 2 allo stato dell’uomo dopo il peccato e la maledizione. “Rianima” sarebbe bello, ma andrebbe a cozzare con l’anima del v. 15 . Perciò fino a nuovo ordine, io metterei “redime”.
Il v. 4, che inaugura la II strofa, è il perno di tutto. E’ reiner Widerspruch, per dirla con Rainer, contraddizione pura. Innanzitutto contraddizione con la I strofa: che lodiamo a fare, se nessuno ci salva? Dovremmo casomai imprecare, ossia fare il contrario puro! E poi: lodare è connotare positivamente, porre cioè qualcosa, e invece qui è un nessuno. La situazione è di un’ironia sublime, che richiama la negatività infinita di Socrate (Ad es. il “Protagora” platonico, che si conclude non senza un risultato, ma con un risultato nullo – qui si potrebbe dire: C. ateo, non agnostico): tanto più che quel nullo è una persona (la seconda appunto), che conseguentemente assume in C. l’iniziale maiuscola (che nella I strofa manca, o c’è solo in funzione del punto che la precede). Viene in mente anche l’astuzia ironica di Ulisse-Nemo con Polifemo (ma chi è astuto qui? Ai postumi l’ardua sentenza).
NB Solo con l’apostrofe del v. 4 il negativo si personalizza-maiuscolizza. Il Nichts del v. 9 è maiuscolo solo in quanto sostantivo, e perciò va tradotto minuscolo, esattamente come i sostantivi seguenti Nichtsrose e Niemandsrose (brave Helena e Martine, e una tiratina d’orecchi a Bevilaqua e Reitani).
Ho detto ironia, potevo dire paradosso. Ora, una situazione paradossale del genere, e anche diffusa, è il parlare coi morti (l’”Ah! Sugli estinti / non sorge fiore ove non sia d’umane / lodi onorato e d’amoroso pianto” del Basetta): al cimitero gente che parla da sola, e se chiedi risponde: “Stavo parlando con nessuno”. Dietro C. ovviamente c’è lo Hölderlin degli dèi fuggiti e l’ultimo Rilke del colloquio oltretombale.
Invece la faccenda del “niente” o “nulla” è un po’ caprina. Ossia, come nordico capisco Helena che trova niente più basso di nulla, ma già in Toscana la distinzione non regge: ad es. da me dicono “bon da gnente” e là invece “buonannulla”. E siccome vivaddio (sic!) siamo italiani…
Sono d’accordo con Cato: questo thread ecc. ecc.
Saluti.
@ Cato, in memoriam
Essenziale quello che disse, ossia che un componimento singolo riceve luce dall’architettonica, dal luogo in cui è collocato dall’autore (vale sempre: ad es. gli LP dei Beatles). Del resto Cato è colui che nel suo De Agricoltura raccomandò di snocciolare le olive prima di frangerle: non so se mi spiego…
Dir zulieb /Dir entgegen, vv. 5 e 8-9. “L’ho fatto per amor tuo!”, “L’ho fatto per te!”, singhiozza la mamma accennando ai soldi per l‘ero passati al figlio ecc. ecc. Lo scoglio è entgegen: verso te o contro te? La tentazione è grande: come i girasoli che fioriscono e si girano verso il sole… Ma in coppia con zulieb, l’entgegen/verso sarebbe una mera diminuzione, mentre l’entgegen/contro estremizza la contraddizione: ti lodiamo, Nessuno, per la tua funzione… di sembiante direbbe Diola Can, di pattumiera vuota su cui noi scarichiamo amore e odio (e soldi, se il dott. Nemo è uno psicanalista). Boh… |ma non” in-contro”: già c’è Cacciari in prosa…|
vv. qui siamo in pieno Eccl. 12, 9-10: “prima che la polvere torni alla terra com’era prima, e lo spirito torni a Dio che l’ha dato. Vanità delle vanità, tutto è vanità”. Passaggio cioè dalla polvere al nulla/vano, dalla metafora al cosa – ma ecco in C., subito raddoppiato in direzione opposta, dal cosa alla metafora, dal nulla/vano al fiore.
NB Bluhend di v. 11 è tanto riferito/riferibile a “noi” quanto a “nulla” (forse più a questo): perciò “fiorendo” o “in fiore” vanno bene, “fiorenti” al plurale è compromettente.
OT mo’ vado al concerto di mio figlio 16nne (più che per sentirlo, per riportarli a casa con gli strumenti). Sono in 4, suonano emopunk, si chiamano “Thee Dust”, cioè alla shakespeariana (ma sono ignoranti come capre, non so come abbiano scovato il nome) “Tu, polvere”… il posto, gratuito, è lo Zoe (vita), in piazza Anita Garibaldi (e la nonna paterna si chiama Anita, garibaldinissima, se sua sorella unica fu chiamata Rosita come la figlia morta presto dell’eroina).
PENSATE UN PO’ MENO , E GUARDATEVI JACKASS CON Johnny Knoxville E Bam Margera , VI RINFRESCHERA’ LE CERVELLA… E MAGARI DOPO CI VEDRETE PIu’ CHIARO.
SECCHIONIIIIIIIIIIIIIIIIIII
Caro Steve a forma di MTV
io Jackass lo vedo e me lo rivedo
ma poi mi leggo anche chi studia a chi lavora.
Quindi sciaquati la bocca e prova
con il milione e mezzo di euro
di unanimous, che magari riesci meglio.
Un saluto alle tue, di cervella.
LE MIE CERVELLA RICAMBIANO
BLABLABLAalcuni appunti sulla ‘essenzialità’ (sempre risonante, però), BLABLABLA sul ‘togliere’, sulla spoliazione della parola come (vertiginosa) tensione etica intrinseca BLABLABLA alla forma di questa scrittura, così come ci viene restituita dalle precise BLABLABLA.
MA CHE STRANO RUMORE CHE FANNO LE TUE!
CI VUOLE PIU’ JACKASS APOCRIFO!
Caro Steve
Volevo dirti che non sono l’Apocrifo dell’essenzialità, ma un altro apocrifo non meglio identificato. Mi scuso con l’Apocrifo precedente e con gli altri per il disturbo.
Avete sentito rairadio3 stamattina? A Uomini e profeti, la Caramore ha intervistato Reitani proprio a proposito di questa poesia. Non so se fosse una registrazione estiva o una diretta, io l’ho ascoltata per la prima volta. Ma quello che l’ha resa preziosa era la messa in onda della voce di Celan stesso che recitava questo suo salmo. Mi sono emozionata, ovvio. Soprattutto avvertendo come ha pronunciato il terzo Niemand. Diversamente che per gli altri che compaiono nel testo, l’ha pronunciato accentuando e staccando Nie da mand e il tutto suonava come Nie Mann. Con quel Nie assoluto, isolato, quel Mai affermato con una disperazione asciutta e totale. L’interpretazione, come la traduzione, è interminabile.
So che esistono (anche in cd) diverse registrazioni di Celan che legge le sue poesie. Su amazon o simili penso che si trovino.
Questa è la prima puntata di Uomini e profeti (a quanto pare la prima messa in onda è del 9/1/2005).
A me (conosco poco Celan e ignoro il tedesco) sembra interessantissima e perfettamente in tema con il post e con la discussione. Anche qui c’è Reitani. Anche qui ci sono letture di Celan.
Penso che la seconda puntata – quella di oggi di cui parla Caracaterina – possa essere reperita in rete domani.
http://www.radio.rai.it/radio3/view.cfm?Q_EV_ID=178673
(cliccare su riascolta la puntata)
No one kneads us again out of earth and clay,
no one incants our dust. No one.
Blessèd art thou, No One.
In thy sight would
we bloom.
In thy
spite.
A Nothing
we were, are now, and ever
shall be, blooming:
the Nothing-, the
No-One’s-Rose.
With
our pistil soul-bright,
our stamen heaven-waste,
our corona red
from the purpleword we sang
over, O over
the thorn.
Translation © 2001 by John Felstiner.
l’ho trovata adesso su google, dove ho sentito più letture di Celan (ma non trovo Psalm). L’enfasi sul terzo Niemand me la figuro così: “Al concerto di Bob Geldof non c’era nessuno, ma proprio NE-SSU-NO”. NIE-MAND.
Ero un fanatico di Jackhass (soprattutto Marghera che faceva gli scherzi ai genitori). Mi sono tenuto in vasca da bagno un coccodrillino, fin che una volta, mentre lo facevo anch’io, mi ha troncato di netto gli attributi. Così ho letto l’Uomo senza attributi (Eigenschaften) di Musil, e mi sono avvicinato alla poesia (nihilista in particolare). Ieri sera l”entrata dello Zoe era incuneata tra una banca con sportello e un’agenzia ippica: ci sono entrato e… ma questa è un’altra storia, per cui ho 3 opzioni
1- raccontarla
2- proseguire l’indagine del salmo
3- tacere del tutto
db, io voto per la 2.
Interessante.
Io avrei tradotto “besprechen” con *interpellare*. Risulterebbe più chiaro il senso del *be*, con la sua connotazione transitiva.
Non capisco dove nasca quel “insuffla la vita” di Bevilacqua, se non attribuendolo a un accostamento inconsapevole con l’immagine biblica del verso precedente. Riportarlo a “incantare” e da “incantare” passare a “dar vita” (Grimm 5) mi sembra un azzardo.
Reitani sta nel mezzo, ma anche qui non vedo come “besprechen” possa essere tradotto con “dare la parola”. Sempre Grimm alla mano. Mi piacerebbe che potesse rispondere lui. I passaggi che portano agli sconfinamenti di senso sono sempre interessanti.
La soluzione di Janeczek mi sembra la più corretta, salvo che “parlare a” perde non solo quella proprietà transitiva, ma scivola verso un molto terrestre “parlar con qualcuno”.
La riflessione che mi viene da fare riguarda le traduzioni dei germanisti (in generale), che virano sempre un po’ troppo verso la lingua letteraria, cioè verso la loro conoscenza “scolastica” della lingua italiana. Non vale per tutti, ovviamente, ma è vero che i germanisti, per ragioni di specializzazione e competenza, hanno della lingua poetica italiana una conoscenza che risale quasi sempre ai loro studi di letteratura italiana all’università e si ferma più o meno a Montale. Quel che è successo nella lingua della poesia negli ultimi cinquant’anni è loro estraneo. E questo porta a schiacciare il pedale e mandare il lessico come un razzo verso la “nobilitazione lirica”.
E questo è curioso, perchè conoscono bene la poesia ben poco liricizzante della letteratura tedesca contemporanea. C’è troppo Leopardi, nella loro lingua poetica, e poco Heidegger:-)
Questo dovrebbe farmi apprezzare anche la soluzione di “niente” rispetto a “nulla”, e in effetti è così, però la ripresa del genitivo
die Nichts-, die
Niemandsrose
qui c’è, e allora la traduzione di Bevilacqua
(la rosa del Nulla,
la rosa di Nessuno.)
Mi sembra la più riuscita.
Cato se n’è ito, ma tempestiva Temp! da quel che lascia trapelare dalla consultazione del Grimm (ma domani consulterò finalmente anch’io), c’è poco fa fare: ho ragione io, e nella mia versione primitiva:
nessuno scongiura la nostra polvere
(altro che parlare, dare la parola ecc.) dove scongiurare è lett. Allontanare forze malefiche da una persona (Devoto-Oli). Normalmente si scongiurano gli spiriti maligni, ma essendo qui polvere=maledizione, allora si scongiura la polvere: nessuno riscatta la nostra polvere, casomai, nessuno cioè ci riscatta dal nostro destino di esser polvere, con riferimento a Gn 3, non già a Gen 1. (il besprechen ha dentro lo sprechen/parlare in quanto è dire la parola magica: nessun esorcista dunque – al massimo esorciccio).
Dunque Iddio onnipotente non può nulla: ma un dio che non può nulla è una contraddizione in termini. Dio non esiste – ateismo pieno. Quindi salmo come lode a dio non si può dare: (ecco l’ironia che sa di beffa) la lode resta, ma a… Nessuno (che beffardamente di dio tiene solo la vuota insegna, ovvero la maiuscola dell’iniziale).
Niente dio dunque, ma intanto resta che noi siamo polvere e solo vana polvere, e quindi un niente/nulla. Ma
questa polvere sempiterna (passata presente e futura / eravamo, siamo ecc.), questo nulla fiorisce.
Aristotele distingueva vari tipi di dynamis, il più noto dei quali è il movimento fisico. ma c’è anche il crescere degli animali, e il fiorire/sbocciare dei vegetali. Fiorire è il passaggio all’atto, dalla potenza (energheia). ma qui a fiorire è il nulla, ovvero l’impotenza (per i greci non si dà creazione dal nulla). Quello che afferma Celan dunque è assordo, o è un miracolo. Questo miracolo è il fiorire della Nichtsrose/Niemandsrose. I miracoli dunque (o gli esorcismi) li fanno gli uomini, non l’Iddiota. Resta da vedere come.
lo zio Martin:
” arriviamo troppo tardi pee gli Dei e troppo presto per l’Essere”
che in questo lasso, limbo d’assenza temporale, abiti l’eternità del nostro nulla o niente come preferite ?
Nessuno ci impasta di nuovo di terra e fango,
nessuno scongiura la nostra polvere.
Nessuno.
Che tu sia lodato, Nessuno.
Per te vogliamo
fiorire.
Te
incontro.
Un niente
fummo, siamo,
resteremo, fiorenti:
la rosa del niente, la
rosa di nessuno.
Con
lo stilo chiaro d’anima,
il filo di polvere deserto di cielo,
la rossa corona
della parola porpora che cantammo
sopra, o sopra
la spina.
( … da dove viene questa misteriosa Niemandsrose…. forse è un lontano saluto a Rilke il cui epitafio dice : Rose, o reiner Widerspruch, Lust niemandes Schlaf zu sein unter so vielen Lidern…)
@db
Eppure a me sembra molto tirato.
Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm,
niemand bespricht unsern Staub.
Niemand.
tu traduci:
Nessuno ci plasma più da terra e argilla,
nessuno scongiura la nostra polvere.
Nessuno.
Dallo scongiuro al riscatto vedo parecchia strada da fare. Perchè è vero che il tuo “ragionamento” tiene, ma come c’è un’autonomia (un po’ temibile) dell’interpetazione, c’è anche una tenuta complessiva del testo che è discorsiva (spero di essere chiara perché ammetto di non avere un lessico specialistico a cui far ricorso). I due primi versi sono compatti e il secondo riprende e rafforza il primo, nella tua versione ci sarebbe una divaricazione del senso.
Non so, sono perplessa.
Se “nessuno ci plasma più” la negazione è rivolta a un gesto positivo, e allora anche il secondo verso, per come è costruito, dovrebbe negare una positività.
Continuo a non vedere il passaggio dallo scongiuro al riscatto. O meglio, lo vedo nel tuo commento ai versi, ma non lo ritrovo di fronte al testo.
Grimm 5) besprechen, mit feierlichen worten, incantare.
Poi rimanda a verprechen, zaubern, e potresti aver ragione, ma nel senso del miracolo della creazione, e in questo caso avrebbe ragione Bevilacqua e torto tutti gli altri. Anche in questo caso sarebbe interessante chiedergli se la strada è stata questa.
Vedo adesso il commento di @ Raos sull’eleganza della versione di Reitani, anche la mia osservazione sui germanisti va in quel senso.
@db
Il toscano ha perso. A favore della lingua delle grandi case editrici, nordiche quasi tutte:-) Anche di questo si deve tener conto. A meno che non si scriva in falso antico.
@ cato (se torna)
“sappi, comunque, che, per me, “tra-durre” e “tra-dire”, sono sinonimi (o quasi).”
Non dirmi questo!!!
@per Cato
“… Molti (poeti moderni) – non tutti, non i più integri – si sono creduti autorizzati a libertà che hanno giustificato con le “leggi” del dialogo fra i poeti, “leggi” che li dispensavano dai doveri ordinari dei traduttori. Ne sono risultate (…) traduzioni che non sono in fondo che “ricreazioni” libere. Si tratta di forme ipertestuali poetiche, che non si ha diritto di confondere con delle traduzioni. Poiché, come Voltaire o Vialatte, esse trascurano il *contratto* fondamentale che lega una traduzione al suo originale. Questo contratto – certo draconiano – interdice *ogni superamento della tessitura dell’originale*. Esso stipula che la creatività richiesta dalla traduzione deve mettersi per intero al servizio della ri-scrittura dell’originale nell’altra lingua, e mai produrre una sovra-traduzione determinata dalla poetica personale del traducente. E’ tutta la differenza tra Shakespeare tradotto da Jouve e Shakespearee tradotto da Leyris o Bonnefoy. Nel primo caso si ha l’arbitrio capriccioso di un poeta che si annette tutto ciò che tocca; nel secondo, l’obiettivo poetico è legato all’obiettivo etico della traduzione: portare sulle rive della lingua traducente l’opera straniera nella sua pura estraneità, sacrificando deliberatamente la “poetica”propria. ”
E dice ancora:
“… ponendo l’atto di tradurre come una captazione di senso, qualcosa viene a negare l’evidenza e la legittimità di questa operazione: l’aderenza ostinata del senso alla sua lettera. Circostanza che i traduttori, gli autori e i lettori hanno sempre avvertito. Questa operazione conquistatrice ed esaltante, questa dimostrazione dell’unità delle lingue e dello spirito, è macchiata da un sentimento di violenza, di insufficienza, di tradimento. Steiner parla a buon diritto della tristezza che accompagna da sempre l’atto di tradurre. Anzi: in questa esperienza vi è una *sofferenza*. Non solo quella del traduttore. Anche quella del testo tradotto. Quella del senso privato della sua lettera. La traduzione se la prende con la loro intimità. Jacques Derrida lo ha spiegato in modo superbo:
‘Un corpo verbale non si lascia tradurre o trasportare in un’altra lingua. E’ proprio quello che la traduzione lascia cadere. Lasciar cadere il corpo, è questa l’energia essenziale della traduzione…’ ”
:–)))
da Antoine Berman, La traduzione e la lettera o l’albergo nella lontananza, Quodlibet, 2003, pp.34-5
Affrettatissima e sbagliata la mia conclusione: se il miracolo non lo fa dio, non è detto infatti che lo facciano gli uomini. Dio non esiste, dio è Nessuno, ma intanto è per/contro lui che ci muoviamo (dynamis). Mi viene in mente il discorso di Socrate sull’amore come mancanza, poros e penia, ossia povertà estrema ed espediente (ironico in quanto tale). Comunque
a) siamo polvere
b) vogliamo fiorire
qui il miracolo è il passaggio dal regno minerale al regno vegetale. Il “vogliamo” indica la direzione, l’intenzione, ma:
c) siamo un nulla
e da noi nulli non possiamo cavare qualcosa/rosa. eppure
d) la rosa c’è, esiste
La domanda ora è duplice: chi l’ha fatta? di cosa è fatta?
Viene utile il rimando alle 4 cause di Aristotele: la prima domanda riguarda le cause agente e finale (per quale motivo e a quale scopo?), la seconda le cause materiale e formale.
Non l’ha fatta dio, non l’hanno fatta gli uomini nulli: ergo, non l’ha fatta nessuno. E’ la rosa di nessuno (Niemands è genitivo di specificazione soggettivo: la rosa di nessuno, sua di nessuno)
di cosa/come è fatta? di nulla (complemento di materia: Nichts può essere genitivo ma anche nominativo, come in Purpurwort, la faccenda non cambia). Rosa di nulla, come c’è la rosa di latta. Se traduco La rosa del nulla, torno invece al compl. di specificazione, come La rosa del deserto (ma io dico La parola di porpora, non della porpora). Traducendo La rosa di nulla e di nessuno, velocizzo come nel testo tedesco ed enfatizzo meno. Bevilacqua e Reitani pompano alla grande con “del nulla”, con la ripetizione di “rosa” e con le maiuscole Nulla e Nessuno (errore palese, quest’ultimo). “nulla e nessuno potrà fermarmi”…
Spirito pienamente bermaniano:-))
Che io sia d’accordo o meno sul risultato, sono pienamente d’accordo con questo modo di porsi di fronte al tradurre.
parole sante, temp, e quasi tue!
la rosa del Nulla a me mi ricorda la regina delle Tenebre…
non ho difficoltà a barattare nulla con niente, a patto che questo “niente” sia la parola magica che farà tornare Helena.
Facendomi forte del vecchio Humboldt che dice: “…una traduzione è tanto più deviante quanto più faticosamente tenta di essere fedele”, ci ho provato anch’io
Nessuno più ci plasma con terra e limo
Nessuno chiama la nostra polvere.
Nessuno.
Sia lode a te, Nessuno.
Per amor tuo
fioriremo.
Incontro
a te.
Niente
eravamo, siamo.
resteremo, fiorendo:
la rosa-niente, la
rosa di nessuno.
Con
chiaro stilo d’anima
con desolato filamento di cielo,
rossa la corona
per la parola purpurea che cantammo
sopra, oh sopra
la spina.
Die Menschen = die Niemandsrose
i.e. ein Oxymoron
S. Rete da Cascia mi ha insufflato questo:
La preghiera delle “18 benedizioni” è divisa in 3 parti. La prima comprende 3 benedizioni di esaltazione (ricordo del merito dei Patriarchi; prodigi divini e resurrezione dei morti; proclamazione della regalità divina); dalla 4a alla 16a seguono una serie di richieste collettive: il perdono e la misericordia per i giusti, la fine delle sofferenze e la redenzione, la salute, la pioggia e la rugiada, la ricostruzione di Gerusalemme e il ritorno del regno di David; le ultime tre benedizioni sono di ringraziamento finale, ed esprimono la speranza nel ritorno divino a Sion. Le “18 benedizioni” si recitano in ognuna delle 3 preghiere quotidiane, in piedi, in silenzio, a piedi uniti, “con gli occhi aperti rivolti verso la terra e con il cuore rivolto al cielo”. Durante la recitazione personale e silenziosa, prima della 17a benedizione, il fedele ha l’occasione per inserire nella preghiera le sue richieste personali e i suoi desideri di colloquio diretto con il divino. La 1a in tedesco suona: Gelobt seist du, Ewiger, unser Gott und Gott unserer Väter, Gott Abrahams, Gott Isaaks und Gott Jakobs, großer starker und furchtbarer Gott, der du beglückende Wohltaten erweisest und Eigner des Alls bist, der du der Frömmigkeit der Väter gedenkst und einen Erlöser bringst ihren Kindeskindern um deines Namens willen in Liebe. König, Helfer, Retter und Schild! Gelobt seist du, Ewiger, Schild Abrahams! Le rimanenti tutte chiudono con Gelobt seist du ecc. La lezione rispecchia quella di Lutero, Salmi 119, 12 (che riprende il Davide di 1 Cronache 29, 10).
@ db
Pass mal auf!
Le preghiere di Santa Rita funzionano, cioè sono ascoltate visto che arrivò a pregare Dio per la morte dei figli, piuttosto che saperli macchiati del sangue fraterno: entrambi morirono di malattia in giovane età, a meno di un anno di distanza dalla morte del padre.
S. Rete mi ha insufflato che il suo amichetto d’Assisi è stato tradotto in tedesco: Gelobt seist, Herr. Poi che in Lutero
Gn 2, 7 Da machte Gott der HERR den Menschen aus Erde vom Acker (terra di campo)
Gn 3, 19 bis du wieder zu Erde werdest, davon du genommen bist. Denn du bist Erde und sollst zu Erde werden (la nostra pulvis)
Lehm compare solo in Giobbe 10, 9: Gedenke doch, daß du mich aus Lehm gemacht hast; und wirst mich wieder zu Erde machen? Pensa però che mi hai fatto di argilla: e mi ritrasformerai in terra?
C. ha presente dunque lessicalmente il libro di Giobbe. Lutero ha invece Staub/polvere solo in Ezechiele (e in Isaia, dove ha significato di cenere).
Io so che i tedeschi chiamano l’argilla comune Lehm (per terrecotte, mattoni e tegole), e Ton l’argilla fine/creta per la ceramica. Ma mai limo, fango ecc.
Infine mi ha chiesto una prestazione (andare a parlare con la cavalla di Mastrolindo Ferretti, “che poi ci pensa lei”): avendo letto le cose di myfly, mi sono irrigidito, e non ha più soffiato.
Insomma, il v. 4 è ironico/sarcastico/beffardo/blasfemo: una pro-vocazione, come da amante deluso davanti alla porta chiusa dell’amante (alla Caproni?). Lodata sia tu, gran figa, grazie tante di non avermi aperto ecc. Insomma un doppio legame di amore/odio. Perciò insisto su “Per te”/”Contro te”.
“La rosa-niente, la rosa di nessuno”: mollo la mia e prendo la temp.
@db
Giusto.
Giusto anche che *lehm* viene da lutum e che *limo* viene invece da limus.
Ma se cerchi *lehm* nel Palazzi Folena (ebbene sì!) troverai che *lehm* vuol dire limo glaciale. E così mi sono sentita autorizzata:–)
Non bisogna solo ereditare, bisogna anche produrre, (doppio :–))
E poi, più banalmente, Battaglia 2. Limo. Materia terrosa con la quale, secondo il linguaggio immaginoso e antropomorfico della Bibbia, Dio formò il corpo del primo uomo insufflandovi poi lo spirito vitale; ecc. con le sue citazioni al seguito, da Giamboni a Fogazzaro, passando per Dante.
@ db
“Lehm compare solo in Giobbe 10, 9: Gedenke doch, daß du mich aus Lehm gemacht hast; und wirst mich wieder zu Erde machen?”
Forse allora, se è Giobbe, hai fatto bingo, lascia stare che originariamente siano in semi-opposizione, è secondario, le connessioni poetiche non sono fatte di pura filologia e razionalità.
Giobbe, il gran bestemmiatore!
rosa-niente dunque: niente, ossia meno di polvere; e rosa, ossia più di polvere (perché ha vita, vegetale). un niente-qualcosa? Tenendo la coppia materia/forma, si potrebbe dire una rosa senza materia. O tenendo la coppia sostanza/accidenti, una rosa senza sostanza. forma pura, puro accidente – quanto basta per descriverla, come fa C. nell’ultima strofa. Dove è da rendere onore a Vera Blau, che ha notato il persistere dello Staub/polvere nello Staubfaden/filamento.
La strofa più densa, “intraducibile” di tutte: meglio lasciarla per domani, no?
Vi passo un appunto di C. indirizzato a db (a questo punto credo possa interessare anche tutti gli altri, in particolare modo Temperanza).
@ db
* Prova a consultare il saggio “Ledig allen Gebets” di Franco Camera (in particolare il paragrafo 5, “Il “Salmo” di lode e la preghiera di Dio”), in AA.VV., Preghiera e Filosofia, a cura di Giovanni Moretto, Brescia, Editrice Morcelliana, 1991. Il saggio contiene anche numerosissimi riferimenti bibliografici di grande valore.
** In “The German Quarterly”, 43, 1970, si può leggere un saggio fondamentale, a opera di W.H. Rey (citatissimo da studiosi e traduttori) sul concetto di “nulla” in Celan.
*** “Poetica”, 3, 1970, contiene un bellissimo saggio di J. Schulze, “Mystische Motive in Paul Celans Gedichte”, tutto dedicato al simbolo della rosa nella lirica celaniana.
**** I testi di “Die Niemandsrose” furono composti tra il 1959 e 1963, anni in cui cade l’incontro e la vicinanza con la persona e l’opera di Nelly Sachs. L’incontro non è di poco conto, visto che porta entrambi i poeti a rivedere alcuni loro testi alla luce delle reciproche suggestioni. Alcune poesie della Sachs di quegli anni contengono più o meno velati riferimenti alla “Nichtsrose” celaniana.
Saluti
Da “Fahrt ins Staublose”, 1961, di Nelly Sachs
Wer
von der Erde kommt
Mond zu berühren
oder
anderes Himmelsmineral das blüht –
angeschossen
von Erinnerung
wird er hoch springen
vom explodierenden Sehnsuchtsstoff
denn
aus bemalter Erdennacht
aufgeflügelt sind seine Gebete
aus täglichen Vernichtungen
suchend die inneren Augenstraßen.
No one moulds us again out of earth and clay,
no one conjures our dust.
No one.
Praised be your name, no one.
For your sake
we shall flower.
Towards
you,
A nothing
we were, are, shall
remain, flowering:
the nothing-, the
no one’s rose.
With
our pistil soul-bright,
with our stamen heaven-ravaged,
our corolla red
with the crimson word which we sang
over, O over
the thorn.
(trasl. by M. Hamburger)
a me mgd mi tolse le parole di bocca.
dunque le ri-badisco e ri-propongo:
“Come se Celan si riappropiasse della realtà semplice, attraverso la negazione delle superflue costruzioni, e Heidegger toccasse verità per sottrazione metafisica e ontologica del già noto, della sua storia. in comune c’è il flatus mistico(filamento di cielo deserto) e anche la devozione alla parola( purpurea). Altra analogia è l’aspetto catartico della tabula rasa esistenziale. Pero’ dovrei leggere meglio…. “
come mai nessuno ha pensato a tradurre Krone con corolla invece che corona, dato il riferimento a parti del fiore dei due versi precedenti? E’ vero che sia Griffel sia Staubfaden, oltre ad essere definizioni botaniche hanno altri significati, ma se si sceglie il dignificato botanico allora lo si dovrebbe scegliere anche per Krone.
non so.
stando alle traduzioni che avete fornito, mi sembra ci sia un rapporto ermetico (nel senso di volutamente chiuso, o forse dischiuso) tra le parole che compongono i versi di Psalm.
immagino che questa sensazione sia ovvia.
tuttavia alcune delle traduzioni che si leggono sopra (non conosco il tedesco) è come se cercassero, magari senza volerlo, di scioglierne pienamente il senso, di dipanarlo: già che devo tradurla, questa poesia, tanto vale che te la spieghi.
non so voi, ma per me la sfida principale che deve affrontare la poesia è quella che gli dichiara il senso.
il senso che è nel lettore, che il lettore istintivamente cerca, ma che l’autore contemporaneo più o meno regolarmente elude, o comunque non soddisfa mai pienamente e fino in fondo: la poesia contemporanea ha paura del senso, cioè ha paura di sciogliersi nel senso se questo diventa intelligibile.
tuttavia il traduttore talvolta si comporta da lettore, cercando ed ottenendo, un surplus di senso che magari nell’originale non c’è.
in questo modo, talvolta, scopre le carte del testo originale, ne svela i trucchi, le reticenze, i sotterfugi.
lo sbugiarda, talvolta lo uccide: ma un testo che si fa sciogliere in traduzione è già morto nell’originale.
credo.
Bellissima traduzione. Sempre su Paul Celan segnalo indegnamente la mia tesi di laurea (disponibile qui http://www.asterione.org/monografie.php?id=9 e una personalissima e discutibile lettura del ciclo Atemkristall (è presente pure l’intero ciclo)
http://www.vibrissebollettino.net/bottegadilettura/archives/2006/06/paul_celan_atem.html)
E l’ultimo capitolo del libro di Salvatore Tedesco, disponibile qui:
http://www.unipa.it/~estetica/download/Tedesco_IMELS.pdf
Grazie per aver condiviso questa traduzione.
Bellissima traduzione. Sempre su Paul Celan segnalo indegnamente la mia tesi di laurea (c’è pure una personalissima lettura del ciclo Atemkristall (è presente pure l’intero ciclo tradotto da Bevilacqua)
E l’ultimo capitolo del libro di Salvatore Tedesco, disponibile qui:
Grazie per aver condiviso questa traduzione.
@Marlene
Giusto. E: corollario: che casino…
@Temperanza
Soluzione sereniana, ma poco irenica?:
die Nichts-, die
Niemandsrose
la rosa nulla
nessuno
@ marlene
già, è evidente che è corolla (e così l’ho tradotto da subito). Poi vedi svariate traduzioni, e tutti traducono corona, e tu ti senti un pirla. Ma siccome la c’è, la verità:
corona, in botanica è il giro superiore di rami in un albero. Krone ha anche l’accezione di corolla, ergo: (per fortuna ieri notte ho pescato la tr. di Bigmac Hamburger, che riporta corolla e mi consola: come del resto te)
Uhm, a me sembra evidente che in Celan i due sensi (corolla e corona) coesistono, e che quindi il traduttore italiano sia in qualche modo obbligato a scegliere.
Più in generale: ragazzi, state parlando di una delle poesie più famose (e commentate) del Novecento. Mi sembra come minimo imprudente dare per scontato che i traduttori “non ci abbiano pensato”.
@ andrea. è la prudenza che ti fa sentire un pirla: siccome tutti dicono corona, e ci hanno pensato (se fossero solo sbadati, tu ti sentiresti un dio).
Ma: questa rosa-niente è pur qualcosa, e si lascia descrivere nei suoi accidenti (estetica appunto, che ha a che fare con l’apparenza sensibile, su fondamento nullo). Difatti l’ultima strofa attacca con Mit, staccato dal resto e reggitore degli accidenti descritti. Addirittura io l’ho tagliato, come quando si descrive: “un uomo strano: i capelli radi, due cicatrici”, senza dire: coi capelli ecc. Come ha notato Marlene, alcuni sostantivi adottati hanno più sensi (sarà da vedere). L’ultimo no: è la spina della rosa (e NB pure i tedeschi dicono: non c’è rosa senza spina). Insomma, se è un elenco di attributi (e cos’altro sarebbe?), il senso maior sarà quello botanico: in italiano magari così perderai altre sfumature, ma l’impianto regge. Se invece accanto a a stilo/stigma, stame e spina metti corona, beh, è una balordaggine. o no?
Ya nadie nos moldea con tierra y con arcilla,
ya nadie con su hálito despierta nuestro polvo.
Nadie.
Alabado seas, Nadie.
Queremos por tu amor
florecer
contra
ti.
Una nada
fuimos, somos, seremos,
floreciendo:
rosa de
nada, de nadie.
Con
el pistilo almalúcido,
cielo desierto el estambre,
la corola roja
de la palabra purpúrea que cantamos
sobre, o sobre
la espina.
Versión de José Ángel Valente
a db
Capisco il tuo punto di vista, ma il problema è che non credo che “corona” sia una semplice sfumatura di senso rispetto a “corolla”.
Questo Krone a me sembra fungere da vera e propria cerniera fra la prima metà della strofe e la seconda (esattamente tre versi da una parte e tre dall’altra). Sicché la parola si trova in una posizione ambivalente, in cui significa “corolla” rispetto ai primi tre versi e “corona” rispetto agli ultimi tre – dove mi sembra innegabile che predomini l’immagine della “corona di spine”:
Mit
dem Griffel seelenhell,
dem Staubfaden himmelswüst,
der Krone rot
vom Purpurwort, das wir sangen
über, o über
dem Dorn.
E in questi casi al traduttore tocca arrangiarsi. È un problema che conosco bene, perché si tratta un procedimento molto comune nella poesia giapponese classica (mentre è ovviamente un tratto di “modernità” in Celan, per cui sia ben chiaro che non sto facendo paralleli di alcun genere – né so cosa sapesse Celan di poesia giapponese).
Per tradurre questo tipo di parole-cerniera diverse strade sono percorribili; la tua e di Hamburger (seguita anche dal traduttore spagnolo, a quanto vedo) è senz’altro una delle due o tre più accettabili.
Ma è bellissimo!!!! Si sta lontani dal computer per due giorni e mezzo e ci sono 82 commenti a Salmo! Versioni in quattro lingue, traduzioni e ritraduzioni….
La versione di Temperanza mi pare poi davvero riuscita: bella e fedele. E in genere mi trovo d’accordo con quel che scrive nei commenti.
Provo ora a dire la mia su alcuni punti.
Corona/corolla: sono d’accordo con Andrea: bisogna scegliere, perdere un pezzo di senso, o così o cosà.
Niente/nulla: nella mia scelta non conta il fatto, da solo, che “niente” suoni più basso e colloquiale per buona parte degli italiani contemporanei, toscani e umbri esclusi (approssimativamente). Conta soprattutto il desiderio di togliere quel termine da una precomprensione di matrice filosofica (accentuata dalla maiuscola, per chi la usa). Che non significa ritenere “sbagliate” le letture di matrice heideggeriana, Gadamer e altri, ma dire: va bene, voi l’avete letto così, ve ne siete appropriato dal vostro punto di vista, è legittimo, ma adesso io sento il bisogno di strappare il testo a quella codificazione.
Wollen wir bluehen: vedo che sono d’accordo con Temperanza e col grande Michael Hamburger nel non tradurre quel “wollen” con “volere”.
Mi pare che il valore di quel “wollen” è in effetti simile al “shall/will” inglese: come in una frase rivolta al futuro vicinissimo sullo stile di “wollen wir die Hausaufgaben machen?” che tradurrei con “Ci mettiamo a fare i compiti?” “Vogliamo fiorire”, in italiano, intende una volontà forte e attiva che secondo me in tedesco non è presente. (Temp, se riesci a spiegare meglio, sarò grata e ammirata).
Entgegen: sono contaria a “contro”, perché nelle frasi di moto (ich komme, laufe, gehe dir entgegen ecc.) “entgegen” è sempre “incontro”. E’ anche il contesto che circoscrive il senso di un termine…
Alla prossima e grazie a tutti!
ho incontrato Treccani per strada… e così, dopo aver sciacquato i panni in Lambro su invito di temp, mi sono tuffato nella botanica. Con risultati inequivocabili.
Griffel è lo stilo che sorregge lo stigma/Narbe, a formare il pistillo/Stempel.
Staubfaden è il filamento compreso nello stame/Staubblatt.
Quindi, se vogliamo essere seri, dobbiamo tradurre stilo e filamento, come Helena e Reitani.
Dai primi due attributi della rosa, capiamo che la descrizione è scientifica, precisa fino all’acribia: non pistillo e stame, ma parti precise di esse.
Poi arriva la corolla, che in tedesco si può dire Korolle o Krone. Scrivendo Krone, C si può riservare altri rimandi metaforici (la corona di spine – ma qui è il contrario, la corolla rossa è la parola poetica oltre la spina / la corona come pecunia ecc.), MA sulla base del riferimento empirico alla parte del fiore. Se cade questo, cade tutto e la strofa, da descrizione esatta come vuole essere innanzitutto, diventa un minestrone. E perciò, fino a prova contraria, corolla è l’unica versione giusta.
Ninguém nos molda de novo com terra e barro,
ninguém evoca o nosso pó.
Ninguém.
Louvado sejas, Ninguém.
Por ti queremos
florescer.
Ao teu
encontro.
Um nada
éramos nós, somos, continuaremos
sendo, florescendo:
a rosa-de-nada, a
rosa-de-ninguém.
Com
o estilete claralma,
o estame alto-céu,
a coroa rubra
da palavra púrpura, que cantamos
sobre, oh, sobre
o espinho.
Tradução de Claudia Cavalcanti
Adesso che vi siete sfogati, posso operare un leggero contropelo?
Io cercavo un audiofile se potevo mettere su un audiofile di Celan che legge “Psalm”, ma ora mi sorge il desiderio- ammetto un po’ frivolo- di sentirlo con la voce di Cesaria Evora..
bisognerebbe trovare qualcuno capace di rimissare, senza sovrapporle ma alternandole, o lasciandole interagire e sfumare le une nelle altre, le parti strumentali di “Sodade”, per i versi lunghi, più volte ripetuti, con quelle, più cadenzate e struggenti, di “Miss Perfumado”
Sono stata fuori tutto il giorno e anche adesso ho solo cinque minuti.
@helena, grazie, e domani cerco di motivare.
Per ora solo una cosa su *corona*:
il Battaglia dà per *corona* – oltre a un ventaglio semantico amplissimo –
*corolla dei fiori*, dunque l’obiezione botanica cade:–)
Salmo
Nessuno ci plasmerà più di terra e fango,
nessuno scongiura la nostra polvere.
Nessuno.
Che tu sia lodato, Nessuno.
Per amor tuo
fioriremo.
Incontro
a te.
Un niente
eravamo, siamo,
resteremo, fiorendo:
la rosa di Niente,
la rosa di Nessuno.
Con
lo stilo chiaro d’anima,
il filamento scevro di cielo,
la corolla rossa
per la purpurea parola che cantammo
sopra, oh sopra
la spina.
vai, temp! il 3cani è ancora più preciso: corona è la parte della corolla che pende dalle fauci (sic!). Se vai nei dizionari “normali”, quest’accezione però non c’è (mentre c’è filamento, stilo). Ora, il lettore tedesco legge Krone e pensa subito alla corolla: solo forse in seconda battuta alla corona in senso nostro normale.
Purtroppo in questa strofa i termini hanno una complessità semantica che non si può rendere in italiano:
Griffel è anche il lapis, e quando vedi un Griffel hell, pensi anche alla matita chiara
Staubfaden-filamento in seconda istanza si può collegare al filo di cenere, ai grafemi tracciati con la matita
Krone-corolla in seconda istanza fa pensare alla corona, in terza alla corona di spine ecc. (mi sono sciroppato un mattone in rete sul rapporto Sachs-Celan: pare che nel contesto la rosa sia quella cristiana, che sorge dalla croce, quella dei rosacroce insomma – per dire l’interpretazione infinita!)
Ma cosa diresti se uno traducesse:
la matita chiara d’anima
il filamento bla bla
la corona rossa?
Bisogna scegliere, ma non tra equipollenti: si deve scegliere il senso primario, quello che supporta tutto, nella descrizione di una rosa (non di una croce)
La descrizione va a cascata e in parallelo
STILO ………… lapis
FILAMENTO grafema
COROLLA ….. parola
a legare corolla a parola è rosso-porpora
il passaggio dal rosso alla porpora è passaggio dal minerale/vegetale all’animale, poiché la porpora si ricava dai molluschi
la descrizione della rosa è quindi in controluce la descrizione della scrittura/parola/canto, in una parola del poetare. La rosa-niente è la poesia.
una poesia che si canta sopra la spina, oltre il dolore, ma anche una poesia che canta il dolore (über compl. di argomento, sopra una conchiglia fossile)
@ db
Finalmente: grande, sublime metafora della poesia che solo in quanto polvere, e destinata alla polvere, può rifiorire dalla polvere e darle voce: contro il suo stesso destino di polvere.
(niente più che una mia idea, sia ben chiaro: senza nessun’altra pretesa che dirsi in quanto idea)
Non ho potuto seguire Cato nella bibliografia, ma nel contestualizzare il Salmo sì. Sta nella prima della 4 sezioni di cui si compone Die Niemandsrose, uscito nel ’63.
La poesia di apertura è l’altra faccia del Salmo: “C’era terra in loro, e scavavano… E non lodavano Dio che, così udirono, voleva tutto ciò… Scavarono e non udirono più niente… non inventarono un solo canto… Oh uno, oh nullo, oh nessuno, oh tu: dove si andava se non si andava da nessuna parte?”
La quarta poesia narra l’incontro di C con la Sachs a Zurigo (estate ’60): “Parlammo… di ciò che è ebreo, del tuo dio… Si discusse del tuo dio, io parlai contro lui, lasciai sperare il cuore che avevo: nella sua parola estrema, rissosa e rantolante.” (in un appunto registra l’incontro: “replico dicendo che io spero di poter bestemmiare fino all’ultimo”).
La quattordicesima è Salmo.
Una poesia della seconda sezione attacca: “Voi coltelli del mio silenzio, taglienti di preghiera e bestemmia e preghiera.”
Insomma, il salmo è un fiorire per e contro Nessuno (è preghiera e bestemmia).
Celan è un Giobbe senza Dio e senza teodicea.
Nessuno ci plasma più da terra e argilla,
nessuno scongiura la nostra polvere.
Nessuno.
Lodato tu sia, Nessuno.
Per te noi vogliamo
fiorire.
Contro
te.
Un niente
eravamo, siamo e
resteremo, fiorendo:
la rosa di niente e
di nessuno.
Lo stilo chiaro d’anima,
il filamento grigio da cielo desolato,
rossa la corolla
della parola purpurea che cantammo
sopra la spina,
oltre.
Eccomi qua, dir entgegen @db, eh eh, anche nel senso da te indicato:-))
La tua lettura è affascinante, e al suo interno il richiamo al “lettore tedesco (che) legge Krone e pensa subito alla corolla” lo accetterei con slancio, anche in onore al senso comune, e all’uomo comune, che stiamo abbandonando, ma che Celan, nonostante la sua oscurità non abbandona affatto, ma comprende e iscrive, come nudo essere umano nella sua poesia.
C’è però un’obiezione: tutto il tuo ragionamento terrebbe se questa poesia fosse l’unica che Celan ha scritto, chiusa in sé e perfettamente autonoma, simbolicamente autoreferenziale. In questo caso l’immagine botanica, il prevalere della rosa come simbolo della poesia, mi convincerebbe. Ma la poesia è in colloquio con tutte le altre, e non solo con quelle che citi tu (giustamente). Qua ci vorrebbe forse padre Pozzi.
Leggerla così come tu fai rischia di ridurla, a mio avviso di non specialista, a un semplice congegno simbolico, o meglio, perché *semplice*, vista l’acutezza della tua lettura è improprio, a un congegno barocco. O anche a un rebus, impoverendola. Io temo.
Se io leggo questa poesia di Celan in rapporto alle altre non posso dimenticare le suggestioni e le simbologie cristologiche, tu le escludi, ma io non me la sento.
v. Tenebrae, vv 14/ 15:
Es war Blut, es war,
was du vergossen, Herr
(Era sangue, era
ciò che hai versato, Signore)
E anche “Stille”
Stille! Io treibe den Dorn in dein Herz
denn di Rose, die Rose
steht mit den Schatten im Spiegel, sie blutet
(Silenzio! Io pianto la spina nel tuo cuore,
poiché la rosa, la rosa
sta con le ombre nello specchio, e sanguina!)
e i riferimenti alla poesia religiosa tedesca, non ebraica, anche se biblica:
v. Die feste Burg (La salda rocca)
e vedi anche, magari, per far colloquiare la scelta italiana di *corona* con tutto il corpus, la poesia “Corona”.
Dunque se la scelta è *corolla*, cade il rigerimento alla *corona di spine* che per esempio Bevilacqua (non so gli altri traduttori) richiama esplicitamente nel suo commento (pag. LXXIV), e al sangue legato, via *corona* alla spina e alle spine, non visibili qui, ma presenti nel corpus.
@ Helena
Sul *wollen wir* sono d’accordo con te, per questo anch’io ho tradotto con il futuro. Wollen, in una poesia dove il Nichts è centrale, non mi convince, il wollen come atto di volontà lo sento improprio, mentre il wollen nella sua accezione di futuro no.
@Lilia
Grazie; Del suo rapporto, e del rapporto della sua poesia con quella della Sachs so, mi hanno incuriosito le altre indicazioni, chissà se sono utili per questo caso.
Sono stata forse un po’ troppo rapida e sintetica, ma devo prendere un treno.
Solo un’ultima cosa. Per chi non lo sapesse o non lo avesse ricordo che la corrispondenza Celan-Sachs è stata pubblicata qui da noi dal Melangolo qualche anno fa (parecchi?) purtroppo non lo trovo e non posso darvi indicazioni più precise, ma la rete lo sa di certo.
”
…
Il giorno del giudizio era arrivato, e per escogitare la peggiore delle infamie, la croce fu inchiodata al Cristo.
Sotterra il fiore e su questa tomba deponi l’uomo.
… ”
da “Controluce” , in Paul Celan, La verità della poesia, Einaudi, 1993
@ Temperanza
Grazie a lei, anche perché vedo che arriva alle stesse conclusioni che si potevano intravvedere in una osservazione di Cato di qualche giorno fa:
“…il lavoro di assemblaggio operato da Celan nella compilazione e nella cura delle sue raccolte segue una logica profonda, che rappresenta un ulteriore elemento caratterizzante il disegno complessivo dei suoi testi; niente avviene a caso, a partire dalla successione delle liriche, fino ai continui e sotterranei rimandi e collegamenti a/con testi di altre raccolte. Qui si aprirebbe un capitolo ancora più sorprendente, per certi versi, e forse è meglio soprassedere: voglio solo dire che l’autore semina tracce e indizi, affinché il lettore ne segua il sentiero, nella consapevolezza della silenziosa cancellazione che di essi avviene già al loro primo apparire. Personalmente, non sono mai riuscito ad avvicinare “Psalm” senza ripercorrere i testi che lo precedono, soprattutto il primo, “Es war Erde in ihnen”, a partire dal quale il processo di osservazione della “riduzione alla polvere” va di pari passo con la “riduzione al silenzio, al nulla-di-suono” della parola. “Es war Erde” / “Es kam eine Stille” / “O einer, o keiner, o niemand”. ”
Anch’io, da semplice lettrice e con scarsissima conoscenza del tedesco, pur lodando il lavoro egregio e “rivelatore” di db, e quello di tutti gli altri commentatori (lavoro grazie al quale credo di aver davvero imparato qualcosa), ritengo che sia impossibile, soprattutto in un autore come Celan, estrapolare un testo da una raccolta e analizzarlo, come un corpo a sé, solo alla luce dei reticoli letterali in cui si dipana e si lascia, apparentemente, afferrare. “Psalm”, e in questo seguo, ma solo perché ne sono convinta, un’idea di Cato, è il luogo di confluenza dell’acqua buia e luminosa che sgorga da “Es war Erde in ihnen”, e, contemporaneamente, il luogo da cui questa stessa acqua riparte per sfociare nel gran mare di “Tenebrae”: i tre testi, letti in questa sequenza, permettono di recuperare “una” delle chiavi possibili di accesso a tutta la sua opera: il rovesciamento di ogni cima in abisso, di ogni concetto e di ogni ipostasi metafisica nella sostanziale finitudine di ogni ente, osservato nel dolore elementare delle sue radici.
Mi permetto di consigliare, comunque, la lettura del citato saggio di F. Camera; almeno a mio parere, si tratta di uno degli scritti più belli che è possibile leggere in italiano, anche se affronta solo alcuni aspetti – ma fondamentali – della poesia di Celan.
helena (db,temperanza,andrea,cato…)
Celan era perfettamente bilingue, e dominava da traduttore e autore la lingua francese. Eppure non “accetta” di tradursi da solo (conosco molti autori che hanno una seria difficoltà a farlo). Cio’ non gli impediva di leggere le traduzioni fatte da altri e di curarne , magari con il traduttore, l’esito. C’è un libro( Choix de poèmes : augmenté d’un dossier inédit de traductions revues par Paul Celan, textes réunis par Paul Celan, trad. et prés. Jean-Pierre Lefebvre, Paris, Poésie/ Gallimard, 1998) che non ho letto ma che mi procurero’ stasera (appena mi pagano). Qulcuno di voi puo’ dirmi qualcosa a proposito?
effeffe
@ effeffe
Sono sicura, perché ne ho letto, che Celan abbia tradotto Char, e viceversa; forse anche Bonnefoy e Jabès. Ma in questo momento non riesco a recuperare il riferimento bibliografico esatto, magari è nel libro che citi tu, insieme alle traduzioni celaniane di alcuni sonetti di Shakespeare.
Una precisazione. L’insistenza di db sul rigore scientifico delle descrizioni botaniche di Celan è un dato non trascurabile e credo abbia un certo peso anche nell’economia di tutto il discorso che si è fatto. Lo stesso Heidegger confessava a Gadamer (notizia riportata da Bevilacqua), siamo più o meno nel 1967, il suo stupore in merito alle conoscenze botaniche di Celan.
per me l’entgegen è il principio della democrazia: confronto aspro per il bene comune. anche il rapporto con Nessuno di C. è in Psalm di questo tipo: se avesse scritto solo dir entgegen, noi avremmo dovuto tradurre verso e contro di te. ma siccome prima ha scritto dir zulieb, l’entgegen assume la connotazione di contro.
so anch’io che il wollen a volte assume valore di futuro. ma ragioniamo.
Nel verso precedente ha innalzato la lode-salmo-canto. Ossia nel verso dopo sta già lodando-cantando-fiorendo. Per fiorire in quello stato, con un Nessuno che non aiuta (o nessuno che aiuta), per fare qualcosa zulieb-per amore di un’assenza ci vuole molta, molta volontà, sforzo ecc., poiché di per sé la propensione naturale andrebbe all’imprecazione, non al salmo.
Inoltre, nella strofa dopo vien detto che noi eravamo, siamo e resteremo un nulla, in fiore: ossia noi fiorivamo, fioriamo e fioriremo in quanto nulli. Quindi prima, col wollen, non intende il tempo futuro del fiorire, perché noi comunque fioriamo sempre: ma a costo di un grande sforzo di volontà.
Quanto alla poesia “Corona”, la conosco e mi pare di averla tradotta nel lungo thread su Gruenbein. Ma lì il titolo in tedesco non è Krone, è proprio Corona in italiano-latino.
Dario, la ragioni per cui preferito tradurre “dir zulieb” con “a te piacendo” è che “zulieb” è un espressione assai più corriva e debole di “per amor tuo”. Il Dizionario Sansoni dà “per amore di”, “per fare un piacere a”. Esempio: oggi pomeriggio porto mio figlio in piscina. Stasera potrò dire a mia madre “wir sind heute Luca zulieb ins Schwimmbad gegangen”. Per far piacere a Luca. Se volessi affermare di aver compiuto un vero atto d’amore, direi “aus Liebe zu…”
Così come per me quel “wollen” non indica una volontà autentica, quel “zulieb” non rimanda a un amore pieno, assunto dal soggetto collettivo. C’è semmai un’ambiguità ironica, amarissima, in questi versi, che – a mio parere- rischia di perdersi totalmente in italiano. “Per amor tuo” può anche essere inteso così (ed è comunque corretto), quasi sarcasticamente.
Credo che tutti i traduttori che abbiano alla fine deciso di sacrificare la corolla alla corona, abbiano avuto in mente a) la rete di riferimenti intertestuali (vi annuncio “Tenebrae” come prossima puntata, ma lasciamo passare un po’ di tempo…).
b) il fatto che i versi precedenti conservano i rimandi botanici esatti e quindi per salti analogici e metaforici si riesce a vedere nella “corona rossa” finale anche la corolla della rosa.
@ francesco
le traduzioni che Celan fece di poeti russi, francesi, italiani (Ungaretti) ecc., sono – semplifico- in qualche modo versioni in “celanese”. A tratti abbastanza libere. Attraversamenti dell’opera di altri poeti, per prendere le misure, per appropriazioni e distanziamenti.
Vi segnalo il saggio di Camilla Miglio “Vita a Fronte” che legge Celan a partire dal suo multilinguismo e analizza proprio il suo rapporto con la poesia tradotta.
Celan ha anche scritto poesie in francese. Il fatto che non abbia mai provato a tradurrsi credo abbia varie ragioni.
Una è che la frustrazione o mortificazione (vedi Bermann sopra) di non riuscire a rendere se non un tot dell’originale diventa molto più dolorosa se devi farlo su un testo tuo. Questo in generale.
Poi per Celan il tedesco era nel senso più tragico del termine la lingua madre: della madre uccisa dai nazisti e dei nazisti. Quella poesia era radicata in quell’esperienza e in quella lingua.
Ecco: per autotradurrsi (e per tradurre in genere) ci vuole un minimo di spirito di gioco o di sperimentazione, e non mi pare proprio che lui ne avesse.
“Al filatterio bianco”, una poesia di Atemwende, attacca: der Herr dieser Stunde war ein Wintergeschöpf, ihm zulieb geschah, was geschah.
Come vedi, Helena, qui c’è Herr, non Niemand, e C usa la stessa formula, in senso pieno di “per amor tuo” senza la venatura sarcastica di Psalm (e idem nella altre ricorrenze: Es kreuzen dir, schnelle Schwermut, zulieb Schuppe und Faust. E: dies ist ein Wort, das sich regt Firnen zulieb.)
Piuttosto, non ti sembra che seelenhell e himmelwust siano determinazioni di colore (come si dice verde-mare o vinaccia ecc.)? per questo avevo tradotto chiaro-anima, e grigio-cielo per riprendere lo Staub/cenere di Staubfaden (grigio-cenere).
Nel suo piccolo il nostro Giovannino, tra un fiasco e una sorella, l’aveva detta così:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
( tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?…)
se pensiamo che i sistri erano dei sonagli che gli egizi suonavano per Iside, dea della morte, e che le cavallette erano una piaga d’Egitto…
la poetica dell’ateismo non aiuta la laicità.
Si sa che il simbolo per eccellenza è quella della croce: perché? perché il massimo di materialità (il vile legno) s’impregna del massimo di spiritualità.
Così anche per la corolla. Essa viene colta dal lettore (tedesco) come attributo ulteriore della rosa: viene a sapere che è una rosa rossa. Ma rossa di cosa? ecco il salto simbolico/metaforico: rossa della/per la parola purpurea. Dunque era una rosa di parola, e il passaggio (meta-forèin) è perfetto poiché a mediare è la porpora animale: corolla/vegetale-porpora/animale-parola/umano.
Se si mette corona, il lettore viene portato alla spina, che è precisamente quanto non corrisponde al testo: la parola-corolla si costituisce in tondo sopra la spina, ne è staccata, casomai contraria (oltre, nonostante, ma ancora una volta materialmente: sopra, ben sopra la spina, come sappiamo tutti noi che guardiamo una rosa).
La spina invece come simbolo ci rimanda alla prima strofa: al dolore di essere sola polvere. E perciò il canto si con-clude in circolo, a far corona con l’inizio.
Secondo me, ovviamente.
“Quanto alla poesia “Corona”, la conosco e mi pare di averla tradotta nel lungo thread su Gruenbein. Ma lì il titolo in tedesco non è Krone, è proprio Corona in italiano-latino.”
Proprio per questo l’ho citata. Celan sa cosa vuol dire, e anche noi.
Cmq, quanto a corona/corolla, se l’italiano mi offre una scelta che ha in sé entrambe le cose io non la casso, ma ne approfitto subito.
Ovviamente anche nel mio caso il “secondo me” è d’obbligo. Queste scelte diverse, con tutto quello che ci sta dietro, mettono in evidenza le nostre differenti posizioni su quello che chiamiamo poesia, non solo riguardo a Celan. Ed è questa, alla fine, la cosa che mi interessa soprattutto.
corona in latino ha diversi significati, ma non di corolla (lat. corolla). La poesia di C (quella oppiacea per intenderci) ha a titolo “Corona”, riferita alla corona/ghirlanda degli amanti (ora purtroppo è in voga solo più quella dei morti).
Corona come (parte della) corolla si trova solo ed esclusivamente nei 7 volumi del Battaglia e nei 30 della Treccani (spersa tra le pagine). Traduciamo dunque con corona, e facciamone una plaquette numerata per lessicografi e botanici, e lasciamo la corolla al volgo tedesco (che godrà però dello sbalzo violento da corolla a parola).
Quanto alla contestualizzazione, stiamo attenti. I livelli gerarchici sono:
1- la tenuta del testo trattato
2- i suoi collegamenti coi testi vicini (cronologicamente e non solo: in questo caso, il volume in cui è raccolto il testo trattato)
3- i suoi collegamenti con l’opera intera del poeta.
Tutti e tre i livelli si agganciano poi col fuori (le occasioni, le tradizioni ecc.).
Se l’opera di un autore ha un’evoluzione, non è buona cosa spiegare il prima col poi. Ad es., se un autore abbraccia a 70 anni un credo religioso cattolico, interpretiamo tutto quanto viene prima come cattolico?
Così Kafka, che entrò in sinagoga per la circoncisione e pochissime altre volte da piccolo, con un senso di nausea (in famiglia la religione manco sapevano cos’era), e il primissimo contatto con la cultura ebraica lo ebbe a 25 anni con una compagnia di commedianti, di cui amava lo humour, e poi pian piano si avvicinò alla religione dei padri, quando il suo universo poetico era già formato.
Così C. La raccolta Niemandsrose fu composta tra il ’60 e il ’62. La poesia sull’incontro a Zurigo con la Sachs fu scritta il giorno dopo, ossia il 30 maggio ’60, e non è mera finzione poetica (tipo uno che s’immagina di essere Carlomagno), ma trascrive poeticamente la discussione avuta con l’amica. Ciò lo possiamo dire con certezza perché abbiamo il diario di C. Ora, se io parlo con un cattolico di religione, e gli dico “il tuo dio”, io non sono cattolico, e nemmeno protestante. O sono di un’altra religione, o sono ateo. Magari sarà stato un momento, ma quello fu il momento di Psalm.
Interessante poi è notare che la quarta sezione di Niemandsrose in origine doveva rientrare in un volume a sé intitolato Pariser Elegie. Ciò innanzitutto conferma che la disposizione delle poesie in Niemandsrose rispetta un ordine cronologico: quella su Zurigo e Psalm nella prima sezione, e quelle scritte per ultime, nel ’62, nella quarta. Ma soprattutto, il titolo rimanda alle Elegie duinesi di Rilke, condensate magari coi parigini Quaderni di Malte. In tutta l’opera di C. la rosa viene tematizzata solo in Psalm. L’ultimo Rilke invece le aveva dedicato un’intera raccolta (Les roses) più l’epitaffio. Più importante ancora: il centro del poetare di Rilke è l’accord du néant et de l’^etre presente miracolosamente in essa – che è il tema del nostro Psalm.
Ultima cosa: praticamente contemporaneo a Psalm è Il meridiano, discorso tenuto il 22 ottobre ’60, dove C delinea la sua poetica.: ” Il poema tende a un Altro… lo va cercando e vi si dedica. Ogni oggetto, ogni essere umano… è figura di questo Altro. L’attenzione che il poema cerca di porre a quanto gli si fa incontro, il suo acutissimo senso del dettaglio, del profilo, della struttura, del colore, ma anche dei “palpiti” e delle “allusioni”…”
Di che Battaglia parli? Il mio ha ventun volumi più indici e supplementi. Ma questo solo per curiosità.
Sui livelli gerarchici sono d’accordo, ovviamente. E pure con il non spiegare il prima col poi. Infatti Stille appartiene a Mohn und Gedächtinis, raccolta uscita nel 52, e inizia con:
Stille! Io treibe den Dorn in dein Herz
denn di Rose, die Rose
steht mit den Schatten im Spiegel, sie blutet
(Silenzio! Io pianto la spina nel tuo cuore,
poiché la rosa, la rosa
sta con le ombre nello specchio, e sanguina!)
per chiudere con
Stille! Der Dorn dringt dir tiefer ins Herz:
es steht im Bund mit der Rose.
(Silenzio! la spina ti penetra più a fondo nel cuore
essa fa lega con la rosa)
Quanto a Tenebrae è in Sprachgitter, che esce a metà del 59, sempre prima della Niemadsrose:
Es war Blut, es war,
was du vergossen, Herr
(Era sangue, era
ciò che hai versato, Signore)
Tu dici “in tutta l’opera di C. la rosa viene tematizzata solo in Psalm.” Forse volevi dire in tutta Die Niemadsrose, ma la rosa è presente in tutta la raccolta, ti abbuono le Heckenrosen di Die Hellen, ma faccio fatica ad abbuonarti la Ghetto-Rose di Hinausgekrönt e sono un po’ perplessa se mi chiedi di ignorare le roses dell’ultimo verso di Huhediblu.
Oltre questo è presente nella citata Stille e altrove, se non mi sbaglio.
Insomma, non capisco.
Ma pur non capendo, e curiosa di leggerti, se vorrai spiegarti meglio, mi fermo definitivamente qui. Dovrei mettermi a studiare Celan e non posso farlo.
Ho preso in prestito le Poesie di Celan curate da Bevilacqua (Milano 1988) e ho letto l’introduzione. Su Psalm dice cose per me incomprensibili, e sì che sono baccalaureato:
1- *l’entgegen dell’ottavo verso, che dai commentatori è stato interpretato come contrario di zulieb, può anche significare un moto di avvicinamento*, p. LXXIII. Sino al 1987, a guardare dalla bibliografia posta a fine volume, la stragrande maggioranza dei commentatori furono di lingua tedesca. Ora, costoro (o Bevilacqua zulieb, per fare un piacere a B., la stragrande maggioranza di costoro) hanno capito “contro”, e B. giustamente dice che PUO’ ANCHE significare “incontro a”, ossia “verso”. Dal “può anche” cade infine nel “deve solo”, traducendo appunto come sappiamo.
2- *e non si può ignorare l’uso provocatorio, se non addirittura blasfemo, di una forma rituale cristiana (laudetur) e vagamente francescana (laudato sii)* p. LXXIV. Abbiamo già visto che la formula è ebraica innanzitutto.
3- *Quanto al valore del genitivo implicito nell’espressione die Niemandsrose, dopo quanto si è detto sopra, si deve dedurre che esso pure va considerato bivalente, ossia genitivo allo stesso tempo soggettivo e oggettivo: la rosa appartiene tanto al wir che la produce pur sapendosi un perenne Nichts, quanto al Du cui la fioritura è intesa, pur essendo quel tu un Niemand*, pp. LXXIV-V. Si poteva dire egualmente: non appartiene né al wir né al du – ma cosa c’entra ciò coi genitivi? A me hanno insegnato (ma forse dipende dalla scuola, che si chiamava Brocchi) che ad es.
IL GUSTO DELLA BATTUTA: genitivo soggettivo se seguito da “sta nel finale”; oggettivo se preceduto da “Gino ha”. Nel primo caso la battuta è il soggetto, nell’altra l’oggetto. Ma in Niemandsrose si hanno al massimo due genitivi soggettivi: o no?
Purtroppo queste sono le uniche cose che B dice di Psalm.
@ temp. sulle *nostre differenti posizioni su quello che chiamiamo poesia, non solo riguardo a Celan*: per quello che è umanamente possibile, se traduco X, cerco di tener presente solo la posizione di X su quello che X chiama poesia.
le nostre differenti scelte “mettono in evidenza”, vuol dire che hai già tradotto e motivato, dal che io traggo ecc. ecc. ohh, db, è vero che l’ora è tarda, ma sveglia! Cmq bonne nuit, è sempre un piacere incontrarti.
Scusa temp, è stato un abbaglio: significa che l’ultima volta che ho consultato il Battaglia in biblioteca, era arrivato solo al vol. VII. In compenso, ho visto che il Dizionario Treccani consta di 14 voll., indici compresi. Completo di indici, il Battaglia è dunque di 23? guarda un po’: 23+ 14 = 30 + 7 = 37
Correggo dunque volentieri *Corona come (parte della) corolla si trova solo ed esclusivamente nei 7 volumi del Battaglia e nei 30 della Treccani (spersa tra le pagine)* in: *Corona come (parte della) corolla si trova solo ed esclusivamente nei 23 volumi del Battaglia e nei 14 della Treccani (spersa tra le pagine)*. Il risultato cioè non cambia, CDD
“in tutta l’opera di C. la rosa viene tematizzata solo in Psalm.” confermo, e intendo l’opera completa. Ho fatto così: ho digitato su google rose celan, sono andato sulle opere complete, e mi sono sciroppato tutte le ricorrenze. tematizzare significa porre a tema, no? il tema è l’argomento centrale, no? allora, non ho detto che il termine rosa compare solo in Psalm, ma che solo in Psalm la rosa viene posta a tema centrale, che poi è quall’Altro-oggetto da descrivere in dettaglio di cui parla C nel contemporaneo Meridiano.
Facciamo un esempio: la celebre Pantera di Rilke ha a tema-oggetto una pantera (dietro le sbarre nella fattispecie): invece la celebre: A purtaa e calzett de seda cola riga nera, a caminava avanti e indrè come ‘na pantera, non ha a tema-oggetto una pantera, e nemmeno una pantera della mobile, ma una prostituta il cui cantore è al contempo magnaccia.
ad es., la Ghetto-Rose che fatichi a abbonarmi, è un accenno di sfuggita a Rose Luxemburg, mentre il tema è diverso. così le roses de septembre, che è un ritornello tratto da Verlaine, calato in un contesto in cui la rosa non c’entra affatto. Il grumo testuale più denso che ho trovato è proprio in Stille! che tu citi e traduci: ma anche qui è facile accorgersi che il tema è il rapporto con l’amata, che si avvale delle metafore: spina/cuore/rosa (la spina nella carne, ma altrui).
Se vuoi vedere cosa significa tematizzare una rosa, beh, c’è l’imbarazzo della scelta: ma digita su google les roses rilke, e scegli a caso una delle 24 poesie (del resto Rilke non aspettò gli ultimi anni a tematizzarla, fu sempre una sua fissa, la descrizione della rosa)
@ temp. ho pensato che, se un salmo lo si innalza a lode, la lettura dovrebbe andare dal basso in alto, sicché alla fine ci si trovi col capo alzato. Così facendo, si vedrà che il testo parte giù dalla terra, cresce/fiorisce in uno stelo, e finisce nella corolla, sopra la spina. Insomma, diventa una poesia in forma di rosa-niente. te la regalo
dem Dorn.
über, o über
vom Purpurwort, das wir sangen
der Krone rot
dem Staubfaden himmelswüst,
dem Griffel seelenhell,
Mit
Niemandsrose.
die Nichts-, die
wir bleiben, blühend:
waren wir, sind wir, werden
Ein Nichts
entgegen.
Dir
wir blühn. Dir zulieb wollen
Gelobt seist du, Niemand.
Niemand. niemand bespricht unsern Staub.
Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm,
@db
grazie, la accetto con piacere, si poteva anche fare così, se ci riesco, in onore di padre Pozzi:
dem Dorn.
über, o über
vom Purpurwort, das wir sangen
der Krone rot
dem Staubfaden himmelswüst,
dem Griffel seelenhell,
Mit
Niemandsrose.
die Nichts-, die
wir bleiben, blühend:
waren wir, sind wir, werden
Ein Nichts
entgegen.
Dir
wir blühn.
Dir zulieb wollen
Gelobt seist du, Niemand.
Niemand.
niemand bespricht unsern Staub.
Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm,
sembra magari più un bicchiere che un fiore, ma almeno anche l’occhio ha la sua parte.
Se in un testo che si intitola Die Niemandsrose la rosa “tematizzata solo in Psalm” traluce anche altrove, io penso che la Rose non traluca a caso, né traluca a caso nell’opera di Celan. E penso che in poesia le tematizzazioni sono multistrato, evidenti, meno evidenti, riprese ecc ecc.
Rilke era grande, ma anche terribilmente decorativo.
Potremmo provarci a tradurre Der Panther, che ne dici? Così gli indiani (Helena e Raos a parte) ci buttano fuori di casa. Ne trarrebbe vantaggio la mia bolletta del telefono.
Enno! l’avevo messa in ordine tipo bicchiere e si è ricomposta allineata a sinistra, me ne vado definitivamente.
Te l’ho “imbicchierata” io, Temp.
E… maledizione a me che non ho avuto nei giorni scorsi e non avrò nei prossimi giorni internet (sono, ora, ospite). Che splendida discussione, che io purtroppo ho solo leggiucchiato saltellando di qua e di là…
oh, meno male, grazie Gianni, ti devo un bicchiere:–)
una versione leggermente più libera reca a titolo “Gianni”, e si conclude con
la rossa che cantammo
sopra la spina,
oh birra!
Ciao, non ho ancora letto tutti i commenti (mi son, per ora, fermato ai tuoi primi chiarimenti) ma spero di riuscire a farlo presto. Trovo il tutto così interessante che vorrei chiederti un miliardo di cose. Sul tradurre. Sul proporre varie versioni come a dare eco/risonanza e con-testo. E poi da qua andare dritti alla poesia. Alla comprensione-comunicazione-comunione umana. Anche al di là della forma parola (mi fermo qua, intanto). Per ora ti chiedo ‘solo’: posso postare tutto questo, liriche e tuoi commenti sulla traduzione, nel mio spazio web e in un sito di scrittura (tanto per dare una sorta di paradigma di lavoro)? Citerò fonti e autori, tutto secondo norma. Dimmi di sì, grazie. Intanto questo, ma torno. Continua così, vai fortissimo.
Ness1, ti giuro ness1,
nemmeno il destino mi può separare
perché questo anore che il culo mi dà, sempre vivrà…
Ness1, ti giuro ness1
può darmi nel dono di tutta una vita
la gioia infinita che sento con NI…solo con NI.
E’ NI, dolcissimo anore, soltanto NI, passato e
avvenire, tutto il mio mondo comincia da NI…
finisce con NI…
Ness1, ti giuro ness1, nemmeno il destino
mi può separare, perché questo anore
s’illuminerà d’eternit…
(ma una sveltina sì: correggi i refusi!)
Cara temp, se con db vi siete graffiati, con me ti azzannerai! E sia. So che tu porterai a testimone il signor Pozzi, su cui ho appena sfogliato: F. Parravicini, “Moana. Tutta la verità. La vita e i segreti svelati da Giovanni Pozzi”, Aliberti ed. 2006 (Un ritratto di famiglia, i giochi di bambini, l’educazione ricevuta, l’adolescenza vissuta in giro per il mondo seguendo il fratello ingegnere. Un’infanzia da “bambina coccolata”, almeno fino alla svolta: l’abbandono, a 19 anni, del mondo in cui era nata e cresciuta, per muovere i primi passi nel mondo del cinema. Tutto questo attraverso il racconto di Giovanni, qualcosa di più di un padre, che, dipanando il lungo filo della vita di Moana e del loro legame, illumina di senso anche la propria storia). Io mi affiderò come al solito all’amico Mancini, al suo orecchio musicale. E per entrare già in tema, riporto il canovaccio popolare italico su cui il buon Rilke ricamò (mutuandone in pieno la cristologia).
ellers
T’ho compraa i calzett de seda con la riga nera
te caminavet insema a mi come una pantera.
Ti su del basell, mi gio’ del basell: se l’era bell!
Ti senza capel, mi cont el capel, me s’eri bell!
Caminavom semper insema. La gent che la pasava la ghe’ guardava,
la se voltava e le diseva: “va quel li’, el gh’ha compraa anca la stola,
el dev ess on poo on pistola”.
Quel pistola seri mi.
T’ho vist poer, incioda’ su quater assit
anca mi me sont vist inciodaa su quater assit,
compagn de ti anca mi me sont vist inciodaa,
inciodaa come un pover crist.
Te scareghi ogni sera in piazza Beccaria
li te mostrett de sott banc la to mercanzia
ti sul marciapee, mi denter el cafe’ di rochetee!
Ti a fu su i dane, mi a spend i dane coi rochete!
Tuti i volt che semm insema che on quai vun in sul canton che el me varda el me dis: “va quel li’, el gh’ha la dona che la rola,
el dev ess on poo on pistola”.
Ah? Saria mi el pistola? El pistola te se ti. Te lavoret tutti el di’…
caro @P:S: eccetera:-)
Mi sono graffiata con db eccetera? non credo, ma chi meglio di te potrebbe saperlo?
Non so per lui, ma per me è un piacere sia leggerlo che rispondergli. Certo non ho né la sua energia né la sua resistenza. Mi sforzo:-)
Bella la Moana, e simpatica. Non sarà mica parente dell’altro?
@ db (d’io brutto, deficente bauco, deretano bucato, derelitto bis-losco, debosciato bestiale, demodé bastardo, domato bugiardo…): kazzo vuoi?
@ness1. S. Mina mi ha insufflato quella rima, che tradotta in sardoni significa: fa’ sveltino, prendi quel che vuoi e correggi casomai i refusi. Per me non c’era manco bisogno di chiedere.
@temp. Chillu è ppazzo: P.S ellers, intendo, che ha confuso il padre di Moana col padre di Gesù. Io serbo di padre Giuseppe un ricordo corrusco e vivificante, in cui anche le periodiche, sardoniche sfuriate, le pacate stroncature (più devastanti di quelle veementi e urlate) che potevano sconfinare in sottile, lepido dileggio o greve, ma mai offensivo, sarcasmo assumevano per me il valore di alto insegnamento scientifico o erano vere e proprie lezioni di vita, frutto non certo di malanimo o di disprezzo, ma di apprensione e di affetto direi quasi paterni. Quando cominciai a lavorare su G. Marino Barreto Jr, lessi un libro straordinario, ma metodologicamente anarchico per non dire folle su questo poeta tarocco, di cui padre Pozzi fu il massimo interprete. Ne fui entusiasta. Fu per me come una specie di “amore segreto”: guai se padre Pozzi fosse venuto a saperlo! Più volte lo aveva fatto a pezzi nei corsi e nei seminari e fece a pezzi me quando un giorno mi sorprese con questo libro «all’indice» in biblioteca. Ma durante una cena mi confidò non solo che aveva stima di questo eccentrico studioso, ma che intratteneva con lui rapporti regolari. Nonostante certi screzi, o forse è meglio dire: anche grazie a certi screzi, posso affermare, senza falsa modestia, di aver avuto un rapporto privilegiato con padre Giuseppe, fondato su affetto, amicizia e stima reciproca; rapporto suggellato nell’ultimo anno da indimenticabili cenette a scadenza settimanale.
Ness1, dicevi a me? Riporta pure, se vuoi, con piacere…Per il resto, vedo che siamo finalmente e inesorabilmente giunti al cazzeggio. Buon divertimento. Sul serio, ragazzi…
@ helena
eh sì, dopo un po’ senza carta, faccia o dovere a limitarlo, il cazzeggio fa come la gramigna, dilaga.
@db
insomma, ti sei sentito screziato, mi spiace.
saluti @tutti
@ness1. la tua richiesta era senza destinatario. subito ho pensato ti rivolgessi a helena. siccome però il commento precedente alla tua richiesta era mio, mi è sorto il dubbio che la tua richiesta fosse rivolta a me. nel dubbio ti ho risposto. se non è così, poco male: polvere ero e in polvere ritornerò.
@temp. non ci siamo graffiati io e te: ci siamo graffiati insieme con la spina, “lavorando” accanitamente sulla rosa (canina?). Così, se passassimo a Rilke, ci azzanneremmo insieme con la pantera, noi tre dietro le sbarre: che goduria!
@helena. innanzitutto grazie, perché mi hai indirettamente spinto (insieme ad altri) a farmi una cultüra su C, i.e. a saperne un po’ di più. Per le famose coincidenze della vita, ieri notte ho rivisto Elephant man di Lynch. Al momento topico del film, succede questo: il direttore dell’ospedale deve decidere se lui è un essere umano (da trattenere dunque lì), o un mostro (da espellere). Un medico volonteroso gli aveva insegnato a formulare qualche parola elementare. E così succede: ma il direttore si accorge che sta ripetendo come un pappagallo, ergo non è un uomo a tutti gli effetti. Lo lasciano solo, e mentre il direttore sta comunicando al medico sottoposto la sua decisione negativa, sentono dalla stanza levarsi una parola-canto (gli americani direbbero un gospel). Rientrano precipitosamente, e gli chiedono cos’è: EM risponde che è il Salmo 23, il suo preferito. Allora il direttore realizza che è un essere umano. S. Rete me l’ha insufflato in sardo (forse perché l’appellativo usato per il Signore è “pastore”):
Pastori miu est su Sennori,
non mi fai farta beni perunu,
in s’innidu mi fai pasiari,
a àcuas sèrias mi bogat.
In vida e fortza mi torrat,
in camineras bonas mi ghiat,
cumenti ddi dexit
a su nòmini suu.
Fintz’e in spentumu passendi
e in umbras de morti,
mali perunu non timu,
ca ddui ses tui acanta mia,
a bàculu e a matzoca
agiudu mi donas e ghia.
Ananti miu mesa m’isterris
in faci a is inimigus mius,
in parti ‘e onori mi ponis,
a rasu mi prenis su calixi.
Eia! Bonu e fidau
tui m’acumpangias
a totu dia de vida mia,
e in domu ‘e su Sennori
ap’a bivi tempus e tempus
de dis e de annus.
Infine: sono convinto che la sostanza del ragionare sulla rosa gli venga da Rilke, e in primis dall’epitaffio, perché solo in Rilke si ha un approccio ontologico alla rosa, per cui il problema in lui, costante, è: come può essere la rosa-niente un qualcosa?
All’altezza del 1982, si contavano già più di 300 interpretazioni dell’epitaffio rilkiano. Per le famose coincidenze, mi sono trovato nel 2000 a passare un mese in contatto telepatico (cheek 2 cheek) con uno psicopatico, il direttore della Fondazione Rilke di Sion. Ne è venuta fuori una plaquette che ha inaugurato la mostra sugli Ultimi anni di Rilke. Sono 2 paginette che possiedo solo in fotocopia (ho perso pure il file). Se vuoi, te le spedisco (ma come?).
Bace e pene @ tutti
PS ho letto che C era sfrenato nei calembours/cazzeggi: stimmt es?
La formula classica “per amor di Dio” in Lutero è um Gottes wille. Con zulieb, C sottolinea l’aspetto radicalmente umano (ateo-logico) del rapporto.
Chillu è ppazzo! la Fondazione Rilke è a Sierre, e si dice um Gottes willen. L’unico poi che sappia la connessione tra “rosa” e “pantera”, sono io.
Senza offesa
S.P eter
eter-ellers… mi dice qualcosa…
@ Helena (
Mi è stato ciulato il commento, perché?
In sintesi: grazie Helena.
db: finiscila di offendere.
L’ÊTRE AVANT LA LETTRE
la vie en close
c’est une autre chose
c’est lui
c’est moi
c’est ça
c’est la vie des choses
qui n’ont pas
un autre choix
eva nova moana
a tantos inspirou
até que morreu
ave
ó musa
de museu
Chi ha parlato
di pantera rosa?
Questa è la puntata di “Uomini e profeti” (Serie “Salmi tedeschi” – con Luigi Reitani) contenente la lettura di “Psalm” fatta dallo stesso Celan.
La trasmissione, per chi ha seguito il thread [e non si rassegna al cazzeggio finale], è interessantissima (viene presentata anche Nelly Sachs).
http://www.radio.rai.it/radio3/uomini_profeti/view.cfm?Q_EV_ID=118351
(cliccare su ascolta)
Questa è la puntata precedente (la prima della serie), con Celan che legge “Tenebrae”.
http://www.radio.rai.it/radio3/uomini_profeti/view.cfm?Q_EV_ID=117443
Qui le due puntate successive.
Su Ingerborg Bachmann
http://www.radio.rai.it/radio3/uomini_profeti/view.cfm?Q_EV_ID=119160
Su Thomas Bernhard
http://www.radio.rai.it/radio3/uomini_profeti/view.cfm?Q_EV_ID=120275
@ emma
GRAZIE!!!
@emma. Ora la voce dell’autore riapre il gioco delle intepretazioni (e
potrebbe risultare dirimente su più punti). Solo che non riesco ad aprire il file, e sono perciò costretto a pensare la fine. Seriamente (forse ho esagerato nel cazzeggio, ma devo anche dire a mia parziale discolpa che non ho l’esclusiva del marchio ubique).
Alla morte di C, nel suo appartamentino trovarono 4 libri (l’ultimo suo, un trattato di mineralogia, le Poesie di Rilke, le Poesie di Hölderlin) e 1 epitaffio:
*Wahr spricht, wer Schatten trinkt.*
@ db: mi devi e attendo una tua VERA risposta, ora che ne hai millantata una mentre era un gioco offensivo, e soprattutto la tua rischiesta di scuse.
zulieb: anche i riferimenti alle ricorrenze del termine in altre poesie non eliminano la questione che volevo segnalare. “Zulieb” è “per amor di”, ma- già solo per il fatto che in italiano “amor” è una parola singola, staccata – gli accenti e le sottolineature, i registri sono diverse. “Zu” è un “zu” di moto, parallelo (e/o opposto) a “entgegen”. Verso Niemand. E’ lui che attira “zu” e “entgegen”, cosa che emerge fortemente da un termine come “zulieb” che oscilla fra “per amor di” e “per compiacere”. Non mi piace iperinterpretare, ma mi suona come se l’amore in questione fosse del tipo “l’amor che move il sol e le altre stelle”, negato, nullificato perché il soggetto qui è Niemand.
E per amor di xxxx, finiamola qui:-)
Nel post a Ciaruffoli un certo Pontiggia ha postato un po’ acidamente questo:
“Altre volte i dibattiti si prolungavano fino a quel limite che, insieme con l’orario della sala, è capace di interromperli: la spossatezza. Provati da vertigini logiche che ambivano alla precisione del linguaggio matematico e illusi da analisi capziose la cui perfezione durava finché un altro non interveniva a confutarla, gli spettatori abbandonavano la sala svuotati di energie, esausti e insoddisfatti. Non c’è come accanirsi in una discussione per scoprirne l’inutilità. E toccare il fondo suscita un unico desiderio, risalire alla superficie.”
(da La grande sera, ed. riveduta, Milano, Mondadori, 1995.)
Naturalmente non penso che abbiamo fatto questo:–)) ma il cazzeggio è il segno che la discussione è finita, o è in pausa caffè.
Io ho un debole per un moderato cazzeggio, dico la verità, il cazzeggio mi ha sempre accompagnata nelle discussioni più serie e più aspre, serve a spulciarsi, come nelle comunità scimmiesche.
Vediamo se torna @Cato e ci dà nuovi stimoli, o se @db ci dà qualche altra prova di immersione, io resterò a guardare per un po’.
Intanto grazie @Emma, e soprattutto grazie @helena per aver dato l’avvio a tutto questo. e naturalmente grazie a tutti gli altri con in testa @db, il grande duellatore.
Quand aurons-nous courage ou chance de larguer nos pauvres amarres d’errer dans l’émerveillement pendant des siècles d’abandon vers l’heureuse dissolution ressassant nos années de liesse en distillant nos performances en alcool de tranquillité ?
2006
Im düstern Auge keine Träne
Sie sitzen am Webstuhl und fletschen die Zähne:
Deutschland, wir weben dein Leichentuch,
Wir weben hinein den dreifachen Fluch –
Wir weben, wir weben!
Ein Fluch dem Gotte, zu dem wir gebeten
In Winterskälte und Hungersnöten;
Wir haben vergebens gehofft und geharrt –
Er hat uns geäfft, gefoppt und genarrt –
Wir weben, wir weben!
…
Ein Fluch dem falschen Vaterlande,
Wo nur gedeihen Schmach und Schande,
Wo jede Blume früh geknickt,
Wo Fäulnis und Moder den Wurm erquickt –
Wir weben, wir weben!
…
Non han ne gli sbarrati occhi una lacrima, Ma digrignano i denti e a’ telai stanno. Tessiam, Germania, il tuo lenzuolo funebre, E tre maledizion l’ordito fanno - Tessiam, tessiam, tessiamo! Maledetto il buon Dio! Noi lo pregammo Ne le misere fami, a i freddi inverni: Lo pregammo, e sperammo, ed aspettammo: Egli, il buon Dio, ci saziò di scherni. Tessiam, tessiam, tessiamo! … Maledetta la patria, ove alta solo Cresce l’infamia e l’abominazione! Ovo ogni gentil fiore è pesto al suolo, E i vermi ingrassa la corruzione. Tessiam, tessiam, tessiamo!
(Giosuè Carducci, rosso del 1888, 14°, temp. ambiente, lasciare stappato almeno mezz’ora, adatto per cacciagione e in primis cinghiale)
(dopo i tessitori della Slesia, i minatori della Ruhr)
ES WAR ERDE IN IHNEN, und
sie gruben.
Sie gruben und gruben, so ging
ihr Tag dahin, ihre Nacht. Und sie lobten nicht Gott,
der, so hörten sie, alles dies wollte,
der, so hörten sie, alles dies wußte.
Sie gruben und hörten nichts mehr;
sie wurden nicht weise, erfanden kein Lied,
erdachten sich keinerlei Sprache.
Sie gruben.
Es kam eine Stille, es kam auch ein Sturm,
es kamen die Meere alle.
Ich grabe, du gräbst, und es gräbt auch der Wurm,
und das Singende dort sagt: Sie graben.
O einer, o keiner, o niemand, o du:
Wohin gings, da’s nirgendhin ging?
O du gräbst und ich grab, und ich grab mich dir zu,
und am Finger erwacht uns der Ring.
(l’anno in cui scrisse questa + Psalm, C portò la Sachs alla tomba parigina dell’ebreo-cristiano-ateo Heine, l’amico di Marx classificato dai nazi come “autore sconosciuto”)
Era terra dentro di loro, ed essi
scavavano.
Essi scavavano e scavavano, così trascorrendo
il dì e la notte. E non lodavano Iddio,
il quale, gli fu detto, tutto questo voleva,
tutto questo, gli fu detto, sapeva.
Essi scavavano e nulla più udivano;
essi non capivano, né crearono un solo canto,
non si diedero una lingua.
Scavavano.
E giunse un silenzio, giunse anche un vortice,
giunsero i mari, tutti.
Io scavo, tu scavi, e scava anche il verme,
e ciò che lì va cantando, dice: Essi scavano.
Oh uno, oh nullo, oh nessuno, oh tu:
Dove s’andava, giacché non s’andava in alcun luogo?
Tu scavi ed io scavo, scavando ti raggiungo:
al dito si ridesta a noi l’anello.
(Alberto Bevilacqua del 1988, 0°, da bere fresca e non accompagnata)
Nessuno ci impasta più di terra e argilla,
nessuno alita sulla nostra polvere.
Nessuno.
Lodato sii tu, Nessuno.
Per amore tuo vogliamo
fiorire.
Incontro
a te.
Un nulla eravamo, siamo, rimar-
remo, fiorendo:
la rosa di
Nulla, di Nessuno.
Con
il pistillo animachiara,
lo stame cielodiserto,
la corona rossa
della parola pupurea che cantammo
su, oh sul-
la spina.
(Traduzione di Moshe Kahn e Marcella Bagnasco, in P. Celan, Poesie, Lo Specchio, Mondadori, 1986, III ed.)
Nell’introduzione, Moshe Kahn fa risalire il titolo, Die Niemandsrose, all’epigrafe di Rilke: “Rosa, o pura contraddizione, voglia / di essere il sonno di nessuno sotto tante / palpebre”.
*
Nessuno ci impasta più con terra e argilla,
nessuno evoca la nostra polvere.
Nessuno.
Sia lode a te, Nessuno.
Per amor tuo
fioriremo.
Incontro a te.
Noi siamo
fummo,
e resteremo sempre
un Nulla che fiorisce:
la rosa di Nessuno.
Con
lo stelo lucente come l’anima
con lo stame ebbro di cielo,
la corona imporporata
dalla parola, che cantammo
sopra, oh al di sopra
della spina.
(Traduzione di Mario Specchio, tratta dal suo libro “Paul Celan. L’incantesimo dell’assurdo”, Edizioni di Barbablù, Quaderni di Saggistica n.2, Siena, 1986).
I saggi contenuti nel libro di Specchio, sebbene un po’ datati (anche perché nel frattempo sono stati pubblicati numerosi altri studi sull’argomento), sono comunque molto interessanti, in particolare “Contemplazione della morte e motivi mistici”, che contiene una bella (e discutibile) analisi del “Salmo”, e tutta la raccolta “Die Niemandsrose” viene calata in un preciso contesto di natura “religiosa”: “il libro più ebraico di Celan”; ma “ciò non esclude che… partecipi anche, in qualche modo, di una posizione polemica nei confronti dell’ebraismo medesimo”.
Amen.
Ho riletto i commenti, dal primo. Grato a tutti per aver portato a casa un buon raccolto, fosse soltanto un punto di vista diverso su alcune mie convinzioni, non posso fare a meno di pensare, con legittima “preoccupazione”, a ciò che potrà succedere quando Helena, così come “minaccia” di fare, posterà “Tenebrae”. Io mi do per disperso già da ora. :-)
@ ness1
Credo si tratti di equivoco che si può facilmente sciogliere, basta volerlo. Io la pongo su questo piano: se db è uno che offende il suo interlocutore, allora è probabile, anzi, sicuro, che “Tenebrae” di Paul Celan è la sceneggiatura in versi di un film di Dario Argento.
Saluti.
@ effeffe
Mi interessano notizie del libro al cui inseguimento ti eri messo: come è andata la “caccia”? Potresti poi, cortesemente, se te ne capita l’occasione, vedere in loco se esiste, sotto forma di libro, la traduzione di Celan dei “Feuillets d’Hypnos” di René Char? Aiutami, o nobile giovine, a esaudire questo mio desiderio, e in cambio ti traduco il Padrenostro in uno dei dodicimila dialetti dell’Africa australe, a tua scelta… ,)
WEGGEBEIZT vom
Strahlenwind deiner Sprache
das bunte Gerede des An-
erlebten – das hundert-
züngige Mein-
gedicht, das Genicht.
E’ l’incipit della poesia che dà il titolo alla raccolta Atemkristall del 1965, immediatamente successiva a Die Niemandsrose del 1963, cui aveva dato il titolo Psalm. Purtroppo ho riconsegnato ieri le Poesie curate da Bevilacqua (perciò ho sbagliato prima, scrivendo Alberto), e non me la sento di tradurre ab imis (fatica!). Ricordo però una cosa, che poi è quella che qui interessa: Bevilacqua traduce gli ultimi 2,5 versi con: “la linguacciuta miapoesia, la nullesìa” (lo ricordo per l’effetto-accaponamento). Joris renders as “my hundred- / tongued perjury- / poem, the noem.” Joris’s note tells us that Mein-gedicht is formed on the analogy of Meineid, a false oath, or perjury. But it can also mean simply “my poem,” and since Genicht is made from the past-tense prefix ge- coupled with the noun for “nothing” (and also echoes the participle vernichtet—“destroyed”), Celan seems to be saying that the hundred-tongued poem which was mine has become a nothing, has been annihilated. How to render this in English, with or without the secondary meaning of perjury? Like Joris, Hamburger uses “noem,” but renders “Mein- / gedicht” as “pseudo- / poem,” whereas Felstiner renders the passage as “the hundred- / tongued My- / poem, the Lie-noem,” which transfers the meaning of Meineid to the second noun Genicht. But the “nothing that is not there,” to draw on Wallace Stevens, is not necessarily a “lie,” nor does the childish neologism “noem” convey the import of one’s Gedicht being reduced to the emptiness of a Genicht, by that single change of consonant from d to n. At the same time, “perjury-poem” or “pseudo-poem” makes the secondary meaning of Mein-gedicht the only meaning. Mah…
Mi colpisce l’omologia tra
blühend:
die Nichts-, die
Niemandsrose.
das hundert-
züngige Mein-
gedicht, das Genicht.
abbiamo 100 petali e 1 rosa-niente
abbiamo 100 lingue e 1 non-poesia
In entrambi i casi, contraddizione pura: la differenza, l’in più, lo dà il calembour (Gedicht/Genicht), soluzione linguistica che manca appunto in Psalm.
Ricontrollando in rete: Die Niemandsrose fu pubblicata verso la fine del 1963, e la composizione della sua quarta sezione, pensata come autonoma col titolo Pariser Elegie, risale alla prima metà del ’63. La poesia di cui ho riportato ora l’incipit possiamo collocarla nel 1964. C’è una continuità “rilkiana”? Io penso di sì. Riporto il mio primo intervento a naso in questo thread: *possibile che il salmo sia un controcanto consapevole all’iscrizione che Rilke volle sulla sua tomba a Raron
Rose, oh reiner Widerspruch, Lust,
Niemandes Schlaf zu sein unter soviel
Lidern.*
qui abbiamo 100 palpebre e 1 sogno-di-nessuno.
(Ma se la sentissimo dalla voce di Rilke)
noi avremmo 100 canti e 1 sogno-di-nessuno.
(perché Liedern si pronuncia Lidern)
A voler essere pignoli, quello di Rilke è tecnicamente perfetto, perché non ha bisogno di alcuna variazione, come invece il d/n di C (e in più il marpione esagera, poiché ne aveva fatto giusto prima un altro, altrettanto perfetto: reiner/Rainer).
Insomma mi sentirei di variare il mio primo intervento in: *quasi sicuramente il salmo è un controcanto ecc. ecc.*
Ma c’è poco da stare allegri, ché: L’ALFABETO MORSE, LA TASTIERA PIANSE. (ma allegria c’è per il ritorno di Cato, nonostante il suo censorio amen)
@ db
CORROSA E SCANCELLATA
dal vento radiante della tua lingua
la chiacchiera versicolore
dei fatti vissuti – la linguacciuta
miapoesia, la nullesia.
…
(Qui Bevilacqua è fantastico!!!)
…
Se (ti) interessa il seguito:
Dal
turbine
aperto
il passo attraverso le umane forme
di neve – neve di penitenti.
fino alle accoglienti
stanze
dei ghiacciai, ai deschi.
In fondo
al crepaccio dei tempi,
presso il favo di ghiaccio
attende, cristallo di respiro,
la tua irrefutabile
testimonianza.
:::
Qui si aprirebbe, tra l’altro, un ulteriore capitolo sulla presenza e le valenze simboliche di “neve” (e termini omologhi) in parallelo con “polvere”. Glissons.
Piuttosto, vado a vedere cosa scriveva Hans (Boy) Georg, anima buona, su “Weggebeizt”. Se è una gadamerata, non ve la posto.
p.s.
“Amèn” è da intendersi nell’accezione “uticense”, più che “censoria”. Cosa fai, in-sìnui???
@ Cato e db: Bravi, vedo che tra voi che vi conoscete bene non ci sono problemi. Felicitazioni. Io invece non vi conosco, né voi conoscete me. E’ d’obbligo un minimo di rispetto e chiarezza comunicativa. Pertanto io ora attendo, quantomeno, dei CHIARIMENTI da parte di db, e qualche parola che sia qualcosa di più d’un “volemose tutti bene” immotivato. Io ho fatto una cortese richiesta a Helena (che con altrettanta cortesia m’ha risposto): db ha invece postato una a dir poco OFFENSIVA canzoncina diretta a me espressamente (vedi sopra), per poi giustificarsi, con tono sarcastico, col dire di aver supposto che il mio post per Helena fosse per lui (impossibile sbagliarsi) e d’avermi risposto – con la canzone (di qui la sua millanteria). Signori miei, state sfoderando un’erudizione (e un tempo libero) enorme, ma se non siete neanche capaci di comunicare in modo chiaro e semplice allora tenetevi pure tutta l’erudizione del mondo. Volevo anche dire che sì, l’erudizione, ma in una poesia c’è da tener conto che nasce da una spinta che sta infinitamente più a fondo di qualsiasi razionalizzante speculazione: se non si tiene conto di questo, non esiste lettura/comprensione (men che meno traduzione) che possa sfiorare la poesia (quella specifica, ed in sé).
Non mi sembra una gadamerata (ricordavo bene), ma è un commento molto lungo, quasi letterale, che devo leggere con attenzione, prima di tentarne un riassunto, o prima di prestare il libro a chi volesse leggerlo.
Intanto, caro il mio db, eccoti la traduzione di Franco Camera al frammento di “Weggebeizt”:
Spazzata via dal
vento raggiante del tuo linguaggio,
la variopinta chiacchiera dell’esperienza
ammucchiata – la poesia dalle cento
lingue, menzognera,
il niente di poesia.
…
Qui Bevilacqua batte Camera (2 a 0). Altrove Camera stravince. E siamo pari e “patta”. Amen (censorio, stavolta).
…
Ma il vero “amen” è qui, secondo me. Seguimi e non te ne pentirai: io qui metto una parola molto, molto vicina a “fine”…
(vai al prossimo)
(Volevo anche dire – ma tutti ‘sti commenti, a questione risolta si possono cestinare – a Cato e db che rispondere con delle battute a qualcuno che si sente offeso risulta come minimo irritante per quel qualcuno: e non ci vuol tanto per capirlo, nessuna psicologia ma semplice mettersi nei panni altrui, che poi è la vera grande lezione della poesia. E buona continuazione a voi.)
Caro ness1, stavo per postare il seguito del mio precedente commento e, letto il tuo intervento, “ho” tra-salito. Se ti interessa:
– conosco db solo come commentatore di NI (il fatto che avrei piacere a conoscerlo di persona, poi, è un problema mio);
– se vai a rileggere altri suoi commenti, ti accorgi (c’è bisogno che tu voglia farlo, però) che quello rivolto a te non reca nemmeno l’ombra di quello che tu reputi un “insulto” (leggi quello che scrive, con autoironia più che con ironia, rivolto a Helena o a Temperanza: poi, vedi un po’ tu);
– nessuno sta facendo sfoggio di erudizione: stiamo operando delle ricerche e scambiandoci informazioni, rilievi e riflessioni su un autore e su un testo, in particolare, che amiamo;
– si può avere del tempo libero per molti motivi, magari uno ha appena finito di lavorare, se lavora: io, in questo momento, non sto lavorando, e ti auguro, dal profondo del cuore (non scherzo affatto) di non trovarti mai a “oziare” per le stesse ragioni che costringono me in questo stato;
– quello che dici sulle ragioni della poesia, è patrimonio di tutti, qui, ma non mi sembra si stesse discutendo di questo;
– sono pochi quelli che, su NI, partono dal presupposto di dover insegnare qualcosa a qualcuno e, personalmente, non mi interessano: a volte iniziano proprio, come hai appena fatto tu, col ricamare e immaginare chi sa mai quali secondi fini dietro qualsiasi intervento o commento;
– se puoi, non aggiungerti alla lista;
– se non puoi, aspetta qualche giorno: sembra che il dottor Gerardo Carotenuto stia per terminare le sue (meritate) vacanze.
Saluti
@ db & Co.
Ecco il seguito (con la parola fine, per quel che mi riguarda).
Da “Atemkristall” (1965)
Stehen, im Schatten
des Wundenmals in der Luft.
Für-niemand-und-nichts-Stehn.
Unerkannt,
für dich
allein.
Mit allem, was darin Raum hat,
auch ohne
Sprache.
p.s.
Evito di proporre una mia traduzione: inizierebbe una teoria di altri centocinquanta post. Lasciamone qualcuno all’avvicinarsi delle “Tenebrae”.
Grazie, signori, e, soprattutto, signore.
Caro Sig. Cato, a me “mi” interessa: molto.
Non a caso sono qua, a leggere e discutere.
Allora, Sig. Cato: qui c’è qualcuno che è stato (si sente – poco cambia) offeso dal Sig. db. Gli usiamo (mi usate) la cortesia almeno di chiarire?
Cambiamo tono? O continuiamo a menar il can per l’aia? Si tratta di un minimo di comprensione umana. C’è, m’è consentito chiederla? Grazie!
Fnché il Sig. db non VORRA’ gentilmente chiarirla, non può dirsi sia un malinteso da parte mia ma una vera e propria sua offesa a me diretta.
Che vi conosciate solo per commenti qui dentro, non cambia la sostanza: il Sig. db (che ripeto non conosco affatto), allo stato attuale, mi ha offeso.
Sto già rileggendo per conto mio tutti i commenti (di tutti) e copiandoli in un file per allestir un testo per ulteriore studio e come già detto a Helena.
La canzoncina offensiva a me rivolta che il Sig. db ha scritto mi ha offeso: è la questione aperta. E’ superfluo evidenziare perché sia offensiva. Allora?
Io non ho mai scritto “insulto” (se le tue virgolette indicano una citazione), e ripeto sto rileggendo tutti i commenti e quindi vedo che con altri scherza.
Non ho nemmeno mai scritto (parlato di) “sfoggio” (vanità) e ho piuttosto usato il verbo: sfoderare (quasi un’arma – a doppio taglio, dato tutto ciò).
Ecco: operare delle ricerche e scambiarsi informazioni, rilievi e riflessioni su un autore, e su un testo in particolare, che si ama è bello. Avanti così.
Grazie per il buon auspicio lavorativo che mi rivolgi (pur se mi ci son già trovato in passato nelle tue condizioni; ora l’allarme è, in parte, rientrato).
Il tempo libero mi pare difficilmente gestibile in termini di ricerche etc. se uno sta anche lavorando (e non necessariamente nello stesso momento).
Invece ho proprio posto io questa questione (si può, vero, non è vietato farlo?): perché, se è patrimonio di tutti, il Sig. db ancora non lo dimostra.
Come non lo dimostra tanto neanche la tua risposta precedente: di cui pur capisco il tono scherzoso, ma del tutto fuori luogo. Lo facciamo uno sforzo?
Possibile che mi sbagli e sono pronto ad ammetterlo: il Sig. db è in debito di spiegazioni con una persona (me) che ha (pur inavvertitamente) offeso.
E’ triste come tu possa supporre mie lesive intenzioni dopo avermi fatto il rimprovero di immaginare secondi fini etc.: anche questo aggrava le cose.
Offendere è ferire, anzitutto. Non ho la più pallida idea di cosa tu intenda con “lista”, cui non vorresti mi aggiungessi. Né lo farò. Spero chiarimenti.
Non ho idea nemmeno di chi sia il Dr. Carotenuto (buone vacanze a lui) e che cosa c’entri in questa situazione. Sempre per chiarezza comunicativa.
Se ho avuto un tono grave (scambiato da qualcuno per “cazzeggio”?) non è per offendere (in ogni senso) nessuno, ma perché il Sig. db m’ha offeso.
Sentiti saluti.
a ness1. c’è stato un fraintendimento, e al di là di chi possa aver ragione, c’è una piccola ferita che va comunque risanata: tra l’altro non costa niente, perché in rete siamo tutti nessuno, senza passati (condivisi o meno).
Nel fraintendimento intanto, chi ci ha fatto la figura oggettiva del pirla sono io. Tu chiedi a Helena di riprendere le sue cose, colmandola di complimenti, e il deficiente di turno pensa che parlino a lui e risponde a sproposito (nel dubbio di chi fosse il destinatario, ricordo di aver riletto l’ultima parola tua, “fortissimo”, e ho pensato che era al maschile, ergo: siamo una squadra fortissimi!).
Stavo per risponderti: “fa’ come ti pare, prendi dal thread tutto quello che vuoi, magari correggendo i refusi di cui il thread è ovviamente disseminato)… quando m’è rimbombato in testa “Nessuno” di Mina (ma le parole sono di Capotosti – a prop. di come Celan pronuncia il terzo Nie-mand: anche Mina canta una volta Nessuno, e la seconda Ne-e-ssuno), e così l’ho adattato al contenuto della risposta. Nessuno mi può separare da NI, cui dichiaro pubblicamente il mio anore, ma una sveltina con te ness1, e cioè un mordi e fuggi, una rapina di testi(coli) te la concedo eccome: ça va sans dire!
Non mi sono fatto capire: adesso forse va meglio.
Nello stesso istante che ti rispondevo, temp. si è sentita dispiaciuta perché pensava che io mi fossi sentito graffiato da lei. ma io intendevo che ero stato graffiato dalla spina parlandone con lei.
Come vedi, in rete ci si equivoca, ma si rimedia (anhe con Cato mi è successo così).
Onestamente, quello che m’interessa qui è tradurre nel migliore dei modi Psalm, a più mani ecc. Mi ha colpito su Il Primo Amore che il poeta Baratto ammette di ritoccare in continuazione le sue poesie, anche se sono già state pubblicate e al momento pensava veramente che fossero definitive. Ciò vale a maggior ragione per ogni traduttore.
Ad es., la trad. di Picchio riportata da Cato è in più punti manchevole (stelo invece di stilo grida vendetta), ma ci regala una perla:
Sia lode a te, Nessuno.
Mi sono imbarcato in un “lavoro”, e non ho ancora finito.
Caro ness1, e con questo passo e chiudo:
premesso che non sono l’avvocato di chicchessia, db in questo caso, permettimi di rimandarti a un suo post, quello immediatamente precedente la tua richiesta: “psalm” che diventa “gianni” (Biondillo) e la “spina” una birra: io lo trovo un modo per allentare quella “tensione” che, quando si parla di cose che ci premono troppo, che amiamo in modo particolare, ci porta, a volte inconsapevolmente, a prenderci troppo sul serio (stiamo sempre dialogando su un blog, tra l’altro, con tutto il rispetto per questo luogo e pochi altri) e a finire di cadere nel ridicolo (il rovescio speculare dell’erudizione fine a se stessa) senza nemmeno accorgercene. Un altro esempio, è il suo incontro con i “tre cani” per strada; e così la canzone di Mina, e così il termine “anore”, retaggio di una lunga “discussione” ingaggiata con uno dei redattori di NI. E tutto questo è offendere? Ma dài, sai bene anche tu cosa sono le offese, quelle vere: uno che vuole offendere qualcuno, non strappa tempo alla sua vita per frugare biblioteche, fare ricerche, mettere quello che sa, poco o molto poco importa, al servizio degli altri… E poi, visto che mi sembri “giovane” di NI, se resisti al primo impatto, avrai modo di sperimentare come sia possibile, anche, arricchirsi vicendevolmente di esperienze e cultura, di dialogo, di partecipazione; così come è possibile, anche, imbattersi tanto in quelli che parlano da una cattedra, quanto in quelli, pochissimi, e sempre ben mascherati, purtroppo, che offendono davvero. “I Duellanti” è uno dei capolavori del mio immaginario cinematografico: lasciamolo lì, in quell’ambito, prima di accorgerci che stiamo sprecando tempo e energie per delle banalissime sciocchezze.
n.b.
La lista alla quale ti chiedevo, cortesemente, di non aggiungerti era proprio quella di coloro che pontificano, anche senza accorgersene, magari vedendo “ombre” dappertutto. Se ti va, rileggi gli scambi triangolari Helena – db – temperanza sulla “traduzione” di alcuni versi, quando non di una sola parola: in nessun caso, uno solo di loro si è sentito in dovere di ribadire “cosa” fosse la poesia o “come” si traduce. Quando tu dici che “in una poesia c’è da tener conto che nasce da una spinta che sta infinitamente più a fondo di qualsiasi razionalizzante speculazione”, cosa stai dicendo? Che in centosessanta post abbiamo dimostrato di non capire niente e di aver parlato a vuoto? Quella sarebbe un’offesa: ma io non ho mai pensato, nemmeno lontanamente, che tu avessi un tale intento. Anzi. Quindi…
Buone cose.
@ db
Non potevi scrivere prima, così mi evitavi un’altra ora al computer? L’hai fatto apposta, incurante, e insensibile, verso le mie “condizioni”. Ne ho le prove.
Non avendo una “niemandsfava” da fare (e da cucinare), mi son messo a (s)pulciare… Vi lascio questi due testi (il primo solo in parte): fate due calcoli e tirate le vostre conclusioni.
Wolfsbohne
(21 ott. 1959)
Leg den Riegel vor: Es
Sind Rosen im Haus.
Es sind
Sieben Rosen im Haus.
Es ist
der Siebenleuchter im Haus.
Unser
Kind
Weiß es und schläft.
(Weit, in Michailowka, in
der Ukraine, wo
sie mir Vater und Mutter erschlugen: was
blühte dort, was
blüht dort? Welche
Blume, Mutter,
tat dir dort weh
mit ihrem Namen?
…
Mutter, ich habe
Briefe geschrieben.
Mutter, es kam keine Antwort.
Mutter, es kam eine Antwort.
Mutter, ich habe
Briefe geschrieben an –
Mutter, sie schreiben Gedichte.
Mutter, sie schrieben sie nicht,
wär das Gedicht nicht, das
ich geschrieben hab, um
deinetwillen, um
deines
Gottes
Willen.
Gelobt, sprachst du, sei
Der Ewige und
Gepriesen, drei-
mal.
Amen.
*
(29 sett. 1960)
Niemand, vergiß nicht, niemand
Wühlte sich wund, auf Herzwegen,
In deinem weichen Innern.
Bis dir ein Wort aus dem Mund trat,
Verspart und verschwiegen:
mit ihm, vergiß nicht, lebst du,
aus ihm erwächst dir die Kraft
mir zu lauschen, wenn ich dir sage:
Komm, ich will dich,
ich will dich nicht lieben –
*
E se questi testi fossero stati espunti, come credo probabile, da “Die Niemandsrose”?
::.
Li ho tratti, tra altri possibili degli anni 1960-1963, da Paul Celan, Sotto il tiro di presagi, Poesie inedite 1948-1969, cura e traduzione di Michele Ranchetti e Jutta Leskien, Torino, Einaudi, 2001.
Ringrazio – molto sentitamente – db e Cato per l’aver chiarito i loro punti di vista. Ora sto per uscire (di casa, ché di testa già c’ero – fuori, ndr.) e non ho il tempo per rispondere come si deve. Considero chiusa la questione, e ammetto che una serie di fraintendimenti ha originato tutto questo. Ma ora sto meglio. Vorrei tornare su questa ‘faccenda’ per prenderla ad esempio: penso si possa trarne una bella ‘lezione’. Per me. E per chi si associa. Non legata solo al ‘caso’ in questione, ma anche per esempio al tradurre ed al fare poesia. Io faccio dei versi. La poesia sta sempre molto al di là di dove riescano mai ad arrivare questi ‘miei’ versi. Faccio versi – come le bestie…
caro ness1, anch’io la penso come te sulla poesia, che è di tutti e di nessuno: è per tutti, ma di nessuno di noi. E’ forse dei poeti, che quando ne arriva uno, come nel caso qui, bisognerebbe baciar per terra. Da un paio di mesi stiamo cercando di leggere e scrivere io e un barbone di seconda generazione (30 anni fa al babbo napoletano è morta la moglie: è partito per Milano col piccino, e da lì…). E’ difficile ricordare le lettere: quando va in crisi, gli viene sempre un’espressione automatica e balbettata: “m come mamma” (e magari è una b come babbo). Questo lo dico solo per trasmetterti una piccola esperienza, come un regalo.
Cato è pneumatico: immette lo spirito. E ne vengono fuori 2 verità:
1- la lirica è col “tu”, e se è universale in questo “tu” ci stanno in tanti: la mamma, dio, ecc.
2- il filosofo ha a che fare con idee, il poeta con parole. Platone (o Kierkegaard) ha 60% di idee e 40% di parole, Celan viceversa. Bisogna rispettare ciò, e così ho scelto “niente” invece di “nulla”. “Nulla” ha una tradizione filosofica suprema: creazione dal nulla cristiana, essere/nulla/divenire hegeliano, l’essere e il nulla di Sartre ecc., ed è inverosimile che C fosse digiuno di ciò. MA: tutto ciò è prima della poesia, fa parte del vissuto del poeta, che poi al momento di esprimersi dice “niente” e parla a tutti.
Sono 2 verità da acqua calda: ma con questa sto facendo risi e bisi. Guten Appetit!
Risi e bisi surgelati, vista la stagione, come siamo caduti in basso.
@cato
ich drücke dir den Daumen:–)
@temp & stosa
risi e bisi
mostacéi
tuti porséi
fora che mi
an tran tran
fiòl de un can
fiòl de un béco
muri séco
(bisi surgeài sì, ma de me mama)
@ temp
:-)
(GRZ)
mama non piangere se c’è l’avansata
tuo figlio è forte e vincere sapran
assiuga il pianto dela fidansata
di risi e bisi è pieno il suo scarpon
Ingen knådar oss åter av lera och jord,
ingen nämner vårt stoft.
Ingen.
Lovad vare du, Ingen.
För din skull vill
vi blomma.
Dig
till mötes.
Ett intet
var vi, är vi, skall vi
förbli, blommande:
rosen åt Intet,
åt Ingen.
Med pistillen andeljus,
ståndarsträngen himmelsödslig,
kronan röd
av purpurordet som vi sjöng
över, o över
törnet.
Lassù, in un ripostiglio polveroso,
fra mille cose, che non servon più,
ho visto, un poco logoro e deluso,
un caro amico della gioventù.
Qualche filo d’erba,
col fango disseccato
tra i chiodi, ancor pareva. conservar…
era uno scarpone antimilitar!
Vecchio scarpone,
quanto Celan è passato!
Quante illusioni fai rivivere tu!
Quante canzoni (Liedern)
sul tuo passo ho cantato,
che non scordo più.
Sopra le dune
del deserto infinito,
lungo le sponde accarezzate dal mar,
per giorni e notti insieme a te ho camminato
senza riposar!
Lassù, fra le bianche cime
di nevi eterne immacolate al sol,
cogliemmo le stelle alpine
per farne dono ad un lontano anor!
Vecchio scarpone,
come un tempo lontano,
in mezzo al limo (argilla), con la pioggia o col sol,
forse sapresti, se volesse il d.s. Tino,
camminare ancor.
Vecchio scarpone, fai rivivere tu
la mia gioventù!
PSALM
Es ist ein Licht, das der Wind ausgelöscht hat.
…
…
Schweigsam über der Schädelstätte öffnen sich Gottes goldene Augen.
E’ fosco l’aere,
il cielo è muto,
ed io sul tacito
scarpon seduto,
in solitaria
malinconia,
ti guardo e lagrimo,
gambaccia mia.
Fra i rotti nugoli
dell’occidente
il raggio perdesi
del sol morente,
e mesto sibila
per l’aria bruna
l’ultimo gemito
della lacuna.
Passa una zoccola per la città:
“Ehi! bella zoccola,
qual novità?”
“Il morbo infuria,
il pan ci manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca!”
@Al Pino! L’ultima
ora è venuta;
illustre martire,
tu sei perduto…
Il morbo infuria,
il pan ci manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca!
Buona notte.
C’è una luce che il vento ha spento.
…
…
Silenziosi sopra il calvario si aprono gli aurei occhi di Dio.
Saprai
quando c’è bandiera gialla
che la ciofentù è bella
e il tuo Celan batterà.
Sai
quelli che non ci voglion bene
è perché non si ricordano
di esser stati ragazzi ciofani
o di aver avuto già
la nostra età…
Finché vedrai
sventolar bandiera gialla
tu saprai che qui si sballa
ed il tempo volerà…
Il morbo infuria,
dio Pan ci manca,
sul monte sventola
mutanda bianca!
@ temp & db
(Tre poesie inedite di Paolo Francesco Celano, un mio paziente)
***
Una pagina letta per anni, giorno dopo giorno, sulla quale
non c’era scritto nulla. Ho sfogliato il deserto – con mani tese
oltre le grate del mio giardino murato.
da versi in
declinabili al
presente, da
sommità
di vuoto,
desti a fatica
dal lontano
di un consunto
breviario,
i silenzi di un
lume
esplorato, misurato
ad arte in
angoli di voce,
palpiti,
identità di lama:
fatto a pezzi
dall’ombra
amorosa
partorita intorno
***
Cedere il nome all’elemento sabbia, perché solo il vento
spira senza memoria, senza requie, tra queste case.
Breve eternità della morte – in un respiro.
curvo grido di
acquemorte
meriggia in cerchi
sfrangiati d’eco, poi
la città splacenta di
crematori, chiostri
di sale e rugginose
fibrille di lampioni:
laggiù,
fiorite in orme
prive di respiro,
all’incanto
nell’inventario dei
giorni o in tuffi di
zodiaco redento, albe
di pietra e zolfo
a specchiare il
volto che ricama,
disegna e scioglie
primavere in prestito
sopra smurati
sepolcri di
alfabeti
***
Fiori-candele su cui la farfalla svola e si abbandona.
Lasciano avanzi di vapore nell’agonia del giorno. Ali deserte.
Un bicchiere di neve. Uno specchio di mare senza luna.
ragnatele
tramate dai giorni
in disvelati
abbandoni di
sguardi,
un vento
levato a mezza voce,
rasoterra,
per sintomi di
luce oltre ogni
consueta aurora:
dal fondo di
acque ghiacce,
specchi tatuati da
ombre di
cipressi
s’aggiungono
l’aspra
pietà di angeli
ribelli, usi a
un cammino
che incrudelisce
il vivere, il profumo
affligge della
rosa
Dotto’, mi prenda in cura!
(ma rilascia Lei fattura?)
La “fattura” solo su esplicita richiesta, caro dott. Datura. E solo a fine trattamento, che non è indolore e, spesso, comporta qualche ricaduta.
La avverto, però, che per accedere alla cura bisogna passare attraverso l’accertamento, ineludibile, di un solo requisito: il paziente deve essere, come nel caso del dott. Paolo Francesco Celano, alla “canna del gas”, come si è soliti, molto volgarmente, dire. Poi, visti i risultati, valuti lei se ne vale la pena.
Per onestà intellettuale e deontologia professionale, mi preme, inoltre, renderle noto che molti, di fronte alle “produzioni” in itinere del sunnominato Paolo Francesco, si sono chiesti, non so quanto a ragione o a torto, perché non se ne sia rimasto attaccato alla sopracitata canna.
Mi faccia sapere. Per quanto riguarda l’indirizzo dello studio dove esercito, si può rivolgere al dott. Carotenuto: è l’unica cosa che conosce di me, in speranzosa attesa di avermi un giorno, finalmente, tra i suoi pazienti.
Buona notte, dott. Datura, dorma bene. Poiché mi sembra di sentirla già come un mio “ospite”, mi concede di chiamarla semplicemente Saul? Sì? Allora buona notte, caro Saul. E a presto.
Caro dottore, Lei mi ha fatto, e mi ha fatto felice… o quasi. L’avrà già capito, ma il mio problema è la saldatura: tra passato e futuro, tra prima e dopo. Mi è ostico l’hic (e, non per lamentarmi, pure il nunc). Mi sforzo sempre, ma il salto è sempre più lungo della gamba (l’altra l’ho persa facendo l’autostop, cercando di stoppare un tir). In più, ad aumentare l’incertezza, mi è arrivato ieri il dépilant di un fantomatico dott. Castellaneda, che non capisco se sia un medico o un poeta. Glielo trascrivo in parte, e La prego, mi faccia, e mi faccia sapere:
La Datura stramonium, originaria dell’Asia, ha fiori grandi di colore rosso. Nota volgarmente come Rosa delle spine, o del diavolo per le sue proprietà narcotiche, sedative ed allucinogene, utilizzate nei rituali magico-spirituali dagli sciamani di molte tribù indiane e, in passato, anche dai druidi e dalle streghe europee. Gli alcaloidi euforizzanti della datura mitigano lo stato depressivo: schiacciare e bagnare con acido, che libera dai semi gli alcaloidi, e combinare con alcool. Molte persone inesperte, o solamente curiose, sono morte tentando di drogarsi a buon mercato con una tisana di petali.
O datura, o datura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?
L’errore, caro dott. Datura, pardon, caro Saul, sta proprio nel reiterato utilizzo della “datura stramonium”, non solo da parte di incauti curiosi, ma soprattutto nella pratica di sedicenti sciamani, laddove è statisticamente provato che costoro, con tutto il rispetto per i loro procreatori, sono, come si è soliti volgarmente dire, quasi tutti figli di vivaisti e belledonne. La datura, quindi, non le serve per sal-dare passato e futuro aggirando l’hic et nunc, se questo è il suo problema. Anche Paolo Francesco si trovava, per motivi molto probabilmente diversi dai suoi, in una impasse di mancate saldature: sostenuto a piccole dosi di “Stropharia Cubensis”, ha ritrovato se stesso, anche se non ha ancora capito bene dove si trova in questo momento. Mi intende, caro Saul? E’ la “stropharia” il sol dell’avvenire: lo attesta la qualità dei versi prodotti dal Celano. Lo so, lei mi dirà che ci sono sempre i molti che continuano a ritenere che, non solo per lui, la strada della canna è la più indicata, ma, cosa vuole, le solite malelingue…
Buon giorno, caro, a risentirla una delle prossime notti.
Temp, i’ vorrei che tu e Cato ed io
fossimo presi per incartamento,
e messi in un bel thread ch’ad ogni vento
per rete andasse al voler vostro e mio,
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di fare insieme crescesse ’l disio.
E monna Emma e monna Helèna poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buon moderatore,
e quivi ragionar sempre d’anore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.
Oggi ho accennato a un poeta su IPA che ritocca le sue poesie anche dopo la pubblicazione: non si chiama Baratto, ma Varese. Strano, la prima delinea un movimento inverso rispetto alla rosa di Celan: dal qualcosa al niente.
Il tempo consuma le parole;
Come i petali dei fiori
L’orlo delle sillabe si piega.
Le mie ragioni s’aprivano a corolla:
Ora bruciano nella terra, nel focolare della brama.
Così rimane un’ombra, una foglia di cenere
Nella mia quieta aiuola virginale.
@Helèna
Ah di Celan ancella,
la favola bella
che ieri t’illuse,
che oggi m’illude!
Ormai è come l’invasione dei baccelloni, compreso il mio alias che di notte mi dà una gomitata e mi butta giù dal panchetto per scrivere lui.
Siamo soli qui, voi e io, baccelli stratosferici, le nostre voci clamano nel deserto.
(ma so che non vi importa)
Buon giorno, dott. Temperanza, posso fare qualcosa per Lei? Di voces clamantes in deserto ho una lunga esperienza, e mi son fatto l’idea, o forse è solo pre-sunzione autogratificante e autoconsolatoria, che siano quelle la cui eco dura più a lungo. Anche il dott. Paolo Francesco Celano ha una lunga consuetudine con deserti e sabbie. Devo aver somatizzato i suoi disturbi, probabilmente.
Caro dott. Peyote, La invitiamo, io e il mio collega Carotenuto, a una supervisione. Noi supervisioneremo Lei mentre Lei starà supervisionando “Febbre da cavallo”, il film didattico che girammo con Steno e Lacan nel lontano 1976 (troverà pubblicata la sceneggiatura presso l’Adolphi). Come insight, Lei dovrebbe puntare a identificarsi col fantino. Buona sgroppata!
wär das Gedicht nicht, das
ich geschrieben hab, um
deinetwillen, um
deines
Gottes
Willen.
Komm, ich will dich,
ich will dich nicht lieben –
La prima, di poco precedente Psalm, evidenzia che C aveva “a disposizione” l’um … willen: alla madre che non risponde, C parla di poesia scritta “per amor tuo, per amor del tuo dio”. Qui lo slancio è pieno, dichiarato e non-contraddittorio, indipendentemente dall’esito (il tuo dio, dice alla madre come dirà mesi dopo alla Sachs). Invece il dir zulieb, oltre che più colloquiale, ha la sfumatura amara del “per farti un piacere”. Allo stesso modo il contro dell’entgegen ha la sfumatura dolce dell’incontro. Così abbiamo una specie di chiasmo dei significati:
AMORE incontro
piacere CONTRO
la contraddizione per/contro è essa stessa, in seconda istanza e in sottofondo, contraddittoria: quel per ha qualcosa di contro, quel contro ha qualcosa di per…
Nella seconda poesia, contemporanea a Psalm, la contraddizione è invece estrema: Vieni, io voglio, non voglio amarti. (e le traduzioni di Ranchetti?)
Sarebbe bello che chi ha orecchie per intendere sentisse le sfumature della voce, soprattutto quando C dice Niemand, zulieb, l’o finale (quanta enfasi ci mette?), e relazionasse qui… io in cambio potrei battere le due paginette sulla tomba di Rilke in ubique, e rendere disponibile.
tra i versi di pfc sento le note della pfm…
Bacca di lupo
(Wolfsbohne)
Metti la sbarra: ci sono
rose in casa.
Ci sono
sette rose in casa.
C’è
il settelumi in casa.
Nostro
figlio
lo sa e dorme.
(Lontano, a Michailovca, in
Ucraina, dove
mi hanno ucciso padre e madre: cosa
fioriva là, cosa
fiorisce là? Quale
fiore, madre,
là ti fece male
con il suo nome?
…
Madre, io
ho scritto lettere.
Madre, non venne risposta.
Madre, venne una risposta.
Madre, io
ho scritto lettere a –
Madre, essi scrivono poesie.
Madre, non le scriverebbero,
se non ci fosse la poesia, che
io ho scritto, per
amor tuo, per
amore del
tuo
dio.
Lodato, dicevi, sia
l’Eterno e
glorificato, tre
volte.
Amen
*
Nessuno, non dimenticare, nessuno
si piagava frugando, su sentieri del cuore,
nel tuo tenero interno.
Fin che una parola ti uscì dalla bocca,
riserbata e taciturna:
con essa, non dimenticare, tu vivi,
da essa ti cresce la forza
per ascoltarmi, quando io dico a te:
vieni, io ti voglio,
ti voglio non amare –
…
Trovo queste traduzioni di Ranchetti bellissime, lontane da ogni intento puramente letterario, condotte sul filo di un dettato interiore che sento nascere dalla familiarità e dall’ascolto (sono un po’ di parte, forse, perché ho una vera “devozione” per lui, ma il lavoro è eccellente). Tutto il libro (500 pg. di inediti!) è allo stesso livello: alcune liriche sono veramente superbe, e stai lì a chiederti come abbia fatto l’autore a tenerle fuori dalle varie raccolte che veniva pubblicando. Non lo sapremo mai, e forse, davvero, è meglio e giusto così.
Ecco, rispondo (si potrebbe farlo anche via e-mail, ma non ho né quella di Cato dé di db) come promesso – lo faccio per evidenziare alcune ‘lezioni’.
@ Cato: Ciao, ti ripeto che avevo già notato il clima ludico (in mezzo alle dotte disquisizioni) che db creava in altri post con commentatori/trici più in familiarità con lui; e ti ripeto che tale familiarità (come dimostrano tutti i sottintesi, a me indecifrabili, che tu e db spiegate infine!) tra noi non c’era e che tutti quei sottintesi (“anore” etc.) hanno portato al malinteso-offesa (ora chiarito, lo ribadisco e sottolineo; poi di seguito rispondo anche a db).
Per quanto riguarda il mezzo: il fatto che siamo in un blog deve anzi far sì che si dìa più peso che mai al solo canale comunicativo aperto, la parola (scrittura); per cui ogni omissis etc., se non c’è preconoscenza, rischia di creare il vortice d’incomunicanza di cui abbiamo dato un piccolo esempio! Le offese vere, dove non ci sono altro che parole, sono appunto le parole: la canzoncina di db, come stavano le cose, era offensiva nei miei riguardi.
NI: la conosco da qualche anno, ma non sono un frequentatore assiduo e quando riesco ci butto un occhio, ci ho sempre trovato qualcosa di valido e da cui imparare (a me non irrita se c’è qualcuno che m’insegna qualcosa, anzi gli sono grato: e non sto polemizzando con te, dico solo la mia verità; così in questo caso io ringrazio Helena, db, te e chiunque ha contribuito!).
La “lista”: ecco, un esempio di fallita comunicazione per uso impreciso del mezzo a disposizione. Se rileggi l’elenco a punti che mi facevi, ogni punto ha una sua certa autonomia e, se rimanda al precedente, lo fa abbastanza chiaramente (es. “-conosco db ect.” e “-se vai a rileggere altri suoi etc.”) e non c’è rischio d’ambiguità e fraintendimento, mente il punto della “lista” (secondo la logica di autonomia dei vari punti da te introdotta nell’elenco) sarebbe stato da includere nel precedente, separato da virgola o parentesi (così isolato sembrava introdurre un’altra cosa/discorso, che non sapevo).
Cosa sia la poesia, o come si traduca, non riescono a dirlo manco i poeti stessi. Figuariamoci! Né a me pare d’averla voluta definire. A me premeva (siccome, quando leggo o ascolto per es. Celan, mi vengono i brividi e una tale commozione e umanissima pietà che, spesso, non riesco a trattener il pianto: e non per le parole, in sé, ma per CHI le dice) soltanto sottolineare che, nella mia esperienza di ‘facitore di versi’, non c’è una volta che essi si diano ‘a freddo’ ovvero col mero ragionato discorrere (a questo intendevo riportare scrivendo “in una poesia c’è da tener conto etc.”: a questo livello non sento mai si vada, nei ragionamenti sul tradurre (sul fare in proprio è forse più facile, ma solo tra chi si conosce molto bene e frequenta “live”), per cui trovo praticamente impossibile poter tradurre senza un tale grado di immedesimazione spirituale/psichica/emotiva (che non esclude, ma anzi implica e abbraccia l’erudizione/conoscenza etc.). Perché Celan non trova le sue parole in alcuna enciclopedia né ha vocabolari a dirgli se sian giuste o no: un poeta le sue parole se le scava dentro la carne, la vita, il silenzio.
Spero sia un po’ più chiaro, ora, cosa stavo in realtà dicendo con le parole che citi e fraintendi: invitavo ad arrivare alla ‘temperatura’ di Celan (no, di Celan è impossibile: ma almeno alzare/approfondire il livello ns. abituale). Non per offender nessuno, ma per metter meglio a nudo il nocciolo poetico (che io credo, per esperienza, non sia altro che l’essere umano, che ne è investito e di cui è portavoce: alla comprensione della vita del quale tende ogni sforzo di lettura/avvicinamento/incontro – un’esistenza esemplare, in cui la persona tanto più è presente nella sua finitudine quanto più tocca il bordo dell’infinito super/sovra/interpersonale. A questo tendono gli sforzi di contestualizzazione, le ricostruzioni dell’epoca storica, i rinvii biografici e le testimonianze di conoscenti e corrispondenti: a nient’altro che al ricordo di un uomo, che nella fattispecie – il poeta – è anche, ma non solo, l’Uomo e quindi anche noi, sì proprio noi sessi ovvero chi legge, chi si riconosce!).
Una domanda (credo utile): a voi, dove v’arriva o dove vi tocca la poesia?
@db: Ciao anche a te, grazie ancora per il chiarimento e scusa quello che (per es. a Cato) è parso spirito polemico ma non lo era affatto. Veniamo a quelle cose che, diciamo ‘metodologicamente’, ritengo basilari per capirsi -nell’web ancora di più (chiariamo come comunicare, qui – ecco): per me è vero quanto dici, “siamo tutti nessuno” ma forse più ancora che in rete nel cosiddetto ‘mondo reale’; sottolineo il giusto tuo accenno al cuore di tutto: la condivisione (che per me è premessa alla comunione – e non virtuale!).
Ecco, torniamo alla questione di ‘metodo per comunicare’ (vedi quassù la risposta a Cato): io commentavo per la prima volta un articolo di Helena e non ho quindi ritenuto indispensabile sottolineare che mi rivolgevo a chi ha scritto l’articolo nel cui spazio commenti inserivo la mia richiesta (già così diretta ed esplicita di suo). Per dire: se quello non fosse stato il primo mio commento, avrei specificato subito a chi mi rivolgevo, perché appunto non andasse persa la comunicazione nell’oceano/babele degli interventi. A me capita spessissimo di non capire chi dica cosa a chi altro: perché mancano le esplicite indicazioni a riguardo e si naviga nel sottinteso-complicità etc. (bello tra gli aficionados, ma in un blog pubblico direi che è spiacevole per chi non lo è e arriva e trova questa situazione poco chiara e confusionara).
Un esempio di errore di lettura (non è per fartene una colpa, sia chiaro: è per chiarire alcune cose basilari, di metodo, per capirsi insomma evitando altri malintesi non solo con me ma con chiunque si trovi a passare di qua): scrivi che, nel dubbio sul destinatario del mio primo commento, ricordi di aver riletto l’ultima parola mia, “fortissimo”, e hai da ciò pensato che era al maschile, ergo: siamo una squadra fortissimi! Allora, provo a spiegarti: io ho chiuso quel commento con un “vai fortissimo.” che era rivolto, ovvio, in primis a Helena che aveva pubblicato l’articolo ma anche implicitamente a chi l’aveva commentato etc. Quindi: sì, hai letto bene il riferimento alla squadra, eppure ciò non basta a spiegar la canzoncina che ne fai seguire. Una risposta come quella che volevi postare (“fa’ come ti pare, prendi dal thread etc.”) sarebbe stata, per me ma per chiunque nella mia stiuazione, tranquillamente comprensibile. Non così ciò che invece hai scritto. Non c’è, per me, un adattamento al contenuto (che resta nella tua testa e non si fa esplicito) della risposta! Non si capisce, in quella canzoncina, che Nessuno TI può separare da NI, cui TU dichiari pubblicamente il TUO aNore etc.”. E’ regola comunicativa che se usi il nick di qualcuno, è a quel qualcuno cui ti rivolgi e non a te stesso! Quella canzoncina mi ha detto: questo qua mi fa il verso e prende per i fondelli. Ma che t’avevo fatto io? Nulla. Poi tutti quei riferimenti oligoreferenziali (si può usare ‘sta parola per: solo per pochi?) tra cui “anore” e “sveltina” etc. Insomma, hai già capito e non insisto. Lo faccio solo per evitare altri ‘incidenti’ comunicativi simili, anche perché io ci sto davvero parecchio male (Cato può non credermi, però è la verità). Ecco, tutto qua. (Montale risultava oscuro per eccesso di confidenza con la propria materia, ma in una lirica è difficile arrivare a malintesi offensivi e quindi è concedibile tale ermeticità; ma nella babele della rete, proprio no).
Su Psalm in particolare, e Celan in generale, è meglio se non dico niente (è uno di quei poeti, una di quelle persone che mi de-vastano ogni cellula).
Il primo Amore: per es. anche Valéry s’è letteralmente visto prender dalle mani il manoscritto del Cimitero marino per pubblicarlo, sennò lui avrebbe continuato a scriverlo all’infinito – dice infatti che una pubblicazione è solo uno stato particolare (momentaneo) di una specie di magma sempre fuso (le sue parole non son proprio queste, vado a memoria e mescolo con un altro poeta, Zanzotto, che parla spesso del “bollore della realtà” e poesia). E per non andar troppo distante, lo stesso nostro Ungaretti ha ritoccato le sue poesie ad ogni riedizione. Ma qua si aprirebbe un discorso senza fine…
(Ciò che, anni fa, in me si disse in questi versi: Un testo giunge a fine solo quando | la variante migliore è proprio quella | che non compare che per via d’assenza. – Ogni allusione implicita, ma appunto allusa, rimanda: vita.)
Io non credo sia tanto possibile tradurre se non si è poeti: per quel livello di ‘temperatura’ e scavo nella carne di cui sopra. Un poeta rischia la vita in quel che scrive. Un traduttore al massimo rischia una brutta figura. Ecco…
“La poesia, che è di tutti e di nessuno: è per tutti, ma di nessuno di noi.” – ma non è neanche di ‘chi la fa’ (le testimonianze in merito non si contano).
(“è il punto cieco – l’offerta totale: | che nulla chiede, ma niente regala.”)
Eppure, quanto ai poeti (che “ne nasce uno ogni cento anni…”, come gridò Moravia in lacrime al funerale di Pasolini…), baciati o meno dalla fortuna a livello personale o pubblico che sia, c’è sempre qualcosa che non c’è bacio a trattenerli: Celan è un così grande poeta perché fu un uomo annientato? (Una domanda di questa portata non dovrebbe esser posta in un blog, con tutta la blaterazione e la violenza da cui può esser colpita e sopraffatta…).
Ultima e chiudo questo post infinito, anche perché c’è un sole formidabile: la frase che inzia con “Da un paio di mesi stiamo cercando di etc.” torna in quel circolo chiuso di sottintesi per pochi intimi che a me è precluso e vieta la comprensione (non che m’interessi farmi i fatti vostri, ma se scrivi nel post in cui mi rispondi immagino che qualcosa lo vuoi dire anche a me).
Ultimissima (giuro): “le idee sono melodie defunte” dice (mi pare) Cioran, e per me ci prende con quanto suggerisci a proposito della differenza tra chi specula concettualmente e chi deve trovare la parola che tiene in vita. Sul Tu: c’è da dire che “niente” lo contiene (appunto) in assenza: nien-Te. E che la pronuncia di Celan (cfr. i link dati più su, da non ricordo chi) del Nie mann a me suona (senso) come una specie d’anagramma di “amen”.
“MA: tutto ciò è prima della poesia, fa parte del vissuto del poeta, che poi al momento di esprimersi dice “niente” e parla a tutti.”. (E sono ai saluti:)
*
Le parole sepolte
Come le pietre a lato della strada,
che se le pizzichi sotto le ruote
schizzano via violente e incontrollate,
così capita a volte di parlare
e non è detto che si dica niente.
Molte volte si chiede, ma è per dare.
@ Ness1
Non si può metter ordine nella rete. I thread vanno avanti per conto loro e chiunque entri a dire qc fa deviare un po’ la rotta.
Se sei un uomo d’ordine (io la fui:–) qui la partita è persa.
Io non conosco né cato, né db, né helena, né emma né alcuno di tutti gli altri, se capito qui scrivo magari qc e se qc ha voglia mi risponde e se quello che ho scritto non gli interessa passa avanti e mi lascia come un’ allocca.
Ma se commenti da un po’ alla fine ti abitui a riconoscere non dico le persone, ma i toni di voce e ti rilassi. Se vuoi dire qc la dici e ciccia.
Il computer alla fine si spegne, giusto? Ognuno di noi ha una vita fuori di qui, capisco che a volte ci si scazzi, non per nulla mi sono scelta questo nick che come una freccia mi indica la via di una virtù che nella realtà non possiedo:–)
Insomma rilassati e resta tra noi, povero pueblo di impotenti commentanti:–)
@ ness 1
Se avessi anche solo lontanamente messo in dubbio la tua buona fede, le ragioni profonde della tua richiesta a Helena e la tua competenza in materia, non ti avrei risposto la prima volta, né tantomeno lo farei adesso. Oltrettutto, intervenivo in una faccenda che poteva non riguardarmi affatto, visto che ti rivolgevi a db, e l’ho fatto proprio al fine di stemperare, parlando di “equivoco”, quale poi nei fatti era e si è rivelato. Per il resto, due considerazioni: 1) qui non esistono circuiti o circoli oligoreferenziali: se ci fossero, va da sé che io mi troverei immediatamente da tutt’altra parte; 2) ho apprezzato molte delle riflessioni sulla poesia che hai lasciato tra le righe del tuo commento: alcune le sottoscrivo alla lettera.
In conclusione: perché non dovrei crederti? Anche se lo volessi, e la cosa mi è assolutamente estranea, mi sarebbe comunque impossibile di fronte a uno che scrive un verso come questo: “Molte volte si chiede, ma è per dare”. Chi l’ha scritto, comunque si chiami, abita gli stessi “paesaggi umani” nei quali vivo (o cerco di farlo) io: facendomi male, esattamente come te, ogni giorno. E da parecchi anni.
Un saluto e un benvenuto.
“Oltrettutto” mi è venuto così, ma non crediate sia un refuso: è un parto/parte della mia indole incontrollabilmente sperimentale.
Ciao, temp: “impotenti commentanti” è un delirio di assonanze ben allitterate e di allitterazioni ben assonanti. Chapeau! :-)))
Ciao @cato
veramente avrei dovuto dire “povero popolo di impotenti commentanti”, con una bella allitterazione iniziale alla tedesca, ma non riesco a evitare di darmi delle arie internazionali e parlare foresto:–)
Oh you,
quanto mi spiace che tu
non possa darmi del du
vor einem birra!
(Base musicale anni ’40 tipo: òh tùuuu, pallido ammòre blu bluuuu ecc.)
@ temp
vedrai, vedrai
che un giorno capiterà,
non so dirti come e quando
ma un bel giorno capiterà…
(cfr. Luigi Tenco: inutile accennare la base musicale)
p.s.
In effetti il po…popo’ iniziale ci ha il suo bel fascino… come dire: retrò(fonico).
Va bene, aspettiamo con fiducia:–)
(29 sett. 1960)
Niemand, vergiß nicht, niemand Wühlte sich wund, auf Herzwegen, In deinem weichen Innern. Bis dir ein Wort aus dem Mund trat, Verspart und verschwiegen: mit ihm, vergiß nicht, lebst du, aus ihm erwächst dir die Kraft mir zu lauschen, wenn ich dir sage: Komm, ich will dich, ich will dich nicht lieben –
2 versioni, la prima arcilibera, la seconda superletterale:
Seduto a quel caffè
io non pensavo a Te.
Poi d’improvviso…
Nessuno, non scordare, nessuno si ferì scavando, per le vie del cuore, nel tuo tenero interno. Finché ti uscì di bocca una parola, concisa e riservata: con essa, non scordare, vivi, da essa ti viene la forza per prestarmi ascolto, quando ti dico: Vieni, io ti voglio, non ti voglio amare –
*Da un paio di mesi stiamo cercando di leggere e scrivere io e un barbone di seconda generazione* – cioè io sarei deputato a insegnargli a leggere e scrivere, ma non avendo io alcuno strumento didattico, insegnare è una parola forte: è come se io presumessi di salvarlo, quando poi lui in effetti si chiama Salvatore. Quando ti ho risposto la prima volta, ti “conoscevo” per la tua sequela di bestemmie in veneto: qualcuna l’avevo messa pure io, e potrei aggiungerne altre (per restare sul terreno estetico: dio bruto, dio bruto ben…). Ma se non mi faccio capire, la “colpa” tenderei ad attribuirla a chi ha preso l’iniziativa (cioè a chi non si è fatto capire). Celan comunque ride, a veder gli umani…
In generale: Temp ha ragione ad attribuire certe stonature delle traduzioni dal tedesco agli stilemi 8/9centeschi di cui sono imbibiti i traduttori. Un altro handicap è ritenere per asperità del tedesco asperità solo traduttorie. E così quando per i crucchi il discorso fila, noi lo incrucchiamo/incricchiamo. un esempio?
Finché ti uscì di bocca una parola _ diventa Fin che una parola ti uscì dalla bocca ecc. ecc.
Il risultato: sembra che i poeti tedeschi navighino sempre 1 metro più alto di noi, e di uello che in effetti è.
e l’o über, quanta enfasi ha nell lattura di C? Ti prego, ness1, ascoltalo per me!
Holzwege di Heidi è del 1950. C comincia a leggere H nel ’52, e nel ’57 gli invia un suo poema. Qui, al v. 2, gli Herzwege richiamano potentemente gli Holzwege, via calembour. Siccome C sta parlando di scavi, è dura tradurre sentieri, che stanno in superficie. forse: per condotti del cuore (e in effetti weg non è sentiero. der Weg zum Herzen è la via del cuore: per vie del cuore). Ricordiamo la speranza di un kommendes Wort im Herzen da H, che intanto a un discepolo borbottava: non è detta l’ultima parola (riferendosi ai trascorsi nazi). In effetti ha ragione H, com’è certo che non la dirà lui.
@Helena
Giobbe perse la pazienza (le zecche no!), e cominciò a imprecare, a sfidare dio. Gli amici accorsero in aiuto, per moderarlo, per farlo tacere: ma lui li rifiutò in malo modo. Perciò smetti di fare l’amica di C, traduci “contro” invece di “incontro”, e lasciagli affilare i suoi coltelli di bestemmie e preghiere!
@ db
Mi rincuori, e non poco: ogni volta che ho letto quel testo, per me è stato sempre e comunque “contro”: proprio perché, a mio modestissimo parere, tutta la sua opera è un mareggiare, dalle onde affilate come “coltelli”, tra bestemmia e preghiera: laddove la bestemmia è l’unica preghiera di chi vuole ritornare alla polvere “libero da ogni preghiera”.
Dopo venticinque anni che leggo i suoi testi, e nella consapevolezza che ci sia poco da capire e da spiegare, di fronte a una parola che chiede soltanto (o prima di ogni cosa) di “essere”, ho provato spesso a “immaginare”, visto che non mi restava altro, l’ultima pagina che ha scritto.
Se la recupero, ve la passo… Posso?
@ db
“Un altro handicap è ritenere per asperità del tedesco asperità solo traduttorie. E così quando per i crucchi il discorso fila, noi lo incrucchiamo/incricchiamo”
Sono d’accordo.
Lo incrucchiamo anche perchè confondiamo la natura della lingua con la lingua del poeta. Bisogna essere fedeli alla parola del poeta e porsi di fronte alla natura della lingua con spirito traduttorio.
Se la frase secondaria tedesca mette il verbo in fondo in italiano mica lo metto tipo “voglio che tu domani un panino imbottito mangi”. Le due lingue pensano e grammaticano diversamente.
Se il poeta però dice “mild” mi dovrò temperare la mente per capire che cosa quel “mild” sia davvero, prima di trasportarlo disinvoltamente nella mia lingua mammuccia.
Insomma, la fedeltà è al poeta, non al nastro trasmettitore, o almeno al nastro trasmettitore finchè non cozza a testa bassa contro la lingua in cui traduco.
Dico questa cosa così banale solo perchè spero che passino i due traduttori che con la complicità di un editore demente hanno pubblicato un mezzo lavorato e l’hanno chiamato “traduzione d’autore”.
Dico il peccato e non il peccatore, come vuole la signorina Letizia, e perchè non sono vendicativa, ma i miei venti euri chi me li torna?
Scrive Michele Ranchetti in “Nota sul tradurre Celan” (in “Sotto il tiro di presagi”, op. cit.):
“…
Il carattere realistico della poesia, visibile anche nella cura della sua forma grafica, degli spazi vuoti e della distanza fra le righe e le parole, nella stessa calligrafia degli originali manoscritti, dovrebbe suggerire, nella versione, l’individuazione di quei particolari del mondo materiale di cui è composta, evitando il ricorso ad espressioni astratte e a locuzioni inusitate e ricercate per rispettare la relativa “normalità” della lingua. Naturalmente, questo non è sempre possibile, in particolare perché la costruzione della lingua di Celan (un tedesco non letterario e in un certo senso non dotto, non “nobile”, cui non è estranea la lingua parlata della popolazione ebraica della Bucovina) abbonda di parole composte, la cui resa, oltre che forzata, è sovente arbitraria (la prevalenza nell’italiano della prima piuttosto che della seconda parte della parola composta determina infatti un’accentuazione o uno spostamento del significato che si riflette su tutta la composizione poetica). Inoltre Celan si avvale di vocaboli tratti dal lessico scientifico (geologia, botanica, mineralogia) il cui equivalente, in altra lingua, non ha quel suono particolare e spesso qurel riferimento o assonanza con altri materiali e vocaboli che esso ha in tedesco: spesso, quindi, a una parola “bellissima” che per il suo suono evocativo ha potuto suggerire una serie di “controcanti” formali, corrisponde in italiano o un nome latino o una parola sgraziata che ferma il ductus poetico su un accidente introducendo un elemento di materialità sorda, inerte.
…
Nella versione italiana, che non può non tendere a unificare i diversi elementi della composizione in un solo stile, è difficile se non impossibile non produrre una sorta di abbellimento del tutto contrario all’intenzione di Celan. Così, forse inevitabilmente, le poesie tradotte risultano appiattite in un linguaggio relativamente omogeneo e talvolta più “poetico” dell’originale, mentre vanno perdute asperità e rotture che contraddistinguono la poesia di Celan. Inoltre il lettore deve ricordarsi che per Celan la memoria in un certo senso non conosce il tempo, l’accaduto e il presente appartengono a una stessa “durata”, i particolari dell’esperienza e i particolari della riflessione non si distinguono fra loro.
…
Una delle ragioni della apparente difficoltà della sua poesia è appunto costituita da questa memoria del presente che non offre riferimenti precisi ma li presuppone coscienti in chi legge; è un carattere che va molto oltre il “principio dialogico” di ogni poesia, come principio permanente: il tu, in Celan, è ogni volta concreto e presente e provocatore, ma è al contempo, nel presente della poesia, investito, come il poeta che scrive, da un’appartenenza responsabile. Il compito che ogni poesia di Celan si prefigge, è quindi ben più teoretico che estetico, nel proposito di rendere ragione consapevole di un momento di esperienza alla quale partecipano in apparente disordine elementi diversi che dovrebbero comporsi e riconoscersi in un’unità: l’unità di quella sola lingua possibile e significativa.
…”
E si potrebbe continuare a citare a lungo. E ne varrebbe comunque la pena… soprattutto laddove uno avrebbe domande da fare o qualche obiezione da muovere.
p.s.
E’ chiaro che questo non è il testo “promesso”. Per il quale sto ancora (s)pulciando.
Leggo temp e mi domando: ma qui, di questo passo, non succede che tra poco pensiamo le stesse cose nello stesso momento, pur dislocati in remote lontananze? Mira-cula Cel-ani? Amèn.
dottore, ho fatto come ha detto lei, la tisana di petali con l’acido. ma la febbre da cavallo non è passata, e in più è arrivata quella del sabato sera. Montero, monterò a cavallo del pc, e sulle ceneri di ubique erigerò un monumentum a Rilke aere (=aria fritta) perennius. lei vadi intanto, la prego, vadi avanti con the last page…
“Il compito che ogni poesia di Celan si prefigge, è quindi ben più teoretico che estetico, nel proposito di rendere ragione consapevole di un momento di esperienza alla quale partecipano in apparente disordine elementi diversi che dovrebbero comporsi e riconoscersi in un’unità: l’unità di quella sola lingua possibile e significativa.”
Chissà cosa vuol dire in reatà, non è così ovvio. Questa unica (sembrerebbe) forbice possibile tra teoretico ed estetico mi pare tanto riduttiva, come se si potesse classificare una poesia di Celan (e una poesia in generale) solo come un prodotto della mente razionale, analizzabile con le categorie della filosofia, o anche dei dipartimenti di filosofia.
Per la poesia ci vorrebbero parole nuove. O forse alla poesia si può rispondere solo con la traduzione e la poesia. Cioè con un fare che accolga e si metta in colloquio senza la costrizione implicita nel dover presentare quella poesia a un lettore indicandogli il cassetto in cui infilarla.
“è difficile se non impossibile non produrre una sorta di abbellimento del tutto contrario all’intenzione di Celan.”
Chissà, bisognerebbe provare. @Cato, non puoi copiarci qualcuna delle poesie che Ranchetti traduce? Mi piacerebbe vedere fino a che punto questo è vero e che soluzioni ha trovato.
Non ce l’ho questo libro, me lo prenderò. Mi dai i riferimenti più precisi, o li hai già dati?
*
Auf tiefem Grün,
vom Lebensfinger gezeichnet:
die Leuchtspur der Hand,
die Abend und Frühe des Worts griff,
um das nun der Dank
versammelter Fernen aufscheint.
Im Aufgang der Leinwand,
verwandlungswillig:
ein Blau, das emporströmt.
An seinen Ufern, tagweiß:
die Zeit dieses Bildes.
Sie wächst wie dein Auge es will.
*
Traducetevela voi, perché a me spuntano i lucciconi da tutti i pori della pelle.
N.B.
Vi leggo chiari echi jabesiani, ma talmente metabolizzati da diventare tutt’uno col corpo (morente) della sua parola (ad es.: “die Leuchtspur der Hand” e, soprattutto, “die Abend und Frühe des Worts griff”: “le notti e i mattini delle sillabe” del “Libro delle interrogazioni”).
Temp,
le tue obiezioni sullo scritto di Ranchetti sono valide e condivisibili, ma credo vadano riportate non tanto allo spirito complessivo del suo discorso, quanto piuttosto alla mia (arbitraria: diciamo “catizzata”) operazione di estrapolazione di alcuni passi (credo, inconsciamente, proprio ad usum provocationis).
Qui sopra, poi, trovi due sue traduzioni (Wolfsbohne e Niemand); adesso provo a cercare anche quella di quest’ultima che ho postato.
Per i riferimenti bibliografici (e per evitarti di (s)pulciare chissà quanti post):
– Paul Celan, Sotto il tiro di presagi. Poesie inedite 1948-69, traduzione e cura di Michele Ranchetti e Jutta Leskien, Torino, Einaudi, 2001.
– Paul Celan, Conseguito silenzio, a cura di Michele Ranchetti, Torino, Einaudi, 1998.
L’ultimo libro citato non ce l’ho; essendo un’antologia, immagino possa contenere anche la “sua” traduzione di “Psalm”, sulla quale avevo chiesto (invano) lumi alcuni giorni fa. Vedrò di procurarmelo, prima o poi.
“Auf tiefem…”
(Trad. di M. Ranchetti)
Su verde profondo,
dal dito della vita disegnato:
la traccia di luce della mano,
che afferra sera e mattino della parola,
su cui ora appare
il grazie di raccolte lontananze.
Al sorgere della parete,
docile a mutarsi:
un azzurro, che fluisce in alto.
Alle sue rive, biancogiorno:
il tempo di questo quadro.
Cresce come vuole il tuo occhio.
Grazie, mi guardo tutto meglio domani, buonanotte.
Caro dott. Datura, pardon, Saul: la prego, non faccia sciocchezze. Mi permetta, ma la cura non può iniziarla da solo; se vuole che la segua, non deve prendere iniziative personali, soprattutto sulle dosi, né, tantomeno, miscelare o confondere il suo “stramonium” con la mia “stropharia”. Ricordi che soltanto passando dallo “stra” alla “stro” il mio paziente Paolo Francesco Celano è riuscito a staccarsi dalla canna (del gas). Ergo, intus rede, quia in interiore daturae habitat ubiquitas: i.e. dosi massice di acido ascorbico e una suppostina. E ancora, mi consenta, alla sua età meglio togliersi il Montero (?!?) dalla capocchia(m) e dedicarsi, come tutti noi auspichiamo, all’erigendo rilkiano monumento.
Saluti (e salute) mio caro Saul, stìami sempre .(b)ene.
SULLA TOMBA DI RILKE
ROSE, OH REINER WIDERSPRUCH, LUST,
NIEMANDES SCHLAF ZU SEIN UNTER SOVIEL
LIDERN.
Le 29 sept. 56
Cher Monsieur,
pardonnez moi ce papier d’un carnet d’esquisses.
Merci beaucoup de Votre aimable lettre à laquelle je reponds aux quelques questions que vous me posez. Le cachet de RMR était en cuivre ou peut-etre plus tard en argent; il n’avait pas de couleurs et il ne m’a jamais parlé qu’il a été en couleurs.
D’après ce cachet j’ai fait faire les armoiries sur la pierre tombale par le sculpteur Van Dongen qui habitait à ce temps à Etang La Ville-Marly. Pendant le trajet la pierre s’est brisée, j’ai été malheureuse – mais pendant les années cette brisure s’est cicatrisée comme une plaie qui se cicatrice.
Baladine Klossowska
P.S.
Je sais par mon amie Madame Wunderly Volkart qui a été dernièrement à Raron sur la tombe et qui s’occupe de l’Entretien continuellement, que l’état de la tombe était satisfaisant. Mais le grand vent qui règne là haut ne rend pas facile les soins. Elle a toujours l’air comme si persone ne s’occupait, hélas!
La lettera (fin qui inedita) fu inviata dalla Klossowska (Merline, come la chiamava Rilke) all’allora sindaco di Sierre Elie Zwissig, che incontrerà la mittente dieci anni dopo acquisendo ulteriori elementi: “Cette pierre tombale, découverte par Merline, provient d’un vieux cimitière de Longchamp, de la tombe d’une nonne, dont l’inscription a donc été effacée par le sculpteur Van Dongen, frère du peintre Cornelius Kees”.
Se esaminiamo il testamento che Rilke stilò la sera del 27 ottobre 1925 a Muzot, colpisce la fedeltà assoluta con cui Merline si attiene alle ultime volontà. Scrive infatti il poeta: “Aborro lo stile geometrico degli scalpellini d’oggi; forse sarà possibile acquistare una vecchia lapide (empire, ad es.), come successe a Vienna per la tomba di mio cugino. Si cancellino le iscrizioni precedenti e si faccia scolpire: lo stemma, il nome e, un po’ staccati, i versi
ROSA, CONTRADDIZIONE PURA! VOGLIA
D’ESSERE IL SONNO DI NESSUNO SOTTO SI’ TANTE
PALPEBRE.”
Il 29 ottobre Rilke consegnerà in busta chiusa il testamento a Nanny Wunderly (la stessa che trent’anni dopo s’occupa ancora fedelmente della tomba). Morirà il 29 dicembre 1926, e verrà tumulato di lì a quattro giorni nel cimitero attiguo alla chiesetta di Raron. Una croce in legno attenderà per qualche mese la lapide, che le si affiancherà sino ad oggi.
La prima versione dell’epigrafe risale a metà ottobre: diversa solo per un dopo , è preceduta dalla prosa “Cimitière”, che ne costituisce dunque l’avantesto.
Y a-t-il un arrière-goût de la vie dans ces tombes? Et les abeilles trouvent-elles dans la bouche des fleurs un presque-mot qui se tait? O fleurs, prisonnières de nos instincts de bonheur, revenez-vous vers nous avec nos morts dans les veines? Comment échapper à notre emprise, fleurs? Comment ne pas être nos fleurs? Est-ce de tous ses pétales que la rose s’éloigne de nous? Veut-elle être rose-seule, rien-que-rose? Sommeil de personne sous tant de paupières?
Qui il messaggio è chiaro: la rosa vuol essere lasciata in pace, non coltivata, non colta, non coinvolta nel commercio dei segni (merce-simbolo-allegoria). Inevitabilmente però lo stesso contenuto, rifuso in un’epigrafe, si coniuga altrimenti: ora è il defunto che vuole stare in pace (reiner/Rainer), è il suo corpus poetico (Lidern/Liedern) che rifiuta l’emprise interpretativa, che vuole sottrarsi alla metempsicosi ermeneutica, alle mille vite del senso. E a partire dal Lied che esprime questo gran rifiuto, ossia dall’epigrafe stessa.
Quanto alla forma dell’epigrafe, essa richiama quella canonica dell’haiku. Poche settimane prima, da Parigi Rilke aveva recato un libro di Paul-Louis Couchoud, Sages et poètes d’Asie, uscito nel 1916 presso Calmann-Levy. Il cap. II, “Les épigrammes lyriques du Japon”, contiene appunto un florilegio di haiku: Rilke ne trascrive ventinove, e il 26 novembre li invia in dono a Sophy Giacque. Come gli acquarelli dell’amica, l’haiku esprime l’autarchia delle cose, il loro riposare su se stesse, il loro sottrarsi all’uso e all’usura: come le amate mele di Cézanne, come la rosa dell’epigrafe…
Resta invero una crepa, una brisure traverso cui l’haiku si apre ancora al mondo degli umani: secondo le parole di Couchoud riprese da Rilke, esso provoca “un bref étonnement fait cepandant pour arreter longtemps celui qui le rencontre”. Ora, questo varrà a maggior ragione per l’epigrafe, la quale istituzionalmente è volta a colpire l’attenzione del passante imprimendosi nella sua memoria: la rosa vuol essere dimenticata, ma l’epigrafe vuol essere ricordata, vuole che la rosa sia ricordata. Così dunque il tutto si presenta come “contraddizione pura”, come doppio legame che respinge e attrae, che invita a passar via e costringe a restare, che rifiuta gli usi e supplica una cura. Ma non è questo forse il paradosso di ogni dialogo coi morti? E non conterrà mai quel “sonno di nessuno” il sogno di una filo-logia?
Come vedete, il 29 settembre ha colpito ancora. Rileggendo, qualche refuso (oltre ai corsivi e ai circonflessi saltati)
cicatrise invece di cicatrice
personne invece di persone
diversa solo per un dopo , leggi: diversa solo per un dopo ,
diversa solo per un dopo , leggi:
diversa solo per un [ : ] dopo [ Widerspruch ],
Molto bello, db, davvero: da leggere e rileggere. Le domande finali le ho già trascritte nel mio breviario. Grazie.
Buonanotte.
… dottore, dottore… casomai si svegliasse per la pipì… sono caduto dalla paella alla brace. maledetto take-away! mi sono vomitato tutto addosso sui pantaloni bicolori a zampa d’elefante (a prop., lo vede che sono malato davvero, che le ho parlato di Montero quando era Tony Manero? son cascato nel lapsus un’al Travolta, collassato, e poi mi son bruciato la camicia a fiori con la canna! Basta acidi comunque, glielo prometto! Adesso sto un po’ meglio, e la tisana l’ho presa come ha detto lei, inzuppandola con lo strophinaccio e passandomela sulle zone erronee. Mi vedo solo le dita della mano verdi, e la parete tenderebbe a scorrere verso l’alto, e mi sembra tutto bianco, giorno, e l’occhio destro va e viene quando vuole, anzi mi sa che cresce… non è che con tutto ‘sto stramonio andrò in stramona? … dottore…
@Temperanza: Ciao, mai stato nelle mie intenzioni “mettere ordine nella rete”, essendo appunto impossibile (e anche inutile, in fondo: come voler mettere in ordine una pattumiera, o una fossa biologica!?): mi basta ci si metta d’accordo per capirsi (non è poi difficile ed è assai utile), tutto qua.
E’ vero, il pc si spegne. Ma non si fa lo stesso con la vita. E siccome a me le parole fanno un certo effetto (e se non c’è una persona a dirle ma solo un monitor dove son scritte, si fan più ‘pesanti’ che mai specie se toccano certi nervi scoperti), me le porto dietro anche a spina staccata. Un relax!
Precisazione: io il tedesco non lo so. Mi piace molto sentirlo parlare nella poesia (meno in altre situazioni, ma è bello per es. in una famiglia) e c’è un poeta di Venezia (Held) che è bilingue e che, se lo parla (l’ho sentito in più occasioni dire Kafka o anche lo stesso Celan), mi dà belle sensazioni.
(Povero popolo d’impotenti postanti! L’allitterazione a inizio parola, dici è tipica del tedesco: mi spieghi questa tipicità, grazie! Sto dando un occhio al Canzoniere eddico – è in antico norreno, parente del tedesco – e pure là c’è questo frenquente ricorrer della figura retorica dell’acroallitterazione.)
@ Cato: L’oligoetc. mira al fatto che il cerchio degl’intendenti si restringe da sé nel momento in cui chi si esprime dà per scontate cose note solo a pochi! Poi queste più sopra son per quanto riguarda le mie “competenze” (parola che mi richiama brutte assonanze con competere-competizione).
Ti ringrazio per il benvenuto ‘ufficiale’, e tutto il resto. Spero sia ora più chiaro che non m’importa un piffero definire LA poesia etc., e che quello che dico concerne quel po’ di essa con cui mi ritrovo ad aver a che fare. Nient’altro quindi. Non certo dottrina, ma semplice esperienza personale.
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Da qui (in quanto ness1), provo a dire due cose (incluso ciò che ho detto nel post prima di questo su poesia e traduzioni, a far da base essenziale). Passo indietro: un altro poeta ‘nobellino’ (Brodskij) disse “Io credo che ciò che facciamo in poesia sia semplicemente cercare di spiegare la Bibbia.”.
Io prima di esprimermi su qualcosa che sento densissima e difficilissima, ci metto ‘na vita: devo metabolizzare. Ecco perché non giudico migliore un modo o l’altro di tradurre etc. Faccio fatica a capirmi da me, figuriamoci a capir Celan. Coi problemi che ho con l’italiano, poi: madrelingua straniero!
Niemandrose: Celan lo dedica a Mandel’stam (altro russo). Bisognerebbe aver presente, credo, un po’ anche questo poeta e il lavoro di traduzione di Celan sulle sue poesie (coevo alla composizione dei propri testi)… Non è che sia un esperto, ripeto, ma è un rimando che non lascerei in ombra.
(Qualcuno ha detto che i poeti parlano sempre con altri poeti, che anzi la poesia stessa non è altro che questa conversazione sempre in atto. Così, Celan aveva presente Mandel’stam – i testi, ma pure la vita – finché faceva Niemandrose: tanto che glielo dedica. Lo dedica a un morto. Attenzione.)
((Devo meglio addentrarmi nel testo – anche se addentrarsi in Celan non è cosa facile, specie per me. Dico solo alcune cose che mi vengono in mente nel frattempo. Forse appaiono slegate, ma non lo sono. Riferite solo a certi punti del testo, ma attraverso questi rimandano oltre. Almeno mi pare…))
Tolgo le parentesi, tanto è uguale. Altro passo indietro: Holderlin dice che, così come la poesia inverte l’ordine delle parole, è possibile inverta anche quello delle frasi. Così mi vien da fare una prova qui: Da terra e polvere, Nessuno più c’impasta (un esempio-errore, tanto per vedere che succede).
(E dàgli co’ ste parentesi! Scusate, devo cambiare tono: didascalie, come in teatro gli “a parte” o “tra sé”. Polvere: in italiano 3 sillabe, sdrucciolate – con dentro il vento che la spazza via. In tedesco è secca, come un pugno: staub. Fate orecchio ai valori fonetici, che son pur semantici, delle parole.)
Nessuno parla |nella| nostra polvere. Perché in fondo, che siamo: appena polvere soffiata dalle labbra di un Dio, bacio vivente dell’eterno amore (è Buber che in modo simile parla di non ricordo adesso quale passo biblico). Nel mio esempio-errore al posto di “ancora” è emerso un “più”. Definitivo.
C’è stato un evento, nella storia umana: paragonabile al Bereshìt-Genesi. Fatto ugualmente potente, ma di segno opposto. Qualcosa come il Cristo, ma convertito al negativo. Ciò che ne resta e chi ne risponde, è Niemand. (Sto semplicemente lasciando agire ciò che so alla luce di ciò ce non so…)
(Ancora, mi viene in mente: Ask the dust – Chiedi alla polvere, di J. Fante. Qualcosa di simile c’è anche qua. Un cercare risposta in ciò che è andato. Finito. Chiuso. Stop. Basta. Più. Ormai. “Compiuto”. Amen. Un amen come quello di Cristo spirante in croce, però. Abbà, Padre: perché c’abbandoni?)
((Una piccola digressione botanica, spero utile: la ‘biancanima’ dell’ultima strofa a me ricorda, non so perché, il biancospino o prunalbo. Fiori bianchi e frutti a bacche rosse: somiglia proprio a com’è fatta – cosa dice – questa strofa. E la porpora cardinalizia è assimilata al sangue di Cristo e martiri.))
((Ancora: su Google si trova che il biancospino “è simbolo d’amore, come testimonia una leggenda molto popolare in Germania, intitolata ‘Il bel biancospino’, che racconta di un uomo che si riscatta dei torti fatti subire alla sua bella innamorata regalandole una pianticella di biancospino.”!)))
Ultima (nell’ordine del caso): De Luca in Nocciolo d’oliva (p. 52) dice: “la misteriosa espressione che descrive l’intenzione di Dio nel creare la donna [ma in fedeltà all’ebraico letteralmente dovremmo dire: uoma!]: ‘Farò per lui un aiuto come |d’innanzi e contro| a lui’ (Gn 1,28)”. Da qui l’entgegen?
Bon, ho aggiunto un altro po’ di carne al fuoco (‘mazza che macabro m’è venuto, ‘sto doppiosenso involontario!). Direi che cose da approfondire ce n’è un bel po’, ormai. Io credo che un testo sia intraducibile, e che forse siano “fantasie di avvicinamento” (Zanzotto) ogni traduzione e ogni lettura.
(@Cato e Temperanza: “L’ultimo libro citato [Conseguito silenzio] non ce l’ho; essendo un’antologia, immagino possa contenere anche la ‘sua’ [di Ranchetti] traduzione di Psalm” – volevo solo dirvi che è sì un’antologia, ma solo delle 300 poesie circa che Celan laciò inedite: non ci sta Psalm.)
Caro Saul, mi spiace arrivare solo ora e spero tanto di poterle essere ancora d’aiuto. Purtroppo ho passato l’intera nottata accanto a Paolo Francesco Celano: quel ragazzo (!?) è convinto che solo il “ritorno alla canna” sia l’unica soluzione praticabile per lui, visto che della sua “stropharia”, a quanto sembra, a niuno gliene cale: una delle ricadute di cui le parlavo qualche notte fa, anche se credo ancora possibile riprenderlo, sia pure per i capelli. Vengo a lei, dunque. Ho appena parlato al telefono con un mio illustre collega, nonché praticante della “materia”, il dott. Blixa Bargeld, e siamo d’accordo nel proporle una soluzione “sonora” d’impatto, anche se i suoi frutti migliori li dà nelle ore notturne, e soprattutto se si abita in un condominio. Vedrà che dopo la prima “applicazione” (ecco, provi subito stanotte stessa) le passerà la voglia di paellarsi col takeaway e con altresimili porcherie psicoalimentari (la causa prima delle sue dis-turbe, come mi è dato di credere dall’esterno): le passeranno anche altre voglie per un po’, tra cui quella di deambulare e di usu-fruire delle zone erronee, ma vedrà che dopo una, al massimo due sedute, si sentirà come rinato, diciamo ri-fatto. Prenda nota, adesso, e segua correttamente la procedura, iniziando il percorso verso le due di notte: 1) si tenga in abitini leggeri leggeri, una canottierina al massimo (attutire i “colpi” che le arriveranno, serve solo a dimidiare la portata bene-fica della cura); 2) si precluda ogni via di fuga chiudendo qualsiasi locale nel quale potrebbe trovare rifugio (nel caso, butti via le chiavi); 3) lasci aperta l’entrata principale della sua magione (non può frapporre ostacoli all’arrivo di coloro che tra poco verranno a portarle la guarigione sulla punta di una mazza da baseball); 4) predisponga l’impianto stereo sulla linea max della manopola volume; 5) metta sul piatto (?!) o nel lettore una copia di Halber Mensch degli Einsturzende Neubauten (se vuole un trattamento più vigoroso, effetto pillola blu, può provare con Kollaps o, meglio ancora, con Zeichnungen das patienten OT); 6) ora stia calmo, è solo questione di attimi: li sente? stanno già arrivando (non si agiti, solo i primi colpi fanno male, gli altri non li avverte quasi più); 7) …
p.s.
Se all’improvviso, come in sogno, le sembra di udire in lontananza il suono di una sirena, si rilassi (ce la fa?): alla guida ci sono io.
dottore, non è che va a finire come con la padellata data in testa al paziente in Romacittaperta, che poi ci vuole l’estrema unzione? E poi le devo confessare una cosa: con Blixa mi sono già bruciato, anzi con lui sono cominciati i miei guai. Fino ad allora ero “normale”, e da normale accompagnai l’amico crucco wowe al concerto degli ossimori, all’Alcatraz: lui aveva il pass da fotografo, e io il sottopass da aiuto-fotografo, che ho cercato di sfruttare al massimo, ossia innanzitutto entrando gratis, ma poi soprattutto… ecco, il guaio è che i 2 avevavo una session fotografica in camerino prima del concerto, e io, una volta piazzato il cavalletto e scartucciato qualche rullino, me ne sono andato al bar, dove ho sorornizzato con la barista e… miracolo! sottopass+ruffianamento davano diritto illimitato di consumazione. Sicché la prima volta ordinai 1 negroni, e poi sempre e solo il solito… diciamo per 1 oretta abbondante. poi ritornato in camerino, mi sono scandalizzato per il bicchiere d’acqua che teneva in mano Blixa, e ho attaccato briga: che era un dandy, ormai finito… ma si son messi a sghignazzare, le loro faccione si deformavano mostruosamente, finché sono kollapsato proprio sulla sedia davanti al kavalletto. così wowe mi ha fatto la foto, ce l’ho sul frigo, ogni tanto la guardo: bei tempi, e bella sedia (comunque, dottore, poi mi sono ripreso e ritornato al banco, da cui non mi sono più mosso per non kollapsare di nuovo, gomiti ben puntati e bibita a gogò. intanto i crucchi sul palco facevano casino, ma non mi disturbavano: era tutto così ovattato… anzi, alla fine al Blixa ho regalato il miniCD del Walrus, che avevamo soprainciso io e Hansebner, l’ostriaco della Mythorecords, e lui mi ha abbracciato – ritraendosi subito – perché guardatè fa la raccolta del Walrus. a prop., lo sa che i mi/re ripetuti all’inizio da John sono le note della sirena che stava andandolo a prendere – il paranoico!)
dottore, in più adesso ho un attacco di gelosia per quel Celano: su, mi faccia vedere quella famosa ultima pagina!
Mi lasci riprendere, la prego, caro Saul, ero s-venuto: Blixa con un bicchiere d’acqua in mano!!!!! Adesso mi manca solo di sapere che Nicola Caverna va a messa tutte le mattine, e posso anche chiudere lo studio e migrare verso il primo monastero utile dell’Anatolia. Ma come tadzio ci siamo ridotti? e ff dov’è? dov’è il dandy?
(Mi tolga una curiosità, dettata solo da esigenze professionali – un po’ come il prete che compra materiale pornografico all’edicola per motivi di studio – : con la barista, poi, come è andata? nisba? nemmeno un’occhiatina? un’annusatina?)
Non sia geloso di Celano, prima o poi me ne libero definitivamente e mi dedico al suo caso (“caso”, caro Saul: non è un refuso, ha letto bene!).
La famosa ultima pagina? Credo che il suo amico Cato (ma che razza di nome è? sembra quello di uno che ha dei problemi con le sue “misure”) l’abbia postata qui sopra, se non mi sbaglio (Auf tiefem); e, se mi sbaglio, vuol dire che anche lui ha bisogno urgente di una sirena…
p.s.
Che bello andarlo a prendere guidando una sirena! Ma no, meglio: che bello andare a prenderlo guidando una sirena. Cambia qualcosa?
Questo protocelano del Salmo 103 è già stato segnalato?:
Perché egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
Come l’erba sono i giorni dell’uomo,
come i fiori del campo, così egli fiorisce.
Lo investe il vento e più non esiste
e il suo posto non lo riconosce.
@db: te ‘o dicea io…
@Ness1
Brevissimamente perché pesco nei miei ricordi scolastici, perciò se ti interessa ti consiglio di cercare più luminosi lumi altrove, ma come primo assaggio:
Il verso della poesia tedesca delle origini (salvo qualche formula magica, che farebbe pensare anche a una rima autoctona) è un verso breve e allitterante, cioè non ripete la sillaba finale, come da noi, ripete invece la consonante iniziale di quelle parole che nel verso hanno l’accento principale.
Il verso allitterante è il verso dei grandi poemi delle origini, più adatto della rima all’antica poesia germanica che vive soprattutto di energia. E’ più enfatico del verso in rima (noi del resto non allitteriamo in senso stretto, perché la nostra allitterazione è sillabica e presenta sempre anche la vocale), più patetico e disarmonico ed è basato sull’accentuazione radicale della parola nelle lingue germaniche.
La rima entra nella poesia tedesca (a parte le formule di cui ho detto) con la poesia latina religiosa, e se non ricordo male in particolare con la poesia mariana (le litanie). Qui ho un ricordo personale su Brodsky, che tu citi, aveva una sua teoria del tutto balzana su questa faccenda dell’ingresso della rima e siccome aveva preso il nobel la gente gli andava dietro.
Certamente l’ingresso della rima deve essere stato uno choc per le culture germaniche con le loro parole caratterizzate dalla ritrazione dell’accento mobile dell’indoeuropeo sulla prima sillaba della radice. Sfruttando il tono martellante di quella ritrazione si era formata la poesia eroica, non era un fatto puramente metrico. L’ingresso della rima è coinciso con il definitivo abbandono della fede delle origini, e anche qui non si è trattato solo di un cambiamento metrico, è stata forse la più grande forma di colonizzazione nella storia europea, con i vinti che si gettavano da soli nelle fauci culturali del nemico, come noi stiamo facendo da decenni con la cultura americana. Si gettavano in parte, anche se non tutti erano d’accordo, ventimila sassoni, sempre che non ricordi male, si sono fatti tagliare la testa, prima di passare al cristianesimo: Ma anche qui, se gli spargimenti di sangue ti interessano:–) verifica perché la mia cultura risale a parecchi lustri fa.Con questo passaggio in ogni caso nasce l’Europa, cosa nasca qui da noi non si sa.
A proposito di indoeuropeo, c’è un signore (non so se ancora vivo, piuttosto famoso e di cui l’alzheimer mattutino mi vieta il nome) che sostiene contro tutti i suoi colleghi che l’indoeuropeo non esiste, ma finchè non si mettono d’accordo restiamo legati a questa convenzione.
Una piccola nota sulla traduzione e sui prodotti locali che ne derivano, e qui chiedo lumi a @db.
Io sono sempre molto irritata da certe scritture filoheideggeriane che esaltano il suffisso anche in una lingua come la nostra che di suffissi non vive se non im modo parziale. E’ possibile che sia una specifica lacuna dei filosofi che non conoscono abbastanza la storia e la natura della lingua tedesca? O è una scelta motivata?
Dio, come l’ho scritto male, spero che si capisca.
con questa schifezza: “si gettavano in parte, anche se non tutti erano d’accordo, ventimila sassoni, sempre che non ricordi male, si sono fatti tagliare la testa, prima di passare al cristianesimo”
volevo dire che non tutti i popoli germanici si sono buttati allegramente a capofitto nel nuovo che avanzava, i sassoni erano incazzatissimi e piuttosto che farlo ventimila di loro si sono fatti tagliare la testa.
Questo volevo dire, ma poichè lo ripesco dalla memoria e non da un testo, prima che anche voi memorizziate la causa della mattanza vi invito a controllare:–)
E’ scorretto da parte mia diffondere possibili leggende metropolitane, ma domenica, chiedo venia.
Benedici, anima mia, l’Eterno; e tutto quello ch’è in me, benedica il nome suo santo. Benedici, anima mia, l’Eterno, e non dimenticare alcuno de’ suoi beneficî. Egli è quel che ti perdona tutte le tue iniquità, che sana tutte le tue infermità, che redime la tua vita dalla fossa, che ti corona di benignità e di compassioni, che sazia di beni la tua bocca, che ti fa ringiovanire come l’aquila. L’Eterno fa giustizia e ragione a tutti quelli che sono oppressi. Egli fece conoscere a Mosè le sue vie e ai figliuoli d’Israele le sue opere. L’Eterno è pietoso e clemente, lento all’ira e di gran benignità. Egli non contende in eterno, né serba l’ira sua in perpetuo. Egli non ci ha trattato secondo i nostri peccati, né ci ha retribuiti secondo le nostre iniquità. Poiché quanto i cieli sono alti al disopra della terra, tanto è grande la sua benignità verso quelli che lo temono. Quanto è lontano il levante dal ponente, tanto ha egli allontanato da noi le nostre trasgressioni. Come un padre è pietoso verso i suoi figliuoli, così è pietoso l’Eterno verso quelli che lo temono. Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siam polvere. I giorni dell’uomo son come l’erba; egli fiorisce come il fiore del campo; se un vento gli passa sopra ei non è più, e il luogo dov’era non lo riconosce più. Ma la benignità dell’Eterno dura ab eterno e in eterno, sopra quelli che lo temono, e la sua giustizia sopra i figliuoli de’ figliuoli di quelli che osservano il suo patto, e si ricordano de’ suoi comandamenti per metterli in opra. L’Eterno ha stabilito il suo trono ne’ cieli, e il suo regno signoreggia su tutto. Benedite l’Eterno, voi suoi angeli, potenti e forti, che fate ciò ch’egli dice, ubbidendo alla voce della sua parola! Benedite l’Eterno, voi tutti gli eserciti suoi, che siete suoi ministri, e fate ciò che gli piace! Benedite l’Eterno, voi tutte le opere sue, in tutti i luoghi della sua signoria! Anima mia, benedici l’Eterno!
Razza di salami, tinelli imbiancati! Non vedete che questo thread* è affilato di bestemmie e preghiere?
*aram., stilo svizzero
Denn er kennet, was für ein Gemächte wir sind; er gedenket daran, daß wir Staub sind. Ein Mensch ist in seinem Leben wie Gras; er blühet wie eine Blume auf dem Felde. Wenn der Wind darüber geht, so ist sie nimmer da, und ihre Stätte kennet sie nicht mehr.
ho partorito un topolino!
Lodato sii, Nessuno.
(ma mi è venuto un fibroma, il 103: se C avesse scritto/inteso: Niemand gedenkt unsern Staub… invece di bespricht…)
devo 1 risposta a temp: secondo me i filosofi italiani usano le lineette staccaparole per
a) dimostrare che hanno fatto il classico e sanno le etimologie
b) ammiccare al lettore, tipo: hai capito no che sono intelligente? beh, allora sei intelligente anche te!
chiedo 1 risposta a temp: ricontrolla, please, il besprechen nel Grimm, se per caso vuol dire “consolare” o qualcosa che si relazioni più al gedenken che allo zaubern. Grazie
Nessuno considera la nostra polvere. (tipo Besprechung…)?
http://germazope.uni-trier.de/Projects/WBB/woerterbuecher/dwb/wbgui?lemid=GA00001
@ db
Grimm, besprechen
1) (einen besprechen), ansprechen, anreden, alloqui, compellare
2) (einen besprechen, etwas besprechen), in anspruch nehmen, ansprechen, zumal auf dem wege rechtens
3) ( besprechen), bereden, bedingen, bestellen, pacisci, mandare, engl.
bespeak
4) (besprechen), bereden, disceptare
5) (besprechen), mit feierlichen worten, incantare
6) (sich besprechen), colloqui, sich unterreden, über etwas verabreden, einigen
Avessi un micro-scanner farei di meglio, se una delle voci ti interessa di più posso aggiungerti qualche esempio.
grazie a temp e a miku, il frontenuvolo bombarolo di Dresda!
sul besprechen mi ha ingannato il Sansoni, che dà solo 1. discutere (di) 2. recensire 3. scongiurare. Invece bisogna riprendere il significato principe di besprechen: alloqui/compellare (ansprechen/anreden). Ora, in latino entrambi significano “rivolgere la parola”, ma alloqui per consolare, compellare per condannare. Perciò
“insuffla la vita” di Bevilacqua è balordo (Dio tra l’altro non parla all’argilla, soffia solo)
“dà parola” di Reitani è perverso (dà invece di “prende”)
“parla” di Helena è corretto, ma timido
Ragionerei così. Salmo attacca con un riferimento univoco a Gn 2, 7.
1. Sulla scia, saremmo portati alla polvere di Gn 3, 19, dove appunto Dio rivolge la parola ad Adamo (lì c’è Erde, ma Salmo 103 riformula in Staub), e dunque a tradurre: nessuno condanna la nostra polvere (o maledice = condanna in nome di una giustizia superiore, Devoto-Oli). 2. Oppure potremmo collocarci dentro Salmo 103, dove la polvere è redenta da un dio pietoso e benigno, e dunque tradurre: nessuno consola la nostra polvere.
Cosa succede però? Se vale la 1., i primi due versi vanno d’intesa: Dio non ci fa del bene (non ci ricrea e poi non ci consola). Se vale la 2., i primi due versi vanno per contrasto: Dio non ci fa del bene (non ci ricrea), né del male (non ci maledisce) – semplicemente, non fa nulla, perché non c’è. Questo né bene … né male di Dio si ripeterebbe poi sublimemente nel per … contro degli uomini. Perciò alla fine tradurrei:
Nessuno maledice la nostra polvere.
Ma beati i timidi, perché di loro è il regno di Celan.
…”insuffla la vita” di Bevilacqua è balordo (Dio tra l’altro non parla all’argilla, soffia solo)…
Non sono d’accordo. (Cfr. Cato, 2 settembre, alle h 00.51)
Scusate l’autocitazione, che fa sempre un po’ cgr, ma ho problemi a connettermi (anche con me stesso).
eccoci qua, coll’interpretazione catonica del 2 settembre, la quale ha il pregio di concentrare in poche righe una tradizione millenaria.
a) Gn. 2, 7: “gli soffiò nelle narici un alito vitale, e l’uomo divenne un’anima vivente”. Dio espira per la bocca, il golem inspira per il naso, e così Dio passa all’uomo l’anima/vita. Da qui respiro-spirito, lo spirare. Ma per gli stessi organi passa la parola: flatus vocis per i medioevali, soffio di voce (dove flatus è per metonimia anche soffio vitale).
b) Gv., 1, 1 e 14: “In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio… E la Parola è stata fatta carne”.
Per via di scorrimenti metonimici, condensando a) e b) vien fuori che Dio/Parola s’incarna nell’uomo. In questo senso, ogni parola di Dio nella Bibbia è insufflamento/incarnazione. E allora ad es. “Dio disse: polvere eri”, è come “Dio insufflò:”. MA: non tutti i flatus sono vocis, come non ogni soffiare è un parlare (né un fischiare), non ogni blasen è un (be)sprechen. Sicché per la smania di mefaforizzare/filosofeggiare si perde la specificità dell’atto/verbo, e si va incontro a fraintendimenti gravi (come qui, di riportare il parlare di Dio all’iniziale insufflamento).
Non è, Cato, che a forza di gnosi mi diventi catotonico?
traducendo “insuffla” Bevilacqua tradisce la lettera per lo spirito – ossia tradisce lo spirito della traduzione. ah Miku, ah Signore degli eserciti! (Is. 19, 25 e 22, 12)
Tornando alla lettera del Salmo 103, 14-16:
Denn er kennet, was für ein Gemächte wir sind; er gedenket daran, daß wir Staub sind. Ein Mensch ist in seinem Leben wie Gras; er blühet wie eine Blume auf dem Felde. Wenn der Wind darüber geht, so ist sie nimmer da, und ihre Stätte kennet sie nicht mehr.
Perché Lui sa di che pasta siamo; Lui si ricorda che siamo polvere. Nella sua vita un uomo è come erba; fiorisce come un fiore nel campo. Quando lo spazza il vento, non esiste più, né più conosce il posto suo.
Il passaggio di metafora da polvere a fiore (via erba/cannabis) DIMOSTRA il calco/imprestito del Salmo di Celan dal Salmo 103. Celan dedica 2 strofe alla polvere e 2 strofe al fiore (via niente).
ACHTUNG: l’intero Salmo 103 (1-22) tesse le lodi del dio benigno – fuorché 14-16, dedicati alla miseria umana (lo stesso che estrapolare la miseria/protesta di Giobbe senza happy end). Con ciò cade la religio, il legame con dio, e il salmo, così mozzo, si fa oggettivamente blasfemo (proprio come il Salmo di Trakl, che C conosceva bene)
L’uomo è una canna (e daje!), ma una canna che pensa. Pascal pensava al fiore spazzato via dal vento: dal suo pensare si apriva a Dio. E qui? C’è un movimento analogo (e assente in Salmo 103). L’uomo è un niente, ma un niente che fiorisce. Heine, coi tessitori, era stato più fedele al Salmo parlando di un fiore schiacciato. Invece Celan individua un’apertura, l’apertura del canto/corolla: la sua religio, almeno qui, è la poesia.
Catotonia serotina in forma di autobiologografia
Io fummo, siamo e
resteremo sempre un
ateo che
fiorisce, la preghiera
di nulla, di
nessuno.
@ db
Ci sono parole che acquistano il loro vero significato solo dal fondo di silenzio in cui si ascoltano. L’abisso è una pupilla in attesa. Il tempo rovesciato di ogni lettera.
Tradurre è oltrepassare. E la parola poetica una soglia. Un varco che immette in terre d’increato. Dove il silenzio è madre. Un corpo a cui si torna per cammini di lacrime invernali.
Guardo la mano mentre stringe i segni che l’inchiostro piange dai miei occhi. Guardo la mano che scrive il suo profilo d’ombra. Una traccia per la morte che ci precede e segue in forma di stagioni.
Proprio sui margini è il primo passo. Un alfabeto già respirato dalla sua stessa eco. Voce che dice la sua polvere già nel primo accento. Nel primo grido che non volle farsi ala.
*
la forma che
brancola nel buio del
la mente
sente la pupilla
divaricarsi al passo e
nel respiro
superare il furore di ogni
distanza – ho eletto
a mia dimora la
materia in
differente
di un’
ombra
che resta
ombra anche in pieno
giorno
grazie di cuore, Cato. è come se saliste lo stesso monte, lui coi ramponi, tu con pelli di foca.
2 ricordi, d’infanzia e post-
non si parlava italiano in paese, fuorché talvolta a scuola (giunto a Milano, ho taciuto 1 anno esatto). Girava un refrain:
– Chi è tu?
– Io è un fanciullo di Azione Cattolica
a 13 anni mi hanno messo da assistente al maestro di dottrina cristiana, che ne aveva 16: era appena uscito di seminario (figlio di alcolizzati), e lo adoravo. La prima lezione fu memorabile: appena entrati, i ragazzini facevano casino, comprese parolacce. E lui serafico: “Tosàti, basta coi porchidìi!”. La seconda altrettanto. Commentò il mistero dell’ubiquità così: “Dio è in cielo, in terra, e rasoterra”.
Filosofia, poesia e storie di vita.
Io sono entrato all’oratorio per la prima volta dopo la l’aurea. Volevo farmi di battesimo in lode dell’altissimo che mi aveva concesso di addi-venire a tanto. Mi affidarono a un’anziana maestra di catechismo, Donna Abbondia (di nome e di fatto). Era un periodo in cui la figura di Giobbe mi ossessionava, al punto che appena vedevo una donna l’avvicinavo soltanto per un unico scopo e con un solo pensiero, sempre e solo quello, farle la fatidica domanda: “Lei è Giobbe?”. Feci la stessa cosa con Donna Abbondia, ma solo per sentirmi rispondere: “Ciobbe? Ciobbe? Chi era costui?”. E allora capìi, fui costretto a capire, che fare il catechista è soltanto un mestiere, che Giobbe non puoi chiederlo alla gente, se non vuoi ammalarti del loro identico male, se non vuoi che la giobba ti sfugga di mano. Lo capìi per caso, un giorno, in una libreria, sfogliando “sfogliatamente” un volume che recava in copertina la foto di una che mi sembrava, dal taglio di capelli soprattutto, potesse essere Giobbe. Fu una folgorazione: ero già sulla strada che portava alla prima casa da punta-mento e ancora non lo sapevo: a pagina 351 iniziava un capitolo dal titolo “Il libro di Giobbe e l’uccello”. Non lessi nemmeno un rigo, ero già fuori. Quel giorno stesso persi la mia verginità.
Note (non richieste) a “Filosofia, poesia e storie di vita”.
1) “L’aurea” è il titolo di studio che mi affibbiò mia madre quando, per ragioni***, scrisse di suo pugno le mie generalità sul foglio che un mare-sciallo le fece scrivere in mia assenza (…).
2) Ho preso la mia prima l’aurea a tredici anni. Precoce? Diciamo piuttosto “precotto”: dalle mie parti erano tutti comunisti… Erano…
3) “Sfogliatamente”: avverbio che calza a pennello all’azione di chi, in una libreria, fa finta di leggiucchiare qualche pagina e poi lascia distrattamente scivolare il libro in qualche intercapedine subascellare. Io, ad esempio, frequento quei luoghi indossando sempre un abbondante cappotto. Anche nel mese di luglio.
4) Va da sé che stavo ascoltando in cuffia un De Andre’ d’annata (1971, una delle sue migliori).
5) Il titolo del saggio, con relativo libro, non è un’invenzione estemporanea. Trattasi di “L’uomo e il divino” di Marìa Zambrano, Roma, Edizioni Lavoro, 2001. Ne consiglio vivamente la lettura a db, ai suoi stimati eteronimi e al dott. Miku.
6) Donna Abbondia è esistita realmente: si chiamava Abbondanza (è vero!): che il nulla l’abbia in gloria.
7) Al lettore attento il compito di separare, nel racconto, fiction e faction.
caro dottore, premesso che per me i “saldi di stagione” sono gli avanzi di tempo indecidibili tra una stagione e l’altra (quando si dice ad es: non è più la primavera di una volta, quelle giornate così così), mentre i “saldinbanchi” son quelli che di pundo in bianco saltano sui banchi dei negozi con un capo ascondatissimo gridando eureka!, mi sembra che il suo sia un invito a cominciare con me una psicoterapia, seppure telematica – una teleterapia insomma. Le confesso allora subito che il mio record di peccato è un Bosch 41×29 di kg. 4,9. nella mia memoria, lo chiamo “LA CHIAMATA”, poiché avvenne così: stavo in una libreria a Bonn con il Bosch in mano, passò causalmente un amico che dall’ingresso mi chiamò forte: “SAUL!”: uscii subito sconcertato e via!… il Bosch è nella mia libreria. Per il resto, solo sfogliatine: una sfogliatina e via!, robe da bassa pasticceria. Una sfogliatina cui sono affezionato è “La ripetizione di Bur”, un piccolo manuale per affrontare i debiti del liceo, opera di Severino Camposanto, tra gli studenti detto il Bignami del nord. Il capitolo che mi ha più colpito è “L’uccello di Giobbe e il libro”: non avendo il metro e rifiutando di andare a spanne, se lo misurava con la bibbia, cosa che per imitazione faccio spesso anch’io, nella speranza mai sopita che cresca. E’ normale, dottore?
Quando arriva Arbasino???
Egregio dottor Peyote, venutimi a mancare ultimamente alcuni libri a cui assai tenevo, le sarei grata se dicesse al suo alias venuto di recente a cena a casa mia di pentirsi e rendere il maltolto.
Nel frattempo arrivederci a tutti, ho cominciato a soffrire di una violenta forma asmatica da silicio che mi impedisce di respirare, vado a disintossicarmi.
dottore, avrei trovato un saldo griffato Dolce & Stilnovo, in linguadoca:
NEVAIO
ah pelle di foca,
che dio ti benedoca!
che faccio, dotto’? prendo o lascio?
o prendo DAS DING di Lagenfeld, però contraffatto a Napoli
il coso
è cosa buona
come roso
che come rosa
suona
lo so, c’è saldo e sauldo, ma che fo?
Caro Saul, di gran corsa, per il momento, perché i miei pazienti mi reclamano.
Diciamo che sulla sua “vocazione” non ho mai dubitato: lo conferma “la chiamata”, a cui lei, giustamente, non si è sottratto, e che le invidio tanto, non potendo, al pari di lei, vantare una “fede” così “pesante” e radicale. Però, tanto per dire, le mie “conversioni” sul campo qualche segno l’hanno pur lasciato. Ricordo, maximo cum gaudio, un “Medioevo Fantastico” di Jurgis Baltrusaitis, la prima edizione italiana in assoluto, non la ciofeca incolore che i fratelli calassi hanno ristampato qualche anno fa; un vertiginoso Borges (da estasi santacaterinesca), “Il libro delle visioni”, partorito dalle sapienti mani della premiata fmr (da non confondersi con la sua pfm); più qualche altra “sveltina”, tipo tre gloria e tre pater, ma sempre ben recitati, mi creda. Aggiungo che da svariati anni, ormai, non “prego” più, per tanti motivi (non ultimo il fatto che entro sempre più raramente in “chiesa”: dovrei accendere un cero sotto forma di mutuo ogni volta), ma sono sempre più convinto che “pregare” in casa dei ladri è come innalzare lodi e orazioni a favore dell’umanità tutta. Le ultime preghiere le sto dicendo in casa di amici: come avrà saputo, ultimamente sono stato a cena a casa della dottoressa Temperanza: che biblioteca, pardon, che cucina, ragazzi! L’unica cosa che mi dispiace, è il fatto che, non volendo assolutamente restituire ciò che ho mangiato, e asportato, in/dal loco, so già che non mi inviterà più.
Prenda subito, al volo, Dolce & Stilnovo e il Lagenfeld, anche se contraffatto; il primo in modo particolare: non si lasci mai sfuggire, mi permetta di ricordarglielo, tutto ciò che attiene alla “foca”, a partire dalla sua pelle per finire ai suoi derivati. Anche i surrogati, in caso di prolungata astinenza, vanno bene: sempre meglio che “andarlo a prendere” o “andare a prenderlo” guidando una sirena.
Mi stìi .(b)ene.
fatto! me li son già messi addosso! in più da Stradivarius mi sono regalato un bel CD in supersaldo. L’ho preso a scatola chiusa, per il titolo “Soul”. Ora lo sto ascoltando aiutandomi col libretto. E’ roba strana: leggo che il cantautore, che si sigla D.O., è un trans italo-americano. Tra l’altro, è la prima volta che vedo i testi frammischiati con le note, robba de paura, da far tremare Wagner. tipo la prima
ME, SOUL D.O.
MI LA DO
SOUL, SOL FA
mi dice, mi trasmette qualcosa: ma cosa? è normale, dottore, questa senzazione?
I testi, indubbiamente, sono interessanti, in particolare quel ” MI LA DO”, che, nel suo solo apparente ermetismo, esprime voglia, desiderio di apertura e condivisione, una tensione poiematica che si mostra in tutti i suoi umori, nelle sue pieghe profonde, nelle sue articolazioni non esplorate da troppo tempo.
Per il resto, dovrebbe darmi qualche ragguaglio in più, perché, pur amando io il “soul” in ogni sua veste e forma, non vorrei che lei, trascinato dal troppo entusiasmo, si lasciasse incantare da quel “SOL FA” e lo trasformasse, a sua stessa insaputa, in un “MI SOL FA”, cosa che, a lungo andare, potrebbe spingerla sua via dei trans-iti, sospeso nel vuoto pneumatico di un’attività puramente manuale.
Mi raccomando, caro ragazzo, stìi attento.
anch’io, dottore, preghiere poche: solo quando tutto tace e spengo la luce, mi trovo qualche volta a sussurrare
Grazie.. prego… scusi…
tornerò casomai in futuro sull’argomento. invece ascoltando il CD (com’è bello sentire le parole in viva voce!), il verso dopo le 3 note (mi la do) non ripete la solfa, e suona quasi: sul so-fà. Alla prima seduta (se me la concederà) porto il CD.
PS. ma lei dottore, scusi la curiosità, per caso è younghiano? usa il lettino o che altro? e temp è una sua paziente?
Porti, porti pure il cd, caro Saul, ormai mi ha incuriosito. Ho studiato il suo caso tutto il pomeriggio e chiesto lumi anche a una valente, primoamorosa studiosa del ramo (dottoranda in botanica, oltretutto): la conclusione è che un refuso ostacola la completa, purchiara, intelligenza del testo. Mi dispiace ammetterlo, anche perché ciò mi porta a rettificare, almeno in parte, la mia precedente analisi (e la cosa mi sgarella non poco), ma il secondo verso non è un generico “MI LA DO”, quanto piu-(t)-tosto un “SI, LA DO”, che viene ad enucleare la prorompente forza del principio di realtà dell’atto (ascolto compreso).
Sì, come lei ha ben capito, sono younghiano, da sempre direi: sono un vero studioso, e non solo per dovere professionale, di tutte le sue opere, fin dal primo momento in cui mi sono imbattuto in un suo testo che ritengo insuperato, “The needle and the damage done”. Non a caso il cavallo e l’alligatore sono i miei animali preferiti in assoluto.
Una volta usavo qualsiasi superficie reperibile “alla bisogna”; poi, con l’età che avanza, mi trovo sempre più a preferire la confortevole amplitudine dei letti(ni).
Per quanto riguarda la Dott. Temperanza: senza la sua autorizzazione, non mi è possibile dire nulla, tranne che si tratta della mia virtù preferita.
p.s.
Scusi, ma Arbasino l’ha invitato lei?
p.s.s.
Scusi, ma a lei (la birra) piace bionda o scura? E il “bis” lo concede ancora facilmente, o rimanda al giorno successivo?
Troppo Celan fa male. Ascoltateni, leggetevi un Dylan Dog, bevete un buon bicchiere di vino, e poi … a nanna!
ha ragione: D.O. dice proprio SI. è un ar-rapper, e si mangia le parole (potrebbe essere anche un : SEE). Albertine-Abrasine non l’ho portata io. invece vedo che lascia usare il suo pc alla badante. come sono cambiati i tempi! se penso che per me la badante era quella che puliva col piumino sulla scala… non per metterci malizia, ma avrò avuto 13 anni. SI, 13, perché ero ancora assistente di dottrina cristiana, e da sotto sembrava un ostensorio. e vada per il brulé! ma prima, una curiosità: perché voi psicanalisti quando nominate il vostro maestro Young, snocciolate sempre prima i suoi 3 nomi di battesimo? è un vezzo, o è qualcosa di esoterico-satanico?
il brulé andrà bene coi chiodi di garofano + petali di datura? tipo metadone? le saprò dire domani.
Chiodi di garofano + petali di datura? ottima idea!
Carl Gustav Jung : un mantra.
Sarei io, di grazia, la badante? :-)
ba|dàn|te
p.pres., s.m. e f.
1 p.pres. ⇒badare
2 s.m. e f. TS burocr., in strutture pubbliche, sorvegliante di minori, anziani e inabili .
Se rientrate nelle categorie protette e mi date uno stipendio…
Devo aver esagerato con certe dosi, stanotte, ma Paolo Francesco mi preoccupa sempre più.
Scusi Gabriella, ma è lei che ha invitato Arbasino?
Ha proprio ragione, l’ultimo libro di Dylan Dog è un capolavoro: si ascolta e si riascolta che è un piacere.
p.s.
Piano con i petali di (saul) datura.
nessun dorme
Arbasino? no di certo. Casomai invocherei temperanza.
Guardi, ho seguito tutto questo trhead con grande interesse, poi m’è sembrato di notare un’intossicazione celaniana con effetti allucinogeni, sa Dott. Peyote, io mi preoccupo per lei e per l’altro signore, il signor ubique… buona giornata :-)
nottataccia, dottore: sono rimasto senza chiodi e senza petali, e così ho speziato il brulé con zenzero e zambrano: risultato, ho ronfato fino adesso. guardi che io voglio guarire, mica diventare catotonico. piuttosto torno ai cari cocktail d’antan, tipo il Rosmarin Baby (l’ha mai provato?)!
vedo che la badante ha studiato e sfoggia i Grimm. ma att., se guardasse gli Schlegel (che poi erano i cugini dei fratelli), vedrebbe l’etimo indoeuropeo, la radice labiale/dentale bd: nella regione del Penjub infatti, badanti erano le fattrici di bidi, la famosa sigarettina rosa. Da lì, per varie migrazioni e dopo la colonizzazione dei Malboro, per badante s’è inteso le giovinette con cui si accompagnavano i db – fino all’accezione attuale, che ormai ha compreso anche la c (Cato, Celan ecc.). Sempre nello Schlegel, ho visto un’incongruenza col Grimm: questo per lo psicanalista mi dà Carl Gustav, quello Crosby Still Nash. Penso che abbia ragione anche qui. dott., visto che mi prende, potrebbe anche chiamarmi confidenzialmente l’Essedì.
BuonDì
Oh, per questo andai sei volte in India? Fumavo bidi e ritrovavo le mie radici…
… certo mi piacerebbe suicidarmi
ma in tutte le mie case
le mie poche finestre danno solo sui balconi
Lei mi dirà dottore
che potrei scavalcare la ringhiera
ma è un’altra cosa
e magari
resto appeso al gemello di un polsino
e poi dottore
io sono nato per volare
Ma state parlando di Maria Zambrotta o di Gianluca Zambrano?
Fiumi di parole…
dunque il Grimm dà come significato 1. principe
besprechen = ansprechen/alloqui, anreden/compellare
in latino,
alloqui = rivolgere la parola per consolare (parlare per)
compellare = rivolgere la parola per condannare (parlare contro)
dal contesto, io sarei per compellare. in più, mentre anspricht metricamente ci starebbe nel verso, anredet no: volendo significare compellat e rispettare il metro che si è dato, C avrebbe dovuto scegliere bespricht come analogo di anredet (mentre per significare alloqui sarebbe potuto andare sul anspricht). Sarebbe importante vedere la ricorrenza di bespricht/besprechen nella bibbia di Lutero (che è in rete), ma io non riesco a farlo): please! help! gelobt seist du, Niemand!
L’ho sognato sant’Agostino della sega,
Vivo come voi o me,
Strappandosi attraverso questi quarti
Nella massima miseria,
Con una coperta sotto il braccio
E un cappotto di oro solido,
Cercando le anime stesse
Che già sono state vendute.
“Presente, presente!„ ha gridato così alto,
In una voce senza fermo,
“Escono, i re dei re e le regine
A sentire il mio reclamo triste.
Non c’è più nessun martire
Che possiate nominare vostro proprio,
Così andare di conseguenza sul vostro senso
Ma sapere che non siete soli. “
L’ho sognato sant’Agostino della sega,
Vivo con alito ardente,
E l’ho sognato, ero fra quelli
Che lo hanno messo a morte.
Oh, mi sono svegliato nella rabbia,
Così solo e terrorizzato,
Ho messo le mie barrette contro il vetro
E piegato la mia testa e urlato.
7 maggio. Paul Celan si è gettato nella Senna. Hanno trovato il suo cadavere lunedì scorso.
Un uomo affascinante e impossibile, feroce, ma con accessi di mitezza, che amavo molto e che evitavo per paura di ferirlo, poiché tutto lo feriva. Ogni volta che lo incontravo stavo in guardia, e mi controllavo al punto che dopo mezz’ora ero estenuato.
(Emil Cioran – in “Quaderni 1957-1972”)
Celan ha tradotto alcuni saggi di Emile Cioran, usciti col titolo “Lehre vom Zerfall”. Hamburg, Rowohlt, 1953.
Il 1953 è anche l’anno del suo incontro con René Char, di cui tradurrà “Feuillets d’Hypnos”.
@ monsieur la jalisse & madame la palisse
Altri fiumi di parole, inutili come tutte le altre. Servissero almeno a vincere i mondiali o il festival di san remo… Ma forse, comunque, a qualcosa vengono utili: a ricordarti che anche tu, come è puntualmente successo, non manchi di aggiungere la tua goccia di nulla al nulla.
Caro Saul, non è un vezzo: per una casuale combinazione alchemica, abbiamo scoperto che, fondendo i suoi nomi e lasciandoli de-cantare in un infuso di stropharia, viene fuori la chiave (di violino) che apre le porte (della percezione) agli insegnamenti più ermetici della sua dottrina e, soprattutto, alla contemplazione del suo vero volto: NI(H)IL (FOREVER) YOUNG.
O Cato! Ma il testo rowohltiano ce l’hai?
POICHE’
TUTTO
LO FERIVA
(Gelobt
seist du
Niemand.)
Purtroppo no, Miku, e ho fatto anche delle ricerche in alcune biblioteche, senza risultati. Ma non demordo, l’unica è di chiedere a qualcuno in loco o che va in loco.
Il sole si regola così rapidamente nel cielo,
Aumentate in su e dite arrivederci a Nessuno.
Gli sciocchi scorrono veloce dove gli angeli temono percorrere,
Entrambi dei loro futuri, in pieno il terrore, non mostrate uno.
Spargimento fuori di un nuovo strato di pelle,
Mantenendo un punto davanti al persecutor dentro.
Siete un uomo delle montagne, voi potete camminare sulle nubi,
Manipolatore delle folle, siete un twister di sogno.
State andando a Sodom ed a Gomorrah
Ma che cosa vi preoccupate? Non è nessuno là desidererebbe sposare la vostra sorella.
Amico al martyr, un amico alla donna di vergogna,
Esaminate la fornace ardenta, vedete l’uomo ricco senza alcun nome.
Ballo di Jokerman all’aria del nightingale,
Mosca dell’uccello alto dalla luce della luna,
L’OH, OH, OH, Jokerman.
Bene, il libro di Leviticus e Deuteronomy,
La legge della giungla ed il mare sono i vostri soltanto insegnanti.
Nel fumo della penombra su un latte-bianco steed,
Michelangelo effettivamente potrebbe intagliare fuori le vostre caratteristiche.
Riposandosi nei campi, lontano dallo spazio turbolento,
Addormentato mezzo vicino le stelle con un piccolo cane che lecca la vostra faccia.
Ballo di Jokerman all’aria del nightingale,
Mosca dell’uccello alto dalla luce della luna,
L’OH. l’OH. l’OH. Jokerman.
Bene, il rifleman che insegue l’ammalato ed il lamè,
Preacherman cerca lo stesso, che ottengano là il primo siano incerti.
Nightsticks e cannoni dell’acqua, gas lacrimogeno, padlocks,
Cocktail e roccie di Molotov dietro ogni tenda,
Giudici Falsi-hearted che muoiono nei fotoricettori che filano,
Soltanto un aspetto di tempo “lavorare alla notte viene steppin„ poll.
Ballo di Jokerman all’aria del nightingale,
Mosca dell’uccello alto dalla luce della luna,
L’OH, OH, OH, Jokerman.
È un mondo oscuro, cieli è gray sdrucciolevole,
Una donna ha dato alla luce appena oggi ad un principe e lo ha vestito nello scarlet.
Metterà il priest in sua tasca, ha messo la lamierina al calore,
Prendere i bambini motherless fuori della via
E disporlo ai piedi di un harlot.
L’OH, Jokerman, conoscete che cosa desidera,
L’OH, Jokerman, non mostrate alcuna risposta.
Ballo di Jokerman all’aria del nightingale,
Mosca dell’uccello alto dalla luce della luna,
L’OH, OH, OH, Jokerman.
Temo il riscaldamento quanto la clorosi degli anni che seguiranno il thread. Presento che l’unanimità comoda, la bulimia di giustizia avrà soltanto una durata transitoria, immediatamente ritirato il legame che legava il nostro combattimento. Il male ovunque già è in lotta con il suo rimedio. Questa pioggia che penetra nell’uomo fino all’osso è la speranza d’aggressione, l’ascolto del dispetto. Ci si precipiterà nella dimenticanza.
Nessuno ci impasta più di terra e argilla,
nessuno alita sulla nostra polvere.
Nessuno.
Lodato sii tu, Nessuno.
Per amor tuo vogliamo
fiorire.
Incontro
a te.
Un niente eravamo, siamo,
resteremo, fiorendo:
rosadinulla,
rosadinessuno.
1998
Per me la rosa è una sposa, perché il successo al sesso non mi va. Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica.
eh sì caro crusoe chi sa quanti anni di pippe in oratorio ci saranno voluti per partorire una prosa tanto originale e sovversiva. ha scritto tutto da solo o è un lavoro di gruppo?
ho controllato: in tutta la bibbia di lutero, besprechen compare 6 volte, ma solo nella forma del sich besprechen mit = consultarsi, che c’entra poco.
perciò rompo gli indugi (per modo di dire). come nel 45 giri, che c’è il lato a trailer e il lato b più debole (lento/romantico), produrrò una biversione di C, ovvero il lato d (punk) e il lato b (country): insieme daranno C, secondo la formula dCb (o bCd). amen!
Nessuno ci plasma più da terra e argilla,
nessuno maledice la nostra polvere.
Nessuno.
Lodato sii, Nessuno.
Per te noi vogliamo
fiorire.
Contro
te.
Un niente
eravamo, siamo e
resteremo, fiorendo:
la rosa di niente e
di nessuno.
Lo stilo chiaro-anima,
il filamento desolato-cielo,
rossa la corolla
della parola purpurea che cantammo
sopra la spina,
oltre.
Nessuno ci plasma più da terra e argilla,
nessuno consola la nostra polvere.
Nessuno.
Lodato sii, Nessuno.
Per te noi vogliamo
fiorire.
Verso
te.
Un niente
eravamo, siamo e
resteremo, fiorendo:
la rosa di niente e
di nessuno.
Con
lo stilo chiaro d’anima,
il filamento grigio da cielo desolato,
rossa la corolla
per la parola purpurea che cantammo
sopra la spina,
oh sopra.
posso dire una cosa da lettrice che ignora il tedesco?
Preferisco la versione di Helena:
Nessuno di nuovo ci impasta di terra e di fango,
nessuno parla alla nostra polvere.
Nessuno.
Che tu sia lodato, Nessuno.
A te piacendo noi
fioriremo.
A te
incontro.
Un niente
eravamo, siamo, saremo
noi sempre, fiorenti:
La – niente, la
rosa nessuno.
Con
lo stilo chiaro d’anima,
il filamento cielo-deserto,
la corona rossa
per la parola purpurea che cantammo
sopra, oh sopra
la spina.
Impastare e non plasmare mi da più l’immagine della caducità e del tornare alla polvere, così come per corona al posto di corolla. E’ una questione di ritmo, anche di dolcezza che mitiga il dolore del Nulla.
Mo’ qualcuno dirà ecchissenefrega, ma alla fine la poesia diventa proprietà del lettore che sceglie, potendo(e in questo caso ci avete lavorato così tanto tutti che la scelta è possibile).
accidenti, m’è rimasta la badante nella tastiera! Uff…
C’è chi si rifugia nella realtà perché ha paura di affrontare la droga.
Nisciùn’ ce ‘mpasta cchiù cu ‘a terra e ‘a creta,
nisciùn’ ce parla mo ca simm’ pòv’r.
Nisciùn’.
B’n’ritt’ si’ tu, Nisciùn.
E’ pe’ ‘a gloria tòja
ca nuje vulìmm’ sciuri’.
Pe’ pute’ veni’
‘nnànz’ ‘a te.
Nuje ca niènt’
simm’ stat’, niènt’ simm’
e niènt’ r’starràmm’, pur’ sciurènn:
‘na rosa fatta ‘e niènt’,
‘a rosa ‘e nisciùn’.
Nuje co’
stamm’ trasparènt’ cumm’ ‘a l’ànema,
‘e filamiènt’ vacànt cumm’ ‘o cièl’,
nuje ca’ curolla rossa
’e ‘na parola scagnàt’ ‘e sanghe,
chella che cantàmm’ pure ‘ncoppa ‘e spine,
pure trafitt’ ‘e spine.
Ora ca chiovi
làssami orbu, orbu
ca nun ti viu
chiànciri.
Ora ca scura
làssami orbu, orbu
ca nun ti viu
la stidda ‘n frunti.
Ora ca schiara
làssami orbu, orbu
ca nun ti viu
la rosa ‘nfuta di li carni
l’umbra santa di lu sonnu
na li pinnulara,
ca nun ti viu
o amanti miu.
Meraviglia! grazie.
@ Saul D.
e potresti aver ragione, ma non tengo gli strumenti per star dietro a tutti i ragionamenti tedesco interpretativi… però mi sono drogata della vostra ricerca e non è male.
@ ‘Rònz’l’ ‘o piattar’
il grazie era per te.
mi verrebbe voglia di chiamare il commissario rex e fargli annusare questo colonnino, sai che retata, a cominciare da questo sedicente paul celan, dal dott. coyote e dai suoi vecchi e nuovi adepti. siete dei disgraziati, voi non sapete cos’è la vera poesia, voi non avete mai letto un santino in vita vostra né visto una sola puntata di don matteo. tornate a giuseppe conte e pentitevi, finché siete in temp, o ritenetevi tutti scomunicati, brutti eretici e dissacratori delle patrie lettere. pure le badanti adesso ci si mettono, noi le facciamo venire nella nostra santa terra e gli diamo un lavoro e queste ci ricambiano appoggiando i versi di questi anticristi. ma davvero non c’è più religione.
fin che si scherza, va be’, ma il traduttore ha degli obblighi con l’autore e con la ricezione dell’orecchio tedesco. ad es. questo GARDALAND (dove LAND è das Land, e non the land tipo Dinseyland) di C, io l’avrei ritoccato/migliorato, ma lui l’ha scritto così, e così debbo tradurlo.
GARDALAND
Sordo lago di Garda
Rumore d’acqua lorda
Colore verde sorba
Puzza di cloro e garza
Riva meana, guarda!
La putrida mostarda
La scarpa nella merda
La carpa in mezzo all’erba
Che grossa guata ingorda
La sarda mezza morta
La squama che s’inarca
La morte che ritarda
Ah lurida bastarda!
E guarda là la sponda
Senza più ombra ed onda:
Chi più la inonda o esonda?
Chi più getta la sonda
In questa broda immonda
Che affonda sfonda infonda?
Senti la sarabanda
La banda e il capobanda
Che sbanda nella melma?
La lebbra che la orla?
La nausea di non darla?
Il gusto di non torla?
Il peso della gerla?
I giorni della merla?
I mesi della torda?
La noia della burla
Di farla a caso o a Carla?
Senti di là dal Garda
Il manico che ciurla:
Ormai no non amarla?
L’arrivo della sberla:
non devi mai più berla?
Il rimorso che ammorba:
basta che non morda?
La voce che mi urla:
Attaccati alla corda?
se lo legga lei il marchese caro padre ermeneutico e gilda … ;-)
questa ad es. è di un brasiliano, e la scrisse a Buenos Aires dov’era fuggito dai generali patrioti. Si chiama EXILIO, e io, fiutandone l’attica classicità, l’ho tradotta EXTROIA, e fa
L’omo sta inte a sità
come na roba sta inte n’antra
e a sità sta inte l’omo
ch’el sta inte n’antra sità.
Ma tante xe e maniere
che na roba sta inte n’antra roba:
un omo, par esenpio,
no sta inte a sità
come un albaro sta
inte n’antro
e gnanca come un albaro
sta in una dee so foie
(parfin se a rodoa
lontan da lu).
L’omo no’l sta inte a sità
come un albaro sta
inte un libro
quando che’l vento là
lo sfoia.
A sità sta inte l’omo
ma no nea stessa maniera
che un oseo sta
in un albaro
no nea stessa maniera
che un oseo
(a so figura)
sta/va inte l’aqua
e gnanca nea stessa maniera
che’l spavento de l’oseo
sta inte l’oseo che
scrivo.
A sità sta inte l’omo
quasi come l’albaro voa
inte l’oseo che o sbandona.
Ogni roba sta in che antra
nea so propia maniera
e i na maniera difarente
da come che a sta
drento de ea.
A sità no a sta inte l’omo
nea stessa maniera
che nee so boteghe
sta piasse e strade.
Ovviamente Gilda non sta per Rita Hayworth, non si sa mai con voi padri…
gìl|da
s.f.
1 TS stor., nel Medioevo, spec. nell’Europa settentrionale, associazione di mercanti o artigiani avente sfondo religioso e funzioni analoghe a quelle delle corporazioni
2 CO estens., spec. con iniz. maiusc., denominazione di un sindacato autonomo degli insegnanti
solo un’atea come lei poteva smascherarmi, cara badessa, perché senza saperlo lei ha messo a nudo la mia parte migliore, quella rita hayworth che ho sempre sentito dimenarsi dentro di me, com’una che s’agita e grida per venire al giorno. o per venire e basta. perché crede che, pur essendo uno, io siamo due, com’ei che vanno in una sola fiamma? si penta, comunque, lasci esta compagnia scellerata e empia, perché siamo ormai alla resa del conte.
I’ cominciai: “Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri”.
Si ricordi padre che fine fanno le anime gemelle che albergano in lei! E mi lasci riflettere sulle traduzioni del signor ubique che tra lago di garda e
“A sità no a sta inte l’omo
nea stessa maniera
che nee so boteghe
sta piasse e strade.”
m’è venuto mal di testa e siccome la notte porta consiglio sognerò montagne di traduzioni in francese che è l’unica lingua da cui potrei tradurre.
o anche così:
“O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco
quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi”.
Era a vida a explodir por todas as fendas da cidade
sob as sombras da guerra:
a gestapo a wehrmacht a raf a feb a blitzkrieg
catalinas torpedeamentos a quinta-coulna os fascistas os nazistas os
comunistas o repórter Esso a discussão na quitanda a querosene o
sabão de andiroba o mercado negro o racionamento o blackout as
montanhas de metais velhos o italiano assassinado na Praça João
Lisboa o cheiro de pólvora os canhões alemães troando nas noites de
tempestade por cima da nossa casa. Stalingrado resiste.
Por meu pai que contrabandeava cigarros, por meu primo que passava
rifa, pelo tio que roubava estanho à Estrada de Ferro, por seu Neco
que fazia charutos ordinários, pelo sargento Gonzaga que tomava
tiquira com mel de abelha e trepava com a janela aberta,
pelo meu carneiro manso
por minha cidade azul
pelo Brasil salve salve,
Stalingrado resiste.
A cada nova manhã
nas janelas nas esquinas nas manchetes dos jornais
Mas a poesia não existia ainda.
Plantas. Bichos, Cheiros. Roupas.
Olhos. Braços. Seios. Bocas.
Vidraça verde, jasmim.
Bicicleta no domingo.
Papagaios de papel.
Retreta na praça.
Luto.
Homem morto no mercado
sangue humano nos legumes.
Mundo sem voz, coisa opaca.
@ Ermen e Gilda
O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco
quando nel mondo quei versi trascrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
dove, per lui, perduto a morir gissi.
@ermen: scusa il refuso dell’ultimo verso
dove, per lei, perduto a fallir gissi.
@gilda: quanto al sacro in generale
http://www.venerabilis.tk
wie LUTUS A NON LUTENDO,
so A LUTO LUTETIA.
Paris 1960
Lauda
Nissuni ne fa incóra co’a tèra e ’l paltàn,
nissuni sùpia ‘l fià in te’a pólvare.
Nissuni.
Gabi gloria, nissun.
Pa’ piasser tuo
xé ‘l fiór.
Incontro
de ti.
Un gnénte
jèrimo, e mo’, e doman
par sempre, in fior:
Él gnénte-, él
nissun–rosa.
Co’
él stéco de’a ciara ànema,
‘e fòie del ciéo a spècio,
e rossa ‘a cresta
pa’e paròe-fògo, a cantar
sóra, eh sóra
‘sto róvo.
[Vedo che gl’interventi proseguono e c’è già anche una versione dialettale, com’è in effetti venuto presto in mente anche a me per poter render meno enfatico e più sentito e terra terra – polvere polvere, anzi – il senso/sentire di Celan in queste righe, sempre secondo me ovviamente. Mi son preso le mie solite libertà (cambiando addirittura, in parte, il titolo) e dicendo anche quel che avevo da dire pure io, ma sempre insieme a Celan e mai diretto in luoghi/sensi totalmente altri. Potrei motivar ogni scelta, anzi ogni sillaba dato che ho cercato di render esattamente almeno il respiro/metro che ha l’originale – ma non mi sento di sostenerla troppo e preferisco ripiegare in una versione libera: ovvero come fosse una poesia mia, e in effetti ricorda in parte un mio vecchio testo in dialetto in clima con Celan e forse Salmo.]
parché te son cussì
lila e rosa, ti ziel?
cussì verde co’ tanti
fiori ti, pratesel?
che noi come la polvare
zèneri invezi semo?
parché se’ cussì alegri
che noi invezi pianzemo?
x chi abbia tempo e voglia: la mostra sulla famiglia Giotti di Trieste (per modo di dire, ché i 2 figli muoiono in Russia nella II guèra) alla Braidense di MI fino al 23 settembre. x chi abbia anche soldi, Lettere al padre, (intr. di C. Segre e postf. di C. Magris) con in app. i meravigliosi Appunti inutili del babbo, Il ramo d’oro ed., Trieste 2005.
e compl. a ness1!
Son sempre qui che leggo anch’io.
‘Azzolina la fretta: ci son delle imprecisioni (ritmiche, ché le libertà che mi son preso sulle scelte lessicali – specie nell’ultima strofa – manco le si può giudicare come semplici imprecisioni!); ci sto lavorando, son a buon punto.
bad’a db, badante!
per arrivare fino a C,
meglio partire dall’abicì.
Auctor, da augere, è chi accresce. L’Auctor maximo accrebbe il nulla creando un mondo, tra gli infiniti possibili. L’auctor minimo accresce il bianco della pagina con un mondo di segni, tra gli infiniti possibili. Il Gran Libro del creato, il piccolo creato del libro. L’autore è un dio minore che al momento di creare/scrivere usufruisce di una sterminata possibilità, che si fa realtà mediante la sua scelta (la quale può essere “obbligata”, ma ciò non conta qui). ad es. C, tra i tanti elementi botanici della rosa, sceglie stilo e filamento: poteva scegliere stelo e foglia, pistillo e stame, e invece no: ha scelto una parte definita del pistillo, e una parte definita dello stame (NB 2 elementi riproduttivi, quasi a registrare da scienziato il passaggio dalla morta polvere alla vita piena della parola/sangue attraverso il minimo vitale del fiore – ma anche ciò qui non c’entra niente). Per un traduttore l’autore è il suo unico dio, di cui fa la volontà, rispettando in pieno e religiosamente la sua opera (nei limiti dell’umano). Se C dice stilo e io traduco pistillo, ho tradito il mio dio, facendo la mia volontà. Infidel. Questa struttura totalitaria, di un dio tiranno, è facilmente evitabile: basta prendere un foglio bianco, e diventare noi dio, senza contravvenire alcun legame o patto di alleanza. Quello che è inammissibile è dichiararsi fedeli e poi tradire: scribi e farisei!
… and so the autor said to the traslator:
What you want, baby, I got what you need, do you know I got it? All I’m askin’ is for a little respect when you come home. Hey baby, when you get home, mister, I ain’t gonna do you wrong while you’re gone, ain’t gonna do you wrong ‘cause I don’t wanna: all I’m askin’ is for a little respect. I’m about to give you all of my money, and all I’m askin’ in return, honey, is to give me my profits when you get home: R-E-S-P-E-C-T Find out what it means to me! R-E-S-P-E-C-T Take care, db! Oh, a little respect (sock it to me)! I get tired, keep on tryin’! You’re runnin’ out of foolin’, and I ain’t lyin’: respect when you come, or you might walk in, and find out I’m gone!
@less1: Immagino dicessi a me, o sbaglio? Ad evitar altri pistolotti, ripeto: preferisco ripiegar in una versione libera cioè come fosse una poesia mia.
“C, tra i tanti elementi botanici della rosa, sceglie stilo e filamento: poteva scegliere stelo e foglia, pistillo e stame, e invece no: ha scelto una parte definita del pistillo, e una parte definita dello stame (NB 2 elementi RIPRODUTTIVI, quasi a registrare da scienziato il passaggio dalla morta polvere alla VITA piena della PAROLA/SANGUE attraverso il minimo vitale del fiore” – less1: qui cogli davvero nel segno. Quella parola è il verbo incarnato. E’ Cristo, nel cui solo esistere si dà la continua resurrezione. Si va un po’ oltre la parola e la poesia come forma letteraria: si arriva alla poesia come -altra- forma di vita (esistenza, rapporti, mondo etc.). Non riesco a rispettare metrica e significati in questo senso, così ho preso una direzione diversa (che però passa tra l’altro anche x es. x Jaccottet etc.).
@ ness1
E che mi dici del patto? ti ricopio Berman
“… Molti (poeti moderni) – non tutti, non i più integri – si sono creduti autorizzati a libertà che hanno giustificato con le “leggi” del dialogo fra i poeti, “leggi” che li dispensavano dai doveri ordinari dei traduttori. Ne sono risultate (…) traduzioni che non sono in fondo che “ricreazioni” libere. Si tratta di forme ipertestuali poetiche, che non si ha diritto di confondere con delle traduzioni. Poiché, come Voltaire o Vialatte, esse trascurano il *contratto* fondamentale che lega una traduzione al suo originale. Questo contratto – certo draconiano – interdice *ogni superamento della tessitura dell’originale*. Esso stipula che la creatività richiesta dalla traduzione deve mettersi per intero al servizio della ri-scrittura dell’originale nell’altra lingua, e mai produrre una sovra-traduzione determinata dalla poetica personale del traducente. E’ tutta la differenza tra Shakespeare tradotto da Jouve e Shakespearee tradotto da Leyris o Bonnefoy. Nel primo caso si ha l’arbitrio capriccioso di un poeta che si annette tutto ciò che tocca; nel secondo, l’obiettivo poetico è legato all’obiettivo etico della traduzione: portare sulle rive della lingua traducente l’opera straniera nella sua pura estraneità, sacrificando deliberatamente la “poetica”propria. ”
???
calma, ragazzi/e! ness1 l’ha dichiarato subito, e poi volendo pignolare, il veneto, che è un dialetto/lingua privo del coté scientifico (Galileo scrisse qualcosa in padovano, ma da porcone anticlericale, non da scienziato), non ha termini per stili, pistilli: ben venga dunque, per due motivi, el steco e ‘a foia (che dio no voia).
Torniamo piuttosto al motivetto che alla badante piace tanto e che fa dudu dudu nimàn: *Preferisco la versione di Helena: “Nessuno di nuovo ci impasta di terra e di fango”. Impastare e non plasmare mi da più l’immagine della caducità e del tornare alla polvere*. E cominciamo, Grimm alla mano:
Lehm è lutus/argilla e non limo/lutum, non ci piove. C fa un’endiadi, che in greco significa “una cosa per mezzo di due” (slang: pam, + a -, paghi 1 prendi 2). Non si tratta di 2 meri sinonimi, in quanto uno è specificazione dell’altro. Terra e fango = terra bagnata, terra e argilla = tipo di terra detto argilla. Ma poniamo per assurdo che sia terra e fango, ossia terra e acqua.
La prima accezione di kneten è pastare (lat.) = impastare. S’impasta terra o farina, aggiungendo acqua. Impastiamo acqua e farina, ne facciamo una massa omogenea, e da questa formiamo un pane (che mettiamo al forno). Cosa succede però nella traduzione di Melena? Trasponendo/metaforizzando, suonerebbe così: “Nessuno impasta il pane di farina e acqua”. Che roba è?!
La terza accezione introduce l’aus, e proprio nella forma “aus Lehm kneten” = durchkneten = aliquid pastando conficere.
Poi durchkneten = durcharbeiten, umarbeiten = trasformare.
Adesso sì è chiaro: “Nessuno ci crea impastando terra e acqua” (mentre la versione di Melena significa: “Nessuno ci imbratta di/mescola noi con terra e acqua”). Helena devia insomma l’attenzione dalla causa formale a quella materiale, ma così perde il momento clou, la creazione, che in questo caso è creazione della forma, artistica cioè (essendo il materiale già dato: infatti dio l’ha creato già, qualche giorno prima).
Nessuno ci plasma/ci crea artisticamente dando forma al materiale grezzo.
Un dio ceramista, un cuoco artista, che lascia all’aiuto l’impastare, e s’impegna a creare forme nuove di pane, o di pasta a grano duro. Che acquolina!
De ta tige détachée, Pauvre feuille desséchée, Où vas-tu ? – Je n’en sais rien. L’orage a brisé le chêne Qui seul était mon soutien. De son inconstante haleine Le zéphyr ou l’aquilon Depuis ce jour me promène De la forêt à la plaine, De la montagne au vallon. Je vais où le vent me mène, Sans me plaindre ou m’effrayer: Je vais où va toute chose, Où va la feuille de rose Et la feuille de laurier.
Lungi dal proprio ramo,
Povera foglia frale,
Dove vai tu? – Dal faggio
Là dov’io nacqui, mi divise il vento.
Esso, tornando, a volo
Dal bosco alla campagna,
Dalla valle mi porta alla montagna.
Seco perpetuamente
Vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro.
Vo dove ogni altra cosa,
Dove naturalmente
Va la foglia di rosa,
E la foglia d’alloro.
(è una traduzione alla Reitani, alla db o alla ness1?)
@dott.peyote, che mi chiedeva: *A lei (la birra) piace bionda o scura?*
il tappo-corona
della birretta rossa che cavalcammo
sopra la spina,
hop hop!
@temperanza: Che ho a fare io col patto di quel tale? Celan è intraducibile come ogni poeta autentico, e l’unico rispetto che si può davvero portare è quello per la fonte di qualsiasi poesia: la vita. E siccome ciascuno ha e fa solo la propria, è alla mia e non a quella di qualcun altro (impossibile) che cerco allora di restare fedele: dandole la mia parola come meglio posso e per quanto mi riesce. Ogni poesia ne è una sorta di traduzione/tradimento.
“Ogni colore, ogni vita | nasce dove si ferma lo sguardo || Questo mondo è soltanto la cresta | d’un invisibile incendio” – in Philippe Jaccottet, “Arie”: questo è un riferimento implicito nella scelta di “cresta” al posto di “corona o corolla”, e del fuoco della parola al posto del rimando al sangue. Ma così mi perdo tutto il riferimento simbolico alla (auto)crocefissione del/nel testo poetico (il cui senso o spirito sta sopra, oh sopra la ferita di spine in cui si corona la letteratura: così dal nulla-nessuno-dio Celan deriva e attraversa tutto il Creato su su fino al suo compimento in un indicibile che è, minerale-vegetale-animale-spirituale insieme e oltre). Eh, ho capito: lo vedo ben da me, ma mica è facile – ripeto – rendere tutto questo in dialetto veneto e in rispetto del metro/respiro. Magari tra altri 30 anni qualcosa mi verrà fuori.
Am Anfang schuf Gott Himmel und Erde (Gn 1, 1)
Gott hatte noch nicht regnen lassen auf Erden…; aber ein Nebel stieg auf von der Erde und feuchtete alles Land. Da machte Gott den Menschen aus Erde (Gn 2, 5-7)
Il primo giorno Dio creò la terra (schaffen),
il sesto cavò/fece l’uomo dalla terra (machen)
E’ appunto la classica distinzione tra creazione (dal nulla) e produzione (da qualcosa)/trasformazione. “Dio non aveva ancora fatto piovere” – non c’era fango per le strade (si fa per dire), ma: “salì una nebbia dalla terra, e inumidì tutto il suolo”. Come ben sa il ceramista, l’argilla è umida, e si commercia a blocchi, mentre il fango… “Allora Dio formò l’uomo dalla terra”. In 2 momenti:
1- impasta l’argilla
2- dà forma all’impasto
Aus Lehm den Menschen kneten significa dunque modellare l’uomo (a Sua immagine) DOPO aver impastato l’argilla. La traduzione di Helena invece assorbe il secondo momento nel primo creando un pasticcio.
http://www.forget-me.net/LaBoetie/servitude.pdf
(il bigino del traduttore perfetto)
nissun ne fa pi su* da tera e creta
* far su el mas-cio: insaccare dopo macinato (dove sacco = forma)**
** @ness1: dio lebo (la conosci?)
@db
ti adoro! ora mi leggo con calma le lezioni…
Corpo meu corpo corpo que tem um nariz assim uma boca dois olhos e um certo jeito de sorrir de falar que minha mãe identifica como sendo de seu filho que meu filho identifica como sendo de seu pai
corpo que se pára de funcionar provoca um grave acontecimento na família: sem ele não há José Ribamar Ferreira não há Ferreira Gullar e muitas pequenas coisas acontecidas no planeta estarão esquecidas para sempre
corpo-facho corpo-fátuo corpo-fato
Mas sobretudo meu corpo nordestino Mais que isso maranhense mais que isso sanluisense mais que isso ferreirense newtoniense alzirense meu corpo nascido numa porta-e-janela da Rua dos Prazeres ao lado de uma padaria sob o signo de Virgo sob as balas do 24º BC na revolução de 30
e que desde então segue pulsando como um relógio num tic tac que não se ouve (senão quando se cola o ouvido à altura do meu coração) tic tac tic tac enquanto vou entre automóveis e ônibus entre vitrinas de roupas nas livrarias nos bares tic tac tic tac pulsando há 45 anos esse coração oculto pulsando no meio da noite, da neve, da chuva debaixo da capa, do paletó, da camisa debaixo da pele, da carne,
combatente clandestino aliado da classe operária meu coração de menino
Caro Saul, mi è dispiaciuto molto non vederla questo pomeriggio all’apertura dei lavori del primo congresso di prano-psico-malto traduttologia. C’era già un posto riservato a lei al tavolo delle conferenze, e uno di scorta tra il pubblico, qualora fosse stato particolarmente stanco e non se la fosse sentita di relazionare, o fosse intenzionato unicamente all’ascolto. C’era anche Paolo Francesco Celano che voleva conoscere di persona colui che gli darà il cambio nell’opera di degustazione dei vari distillati di stropharia che vengono quotidianamente prodotti nel mio studio. Il seminario, su gentile richiesta del pubblico (pagante), ha toccato il clou(s) nella fase di passaggio/(m)assaggio dalla teoria alla pratica: i relatori, tutti indistintamente, hanno dato ampia dimostrazione del loro valore di studiosi traducendo in pochissimi minuti alcune monete in splendidi boccali di chiare spumeggianti e in invitanti piatti di edibilia ad abundantiam. Ascoltate alcune relazioni di valore assoluto, per le quali, purtroppo per lei/voi, dovrete attendere la pubblicazione degli atti per averne cognizione piena. Citando un po’ a caso, ma sempre pescando gemma da gemma: “Immersione-emersione-spruzzo: la dialettica pistillo corolla nell’immaginario delle culture orali dell’area del mediterraneo occidentale” (dott.sa Ella Badans); “Tra niente e nessuno: la verdura in pastella e l’immortalità dell’anima” (dott. John Delillo); “Insufflare il lievito: prima o dopo il secondo rimpasto? L’ermeneutica della pastiera tra Gadamer e la scuola di Castellammare di Stabia” (dott. Paolo Francesco Celano); “Sull’atto del sentire: il caso del canto oltre/sulla spina in presenza della prima otite stagionale” (dott. Nicolas McCastle); “Psalm e la fine della poesia di genere: nero del nulla o nero di seppia?” (dott. Francesco Caparezza).
Guardi un po’ lei cosa non si è perso…e mediti.
Quiz:
Alla ness1?
Per il momento ho compreso un errore da parte mia e cioè che mi attacco ad una parola, per il suono, perché mi piace, ecc… e così perdo di vista il significato della parola nonché l’etimo, seguo la sensazione, la percezione e non il ragionamento insomma.
TRADURSI
Una parte di me
è tutto il mondo;
un’altra è nessuno,
fondo senza fondo.
Una parte di me
è moltitudine;
un’altra parte stranezza
e solitudine.
Una parte di me
pesa, pondera;
un’altra parte,
delira.
Una parte di me
pranza e cena;
un’altra parte,
si spaventa.
Una parte di me
è permanente;
un’altra parte
si sa improvvisamente.
Una parte di me
è solo vertigine;
un’altra parte,
linguaggio.
Tradurre una parte
nell’altra parte
– che è una questione
di vita o morte –
sarà arte?
ecco, una serata tranquilla e pulita, rovinata dal dottore! ma dottore, servirà questa telerapia? mi sento proprio giù… oggi sono passato da mons. Ravasi a ravasare il vino per la santa messa… in quel posto mi trovo sempre bene, perché l’Ambrosiana mi ricorda l’inter.vabbè le racconterò un’altra volta. ma intanto mi son perso il convegno, e avevo la relazione pronta. non è che potremmo inserirla negli atti? intanto le dico il titolo, ma temo lei tema che sia fuori tema: “Il salmone salmastro: un genere in via dìestinzione? Celan e Bocuse tra animalismo e minimalismo”. Mi faccia sapere, la prego! stanotte non rischio: una bella biberonata, e via!
bigbodybadante! beccato pure il quiz! e che personalità! piena, compatta, a tuttotondo, senza uno screzio, una brisure! ma che io diviso! diviso sarà lui! dicorpo ci andrà lei!
vuoi anche la spiega del quiz, o sei a posto così?
come premio, una chiosa filologica alla rosa DI niente (compl. di materia)
… come serte giornatée
fate de gnente
ma cussita bée…
Non ho bisogno della spiega… ho seguito le lezioni e ho ragionato… :-) Gullar è un grande, sia lode all’educazione dei cinque sensi e a chi mi omaggiò della splendida antologia. Ma tu sai dove si può reperire una traduzione di Corpo sujo? Ho trovato solo Tradursi tradotta.
veramente è un grande anche Paulo Leminsky, il brasileiro di origine polacca che sul letto di morte (cirrosi) scrisse in francese la splendida Lettre avant l’etre che avevo trascritto per vederla poi bollata di cazzeggio…
in rete c’è una versione spagnola (poema sucio). avevo cominciato a tradurlo con Yara, una mia amica brasiliana,ma poi mi ha bidonato, e per dispetto l’ho tradotta parzialmente in veneto, ma poi non c’era gusto…
la spiega la faccio lo stesso, perché così posso dire l’apprezzamento per ness1. Leopardi prese La feuille di Arnault e la girò in italiano. Come vedi, segue abbastanza fedelmente l’originale, ma se ne distacca nel lessico in due punti: faggio invece di quercia/chêne e un generico vento invece degli specifici zéphyr e aquilon. Proprio come ness1, che ha stelo/foglia per stilo/filamento. Bene, il Conte, gran traduttore da tante lingue (soprattutto morte), toglie il titolo e ne mette un altro: “Imitazione”. Sapeva quel che faceva, e con gran diglità lo dichiarava. quella di ness1, per me ovviamente, è una bella imitazione, quella di bevilacqua invece…
(molte traduzioni correnti in genere sono in relatà delle imitazioni, magari belle, ma brutte almeno in quanto non si dichiarano tali).
buona notte, o suonatori?
Mi ricordo dei frammenti tradotti da Yara nel pezzetto postato da Raos, poi lasciati lì a giacere, peccato. E grazie molte della spiega. Sto leggengo il bigino del traduttore… ti dirò a lettura ultimata.
‘notte, nel suono.
@db: fa’ un riassunto! Qual è ora la versione?
DILEMMI*
vecchio o nuovo testamento?
testa-coda o testa-mento?**
* 2LEMMI
** capocollo o tettalvento?
@Miku Platosedmagis @Miku Veritas
assaggia intanto una fettina del primo endecasillabo felino*:
nissun ne fa pi su da tera e creta
* i.e. composto da 3 dittonghi e 6 monosillabi
mi raccomando: taglia bene sulla cesura!
e vabbè, proprio perché 6 te, 2 fettine:
Nel mezo del camin de nostra vita,
nissun ne fa pi su da tera e creta.
(hai già stappato x la colazione?)
@Cattone
La lettura di “Animali in versi” trasforma i lettori in animali inversi.
L’avantesto sta al testo come l’avambraccio al braccio e l’avantreno al treno: è sempre testo/braccio/treno. Così questa piccola prosa postuma di C (da “Mikrolithen sinds, Steinchen”, Suhrkamp 2005, p. 69), datata 29 settembre 1960:
un buon salmo porta via anni cinque giocando a calcio più cinque studiando sanscrito, sei trasportando pietre, nove scopando con la vicina, sette prendendo botte quattro andando soletto, tre cambiando città, dieci mutando assunto, una eternità camminandogli accanto
x la pausa-caffè(corretto), la I terzina-felina (1/3 di grasso e 2/3 di magro):
N’tel mezo del camin dea nostra vita,
nissun ne fa pi su da tera e creta,
parché a spussa de merda xe infinita.
Mettetegli un tappo!
Parlo della centrale che dirama tutta questa energia.
@ness1
“Che ho a fare io col patto di quel tale? Celan è intraducibile come ogni poeta autentico, e l’unico rispetto che si può davvero portare è quello per la fonte di qualsiasi poesia: la vita.”
Quel tale è uno che ha tradotto e ci ha pensato parecchio e ha raccolto le riflessioni di quasi tutti quelli che hanno tradotto e ci hanno pensato parecchio, ma basta intendersi.
Quando la vita chiama un nick come me si ritira in buon ordine:–)
La Temperanza sai è come il vento…
Norci me tangere, vade retro Sesamo! Fin che si scherza va be’, ma se alla caricatura felina sostituiamo l’imitazione celina, allora
N’tel mezo del camin dea nostra vita,
nissun ne fa pi su da tera e creta,
parché a spussa de morto xe infinita.
å temp, cui avevo cripticamente dedicato il Lutetia/lutus, dedico parusicamente il seguito (una pietruzza del’61), sperando che c’entri pure con l’übersetzen
Das Gedicht, wo es wirklich überträgt (und keineswegs transponiert): nicht Metapher, sondern Metabasis (eis allo genos) – ins Andere… als in Dasselbe.
@db
:–)
@ miku
E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e ‘l suon di lei. Così tra questa
Infinità s’annega il pensier mio:
E ‘l naufragar m’è dolce in questo mare.
aho ma la si smette, ormai la traduzione è stata sepolta sotto una valanga di minchiate, non si capisce nulla…
@S. Norcino da Norcia: Ciao, non conosco “dio lebo” (però mi fa venir in mente tipo un bel dio flebo!), anzi per la verità non ho mai sentito “lebo”.
“Far su” da noi (entroterra veneziano) significa qualcosa come: costruire (per es. far su ‘na casa, un gruppo-complesso de musica, casin etc.) cioè potrebbe andar bene; e il verso che proponi ha anche un buon ritmo, per me (endecasillabo). Però è ‘fuori respiro’ rispetto a quello di Celan (7+6 sillabe, così: ° _ ! _ _ ! _ + ° ! _ _ ! _ ). C’è però un problema: “creta” è una parola che non esiste nel mio dialetto. C’è la “tèra crèa” (la creta e/o l’argilla), ma “creta” proprio no. A me piaceva il “paltàn” che è tèra mòja (terra umida/bagnata): perché un dio che crea l’uomo dall’humus (come Adàm ha la stessa radice della parola ebraica che significa terra) mi pare preluda bene alla rinascita di quest’uomo dalla terra/polvere come fiore e poi appunto al suo sbocciare nel canto del sangue di cui è coronato (ecco il sacro, che Celan recupera nel suo Salmo: è nel sacrificio di un’intangibilità divina astratta/assoluta che si può riattingere un rapporto umano/terrestre con tale dio, che muore, e ancora – o forse sto solo sovrapponendo le mie meditazioni in merito a questi temi per me vitali alla sua poetica e poesia).
@db: Ti ringrazio per apprezzamenti etc., e per aver colto il senso di cosa starebbi io fando nel versare l’acqua/polvere di Celan in un bicchiere altro.
@Temperanza: Ripeto, non c’entra ciò che quel traduttore dice con quello che interessa e cerco di fare io. (“Immensità”, nell’ultimo v. dell’Infinito!)
@ coso
…e la luna bussò alle porte del buio
fammi entrare lui rispose di no.
…e la luna bussò dov’era il silenzio
ma una voce sguaiata
disse non è più tempo
quindi spalancò le finestre del vento
e se ne andò
a cercare un po’ più in là
qualche cosa da fare
dopo avere pianto un po’
per un altro no, per un altro no
che le disse il mare, che le disse il mare.
…e luna bussò su due occhiali da sole,
quello sguardo non si accorse di lei
ed allora provò ad un party in piscina
senza invito non entra nemmeno la luna
quindi rotolò su champagne e caviale
e se ne andò
a cercare un po’ più in là
qualche cosa da fare
dopo avere pianto un po’
per un altro no, per un altro no
di un cameriere.
…e allora giù quasi per caso
più vicino ai marciapiedi
dove è vero quel che vedi
e allora giù senza bussare
tra le ciglia di un bambino
per potersi addormentare
e allora giù fra stracci e amore
dove è un lusso la fortuna
c’è bisogno della luna
e allora giù, giù, giù.
@ coso
Io mi vesto normalmente
come chi ha poca fantasia
come chi mette qualcosa
e poi non deve andare via
mi avvicino alle persiane
sento il mondo che fa rumore
e gli orologi di una casa
non si fermano mai
E mi fido facilmente
delle ombre via via
che riesco ad essere assente
e a non cercarmi compagnia
e di notte sento bene
i ritmi del mio stesso cuore
e le voci di una casa
non s’imparano mai.
Ho un lavoro qui vicino
il mio lavoro non mi piace
perché mi consuma gli occhi
e poi mi mangia le giornate
e in tutto questo non vedere
in tutto questo non ricordare
in tutto questo non amare
io sono qui che vivo
io no, io no, io no, io no
io non ho terre da sognare
io non ho voci da seguire
io sono qui che aspetto
io no, io no, io no, io no
io non ho lettere da spedire
non ho parole da imparare
per cantarle sola
come tarda questa notte
la mia lunaspina
venga giù alla finestra
quella luce bambina
venga giù dal silenzio
mia cara compagnia
coi miei muscoli stanchi
son qui che aspetto
eh no, eh no, eh no, eh no
io ne avrei terre da sognare
ne avrei di voci da seguire
io non è vero che aspetto
eh no, eh no, eh no, eh no
io ne avrei lettere da spedire
ne avrei parole da imparare
per non cantarle da sola
eh no, io no, io no, io no
io ne avrei dette di parole
io non l’ ho amato il mio dolore
io non è vero che aspetto
eh no, eh no, eh no, eh no
ne ho gridate di parole
e non l’ ho amato il mio dolore
e adesso canto sola
come se fosse facile convincersi
a non ridere troppo di sé.
che béo ‘sto sito che nissun sta sito!
e poi ci sono versioni da Celan così ritmate (sarà il gentil idioma?), che verrebbe voglia di musicarle.
@ness1 hai perfettamente ragione, ma non mi veniva crèa (la lontananza sai è come il vento, e fa scordare donde vieni…). Lebo invece è, nell’entroterra della Serenissima, il trogolo di marmo per i maiali. magnar co fa’n lebo = abbuffarsi; dio lebo, una sacramentonimia).
Ho sottomano le pietruzze e i microcliti (trad./imit.): una miniera!
ad es., del 13/12/61: “Mein” und “mein” und “mein” Gedicht. Die Zeit und ihre Meingedichte.
da cui si ricaverebbe che la contemporanea poesia a suo tempo postata da Cato si potrebbe tradurre:
la linguacciuta egopoesia, l’apoesia
o, 1959: Nicht Rilkesches Enjamblement! Rilkerei (a prop. della trad. del Cimitero di Valéry).
ce n’è una, lunghetta sulla differenza di sguardo tra il filosofo e il poeta…
Platone… Pascal…
1967, Es gibt keinen Polyzentrismus in der Poesie.
Soprattutto le 50 pp. di Prosa Teorica, e di esse soprattutto le 20 su “L’oscurità del poetico”, che si collocano tra il’60 e il ’61, ossia in contemporanea con Psalm. E difatti
Psalm 139: nox illuminatio mea
… Finternis ist wie dal licht
(jenseits oder diesseits aller Esoterik, Hermetik etc.)
Se dico: «Certo le tenebre mi nasconderanno», persino la notte diventerà luce intorno a me; le tenebre stesse non possono nasconderti nulla, anzi la notte risplende come il giorno; le tenebre e la luce, sono uguali per te. Sì, tu hai formato le mie interiora, tu mi hai intessuto nel grembo di mia madre… Le mie ossa non ti erano nascoste quando fui formato in segreto e intessuto nelle profondità della terra. I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo, e nel tuo libro erano già scritti tutti i giorni che erano stati fissati per me anche se nessuno di essi esisteva ancora.
@db: Ma di che teso (o testi) stai parlando (sembrano interessantissimi…)?
@ness1
l’ho capito, sì:–) e infatti mi sono ritirata in buon ordine. Che vuoi di più?
você está tão longe
que às vezes penso
que nem existo
nem fale em amor
que amor é isto
*Le poesie sono paradossi. Paradosso è la rima che riunisce senso e senso, senso e controsenso: in un luogo casuale del tempo linguistico, che nessuno può presupporre, essa fa cozzare questa parola con quell’altra – per quanto tempo? Per un tempo limitato: il poeta che vuole restare fedele al principio di libertà che si manifesta nella rima, deve ora voltare le spalle alla rima. Via dal limite – o oltre, verso l’illimitato!*
1953?
da PC, “Mikrolithen sinds, Steinchen. Die Prosa aus dem Nachlass”, Frankfurt a.M. 2005, p. 96
E non scrivo per i morti, ma per i vivi – in verità per quelli che sanno che ci sono pure i morti.
1967
I Morti
i morti vedono il mondo
attraverso gli occhi dei vivi
possono udire, con i nostri uditi, certe sinfonie qualche sbattere di porte, ventate
Assenti di corpo e anima mescolano il loro al nostro riso se di fatto quando vivi
trovano la stessa grazia
1999
[@Temperanza: Non vorrei niente più che riscrivessi il penultimo verso de L’infinito (e non l’ultimo, come ho invece scritto prima per errore) con la parola con cui l’ha sentito Giacomino sopra il monte Tabor: immensità – se badi, iMMeNsità s’aNNega il peNsier Mio è uno straordinario, morbidissimo, liquido e carnalissimo gemito/orgasmo fonico simile al mistico OM indiano.]
@temp
chiederei una consulenza su
niemand bespricht unsern Staub
Helena si avvicina al vero traducendo “parla”: ma besprechen non è loqui, bensì alloqui/compellare, ossia “rivolge la parola per…”. Per questo penso, a sottolineare l’inizio di un contatto verbale, tu hai tradotto “chiama”. Ma uno chiama per avvicinare l’altro a lui, mentre qui il movimento è dal Niemand a. In ambo i casi si perdono entrambe le sfumature, di consolazione e rimprovero. Da tutto ciò mi è venuta in bici la seguente soluzione:
nessuno degna la nostra polvere
che ne dici? Danke!
“nisciùn’ ce parla mo ca simm’ pòv’r”
=
“nessuno ci parla adesso che siamo polvere”
(essendo noi ridotti a polvere, nessuno ci degna della sua parola)
=
“nessuno degna la nostra polvere”
=
!!!
…
frei
vor lauter Beklemmung
atmest du jetzt
und du
sprichst.
(1961)
al detenuto hanno donato un libro
letto e riletto continua a leggerlo
sulla parete che gli spetta trascrive le parole che ignora
non gli importa saperle
che la guardia non capisca
di notte le ripete a voce alta
e il pavimento si dilata
in una piazza ventilata dove i figli
ridendo acchiappano le oscure
parole volteggianti
riconoscono voce e odore
ne fanno un motivetto rap –
la moglie ha un intimo tepore
passa la ronda sbattono le chiavi
lui sillaba a fior di labbra –
libero comprerà un vocabolario
@ Ness1
Ho “tradotto”, caro Ness, avendo tolto il titolo l’ho offerto a Miku in una variante personale:–)
@db
mah, ho letto e riletto anche gli esempi riportati dal Grimm, ma sono tutti nel senso di rivolgere la parola a…
Ho consultato per te un vecchio volumetto del Duden, lo Stilwörterbuch, che mi dà questo, non so se può esserti utile:
“haben sie schon einmal eine Schallplatte besprochen? (von der Stimme eine Aufnahme gemacht)”
si parla dunque di “impressione”, imprimere la voce su un disco, imprimere la voce sulla polvere. Potrebbe essere una possibilità in più per dar voce alla polvere, che dà torto a me, e anche a Helena e sembrerebbe più vicino alla soluzione di Bevilacqua, dando però più spazio alla voce e dunque non un insufflare d’anima, ma di voce.
Non so che dire, scrivono i maledetti fratelli besprechen, mehrfacher bedeutung.
ma se pensiamo al disco su cui la voce si imprime, valorizzando quel “be” che mi dispiaceva molto lasciare al suo destino, potrebbe essere una nuova possibilità
Mi rendo conto che è molto lontana dalla tua strada.
nessuno dà voce alla nostra polvere
Mostrando così che strada ha percorso reitani, ma “dar voce” lo preferisco di molto a “dar parola”
Non so, è un moto circolare piuttosto estenuante.
Penso che lo rigetterai.
… und lärmte gegen seinen Gott.
… e rumoreggiò contro il suo dio.
9. 9. 59
Ci sono occhi che vanno al fondo delle cose. Scorgono un fondamento. E ce n’è altre che vanno in profondità alle cose. Esse non scorgono alcun fondamento. Ma vedono più profondamente.
13. 5. 60
L’EBREO ERRANTE
qualcosa è contro di noi, qualcosa che non vuole riconoscerci: le decisioni cadono – scendono su di noi giungendo dall’extra-umano; se credessi in un dio, ora direi: è emigrato, e sfuggito al nostro occhio terreo malato, ci aspetta – su un altro pianeta – in altra forma.
gennaio 1961
Da: “Stropharia Cubensis”
(due testi allegati alla relazione di Paolo Francesco Celano presentata al convegno/seminario del 13 c.m.)
*
nulla di una rosa, resa
sottile dal
l’agguato della mano
ne ripete la rotta
l’ordine dei segni
sulla mappa recisa
dallo sguardo, ma
agita casuali
trascorsi di luna
al delta d’aria dove si arena
la sua morte erudita, la
trama slabbrata, sempre
più profonda, di una
forma mobile
sillaba mutilata di destino
fino alle stelle curve del
la retina. la saggezza
imparata dalle piogge, è
sete attorcigliata al
le dita, distillata presenza
che rovescia nel palmo
il lampo geometrico
del suo giorno
di cristallo – lo stelo
semplifica
in vaste declinazioni
la singolarità della notte
fiumana che sciama
polvere voltaica
dal cratere di quel
sanguefaro
lastricando di simulacri
il cammino: dis
persa in
ammuffite matasse
la costellazione dei
petali – basta toccarli
sul viso, perché li opprima
il ricordo di chiarori
danzanti – memoria
cieca che ancora assorbe
luce dal
le pietre
*
spina che innesta la
murata al
volteggio del rito, mentre
l’eco schianta la foce del
la rosa
al compier
si del
l’acqua: alba stremata
dentro i fondali
bruciati del rifiuto. non
sigillava in cardini vivi
la parola, né la piaga
votiva nel
l’urlo degli occhi – piuttosto
come in un racconto
di imbarchi, la soglia
che si profila nel
l’intrico di
dolenti radici.
covando nell’inguine
inchiostri sabbiosi, pleniluni
in chiostri di cellule
sfatte, depone cadenze
sillabate di fiamma, un
patto di labbra, in
arca nel grido la tenda –
si accampa
grazie temp! ci vorrà il vocabolario del detenuto…
già che ci sono, scusate i refusi degli occhi sopra: sono maschili, e vedono in profondità. Forse è meglio ripiegare sul rumeno. Il primissimo appunto, del 2. 3. 47, fa
Paul confirma ca va face amor proprio cu Ciuci.
Paolo conferma che s’inciucerà di sesso
E’ la prima volta che entro in questo sito, e ho letto solo gli ultimi interventi. Sono istriano, e forse per questo mi trovo a mio agio tra queste voci che cercano di diventare coro, ai confini delle lingue. Diciamo che anch’io mi diletto di poesia (“Acque e viti” finora è la mia unica raccolta pubblicata, con una prefazione di Claudio Magris), e i miei padri deputati sono quelli da cui ho coniato il mio pseudonimo letterario. Ha pubblicato già qualcosa Paolo Francesco Celano? Mi interesserebbe molto. Se posso permettermi, sul Ceausescu/Celan (che si potrebbe tradurre per allitterazione della C con Campanini/Carboni) inciuciarse = facer amor proprio cu Ciuci, per cui il “di sesso” di db parrebbe pleonastico.
Inoltre penso che su sprechen/besprechen si dovrebbe essere più aderenti ai valori fonetici e alla figura dell’onomatopea (che poi è la forma suprema della letteralità). Così io tradurrei così
frei
vor lauter Beklemmung
atmest du jetzt
und du
sprichst
via
dalla sorda grappa
finalmente respiri
ed è subito
spritz
(una piccola spiegazione non petita: traducendo “via” invece di “libero”, mantengo il monosillabo e do l’idea di una “libertà dalle catene”. Beklemmung infatti è da Klammer = graffa, grappa, e ho preferito la seconda perché richiama l’aggrapparsi alla catena dello schiavo-dipendente. Così “sorda” per laut, dove ho ripiegato su un dittongo che sottolinea gli effetti del rumore più che la sua origine, ché in effetti laut = rumoroso. Sono infine soddisfatto della consostanzialità – non solo fonica – di sprichst/spritz, anche se va ahimè perduta l’altra, con jetzt).
Sperando di non aver deviato il confronto,
1garelli
@Ungarelli, benvenuto, certo la “sorda grappa” ci aiuterà nelle fatiche della ricerca.
Resta tra noi e aiutaci a risolvere quel besprechen in moto spirituoso:–)
Gentilissimo Signor Ungarelli, sono la mamma di Paolo Francesco Celano. La ringrazio per il suo interessamento, che dimostra, oltretutto, quanto lei capisca davvero di poesia. Oggi non ce ne sono molte, di persone così. Purtroppo Paolo Francesco non ha mai pubblicato niente, pur avendo fatto, nella sua vita, almeno due tentativi. Il primo, con una rivista molto famosa, quella che pubblica la fotografia del poetesso del mese in copertina: la risposta è stata un “ahahahahahahahah, uhuhuhuhuhuhuh” lungo quattro facciate di lettera. La seconda, con una casa editrice mediogrande, e la risposta del direttore editoriale, nonché poeto lui medesimo, gliela trascrivo: “Scusi, brutto stronzo, perché al posto di rompere i coglioni alle persone che lavorano e si sbattono per la cultura, non si ammazza?”. E’ da allora che il mio Paolino si è ammalato, e se non fosse per il dottor Peyote, che l’ha preso sotto la sua ala protettrice, non so proprio dove sarebbe a quest’ora. Che uomo, Felix: la scienza fatta persona che si mette al servizio degli afflitti. Che Niemand lo protegga sempre. Comunque, visto che lei, signor Ungarelli, mi sembra interessato, le dirò che mio figlio ha scritto, a tutt’oggi, circa cinquantamila pagine; io le ho lette e imparate a memoria tutte, non a caso, e non per nulla, sono la mamma, e, come giustamente si dice, la mamma è sempre la mamma. Se vuole, gliele racconto. Grazie dott. Ungarelli, anche se non ci conosciamo, immagino che lei sia una gran persona: non per niente festeggiamo l’onomastico lo stesso giorno.
Sua Salvatrice.
Duellarono.
E mentre duellavano, la sabbia del deserto in cui erano si accumulava al bordo dei loro piedi, lentamente, granello dopo granello, la sabbia si arrampicava su per loro, si arrampicava su per loro granello su granello. Continuarono a duellare. La sabbia rivestì i loro piedi, le loro gambe, le loro ginocchia, le loro cosce. Non si fermarono. Ma la sabbia, la sabbia del deserto proseguiva il suo lavoro. Già copriva le loro anche, i loro petti, già formava una camicia sulle loro spalle.
E una seconda, terza e millesima camicia……
E iniziava da capo: scarpa, calza, camicia.
.
.
.
.
.
Così le loro lame rimasero lucide e si facevano così male a vicenda, che ai padrini si arrestarono i cuori.
1950?
Der Tod
(1950)
La morte è un fiore che solo una volta fiorisce.
Ma se fiorisce, nient’altro fiorisce.
Fiorisce, appena lo vuole, non fiorisce nel tempo.
Essa viene, una grande falena, che adorna steli cedevoli.
Tu lasciami essere uno stelo, così forte, che la rallegri.
Dottore, stamane mi sono svegliato verde (devo essermi addormentato albero): sono roso dall’invidia per Celano, mi sembra che lei faccia preferenze tra i pazienti. Dall’altra parte spero che, se è riuscito a stimolare la vena poetica del Celano, potrà farlo anche con me. Insomma non so come e perché, ma nel dormiveglia (non ieri notte, stamattina presto: forse bisognerebbe dire vegliadormi?) ho sentito gorgogliarmi dentro un qualcosa: prima una specie di motivetto che faceva “scrambled eggs, ta ra ra ra ra ra tarara”, ma poi ho scoperto che l’avevano già inventato, mi pare che si chiami Yesterday. Poi una raffica di rime, ma man mano che venivano andavano, e così mi sono trovato in cucina con la biro in mano per scriverle, e sono rimasto a secco (cioè la biro funzionava, il resto no). Dopo un bel quarto d’ora di rabbia disperata (davvero dottore, mi sono guardato in bagno, ero verde elettrico), quello che è venuto fuori è un distico da far schifo. Glielo trascrivo comunque, tanto lei è medico, mica un critico.
cercare invano rime
oh quanto mi derime
Grazie, Salvatrice, ma il merito è tutto tuo: senza la tua dedizione di madre e di donna (imparare a memoria cinquantamila pagine non è da tutti, ma tu sei fatta così: ‘e figlie so’ piezz’ ‘e core, è stato sempre il tuo motto e il tuo impegno di vita), la mia scienza, da sola, sarebbe servita a ben poco, e tu lo sai bene, cara. Ma cosa non faremmo per la salute del nostro Paolo Francesco.
@ Saul
Carissimo, non sìi geloso, lei non ha niente da invidiare al nostro: se le mie sinergie intuizionali funzionano ancora, leggo nel suo distico di settenari un luminoso futuro nel campo della poesia: lei è stato capace di condensare, in due soli versi, almeno trent’anni, gli ultimi, di poesia italiana. Vadi pure avanti così, quando sarà nel mio studio avremo modo di riparlarne, ma le assicuro che, già da adesso, con questo nobile parto del suo genio (à la coque), lei ha messo la prima fondamentale pietra per la costruzione della sua dimora di parole. Complimenti, caro giovine.
Dottore, Lei non sa che effetto su di me ha fatto il suo incoraggiamento. Addirittura ho riabilitato il mio povero distico, mo’ lo vedo quasi mistico – perché in effetti, la rima l’ho trovata. certo non è granché, ma neanche uno zero assoluto. Anzi, quasi quasi la rifaccio tentando la famosa rima interna (ma che è dottore? lei per caso è anche internista?)
trovare grame rime
oh come mi derime
PS ora ho meno invidia di Celano. cioè, mi fa meno invidia la sua poesia. ma mi è cresciuta l’invidia per sua mamma. è meglio o peggio, dottore?
Caro Saul, mai chiedere notizie su una signora, e di quel tipo poi. Posso solo dirle che Salvatrice la conosco, molto a fondo, da anni; così come conoscevo la buonanima di suo marito, il dott. Anselmo Rigoberto Celano, a suo modo un personaggio, di cui ricordo soprattutto la fronte, veramente spaziosa e prominente: ha presente il conte Manzoni? Beh, siamo più o meno nei paraggi. Ecco perché le dicevo di non essere geloso: Paolo Francesco è come un figlio, per me. Alla fin fine. In fondo, in fondo…
Visto che mi avete accolto così benignamente… ho cercato di migliorare la versione, di superare l’insoddisfazione per quel jetzt/spritz mancato. ecco
frei
vor lauter Beklemmung
atmest du jetzt
und du
sprichst
via
dalla sorda grappa
finalmente respiri
e in un blitz
spritz
Ho visto il raccontino di pc: carino, ma si poteva dire con meno. Tra l’altro non so se il nick conosce il rumeno, ma in Istria è famosa la ballatetta del lettrista bucarestino Nicu Fidencu, che riporto qua sotto:
Ai
voi fujri
Ma sola buju
Ai clamara po ma
Mi vo inculari inculari
Ponendo-te u ola da mari
Ligando-te a granelu du sabju
So ai nu nebju po fujri podaracice
Eh sì, si cerca di limare tutti. Io lo faccio anche col mio cognome. Qui a Pola mi firmo VIP, e così mi chiamano gli amici. Ma so che da voi, purtroppo anglicizzati, suonerebbe falso.
Buona giornata.
Spriz! che nostalghia!
Anche le pietre sono fiori, solo che il profumo è più forte.
1950?
pitié, pité pour nous qui combattons aux frontières de l’illimité et de l’avenir, pitié pour nos pechés, pitié pour nos erreurs..
Chi ha scritto grate di parole è sempre persona grata.
Maria!
Mein PC ist wieder abgestürzt.
Hilflos sitze ich da
und warte auf den rettenden Experten.
Alle Daten sind verschwunden.
Mein Denken setzt aus.
Ohne PC läuft nichts bei mir.
Ich warte.
Und wenn ich da nicht dich, Maria,
an meiner Seite hätte,
würde ich fluchen
und mich grün und blau ärgern.
So aber lächle ich und freue mich,
weil ich etwas Zeit habe
zum Luftholen,
zum Beten.
Du verstehst es mit mir, Maria.
Danke und
Amen.
(da “Kirche + Leben” n.13, aprile 1999)
[Sto armeggiando intorno alla mia Lauda/Psalm; intanto però c’è modo di proporre altri lavori/traduzioni? CHIEDO: è questo lo spazio giusto? Dove altrimenti si può fare? Non vorrei saturare la già obesa pagina commenti!]
segnalo in imminente traduzione italiana
A. Malandaste, “LA SALMA DEL SALMO. Autopsia di P.C.”, Marchiati Maringhieri, 2006
La Lazi & Sarai (Lama) è lieta di annunciare l’imminente pubblicazione della prima opera poetica della Dott.sa Ella Badans, “Aperitivo all’Academic Store”. Cura, traduzione italiana e note di bd, progetto grafico, copertina e design di John Delillo, prefazione di Felix Peyote, postfazione e inquadramento critico di ness1, quarta di copertina di jalisse, supervisione del progetto generale di Temperanza. Buona lettura. E, ci raccomandiamo, parlate sempre bene di noi.
Che sorpresa a tarda notte, anzi quasi mattina… onorata delle note di db e (magno gaudio) supervisione di Temperanza! Felice della partecipazione di tutti…
peace and love,
ella badans
Supervisione? Ah no! Va bene che sono una donna d’ordine, ma qui si esagera.
Potrei portare il caffè e sbirciare, al massimo.
@ Gabriella/badante
se è l’ora in cui ti svegli, chapeau, se è l’altra posso consigliare un ipnotico?
Un ipnotico? No grazie, a volte la notte è l’unico momento in cui posso studiare in santa pace… la creatura(mio figlio), ormai adolescente non va più a letto alle dieci: sigh! Dopo mezzanotte la casa entra nella quiete… aggiungo qui, che sono d’accordo con te sulla risposta di Sisti su Alias, ma ce lo teniamo per noi che acquistammo ;-)
Già, nonostante tutto credo che siamo in pochi ad averlo acquistato e meno ancora ad averlo letto.
Non sarà un libro amato, sento molti rumors anche fuori di qui, ma apre nuove possibilità di narrare.
Finita la piccola polemica farà la sua strada, lenta:–)
Gb e Sl, nella bibbia, sono 2 libri contigui. Letti d’1 fiato, scandiscono 3 momenti contigui: la protesta/bestemmia, la risposta divina, la lode/salmo. Ho concentrato qui sotto il percorso dialettico-triadico (dove però l’antitesi è al I posto) sul binario terra-carne/luce-tenebre, copincollando dalla versione di Lutero: chi vuole, potrà facilmente riscontrare su una bibbia italiana. Mi sembra che vi sia l’intera trama su cui C ordisce Psalm (ma pure i testi attorno a Psalm, che con pazienza abbiamo copincollato in questi giorni, insieme). [sono onorato per la curatela al florilegio di G. Badans, ma ho già una grana: un foglio volante che non so se inserire o meno– ma di ciò, casomai, più avanti. Oltre ad alias, comprate la Repubblica: sull’inserto Donna, c’è un testo della Merini e immagini di Gb, Thee dust]
GIOBBE
– La protesta di Giobbe
[1.21] und sprach: Ich bin nackt von meiner Mutter Leibe gekommen, nackt werde ich wieder dahinfahren. Der HERR hat’s gegeben, der HERR hat’s genommen; der Name des HERRN sei gelobt! –
[3.3-16] Ausgelöscht sei der Tag, an dem ich geboren bin, und die Nacht, da man sprach: Ein Knabe kam zur Welt! Jener Tag soll finster sein, und Gott droben frage nicht nach ihm! Kein Glanz soll über ihm scheinen! Finsternis und Dunkel sollen ihn überwältigen und düstere Wolken über ihm bleiben, und Verfinsterung am Tage mache ihn schrecklich! Jene Nacht – das Dunkel nehme sie hinweg, sie soll sich nicht unter den Tagen des Jahres freuen noch in die Zahl der Monde kommen! Siehe, jene Nacht sei unfruchtbar und kein Jauchzen darin! Es sollen sie verfluchen, die einen Tag verfluchen können, und die da kundig sind, den Leviatan zu wecken! Ihre Sterne sollen finster sein in ihrer Dämmerung. Die Nacht hoffe aufs Licht, doch es komme nicht, und sie sehe nicht die Wimpern der Morgenröte, weil sie nicht verschlossen hat den Leib meiner Mutter und nicht verborgen das Unglück vor meinen Augen! Warum bin ich nicht gestorben bei meiner Geburt? Warum bin ich nicht umgekommen, als ich aus dem Mutterleib kam? Warum hat man mich auf den Schoß genommen? Warum bin ich an den Brüsten gesäugt? Dann läge ich da und wäre still, dann schliefe ich und hätte Ruhe mit den Königen und Ratsherren auf Erden, die sich Grüfte erbauten, oder mit den Fürsten, die Gold hatten und deren Häuser voll Silber waren; wie eine Fehlgeburt, die man verscharrt hat, hätte ich nie gelebt, wie Kinder, die das Licht nie gesehen haben.
[10.9 e 18-19] Bedenke doch, daß du mich aus Erde gemacht hast, und läßt mich wieder zum Staub zurückkehren?… Warum hast du mich aus meiner Mutter Leib kommen lassen? Ach daß ich umgekommen wäre und mich nie ein Auge gesehen hätte! So wäre ich wie die, die nie gewesen sind, vom Mutterleib weg zum Grabe gebracht.[17.14-16] Das Grab nenne ich meinen Vater und die Würmer meine Mutter und meine Schwester. Worauf soll ich denn hoffen? Und wer sieht noch Hoffnung für mich? Hinunter zu den Toten wird sie fahren, wenn alle miteinander im Staub liegen.
– La risposta di Dio
[38.8] Wer hat das Meer mit Toren verschlossen, als es herausbrach wie aus dem Mutterschoß? (con rimando a GENESI [1. 9-10] Und Gott sprach: Es sammle sich das Wasser unter dem Himmel an besondere Orte, daß man das Trockene sehe. Und es geschah so. Und Gott nannte das Trockene Erde, und die Sammlung der Wasser nannte er Meer.)
SALMI
[22.10-11] Du hast mich aus meiner Mutter Leibe gezogen; du ließest mich geborgen sein an der Brust meiner Mutter. Auf dich bin ich geworfen von Mutterleib an,du bist mein Gott von meiner Mutter Schoß an.
[58.4] Die Gottlosen sind abtrünnig vom Mutterschoß an, die Lügner gehen irre von Mutterleib an.
[71.6] Auf dich habe ich mich verlassen vom Mutterleib an; du hast mich aus meiner Mutter Leibe gezogen. Dich rühme ich immerdar.
[103.14] Er gedenkt daran, daß wir Staub sind.
[139.11-16 e 19-20] Spräche ich: Finsternis möge mich decken und Nacht statt Licht um mich sein -, so wäre auch Finsternis nicht finster bei dir, und die Nacht leuchtete wie der Tag. Finsternis ist wie das Licht. Denn du hast meine Nieren bereitet und hast mich gebildet im Mutterleibe. Ich danke dir dafür, daß ich wunderbar gemacht bin; wunderbar sind deine Werke; das erkennt meine Seele. Es war dir mein Gebein nicht verborgen, als ich im Verborgenen gemacht wurde, als ich gebildet wurde unten in der Erde. Deine Augen sahen mich, als ich noch nicht bereitet war… Ach Gott, wolltest du doch die Gottlosen töten! Denn sie reden von dir lästerlich.
Su una sola cosa di quel che dice sono d’accordo:
“La sensibilità non serve a niente senza l’intelligenza”
e viceserva.
Per il resto si lagna. E parla di sé, come sempre.
Chi è Gb?
@temporale
qualche raro colpo d’ala, più colpi d’anca che altro…
e dietro, in coda, greggi di merinos…
avrai capito che gb è una delle tante incarnazioni di db: GioBbe, Gabriella Badante, GuidoBorso de’ Theedust… se poi volessi sapere chi dei 4 esattamente è – prova a indovinare, e ne riparleremo!
approfitto per sottoporre allo staff del progetto E.Badans/“Aperitivo all’Academic Store” il testicolo su cartapacco 6,9×9,6 che ho sottomano e non so ancora se inserire
*Adesso io ti succhio questo cazzo,
oh padre-poesia-letteratura. Distruggerò struggendomi d’amore
il padre-poesia-letteratura.
Ragionieri della letteratura.
Ragionieri della letteratura.
ELLA BADANS
BADA ELLANS
ANSA BADELL
BELLA DANSA
SELLA BANDA
BALDA LENSA
BADANS ELLA*
temporale è scoppiato cinque minuti fa, io però ci sono ancora, non so chi sia gb, se compare bene, altrimenti pace all’anima sua, anch’io ho problemi di pagnotta, anch’io sono attorniata da rumori, e se è giobbe si incazzi col suo dio, che io ho il mio.
vado in pace, e vai in pace anche tu.
dedicat@temp
leite, leitura,
letras, literatura,
tudo que passa,
tudo o que dura
tudo que duramente passa
tudo o que passageiramente dura
tudo, tudo, tudo,
não passa de caricatura
de você, minha amargura
de ver que você não tem cura
(Gb è la sigla consueta per Giobbe, come Gn per Genesi. In più mio figlio si chiama Guido, e compare oggi su Donna di Repubblica. Forse non s’è capito, ma sull’Alda la pensiamo uguale!)
@temp, l’atemporale
leite, leitura,
letras, literatura,
tudo que passa,
tudo o que dura
tudo que duramente passa
tudo o que passageiramente dura
tudo, tudo, tudo,
não passa de caricatura
de você, minha amargura
de ver que você não tem cura
tudo, tudo, tudo,
não passa de caricatura
de você, minha amargura
de ver que você não tem cura
nao passa de caricatura
de vocé, minha amargura
de ver que vocé nao tem cura
@ temp & db
Anch’io un giorno ho dettato al telefono un intero libro di poesie. Peccato che dall’altro capo del filo non ci fosse nessuno. Ma continuo imperterrita, tra l’altro non mi grava neanche sulla bolletta.
p.s.
Potreste organizzare una raccolta firme perché mi venga riconosciuta la legge balzelli?
Calice
(der krone rot)
Pai, afasta de mim esse cálice
Pai, afasta de mim esse cálice
Pai, afasta de mim esse cálice
De vinho tinto de sangue
Como beber dessa bebida amarga
Tragar a dor, engolir a labuta
Mesmo calada a boca, resta o peito
Silêncio na cidade não se escuta
De que me vale ser filho da santa
Melhor seria ser filho da outra
Outra realidade menos morta
Tanta mentira, tanta força bruta
Como é difícil acordar calado
Se na calada da noite eu me dano
Quero lançar um grito desumano
Que é uma maneira de ser escutado
Esse silêncio todo me atordoa
Atordoado eu permaneço atento
Na arquibancada pra a qualquer momento
Ver emergir o monstro da lagoa
De muita gorda a porca já não anda
De muito usada a faca já não corta
Como é difícil, pai, abrir a porta
Essa palavra presa na garganta
Esse pileque homérico no mundo
De que adianta ter boa vontade
Mesmo calado o peito, resta a cuca
Dos bêbados do centro da cidade
Talvez o mundo não seja pequeno
Nem seja a vida um fato consumado
Quero inventar o meu próprio pecado
Quero morrer do meu próprio veneno
Quero perder de vez tua cabeça
Minha cabeça perder teu juízo
Quero cheirar fumaça de óleo diesel
Me embriagar até que alguém me esqueça
Nel post precedente, leggasi (der krone rot?).
La vostra discussione ha avuto una grande eco in tutto il Brasile, in particolare nel Nordeste. Egberto Gismonti ha già composto una ciranda dedicata a voi.
Obrigado.
@ db
Meu professor de análise sintática era o tipo
do sujeito inexistente.
Um pleonasmo, o principal predicado da sua vida,
regular como um paradigma da 1a conjugação.
Entre uma oração subordinada e um adjunto adverbial,
ele não tinha dúvidas: sempre achava um jeito
assindético de nos torturar com um aposto.
Casou com uma regência.
Foi infeliz.
Era possesiva como um pronome.
E ela era bitransitiva.
Tentou ir para os EUA.
Não deu.
Acharam um artigo indefinido em sua bagagem.
A interjeição do bigode declinava partículas expletivas,
conectivos e agentea da passiva, o tempo todo.
Um dia, matei-o com um objeto direto na cabeça.
(Paulo Leminky)
*Adesso io ti succhio questo cazzo,
oh padre-poesia-letteratura.Distruggerò struggendomi d’amore
il padre-poesia-letteratura. Ragionieri della letteratura. Ragioni
eri della letteratura.Ragion
ieri della letteratura. Ragio Ragionieri della letteratura.
ELLA BADANS
BADA ELLANS
ANSA BADELL
BELLA DANSA
SELLA BANDA
BALDA LENSA
BADANS ELLA*
sparatevi!
*Adesso io ti succhio questo cazzo,
oh padre-poesia-letteratura.Distruggerò struggendomi d’amore
il padre-poesia-letteratura. Ragionieri della letteratura. Ragioni
eri della letteratura.Ragion
ieri della letteratura. Ragio
Ragionieri della letteratura.
ELLA BADANS
BADA ELLANS
ANSA BADELL
BELLA DANSA
SELLA BANDA
BALDA LENSA
BADANS ELLA*
risparatevi!
El Pistola: un nome, un’identità, una professione, un marchio di fabbrica, un destino.
Auguri.
D. Parlami degli articoli.
R. Ci sono gli articoli definiti, gli articoli indefiniti e gli articoli casalinghi.
D. Parlami degli articoli casalinghi.
R. Gli articoli casalinghi sono il contrario degli articoli d’esportazione.
D. Perché non hai citato prima gli articoli d’esportazione?
R. Se è per quello, non ho citato neanche gli articoli da asportazione.
D. Perché?
R. Perché rientrano negli articoli casalinghi.
D. E gli articoli d’esportazione?
R. Perché rientrano negli articoli indefiniti.
D. Dimmi un altro articolo indefinito.
R. L’articolo di morte.
D. E un articolo definito?
R. Idem.
CIRANDA
Nas ondas do mar
Quero ser feliz
Quero me afogar.
Nas ondas da praia
Quem vem me beijar?
Quero a estrela d’alva
Rainha do mar.
Quero ser feliz
Nas ondas do mar
Quero esquecer tudo
Quero descansar
Solitarius, Solidarius*
il foglietto prosegue, dopo una linea orizzontale, col seguente appunto: “Notiert für ‘Die Niemandsrose’: 1. wir ritten Gott in die Ferne – die Nähe 2. Kolchis-Gedicht… und Vorüber-zu-Dir-und-zu-dir … ins hellhörige Ohr seiner Spätsommer-Dolle 3. Auch deine Wunde, Rosa Luxemburg, Briefe aus dem Gefängnis wiedererlesen, event. auch Ernst Toller, Brief aus dem Gefängnis”.
@db
Parla chiaro allora, uomo! o finirò per chiamarti cripta.
te l’ho già detto, io arranco con le mie poche forze dietro ai tuoi fuochi d’artificio:–)
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La polvere si alza,
nasconde la tua ombra
e chiude i miei ricordi
in fondo a questa strada.
La polvere si alza,
nasconde queste pietre
e copre la mia voce
che non ha più parole.
P. C.
Transitioning from a patriarchal mindset to a solidarity mindset entails a transition from homo economicus to homo solidarius.
A de nos tornarmos o homo solidarius ou o “homo excluidus”. Há bilhões de pessoas neste planeta que estão excluídas de qualquer possibilidade de vida digna a continuar essa visão de progresso como está posta hoje para a humanidade. Ou nos transformamos no homo solidarius, ou iremos desaparecer da face da terra. Os conflitos que poderão acontecer com as pessoas sentindo-se apartadas é algo praticamente irreversível. A humanidade tem de buscar uma forma de dar respostas para que a terra generosa continue a ser de todos.
Ho visto il figlio:–)
Solitarius, solidarius (passero, ginestra). I curatori tedeschi delle prose dicono che Solidarius è un termine coniato da Celan dal francese solidaire. In effetti è tardolatino. Solidare significa “pagare”, in quanto i soldati romani erano pagati in Solidi (da cui soldi). Ma Solidare è anche “saldare”, detto di fratture ossee, e più genericamente consolidare ad. es. rem Romanam, in Aurelio Vittore, IV secolo d.c., rinforzare i legami sociali dunque.
C soggiornò per la prima volta in una clinica psichiatrica fuori Parigi dal 31 dic. ’62 al 17 genn. ’63. Lì vergò su un notes una ventina di appunti tra cui il nostro, dove si propone di rileggere le lettere dal carcere di Rosa L. Nella sua biblioteca aveva in effetti un’edizione del ’32. Quanto a Toller, che si propone di leggere eventualmente, non ha lasciato lettere dal carcere (le sue lettere furono stampate nel ’61).
Rosa: donna, ebrea, polacca, comunista, trucidata. Ernst: ebreo, polacco, comunista, suicidato. Dall’appunto deduciamo che la poesia dedicata a Rosa, Hinausgekrönt, non l’ha ancora scritta: tra l’altro accenna un verso (auch deine Wunde, anche la tua ferita) che poi scarterà, a differenza degli altri riportati nell’appunto, che stanno in altre poesie (tra l’altro, Hinausgekrönt sarà inserita nella quarta e ultima sezione di Die Niemandsrose, 1963). Rosa scontò 2 anni di carcere ’16-’18, e le sue lettere dal carcere sono tradotte in R. Luxemburg, Lettere 1893-1919, Ed. Riuniti, 1979 – Chissà cos’avrà pensato C a leggere passi così:
*Proprio ieri ho letto qualcosa sulle cause della diminuzione degli uccelli canori in Germania: sono la crescente coltura razionale delle foreste e dei giardini e l’agricoltura che man mano distruggono tutte le loro condizioni naturali di nidificazione e alimentazione: alberi cavi, terreni incolti, sterpaglia, foglie secche sul terreno dei giardini. Mi ha fatto fanto male, quando l’ho letto. Non è tanto il canto per gli uomini che mi interessa, ma è l’immagine del silenzioso, inarrestabile declino di queste piccole creature che mi addolora fino alle lacrime. Mi richiama alla mente un libro russo del prof. Ziber sul declino dei pellerossa nell’America del nord, che lessi quando ero a Zurigo: anch’essi furono man mano scacciati dal loro territorio dagli uomini civili e condannati a un silenzioso, crudele declino.
@ db
il testicolo su cartapacco viene rispedito al mittente… :-)
ho ciccato, era il quarto. Indecisa tra i due, buttai lì a caso: chiedo venia.
Sarà tardo a danzare,
il mio spavento: non si divide
non vuole rivali, svia
con sua collera il cammino.
E noi, mortalmente come siamo, 490
musicanti in clamorosa rete
in gabbia strepitante, una
tagliola, mentre sogneremmo
insidie più nobili, onorate. Noi,
salmodiati dal tempo originale 495
e bisbigliati dal presente.
Nanni Cagnone, Il popolo delle cose, 1999
Per fortuna c’è la rete, che becca pure i pesci piccoli! No, sono assai perplesso se assumermi la curatela della Badans: il cartapacco è un plagiopacco! Digitando su google “ succhio cazzo” ho trovato
http://gemmagaetani.splinder.com/?from=153
dove ho scoperto che Ella scopiazza perfino il titolo: “Culazione al Fiorucci store”. Come la mettiamo? (e che vuol dire il quarto? da destra? da sinistra?)
Con la stessa rete ho beccato pure un piscione, che dico, una balena, un leviatano! – il capitolo dedicato a Psalm in Bach, Inka / Galle, Helmut: Deutsche Psalmendichtung vom 16. bis zum 20. Jahrhundert. Untersuchungen zur Geschichte einer lyrischen Gattung Quellen und Forschungen zur Sprach- und Kulturgeschichte der germanischen Völker, no. 219. Berlin: Walter de Gruyter, 1989.
http://www.uni-essen.de/Ev-Theologie/courses/ course-stuff/lit-bach-galle-psalmendichtung09celan.htm
Bellissimo, risulta decisivo anche per noi, e inviterei Helena e temp a darci una scorsa (e se qualcuno vuole un riassunto, lo faccio volentieri).
Intanto 2 Heine: un gioiellino giovanile, e la poesia da cui C ha tratto l’esergo per la Canzone di ribaldi e ladri che chiude la sezione prima di Die Niemandsrose, scritta da HH dopo i pogrom del 1819 e dedicata ai cristiani (a prop., ho scoperto lo stilo è l’organo riproduttivo femminile del fiore, il filamento quello maschile)
Die Rose, die Lilje, die Taube, die Sonne,
Die liebt ich einst alle in Liebeswonne.
Ich lieb sie nicht mehr, ich liebe alleine
Die Kleine, die Feine, die Reine, die Eine;
Sie selber, aller Liebe Bronne,
Ist Rose und Lilje und Taube und Sonne.
Ein Jahrtausend schon und länger
Dulden wir uns brüderlich;
Du, du duldest, daß ich atme,
Daß du rasest, dulde ich.
Manchmal nur, in dunklen Zeiten,
Ward dir wunderlich zumut,
Und die liebefrommen Tätzchen
Färbtest Du mit meinem Blut.
Jetzt wird unsre Freundschaft fester,
Und noch täglich nimmt sie zu;
Denn ich selbst begann zu rasen,
Und ich werde fast wie Du!
caro db@
“la mia casa editrice” Edizioni Lazi & Sarai (Lama), s’è bevuta il cervello, off course. Mai ebbi intenzione di plagiare chicchessia… tanto per intenderci. Quindi non mi abbandoni, please.
Il quarto da sinistra (la creatura nella foto,sangue del suo sangue).
Mi farebbe piacere avere un riassunto, ché il tedesco è lingua ignota per me e ormai sono immersa nel Salmo come una drogata. :-)
Sarà l’ora tarda, ma la Badella… dei 4, quello a destra NON può essere, poiché nella foto sotto suona il basso a 4 corde, e Guido è chitarra a 6! Poi riassumerò per bene se per bene la Badella leggerà i versetti di Giobbe e Salmi che ho riportato oggi in tedesco: è FONDAMENTALE!
Tornando all’appunto, oltre alla poesia su Rosa L. si accenna al Colchis-Gedicht, alla poesia della Colchide che poi è il Mar Nero, il mare di Mandelstam cui è dedicato l’intero libro. Il titolo della poesia è “E con il libro di Tarussa” (la penultima del libro), e ha ad esergo una frase della Cvetaeva (“In questo cristianissimo tra i mondi / i poeti sono gli ebrei” – penso intenda gli isolati. Marina non era ebrea, il marito sì, guardia bianca prima, poi sicario GPU del figlio di Trozkij). Anche Marina nel gennaio del ’26 aveva intonato il suo piccolo salmo:
Lode, fai piano!
Non sbattere le porte –
gloria!
Angolo
del tavolo – e gomito.
Scompiglio – basta!
Cuore – tranquillo!
Gomito e fronte.
Gomito e – testa.
Giovani – amare.
Vecchi – scaldarsi.
E non c’è tempo – d’essere,
né dove cacciarsi.
Anche una tana, ma –
da sola! Gocce
dai rubinetti,
strepito di sedie,
bocche che parlano
con la minestra
in bocca: “Grazie
per i bei versi”.
Dei miei vicini
remoti, nessuno
indovina – che pena
per la mia testa!
Orchestra di vandali!
Fortezza o steppa –
il paradiso è dove
non parlano!
Il bottegaio – soldi.
Il dongiovanni – prede.
A Dio io chiedo
una stanza – qualunque –
un buco – da sola! –
un posto – per me! –
quattro pareti per
il silenzio.
@ db
Manca solo un tassello importante alla tua ricostruzione: la “mandorla”. E’ lì la chiave di volta: la sua presenza oscura da “Papavero e memoria” alla “Rosa di nessuno”. Pensaci.
quando Cato è in gran spolvero e attacca/accatta con “Praeterea censeo…”, posso rispondere solo con un “Obbedisco!. Intanto però aggiungiamo un tassellino di H. Hesse, la prima strofa della poesiola
DIE PURPURROSE (di che anno sarà?)
Ich hatte dir ein Lied gespielt.
Du schwiegest. Deine Rechte hielt
Mit lassen Fingern eine große,
Blutrote, reife Purpurrose.
E’ l’amata che regge una rosa, la quale nell’ultima strofa sfiorirà. E’ interessante la progressione del quarto verso:
rossosangue, matura rosa purpurea
Si diceva che Psalm di C è un faticoso/miracoloso passare dall’inerzia morta della polvere alla vita: vegetale, con gli organi riproduttivi dei fiori, e animale col riferimento implicito al mollusco da cui i fenici cavavano la porpora. Ma c’è di più. Una specie particolare di anemone marino, l’actinia equina, che vive nel mediterraneo e nell’atlantico orientale, fuori e dentro l’acqua nutrendosi di detriti e si riproduce sia per scissione che sessualmente, noi lo chiamiamo “pomodoro di mare”, ma i tedeschi Purpurrose. Il passaggio alla vita animale avviene dunque via mollusco e attinia.
Il capitolo su Psalm di cui ho dato il link si muove sulla scorta di un’indicazione di Blanchot riguardante la lettura della bibbia: figura contro simbolo. Così, in una rapida rassegna delle interpretazioni, gli autori le raggruppano in simboliche e blasfeme. Le prime si perdono nel vago in(de)finito, le altre vedono solo un pezzo di realtà (ma un pezzo serve, ché pezzo su pezzo si può costruire, mentre un castello in aria, per quanto bello…). Ma il capitolo è prezioso soprattutto per gli elementi specifici che ricava dall’analisi di Psalm. Di questi, casomai dopo.
Tirai su una casina con 10 finestre poco prima di morire (leucemia), in terra/lingua “straniera”:
II
Tu me proposes, fenêtre étrange, d’attendre ;
déjà presque bouge ton rideau beige.
Devrais-je, ô fenêtre, à ton invite me rendre ?
Ou me défendre, fenêtre ? Qui attendrais-je ?
Ne suis-je intact, avec cette vie qui écoute,
avec ce coeur tout plein que la perte complète ?
Avec cette route qui passe devant, et le doute
que tu puisses donner ce trop dont le rêve m’arrête ?
IX
Sanglot, sanglot, pur sanglot !
Fenêtre, où nul ne s’appuie !
Inconsolable enclos,
plein de ma pluie !
C’est le trop tard, le trop tôt
qui de tes formes décident :
tu les habilles, rideau,
robe du vide !
Anch’io, immodestamente, fui guardone:
Celui qui regarde du dehors à travers une fenêtre ouverte, ne voit jamais autant de choses que celui qui regarde une fenêtre fermée. Il n’est pas d’objet plus profond, plus mystérieux, plus fécond, plus ténébreux, plus éblouissant qu’une fenêtre éclairée d’une chandelle. Ce qu’on peut voir au soleil est toujours moins intéressant que ce qui se passe derrière une vitre. Dans ce trou noir ou lumineux vit la vit, rêve la vie, souffre la vie.
Par delà des vagues de toits, j’aperçois une femme mûre, ridée déjà, pauvre, toujours penchée sur quelque chose, et qui ne sort jamais. Avec son visage, avec son vêtement, avec presque rien, j’ai refait l’histoire de cette femme, ou plutôt sa légende, et quelquefois je me la raconte à moi-même en pleurant.
Si c’eût été un pauvre vieux homme, j’aurais refait la sienne tout aussi aisément.
Et je me couche, fier d’avoir vécu et souffert dans d’autres que moi-même.
Peut-être me direz-vous: «Es-tu sûr que cette légende soit la vraie?» Qu’importe ce que peut être la réalité placée hors de moi, si elle m’a aidé à vivre, à sentir que je suis et ce que suis?
“Salmo” è il titolo della lirica e nella posizione del salmista si pone il poeta. Che si tratti di un dialogo con Dio o comunque con un Ente superiore ce lo dice dapprima il titolo poi la seconda strofa, ma l’apertura della lirica si richiama solo a un “nessuno”: “Nessuno ci impasta più con terra e argilla, / nessuno evoca la nostra polvere. / Nessuno”. La voce del salmista si innalza in un lamento, o semplice constatazione, sulla impossibilità del ripetersi della creazione di Adamo, unico essere partorito non da carne umana, ma appunto da terra impastata ed evocata, per diretto intervento divino, alla luce. Ma alla voce di chi dà corpo il canto del salmista? P.P.Schwarz suggerisce che tale lamento sia da intendersi come il pianto di tutti i morti ebrei ai quali nessuno restituisce l’esistenza terrena che fu loro tolta. Essi non possono così riconoscersi se non nell’immagine del “Niente” e della “Rosa di nessuno”. In sostanza assisteremmo nella lirica a uno slittamento dal piano biblico tradizionale, così che alla voce del salmista si è sostituita direttamente la voce dei morti, “aus del Klage um die Toten eine Klage, die die Toten selbst führen” (1). Non abbiamo nessuna difficoltà ad accettare tale interpretazione a patto che si tenga presente come il regno dei morti sconfini e si confonda, in Celan, con quello dei vivi. L’impossibilità del ripetersi della creazione per i morti implica e sottende la difficoltà della speranza, e tanto più di una speranza salvifica, per i vivi. La tensione della lirica scaturisce proprio dalla compresenza della comunità umana nelle parole del “Salmo”.
E ciò appare ancora più significativo quando, nella seconda strofa, vediamo che quel “nessuno” poc’anzi apostrofato ha preso il posto di Dio e a lui ci si rivolge con la formula tradizionale di lode: “Gelobt seist du, Niemand” – dove “Nessuno” viene scritto con l’iniziale maiuscola a mostrare che non si tratta di un pronome ma di un “nome”. Il processo di individualizzazione e di paradossale affermazione della negazione, processo che avevamo intravisto al suo nascere in “Zähle die Mandel” (2) e che già nella lirica di apertura di “Niemandsrose” si mostrava in una fase di ulteriore sviluppo nella progressione “O einer, o keiner, o niemand, o du” (3), sembra ora totalmente compiuto. A Dio si è sostituito “Nessuno”, ma questo “Nessuno” è anche “qualcuno” capace di ripetere l’atto creativo, dunque di impastare l’uomo con terra e argilla. Al suo cospetto la comunità dei morti e dei viventi si riconosce nel “Niente”, nel fiore malato del ghetto i cui petali grondano sangue umano e divino: “Noi siamo / fummo, / e resteremo sempre / un Nulla che fiorisce: / la rosa di Nessuno”.
A rafforzare tale simbologia – ove la rosa, che nella sua composizione di petali e di spine rimanda ad una sorta di simbiosi divino-demoniaca e funge da elemento catalizzatore di due diversi ordini di riflessioni – concorre il richiamo dell’ultima strofa al rovo e alla corona (quella di Cristo?) intrecciata appunto di spine. Dicevamo di due ordini di riflessioni; è chiaro che la tematica della lirica si presta almeno a due diverse possibili interpretazioni, non tanto diverse comunque da apparire irriducibili. Che i motivi di “Psalm” si muovano nello stesso campo di immagini e di pensiero in cui abbiamo situato “Mandorla” (4) è fuori dubbio. Anche qui si tratta, in altre parole, di decidere se il “Nessuno” di cui parla la lirica sia da assumersi una volta per tutte come localizzazione paradossale ed univoca di Dio, nella fattispecie un dio di derivazione cabalistica, sottoposto quindi alla dimensione non limitativa, ma connaturata, del “Nulla”, o seppure “Nessuno”, incontro al quale l’uomo vuole fiorire (ma anche quell’ “entgegen” nel testo tedesco non è esente dall’idea del confronto e del contrasto), non sia essenzialmente una negazione, eco del “tuo Dio”, come Celan ha detto a Nelly Sachs, e non più del suo.
Da: Mario Specchio, Paul Celan – L’incantesimo dell’assurdo, Siena, 1986
Continua…
MANDORLA
In der Mandel – was steht in der Mandel?
Das Nichts.
Es steht das Nichts in der Mandel.
Da steht es und steht.
Im Nichts – wer steht da? Der König.
Da steht der König, der König.
Da steht er und steht.
Judenlocke, wirst nicht grau.
Und dein Aug – wohin steht dein Auge?
Dein Aug steht der Mandel entgegen.
Dein Aug, dem Nichts stehts entgegen.
Es steht zum König.
So steht es und steht.
Menschenlocke, wirst nicht grau.
Leere Mandel, königsblau.
MANDORLA
Nella mandorla – cosa sta nella mandorla?
Il nulla.
Nella mandorla sta il nulla.
Lì sta e sta.
Nel nulla – chi sta? Il re.
Lì sta il re, il re.
Lì sta e sta.
Ricciolo ebreo, non diventare grigio.
E il tuo occhio – per dove sta il tuo occhio?
Il tuo occhio sta davanti al nulla.
Sta verso il re.
Così sta e sta.
Ricciolo d’uomo, non diventare grigio.
Mandola vuota, blu regale.
Quando il lettore tedesco legge MANDORLA in italiano nel titolo, è già in allerta: può dubitare che sia un vezzo dell’autore, ma viene orientato già subito verso il giusto – è il titolo di un quadro, poiché in storia dell’arte (per i crucchi compresi) mandorla è il nome per designare la mandula che racchiude a mo’ di cornice le figure sacre (Cristo e Maria innanzitutto, a significare l’aura/gloriola) dall’epoca bizantina al 300 italiano (dove prende nome, e diviene comunissima nelle miniature e nei capolettera dei libri). Occhi a mandorla ebrei, Mandel/Mandelstam ecc., sono tutti significati ultrasecondari rispetto a questo, che invece spiega/illumina tutto il testo (che sta nella II sezione, quasi a legare Psalm a Hinausgekrönt).
http://www.polomuseale.firenze.it/ arteafirenzealtempodidante/miniatura.asp?c=31
scusate il refuso da campagnolo: Mandorla, non Mandola come diciamo noi (per noi la mandola è anche l’organo femminile, e anche la bustarella).
*A Dio si è sostituito “Nessuno”, ma questo “Nessuno” è anche “qualcuno” capace di ripetere l’atto creativo, dunque di impastare l’uomo con terra e argilla.* : dove l’ha trovato questo, Specchio? in un’allodola?
l’esperienza profana, ma negli stessi termini, l’avevano già provata Baudelaire e Rilke con la finestra vuota. Tra l’altro, questa Mandorla mi sembra la più rilkiana delle poesie di C, per il nitore formale e la simmetria. E come Psalm si costruiva a rosa, cosi questa s’incornicia a mandorla (riassumendo splendidamente la storia dell’icona, dai bizantini a Malevic).
Vedo con piacere che la legna che ho buttato sul fuoco comincia ad alzare la temperatura, visto che anche le allodole si sono levate in volo… Ma anche le allodole, per cantare, hanno bisogno di non essere estrapolate dal loro cielo: se no, quando si trovano davanti alla mandola, rischiano di mancare la “impennata” decisiva. Mon bijou d’un bidi(bodi)bou…
La Mandorla è un motivo, di tipo ornamentale, molto usato nel Medioevo, in particolare nell’Alto Medioevo. È quella figura a forma di mandorla, appunto, che nasce dalla sovrapposizione di due cerchi uguali in cui la circonferenza dell’uno passa nel centro dell’altro, e rappresenta la incredibile intersezione tra il mondo terreno e quello celeste, il punto d’incontro tra due mondi. La mandorla mistica è il simbolo del luogo, dello spazio, in cui si immagina avvenga l’unione con il divino.
È uno dei temi della geometria sacra, secondo cui tutto l’universo sarebbe ordinato secondo dei precisi rapporti geometrico-matematici. È detta anche “vescica piscis” perché ricorda la vescica natatoria dei pesci sia per la forma sia, immagino, perché in essa vi è in qualche modo un’intersecazione tra l’elemento aria e l’elemento acqua, tra due piani della realtà contigui, ma separati.
La mandorla
Una delle figure più importanti della geometria sacra è la vescica piscis, conosciuta anche come mandorla. Essa si ottiene intersecando due cerchi.
La mandorla simboleggia il “punto” nel quale forze o mondi, chiaramente separati, si dividono e al tempo stesso si incontrano.
I cerchi sono emblemi di spirito e materia, di cielo e terra, di antico e nuovo.
La mandorla è la figura che nell’iconografia medievale circonda spesso il Cristo o la Vergine Maria. Essa appare come l’aureola di luce che ne rivela la divinità ed è frequentemente utilizzata anche nella pittura rinascimentale.
Nella mandorla sta il nulla e cosa può cogliere l’occhio? L’occhio davanti al nulla può cogliere solo il colore. Il blu, luce divina.
contemplo estatico l’inalberamento mistico di Ella, e provo a fermarla, prima che diventi Santella, e ci abbandoni in questa valle di lacrimecristi.
Traduco quindi il suo rapimento così: tanto fumo (a-ureola, a proposito di vescica piscis) e niente arrosto. Il fumo è ciò di cui (a essere fortunati) viviamo, è il fumo del nostro poetare, il flatus della nostra vocis. A girarla in filosofia, è il momento fenomenologico-husserliano per eccellenza: la Sache (torte) è nell’Ur-forno, invisibile come il personaggio presunto dietro alla finestra di Rilke/Baudelaire, e noi… siamo lì con l’acquolininbocca = intenzionalità.
Notare poi, ma Santa Mantra l’avrà già notato, l’andamento cantilenante della poesia, come un’eiaculatoria (che Bevilacqua incricca). La mandola è vuota di re, ma è colorata (come il fumo, che è grigio e non diafano). Ma avete cliccato sul link di Firenze? (la cantilena dà senso di fatica, meno liturgico: il graben graben della prima poesia di Die Niemands Rose e il weben weben weben di Heine).
Quindi tutto si svolge tra un occhio e un quadro (mi ricorda qualcosa…), e le due strofe, sull’omologia nulla/re, fanno stropicciare gli occhi (sogno o son desto? ma c’è o non c’è la figura?).
a parte obiecti, il rebus è irrisolvibile. perciò C si sposta a parte subiecti, e lì sottolinea l’intenzionalità: wohin steht dein Auge? – che è un controsenso: verbo di stato, avverbio di moto (perciò ho tradotto: per dove, come si dice: ho guardato per di qua). e poi: entgegen e zu.
La ripetizione riguarda anche il ricciolo, e come ogni vera ripetizione, arricchisce di senso. Il ricciolo parte ebreo, ma si fa universale umano. Ma che frase è? Bevilacqua e Hamburger traducono con un indicativo (presente o futuro poco cambia). Ci ho pensato su, ma Nietzsche è troppo potente: Wirst was du bist! = divieni ciò che sei!. E quindi il poeta, che si rivolge al tu riccioluto/guardante, qui raggiunge il tono lirico della com-passione solidaria: resisti, non ingrigirti, continua a guardare! (NB locken = attirare, ma anche ricalcitrare – a prop. di per e contro!)
Sicché ci è rimasto il blu regale (come il sangue blu). Ma quando sento “RE”, penso subito a un passaggio eccezionale del discorso Il meridiiano di C (contemporaneo a Psalm), quando commenta in Büchner il grido della disperata: “W il re!”. Ve lo ricordate? (io non ce l’ho a casa).
PS quando mi si sgonfia un pneumatico, non so com’è, ma giunge subito il Pneumacato!
@ db
Da: Paul Celan, La verità della poesia, versione italiana a cura di G. Bevilacqua, Torino, Einaudi, 1993
Il suo “Viva il Re” non è più parola, è un pauroso ammutolire, qualcosa che toglie a lui – e anche a noi – il respiro e la capacità di parlare. Poesia: ciò può significare una svolta del respiro. Chi può saperlo? La poesia percorre forse il cammino – anche il cammino dell’Arte -proprio in vista di una simile svolta? Forse – poiché l’estraneità, ovvero l’abisso “e” il volto di Medusa, l’abisso “e” gli automi, tutto sembra allinearsi nella stessa direzione, – forse le riesce di distinguere tra estraneità ed estraneità, forse proprio qui il volto di Medusa si atrofizza, forse fanno cilecca gli automi, proprio qui – per questo incomparabile breve istante? Forse qui con l’io – con questo io affrancatosi “qui” e in “tale modo” – forse qui si libera ancora qualcos’altro?
Forse è a partire da questo punto che il poema è se stesso…e ora può percorrere, in questo modo anartistico ed emancipato dall’Arte, le proprie altre strade, dunque anche le strade dell’Arte – percorrerle più e più volte ancora? Forse.
n.b.
Le virgolette le ho usate io per sostituire il corsivo del testo.
@ db
Non ho mai postato la mia traduzione di “Psalm”, perché fermamente convinto che, con questo testo, “ci troviamo nell’area del misticismo ebraico e del rispettivo nihilismo”. Amen.
p.s.
Io fummo, sono
e resteremo sempre
un Nulla che fiorisce:
un Nulla in forma di rosa,
la rosa di Nessuno.
Sarà il residuo della mia visita estiva a Camaldoli o la visione di Arca russa di ieri sera che mi porta nei vicoli mistici; sono andata al link di Firenze ma non capisco dove proseguire o mio criptico amico…
e cmq al di là di ogni traduzione poi rimane l’interpretazione che ognuno dà con il proprio sentire, o no? perché blu e non altro colore?
@ cato: :-)
Io fummo, sono
e resteremo sempre
un Nulla che fiorisce:
un Nulla in forma di rosa,
la rosa di Nessuno.
Scusi Gabriella, ma nella fretta ho digitato male una parola: adesso rettifico, sperando vorrà ancora condividere il tutto.
Io fummo, siamo
e resteremo sempre
un Nulla che fiorisce:
un Nulla in forma di rosa,
la rosa di Nessuno.
p.s.
Ma lo sa che Gabriella è proprio un bel nome?
mi dispiace rompere l’idillio, amica Plata sed magis amicus Veritos, la traduzione ha i suoi obblighi morali, e insisto, la scrofa va tradotta così (anche le sfumature contano, anche perché qui, tra niente e nessuno, c’è poco altro e quindi)
Io fummo, siamo
e resteremo sempre
un Nulla che fiorisce:
un Nulla in forma di rosa,
la rosa di Nessuno.
fino a prova contraria, ovviamente. detto questo, ho un regalino per Ella: mescoli ad arte una mandorla sbucciata con una terzina di dante, digiti su google
mandorla arte dante
e schiacci pure il primo che trova: buona degustazione (e ne dia un po’ anche a Cato!). Come si debba sentire/interpretare un colore, non è affar di traduttore: il quale deve badare solo a tradurre blau con blu, e non magari con celeste, cinerino o che altro.
Adesso che ho fatto le carte, comincerei un altro giro di briscola calando un carico…
Bien sur!
Scusi pneumacato, manca l’accento circonflesso sulla u ma la tastiera ignora il francese…
grazie, anche il suo non è male, di nome. Mi ricorda il triplice pneumotorace che mi afflisse anni fa: mi è, come dire, famigliare. :-)
“Pneumacato e Motodibì”: uno dei cartoon preferiti dai miei figli.
(Speriamo che ciò li porti, da grandi, a fare i meccanici o gli idraulici)
HINAUSGEKRÖNT
Sbattuto fuori nella notte stellata, il povero tessitore C lavora, lavora non meno dei compagni della Slesia (weben e flechten sono sinonimi) … ich flocht, ich zerflocht, ich flechte, zerflechte. Ich flechte. Ma per chi lavora? Per il cielo, parrebbe: “Baratro blu, in te ordisco l’oro”, e C si ritrova ora gemello del pittore d’icone – non dell’asceta, ma del maudit (un misto di artista e di lumpen, di Slesia e di Russia): “Anche con quello che lasciai da puttane e bagasce io vengo e vengo. Da te, amata”. Dunque il tu è una donna, una donna-cielo e quasi angelicata, cui l’artista porta 2 tipi di oro, il puro e l’impuro, e 2 tipi di parole: “Anche con imprecazioni e preci”, bestemmie e preghiere, quelle del salmo. Ma non è un assortimento, perché le mazze che sibilavano su di lui (le mazzate subìte), le converte in un mazzo fallico, un covone di parole. Perché viene da lei “Con nomi imbevuti di ogni esilio” (le mazzate, e compare, in metafora, il liquido/bere), “Con nomi e semi” (vivi dunque, e pronti a germogliare proprio grazie al liquido dell’esilio), “con nomi immersi in tutti i calici che stanno colmi del tuo sangue regale, essere umano” – l’amata ora perde l’esclusiva ma non l’amore, diviene persona, rappresentante dell’umanità tutta (come il ricciolo ebreo), e non in metafora, poiché c’è sangue, sangue regale. Anche lei dunque è in qualche modo sdoppiata, in sangue di sofferenza e in maestà trionfante. Qui è fortissimo il richiamo a Matteo 27, 28-30, Gesù ricoperto di un manto porpora, la corona di spine, il sangue che cola, la beffa del Salve, re dei giudei! – ma regalità è anche vincolo societario, legame che toglie l’isolamento (solitarius-solidarius / la porpora del Senato romano, garante della res publica). E C ripete: con nomi immersi “in tutti i calici della gran Rosa del ghetto donde ci guardi, immortale per così tante morti avute sulle vie del mattino” – l’amata dunque è la Luxemburg che ha ceduto il nome proprio al ghetto, immortale per paradosso estremo (dove il mattino poi altro non è che il sol dell’avvenir). Poi una parentesi per riprender fiato, il ricordo al plurale di canti rivoluzionari polacchi frammisti al Petrarca tanto amato da Mandelstam – quasi quanto Dante, che come unico libro portò nel gulag (quanto 300 di colori e di stilnovo in questo testo!). E infine l’alba, dove però, quasi in un impeto di umanesimo copernicano, a levarsi non è il sole: “E sorge su una terra, la nostra, questa. E non mandiamo nessuno dei nostri giù da te, Babel”.
Wacht auf, Verdammte dieser Erde,
die stets man noch zum Hungern zwingt!
Das Recht wie Glut im Kraterherde
nun mit Macht zum Durchbruch dringt.
Reinen Tisch macht mit den Bedrängern!
Heer der Sklaven, wache auf!
Ein Nichts zu sein, tragt es nicht länger
Alles zu werden, strömt zuhauf!
Es rettet uns kein höh’res Wesen,
kein Gott, kein Kaiser, noch Tribun
Uns aus dem Elend zu erlösen
können wir nur selber tun!
Leeres Wort: des Armen Rechte,
Leeres Wort: des Reichen Pflicht!
Unmündig nennt man uns und Knechte,
duldet die Schmach nun länger nicht!
In Stadt und Land, ihr Arbeitsleute,
wir sind die stärkste der Partei’n
Die Müßiggänger schiebt beiseite!
Diese Welt muss unser sein;
Unser Blut sei nicht mehr der Raben
und der mächt’gen Geier Fraß!
Erst wenn wir sie vertrieben haben
dann scheint die Sonn’ ohn’ Unterlass!
Debout les damnés de la terre
Debout les forçats de la faim
La raison tonne en son cratère
C’est l’éruption de la fin
Du passe faisons table rase
Foules, esclaves, debout, debout
Le monde va changer de base
Nous ne sommes rien, soyons tout!
Il n’est pas de sauveurs suprêmes
Ni Dieu, ni César, ni tribun
Producteurs, sauvons-nous nous-mêmes
Décrétons le salut commun
Pour que le voleur rende gorge
Pour tirer l’esprit du cachot
Soufflons nous-mêmes notre forge
Battons le fer quand il est chaud!
Ouvriers, paysans, nous sommes
Le grand parti des travailleurs;
La terre n’appartient qu’aux hommes,
L’oisif ira loger ailleurs.
Combien de nos chairs se repaissent!
Si les corbeaux, si les vautours,
Un de ces matins, disparaissent…
Le terre tournera toujours!
(BONUS
Qu’enfin le passe s’engloutisse!
Qu’un genre humain transfigure
Sous le ciel clair de la justice
Murisse avec l’epi dore!
Ne crains plus les nids de chenilles
Qui gataient l’arbre et ses produits.
Travail etends sur nos familles
Tes rameaux tout rouges de fruits.)
Questo è il db che preferisco.
Beh, quando scrive così non si può che leggere e tacere per un po’ (parlo per me, beninteso)… :-)
@gabella: io che ho fatto le carte, t’ho chiamata vincènte… mo’ un altro giro (c’è anche temp, e quindi torniamo alla briscola a 4).
1 – il weben weben weben dei tessitori senza speranza di Heine rimanda al topos di Sisifo. il flechten zerflechten flechten invece al topos di Penelope, colei che nel dolore mantiene la speranza (aveva ragione Socrate, che l’amore è figlio della mancanza e dell’espediente: Ulisse tornerà dall’esilio, se lei intanto farà il trucchetto). In qualche modo Hinausgekrönt è al femminile sin dall’inizio.
2 – l’oro viene purificato del meretricio, e le mazze di dolore fuse in un’unica (mazze ferrate dunque, non clave che son di legno!: siamo nel 300, mica all’età della pietra). Il miracolo della vita di Psalm diventa qui alchimia della fusione. E qui vien buona l’Internazionale, composta da un comunardo vallone, cantata in francese alla fine dell’800 e tradotta in tedesco nel 1910 (prima, i comunisti tedeschi si arrangiavano con gli slesiani di Heine): Pour tirer l’esprit du cachot, Soufflons nous-mêmes notre forge, Battons le fer quand il est chaud! (immagine bellissima, spirito-soffio, preparata dall’ouverture: La raison tonne en son cratère C’est l’éruption de la fin – il dio Vulcano, il metallurgico FIAT).
3) e Die Internationale, così celaniana nella pars denstruens: Ein Nichts zu sein … Es rettet uns kein höh’res Wesen, kein Gott, kein Kaiser, noch Tribun (e ovviamente la construens, che è anche di questo C: Alles zu werden, strömt zuhauf! … Uns aus dem Elend zu erlösen können wir nur selber tun! – e cfr. la burinata di Heidi post-nazi: Solo un dio ci può salvare!)
4) nomi-semi (seme-sema) imbevuti di esilio, ellittico per: delle lacrime dell’esilio, che fanno il paio col sangue dell’amata (di che lacrime grondi e di che sangue la pratica del potere)
5) infine sorge su eine Erde: non die Erde, perché di terre ce n’è 2: quella astronomica/geologica, e quella di cui siamo fatti noi, diese, die unsere (oh Psalm! NB heraufsteigen scrive C, leggermente diverso da auferstehen/resuscitare, quel tanto che basta per rievocare la figura del Cristo re e per distanziarsene data la terrestrità tutta mondana del sorgere)
6) dopo Rosa e Mandelstam, Babel: 3 comunisti ammazzati. Cosa intenderà C col verso finale? Aperto il dibattito!
!!!
passo e resto in attesa.
Ci siamo molto affaticati, anche ieri, sulla terza strofa:
Ein Nichts
waren wir, sind wir, werden
wir bleiben, blühend:
die Nichts-, die
Niemandsrose.
Avevo segnalato il link di Helmut & Inka come prezioso: a vari livelli, non ultimo quello formale. I 2 imputano lo stacco di riga tra werden e wir (superenjamblement) a uno scopo ben preciso: fino a werden compreso è negatività assoluta, poi si scala e si staglia
wir bleiben, blühend
che fa scoppiare la positività, perché da solo fa: noi restiamo blühend. Che l’intepretazione non sia forzata, lo dimostra l’allitterazione delle 3 bi, che lega indissolubilmente il verso e lo fa stare a sé. Qualcosa avevo intuito lasciando sul baratro la e, ma qualcosa ora miglioro traducendo
Un niente
eravamo, siamo e
resteremo, in fiore:
invece di “fiorendo”, ché così il verso a sé farà: resteremo in fiore.
Lo stesso discorso Helmutinka fa sul “Nichts-, die” a precipizio. E quindi miglioro la mia con
la rosa di
niente, di nessuno.
anzi, quasi quasi in italiano viene meglio, perché la rosa si attacca a “in fiore” specificandolo, e poi precipita nel nulla-nessuno che ritorna in circolo sull'”ein Nichts” di inizio-strofa.
Ciao db,
ti saluto qui che è più appartato.
Per raggiungere la media di 1 commento alla settimana nel corso dell’anno devo sfilarmi per un po’, ma continuerò a leggerti.
acqua acqua:–))
Quest’ultima versione mi piace. Decisamente. Ma solo se mi accetti “evoca” per “bespricht”.
Ormai siamo allo scambio delle figurine e io mi sento particolarmente buono: infatti, non ti posto nemmeno il seguito dell’intervento di Specchio, evitandoti altre incazzature.
Niemandszwieback.
Quest’ultima versione mi piace. Decisamente. Ma solo se mi accetti “evoca” per “bespricht”.
Ormai siamo allo scambio delle figurine e io mi sento particolarmente buono: infatti, non ti posto nemmeno il seguito dell’intervento di Specchio, evitandoti altre incazzature.
Niemandszwieback.
@ Temp
Temperanza Contini???
Mi piacerebbe sapere da Helena se si aspettava quattrocentoquaranta commenti quando ha postato il Salmo. C’è ancora?
Un saluto anche a te cato.
Cambierò IP e anche nick, vedremo se mi sgamate.
Acqua acqua:–))
Solo per dire (prima d’andar a nanna) che Corona si chiama anche la cima dell’Albero Cosmico-umano della Quabballà/alchimia ebraica: non dico ce l’avesse in mente lì per lì, però Celan lo fa saltar fuori lo stesso nel Psalm.
Ho letto tutto.
Peccato essere arrivato a giochi già fatti.
I miei complimenti.
Mandelstumm…
Kwesto mio è Kommento nummer kwattrocentokwarantakwattro?!?! Scusate, passo da qui da un bel po’, presa da -tra gli altri- “impegni famigliari”. E nun ce posso crede’! Me gira la testa!!!! (se vi aspettavate commenti di più alto profilo, mi spiace…)
Cara Temp, ho scoperto la tua identità. E la rivelo:
TEMPERANZA BERARDINELLI!!!!!!
;)
@ Helena
St lggnd Lzn d tnbr.
Grz.
n brcc.
L fr’ lggr nch m stdnt.
@ Tmprnz
Scsm, m nn h rsstt ll tntzn d rvlr l mnd l t vr dntt.
Ptr m prdnrm?
Oggi ho incrociato mio padre di ritorno dalle ferie, e gli faccio a mo’ di saluto mezzo tra il serio e il faceto: “Gelobt seist du, niemand!” – e così insomma ci mettiamo a parlar del Gargano e di Celan e a un certo punto mi vien fuori con ‘sta cosa che m’ha sconvolto: gelobt è il passato di leben ovvero di amare; e quindi è: amato. Sii tu amato, nessuno. Questo dice (anzi scrive) in realtà Celan? (Io gli ho anche chiesto tipo 4-5 volte se era proprio sicuro, a mio padre che il detesco lo mastica anche se non proprio a livelli poetici, e lui sì sì è proprio così: amare e amato, leben e gelobt). Dico, minkia. Amato sii tu, nessuno. Sii tu amato, nessuno. E poi quel far piacere, per amore, per compiacere – fiorire, sempre. Capite? Sii amato, abbi tu amore, il nostro, il mio amore – nessuno. E’ un olocausto. Sentite? E’ un sacrificarsi all’assenza di senso, un durare malgrado tutto. Amando questo vuoto. Abbi amore, concedimi di amarti, permetti che ti ami ancora benché tu sia nessuno, niente, dolore, insensatezza, morte, sterminio e annientamento. Che io e chiunque ti ami. E’ una preghiera. Per questo è un salmo. Non c’è beffa. Assolutamente. Sentite la voce di Celan che dice il terzo Niemand. Pronuncia con la stessa identica intonazione anche poi sangen. Una disperazione in canto. Un vuoto che pure si dà in fiore-parola sangue-assenza. Sii tu amato, nessuno. Tu trascurato dio del mondo, abbi amore da noi. Uomo crocifisso alla tua miseria, noi continuiamo ad amarti. Uomo-dio annientanto: io ti amo. E la forma di questo amore è sangue e parola. Preghiera al nulla. E’ canto. Disperazione. Slancio. Fiorire. Poesia. (Una buona poesia è come una vera stretta di mano, diceva Celan: forse è come un abbraccio, un amplesso, un gesto che prende e accoglie e dà.) Gelobt seist du, nimand. Magari mio padre si sbaglia. Però questo è bello.
@ Cato, sei impazzito che perdi le vocali? T pc l lbr d Hln?
Il post-Garufi di Damico assona col primo verso di Psalm. Nel senso che Celan impiega i termini esatti della bibbia fuorché il verbo (così anche nel secondo verso). La bibbia ha machen o schaffen, C kneten (aus) = plasmare l’impasto. Ciò fa vedere un dio artista, pone cioè subito l’accento sul fare artistico, quel poièin che poi sarà l’oggetto agito di Psalm stesso, ossia la rosa-poesia.
Correre fa bene alla salute, ma solo a quella fisica. Questo thread non sta per chiudere, va verso la sua fine, che è cioè sua, iuxta sua principia. La situazione al momento attuale mi sembra questa.
1- Helena Battista ha annunciato-aperto all’avvento di Celan Re, nella mandorla vuota del post
2-. Celan Re è apparso e non apparso in trinità di traduzione, involandosi nel cielo del dubbio.
3- gli apostoli hanno orato e laborato aspettando che ritorni, giorni e giorni.
4- si fa vicino il giorno della pentecoste, quando scenderanno lingue di fuoco su di loro, che parleranno in tongues, in lingue differenti ma vicendevolmente comprensibili.
Hinausgekrönt, escludendo il distico iniziale che fa da titolo, consta di 6 strofe:
nella prima l’io poetante è solo
nella seconda si avvicina all’amata
nella terza raggiunge l’erezione. Le mazze infatti si fondono, phallisch gebündelt zu dir = strette fallicamente a fascio verso te.
Nella quarta si congiunge carnalmente all’amata: i Namen sono Samen/semi intrisi di pianto = liquido seminale = sperma, che in tedesco si dice Samen.. Il calice è la vagina in cui si tuffa lo sperma. Il calice è colmo di sangue/rosso/carne. Ma nel momento dell’orgasmo, in una perdita d’individualità, il calice diventa tutti i calici, il sangue si fa regale, la donna si fa umanità. Ciò segna il passaggio, via orgasmo, dall’io al noi: tu, essere umano, ”CI guardi”.
La quinta e la sesta strofa sono di conseguenza coniugate in prima persona plurale.
Nella quinta il seme è germogliato: labbra-giunco, orecchi-tundra (muschi, licheni).
Nella sesta la terra di cui siamo fatti si leva, si anima, a miracol mostrare.
Le prime 3 strofe sono in I persona sing. = SOLITARIUS
Le ultime 3 strofe sono in I persona plur. = SOLIDARIUS
“Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehhm, letteralmente
Nessuno ci plasma più dopo avere impastato terra e argilla
Celan riprende Erde e Lehm dalla bibbia, ma invece di machen (o schaffen) mette kneten (= impastare, detto in tedesco dell’argilla o del pane). Un dio artigiano/artista insomma. Tutto il Salmo è un inno al miracolo della poesia (da poièin = fare).”
Grande db: ci siamo!!!
@ Gabriella
H pnt, m nn sn m stt cs’ flc d frl. L flct’ ‘ ncr p’ grnd l pnsr d rgzz ch l lggrnn.
Rngrz d cr ttt ‘ d.
p.s.
Mgr prdss sl l vcl!!!
Se tenete duro per altri diciotto commenti, il record di “Etica del pompino” sarà solo un ricordo.Chi sa cosa ne pensa l’effeffe furlèn.
@ cato
Lo sapevo! :-)
@ db
sei un grande. Mi sconfinfera il punto d’arrivo.
@ness1: leben/lieben/loben (vivere/amare/lodare) fanno gelebt/geliebt/gelobt: ma la tua interpretazione funziona lo stesso, come del resto il rapporto con tuo padre. Ti chiederei di riascoltare la voce di C e notare quanta enfasi mette nel pronunciare l’oh del penultimo verso, e di riferire: io non posso sentirlo!
@Cato: ci sto pensando all’evocare, ma non nel senso del baratto: amicus Cato, sed magis amica… piuttosto, conosci “Il mio primo onorario” di Babel?
Nella quinta strofa, il legame solidale del noi è dato dal wir sangen: lo stesso dell’ultima strofa di Psalm. Lì però era una parola di poesia, qui un canto di lotta operaio polacco, la Warschowianka, in ted. Warschau = Varsavia (Wahr-schau = vero punto di vista/War-schön = era bello). subito dopo, ancora poesia: il Petrarca di Mandestalm, che era nato a Varsavia.
L’Und con cui inizia l’ultima strofa si riallaccia direttamente alla terzultima, scavalcando l’inciso della penultima. Il largo-maestoso dell’inciso cede al rondò-allegro-finale. Wacht auf, verdammte dieser Erde! …Völker, hört die Signale! Auf, zum letzten Gefecht! Die Internationale erkämpft das Menschenrecht! (dove c’è come in C DIESER Erde, e l’auf).
E non mandiamo
nessuno dei nostri giù
da te,
Babel.
L’armata a cavallo comincia con : “Campi di papaveri scarlatti fioriscono intorno a noi: il vento di mezzogiorno scherza tra la segala giallognola”. Siamo nell’estate del 1920, in Galizia/ sud Polonia (da cui venivano i genitori di C). I cosacchi russi/rossi arrivano quasi a Varsavia, ma sulla Vistola vengono ricacciati dai bianchi. Babel è al seguito dell’armata russa, combatte nelle retrovie, osserva, e racconta. Il verso raddoppia il noi nell’Unseren, nei nostri. Nostri si dice quando c’è un legame fortissimo di gruppo, da amico/nemico. E dunque io interpreterei così: Noi, che siamo sotto il nume benigno di Rosa, noi che ci siamo levati con la nostra terra, noi non manderemo nessuno dei nostri giù in Galizia da te, Babel, nessuno si arruolerà nella tua armata. L’ultimo verso insomma sarebbe comunista/pacifista: come la Luxemburg, che proprio per disfattismo pacifista si era fatta 2 anni di carcere durante la guerra, e di cui C legge e rilegge le lettere.
Così questa poesia è a tutti gli effetti un inno, nell’accezione moderna (non religiosa) datane da Hölderlin – che poi è quella pure del Devoto/Oli: “Componimento lirico, spesso accompagnato da un coro, ispirato all’esaltazione di valori ideali coltivati nell’ambito di una comunità”.
L’ho ascoltato ora. Non l’avevo ancora fatto. E’ un’emozione profonda: non c’è enfasi nel penultimo verso, C. recita in modo molto contenuto l’oh del penultimo verso. Mentre io ho notato una maggiore forza e enfasi quando dice die Niemandsrose/la rosa di nessuno. Reitani parla dell’ambiguità di “Contro di te” piuttosto che in-contro. I termini botanici possono essere anche strumenti di scrittura. Quindi io interpreto rosa mistica/inno alla poesia, seguendo il discorso di Reitani.
:-)
prendo per oro colato l’orecchio finissimo di Ella Spritzgerald, che l’enfasi è molto trattenuta, e quindi metto in ordine di smorzata le varie versioni. In più aggiungo 3 spunti di Helmutinka, che casomai tradurrò domani:
che noi cantammo al di sopra,
ben al di sopra
della spina.
che cantammo
sopra, oh quanto sopra
la spina.
che cantammo
sopra, oh sopra
la spina.
che cantammo
sopra la spina,
oltre.
1- Der Vers „der Krone rot” stellt den Zusammenhang zur Botanik der Rose nochmals. Die Bezeichnung der Blütenblätter als Blütenkrone ist durchaus geläufig, und diese Blütenkrone ist nun genauer eine rote. Die Rose aber gilt als die Königin unter den Blumen, um so mehr die rote Rose.
2- Purpurn ist der Gesang angesichts der Vernichtung; ein höchster und intensivster Ausdruck eines Lebenswillens, welcher der ebenfalls roten Blut- und Opfersymbolik der Christen entgegensteht. Das Leiden – der ,Dorn` – ist zwar Anlaß und Ursache des Gesanges, er erhebt sich jedoch „über dem Dorn”; die Krone ist rot vom ,Wort`, nicht vom Martyrium.
3-Die letzten Verse „über, o über dem Dorn” klingen, ähnlich dem Schluß der Psalmen, wie Gesang, sind emphatischer Ausdruck der Überwindung. Sie steigern die Reihe der i-, bzw. ü- und der o-Assonanzen, die dem Gedicht einen melodischen Klang verleihen, zur Schlußmelodie und lassen das Gedicht selbst zum Psalmengesang werden.
Ma, secondo voi, il “punto d’arrivo” ha qualcosa a che vedere col “punto G”? E se esiste il punto G, perché non parlare anche di “punto C”? E poi, se c’è una possibilità di sfinferlare il punto G, lo sfinferlamento può essere ottenuto massaggiando la parte con Griffel e Staubfaden, cioè con il meglio della niemandsrose?
torna a Cato, Lassie! oggi mi sembri piuttosto catolettico, katophallisch direbbero i tedeschi: polluzione notturna sul matrimoniale himmelwust? lettura sbagliata sul chevet (il playboy d’annata sotto il tomo di Celan)? C’è un lato porno di C massiccio addirittura nelle prime raccolte, ma poi a malopene cela(na)to. Come del resto Babel, processato di pornografia per il suo raccontino “La stanza da bagno” (sottotitolo: “non so se mi spiego”). Per “Il mio primo onorario” ci vorrebbe Ugolino C. (del ramo storto dei C.): un ragazzo scopre il sesso con una prostituta. Non avendo un rublo, inventa al momento una storiaccia di sfruttamento pederastico subìto, e lei mossa da pietà… la pietà è appunto la sua prima paga (Strada traduce onorario, ma io che non conosco il russo tradurrei “La mia prima paghetta”, a far distico ideale col primo raccontino di B., “La mia prima pugnetta”).
Ho un carico da calare: l’apparato filologico a Die Niemandsrose, recuperato stamattina presto (grande eccitazione) a germanistica (Surkamp 2001). Le varianti significative di Psalm (precedenti ovviamente la versione finale) sono:
eine Nichts- /subito cancellato e sostituito con die Nichts- (sicché poi abbiamo solo die Niemandsrose, non eine N.)
seelenschwarz (nero-anima) invece di seelenhell
der Narbe (stame) invece di Staubfaden
vom Konigswort, das wir sprachen (la parola regale che dicemmo) invece di ecc. ecc.
meditiamo, gentaglia, meditiamo!
PS. e sulla smorzata finale dell’oh, che mi dite, marrani?
Sull’irruzione del sacro in generale (dunque anche in C.), è da vedere l’episodio del principio d’incendio dell’aereo in cui viaggiava la delegazione italiana formata da U. Spirito, N. Abbagnano, E. Grassi, L. Pareyson e C. Fabro per il Congresso svoltosi a Mendoza nel ’69 (cfr. U. Spirito, Ho trovato Dio, Roma 1989, pp. 23-24, e N. Abbagnano, Ricordi di un filosofo, Milano 1990, p. 63).
Sull’ultimo verso di Hinausgekront invece, cfr. l’omelia del Santosubito nella cattedrale di S. Floriano a Varsavia, 13 giugno 1999: “Poc’anzi ho visitato un luogo particolarmente importante nella nostra storia nazionale. È sempre viva nei nostri cuori la memoria della Battaglia di Varsavia, che ebbe luogo qui presso, nel mese di agosto del 1920. Fu una grande vittoria dell’esercito polacco, una vittoria talmente grande che non era possibile spiegarla in modo puramente naturale e perciò fu chiamata “Miracolo sulla Vistola”. La vittoria fu preceduta da una fervida preghiera nazionale. L’Episcopato Polacco, riunito a Jasna Góra, consacrò tutta la nazione al Sacratissimo Cuore di Gesù e lo affidò alla protezione di Maria Regina di Polonia. Oggi il nostro pensiero va a tutti coloro che, presso Radzymin e in molti altri luoghi di questa storica battaglia, diedero la loro vita in difesa della Patria e della sua libertà esposta al pericolo. Raccomandiamo alla Divina Misericordia le loro anime. Per decine di anni perdurava il silenzio riguardo al “Miracolo sulla Vistola”. Alla nuova diocesi di Warszawa-Praga la Divina Provvidenza in un certo senso assegna oggi il compito di sostenere il ricordo di questo grande evento nella storia della nostra Nazione e di tutta l’Europa, che ebbe luogo sul lato est di Warszawa.”
db, caro et valiente giovine, potresti darmi/ci indicazioni più precise sul Surkamp 2001 celaniano?
p.s.
Mi stai facendo andare al manicomio: non sai la fatica che ho fatto per recuperare Babel dalle soffitte (due vecchissime edizioni feltrinelli). Il racconto l’avevo letto, ma era nel rimosso più profondo, più cela(na)to.
Die *Niemandsrose : Apparat / Paul Celan ; herausgegeben von Axel Gellhaus ; unter Mitarbeit von Holger Gehle und Andreas Lohr ; in verbindung mit Rolf Bucher. – Framkfurt am Main : Suhrkamp 2001. – 315 p. (La quarta sezione, oltre che Pariser Elegie,C voleva chiamarla Walliser Elegie, Elegia del Valais, dove Rilke morì dopo aver scritto Les quatrains valaisians.)
La Cvetaeva il 3 luglio 1916, con Mandelstam innamorato perso accanto, scrive questo calco da Giobbe, vedendo passare dei soldati :
Come hanno potuto incolleriti queste nere capanne, Signore! e perch‚ a tanti mitragliare il petto? Passa un treno e ulula, e si mettono a ululare i soldati, e leva polvere, leva polvere la strada che indietreggia…
– No, morire! Meglio non essere mai nati, che questo lamentoso, penoso, carcerario ululato per le belle dalle nere ciglia. – Ah, e pure cantano adesso i soldati! Oh, Signore, Dio mio!
Il 14 agosto 1918 invece:
I versi crescono, come le stelle e come le rose, come la bellezza – inutile in famiglia. E, alle corone e alle apoteosi una sola risposta: di dove questo mi viene?
Noi dormiamo, ed ecco, oltre le lastre di pietra, il celeste ospite, in quattro petali. Mondo, cerca di capire? Il poeta -nel sonno-scopre la legge della stella e la formula del fiore.
andando a rose in rete, ho trovato questa della Cvetaeva. Non c’è nell’antologia Feltrinelli, non l’ho trovata tradotta in rete, e non so che pensarne:
Agli Ebrei
Chi non t’ha calpestato – e chi non t’ha bruciato,
cespuglio di incombustibili rose!
Unica cosa incrollabile che il Cristo
Ha lasciato dietro di sé sulla terra.
Israele! Si avvicina un secondo
Tuo dominio. Per tutti i centesimi
Voi col sangue ci avete pagati: Eroi!
Traditori – Profeti – Mercanti!
In ciascuno di voi, anche in colui che conta
a lume di candela le monete d’oro nel sacchetto –
Cristo più forte parla che non in Marco,
in Matteo, in Giovanni e in Luca.
Per tutta la terra – da un capo all’altro –
crocefissione e deposizione dalla croce.
Con l’ultimo dei tuoi figli, Israele,
in verità seppelliremo il Cristo!
@db: Ma xké nn “puoi” sentirlo? Mancan le casse, o c’è una sorta di timore?
Non riesco a sentirci enfasi neanch’io: se dovessi trascriverne la melodia, direi che il primo uber è un do e il secondo un si a scendere – dunque cala e non sale, come intonazione. I brividi li ho al terzo miemand e a sangen, che Celan pronuncia proprio con la stessa precisa e identica intonazione… Credo che la ripetizione non sia affatto enfatica, ma semplicemente per la chiarezza: come che il primo uber potesse sfuggire, passare troppo liscio; come fosse per es. sopra, ma (proprio) sopra etc. Insomma per me è un richiamare l’attenzione, puro e semplice, e senza’alcuna enfasi di martirio.
Niemandrose, che in effetti Celan pronuncia lentamente e con goffaggine quasi farragginosa, credo necessiti di una sottolineatura simile proprio in quanto assoluto neologismo e, soprattutto, perché conglomerato lessicale in se stesso ossimorico: una sorta di termine autocontraddittorio ma vivo, o anche una sorta d’inesistenza che tuttavia si contraddice e dà, creandosi.
Ho una Stimmung lirica che non riesco a tenere per me. Da un po’ ravano sulla Resistenza nel vicentino. La figura che più si staglia è quella di Toni Giuriolo, azionista morto nell’inverno del ’44 sull’appennino emiliano. Era prof. di lettere, ma faceva solo ripetizioni perché aveva riifiutato la tessera. Il suo amore era la poesia francese, ed era riuscito ad andare due volte a Parigi (pochi mesi prima di morire, durante una convalescenza da ferita, aveva aiutato una sua amica per la tesi di laurea, anzi, il capitolo su Baudelaire e Rimbaud lo scrisse proprio lui – solo che non riesco a recuperare la tesi). Altro suo amore era la letteratura russa. Aveva studiato il russo al punto da tradurre un racconto di Puskin, pubblicato sulla rivista “La nuova Italia” di Firenze. Bene, quell’inverno la brigata Matteotti da lui comandata aveva recuperato diversi sbandati russi. E la sera, Toni leggeva a voce alta L’armata a cavallo, alternativamente in italiano e in russo, capoverso dopo capoverso.
Vabbe’, un altro tassello importante di Helmutinka è
1) Besprechen von Staub steht mit der Schöpfungsgeschichte in keiner Beziehung. Im Gegensatz zum Einhauchen bleibt das Besprechen dem Menschen gänzlich äußerlich und gehört nicht dem göttlichen, sondern dem magischen, menschlichen Wirken an.
Intanto traduco gli altri tre, riportati ieri:
1) “der Krone rot” ribadisce la connessione con la botanica della rosa. La designazione dei petali (Bütenblätter) come corolla (Blütenkrone) è assolutamente corrente, e questa corolla è ora più precisamente rossa. La rosa però è la regina dei fiori, e tanto più la rosa rossa.
2) la rosa è rossa di “parola”, non di martirio; è espressione della volontà di vivere, e in ciò si oppone alla mistica cristiana del martirio.
3) I due versi finali, che suonano come canto, sono espressione enfatica del superamento. Salgono nella sequenza delle assonanze, che danno alla poesia un suono melodico.
Ringrazio ness1, che ha confermato l’impressione di Ella, specificandola. (penso che Helmutinka usi emphasis in senso letterale, di manifestazione aperta, senza il negativo dell’esagerazione – del resto anche noi, dicendo “troppa enfasi” sottintendiamo che c’è un’enfasi giusta, positiva – da salmo appunto, che perà si smorza). Non riesco a iscrivermi al programma audio (ma so anche che la voce mi emozionerebbe anca massa. Prima o dopo comunque…)
Von ungeträumtem geätzt,
wirft das schlaflos durchwanderte Brotland
den Lebensberg auf.
Aus seiner Krume
knetest du neu unsre Namen,
die ich, ein deinem
gleichendes
Aug an jedem der Finger,
abtaste nach
einer Stelle, durch die ich
mich zu dir heranwachen kann,
die helle
Hungerkerze im Mund.
Roso dal non sognato,
percorso in lungo e in largo senza sonno,
il paese del pane e-
rige il monte della vita.
Impastando la sua mollica
tu formi nuovamente i nostri nomi
che io, un occhio
somigliante
al tuo per ciascun dito,
frugo cercando
un punto traverso cui
potermi avvicinare desto a te,
con la candela chiara della fame
in bocca.
e. c.: “tasto” al posto di “frugo”.
Alla fine del ’67 C compone una poesia (Du liegst) dedicata alla Luxemburg, in occasione di una visita a Berlino nel luogo in cui venne trucidata (C aveva letto anche un libro sul processo agli uccisori, secondo quanto segnalato da Szondi). Era notissimo che l’ultimo articolo di Rosa, il giorno prima della morte in una Berlino già occupata dalle forze armate della reazione, conteneva una disperata, apocalittica profezia: “La rivoluzione già domani si rizzerà di nuovo minacciosa e a terror vostro annuncerà al suono delle trombe:
Ich war, ich bin, ich werde sein!*
ossia il rovescio speculare/complementare dell’”ein Nichts waren wir ecc.”.(la formula di Rosa è tratta da Apocalisse 11, 17):
BLUME
Der Stein.
Der Stein in der Luft, dem ich folgte.
Dein Aug, so blind wie der Stein.
Wir waren
Hände,
wir schöpften die Finsternis leer, wir fanden
das Wort, das den Sommer heraufkam:
Blume.
Blume – ein Blindenwort.
Dein Aug und mein Aug:
sie sorgen
für Wasser.
Wachstum.
Herzwand um Herzwand
blättert hinzu.
Ein Wort noch, wie dies, und die Hämmer
schwingen im Freien.
FIORE
La pietra.
La pietra nell’aria, che seguii.
Il tuo occhio, cieco come la pietra.
Noi fummo
mani,
svuotammo attingendo le tenebre, trovammo
la parola che ascese l’estate.
Fiore.
Fiore – una parola da ciechi.
Il tuo occhio e il mio:
provvedono
all’ acqua.
Sviluppo.
Parete su parete,
il cuore mette foglie.
Ancora una parola come questa, e i martelli
vibrano in cielo aperto.
Questa poesia, che viene subito dopo Tenebrae, sta nella raccolta precedente a Die Niemandsrose (come quella del pane sta nella seguente). E’ una prova domestica, a due, del Salmo polifonico: ma uguale il tema ascendente, dalla pietra/polvere a al vegetable, su fino al cielo. NB qui il fiore (generico) sta solo nel titolo, mentre in Psalm la rosa occupa il centro.
2) la rosa è rossa di “parola”, non di martirio; è espressione della volontà di vivere, e in ciò si oppone alla mistica cristiana del martirio.
esattamente come mi ronzava nel cervellino dall’altra sera… da quando ho sentito la voce di Celan. Ciao db, oggi un episodio terribile di una mia paziente è stato medicato dal salmo che mi ripetevo nel traffico una volta uscita dalla casa infernale, solo la poesia ha calmato il senso di angoscia.
Mi dispiace strapparvi alle vostre meditazioni, ma ho una notizia purtroppo non bella: Paolo Francesco Celano è scappato.
Nemmeno l’aver eguagliato, con questo messaggio, il record del famoso post dei pompini, riesce a lenire la mia amarezza.
Aiutatemi a ritrovarlo e, se avete notizie, rivolgetevi pure al mio studio: io non mi muovo di là fino al suo ritorno.
Grazie.
Ce ne faremo una ragione, il mondo non è come sembra…
Dunque abbiamo superato il record di 469 dell’Etica del pompino (dove il 4 è evidentemente pleonastico), e stiamo ascendendo ad altre zone erronee.
Una questione di metodo: è evidente anche a un bambino che la corolla/corona non può essere di spine: non c’è rosa senza spina, ma la spina mica sta nella corolla, sta ben sotto! Così in C sta sopra la spina, e casomai contro. Celan dice Krone: se lo dici a un tedesco per strada, capisce corona/soldo. Se stai parlando del re, capisce l’aggeggio che ha sopra la testa. Se stai parlando di un fiore, capisce corolla. Dopo casomai, se introduci altri elementi, capirà che èanche corona. Dopo significa: metaforicamente. Invece se descrivendo un fiore a un italiano dici corona, costui dovrà compulsare i 20 volumi del Battaglia e arrivare alla ventesima pagina della voce per capire che corona è anche riferita alla corolla.
Bene, stavo parlando di ciò nel thread, e arriva Raos, che esordisce con un sintomatico: “Ragazzi!”, e spiega che se tanti traduttori famosi di tutto il mondo hanno tradotto corona, i suddetti ragazzi dovrebbero abbassare le ali. In più motiva che se si traduce corolla si perde tutta l’aura cristiana della corona di spine (che poi è il motivo per cui la maggioranza mondiale, ma non tutti, traduce corona). Ora, Helmutinka non dice soltanto che la Krone è anticristiana, dice anche che Krone è il termine assolutamente corrente per corolla, e solo dopo può suonare come corona/rosa regina. Come la mettiamo? Sostituiamo all’ipsi dixerunt questo ennesimo ipse dixit? No, eliminiamoli tutti, e ragioniamo con le nostre inincoronate teste. Il che vuol dire: fino a prova contraria, io ho ragione, e lo dico non da autorità, ma nemmeno NB, da ragazzo. Lo dico da uomo, e da uomo diico: Raos, ritira l’epiteto, o per me non esisti.
Ognuno fa le sue esperienze, e se la poesia non ne è il lievito, almeno ne è un ingrediente: come per Gabri e Peyox ieri. Anch’io ieri ho fatto un’esperienza eccezionale, lavorando sulle varianti di Psalm (importanti perché illuminano la genesi, e cioè il processo mentale del poièin). Sta qui sotto, l’ho trovata cercando lo stilo nero, ed è l’altra faccia (un’altra faccia, ché quella cristiana già l’abbiamo vista) della Rosa di Celan (raccomando di di andare anche alla pagina iniziale del link, perché lì si spiega da dove viene la rosa rossonera)
http://www1.autistici.org/loa/snd/survivor/official/flowers/786.html
E passo alla quarta cartuccia di Helmutinka, traducendola:
“Besprechen riferito a polvere non sta in alcun rapporto con la storia della creazione”, ossia con Genesi 2, 7. E perché? “All’opposto dell’insufflare, il besprechen appartiene all’agire non divino, bensì magico-umano”. E, come aggiunge subito dopo: “Il mago cerca di agire sull’uomo appellandosi a forze soprasensibili” (in seguito trova un’eventuale connessione con la leggenda del Golem). NB: trattando del seguente dir entegen, Helmutinka afferma che la preposizione ha anche la sfumatura di incontro = il significato di gran lunga primario è il contro. Ma qui su besprechen non ha nessuna esitazione sulla sua accezione: dà per risaputo che si tratti dell’azione del mago-esorcista (che poi costui sia dio stesso, un rabbino o don Milingo, poco importa). E dunque? all’inizio del thread ho tradotto “scongiura”, poi nel dialogo con Helena e temp. ho accolto l’accezione prima del Grimm, alloqui/compellare =rivolgere la parola per benedire/maledire, e gira e rigira, ora alla fine tradurrò così:
nessuno rivolge la parola alla nostra polvere per benedire/maledire
se a qualcuno pare lunghetta (a me sì), allora tradurrò
nessuno scongiura la nostra polvere
lo scongiuro contiene infatti tecnicamente la benedizione del posseduto e la maledizione del possedente. E dulcis in fundo, noi abbiamo un’espressione comunissima e bellissima, cui si fa però poco caso:
scongiurare il pericolo
amen (per me ovviamente, e solo riguardo al besprechen: ma “e-voca) ci stava dentro allo scongiurare, poiché è il rianimare, come un richiamare l’ipnotizzato, che infatti è rigido/morto/polvere).
Annuncio a tutti e nessuno che la sorte mi manderà incontro oggi pomeriggio una fanciulla con un commentario nuovo di zecca in mano, al Die Niemandsrose. Per quei giochi allegri del caso, la fanciulla, di cui non sospettavo l’esistenza fino a ieri, si chiama celanianamente rosa-alba, e volgarmente Rosalba.
PS. perché Bevilacqua in Hinausgekrönt traduce Mensch con uomo? In tedesco uomo come maschio è Mann, uomo come persona umana è Mensch. Nel contesto della poesia, il Du/tu, che è totalmente carnalmente sessualmente donna, via Rosa Luxemburg diventa Mensch = essere umano, rappresentante del genere umano/Menschheit). In Bevilacqua invece diventa un trans, o più probabilmente un’altra persona (come se C si fosse rivolto prima alla sua donna, e poi a un uomo). E nella poesia sulla talpa-pane, come farà mai la donna a impastare la briciola? io da piccolo perdevo ore a impastare mollica, a far palline: ma non sono mai riuscito con la briciola. e sì che qualsiasi dizionarietto dà per il termine le 2 accezioni, di briciola e mollica). Miisteri dolorosi…
non avevo mai capito veramente perché si dice “testa di cazzo”. scorrendo questo thread, ho capito che è come la corona di spine. un cazzo molle arrotolato in testa. complimenti!
Testa di corona?? Testa di spine? Testa di Celan?
@ db
Hai fatto un lavoro eccellente, di cui ti sono infinitamente grato, e credo di parlare anche a nome di tanti altri. La gratitudine si può contenere anche in un rispettoso silenzio, quello, magari, con cui uno ha seguito l’evoluzione delle tue ricerche, e dell’impegno e del tempo che vi hai profuso.
Magari adesso torneranno alla carica, ma non me ne frega un cazzo: scrivo solo e unicamente per non lasciare l’ultima parola ai due mentecatti qua sopra.
Ciao, db. E grazie.
Cato, per me è un piacere, soprattutto stare con voi. Ma temo non sia finita: c’è un grumo, su cui avevo chiesto aiuto alle ladies Helena e temp, nell’ultima strofa, a proposito delle parti anatomiche del fiore.
Non credere che mi sia dimenticato Camera: solo che non l’ho in vista. Come del resto
Salmi, di B. Brecht (1920), nel vol I delle Poesie, Einaudi
Ce li hai? potrebbero far pendant col Salmo di Trakl (questo davvero contro dio: ma ateo non vuol dire senza dio?), come illustri precedenti al nostro.
Il”Kommentar zu P.C. Die Niemandsrose”, a cura di J. Lehmann, Heidelberg 2003, mi ha riservato parecchie delusioni. Primo perché Rosa-Alba me l’ha lasciato in portineria e non è spuntata, nemmeno dalla finestra. Secondo perché non è così recente, la prima ed. essendo del 1997. Terzo perché dice poco o niente: 5 paginette dedicate a Psalm, da cui ricavo tutto il possibile (si sarà capito che non vo cercando pezze a favore delle mie “tesi”, ma pezzettini di auspicabile verità: perciò non tralascio niente di interessante, anche se “a mio sfavore”).
1) il manoscritto di Psalm ha la data “5 gennaio 1961”
2) besprechen è da intendere “in due sensi almeno: a) parlare di qualcosa, ossia della vanità della povere, b) benedire”.
3) in “Conversazione in montagna”, del 1959, leggiamo: “Chi parla non parla a nessuno, parla perché nessuno lo ascolta, nessuno e Nessuno” (con la N)
4) zulieb/entgegen = Spannung einer Opposition/tensione di un’opposizione, per/contro
5) sull'”essere un niente”, cfr. Salmi 39, 12 e 144, 4.
6) stilo e filamento sono sì parti degli organi riproduttivi maschile e femminile del fiore (pistillo e stame), ma solo parti. Mancando le altre, il fiore non diventerò mai frutto.
7) la corona di spine è riferimento alla Passione, una Passione senza redenzione (come il fiore senza frutto).
@ db
Se alludi all’edizione delle poesie di Brecht curata da Luigi Forte, la conosco ma non l’ho sottomano (dev’essere a sette-ottocento km da dove mi trovo adesso). I Salmi li ho letti, ma non riesco a ricordare da chi fossero stati tradotti (ammesso che conti; o forse sì).
Per il libro che contiene il saggio di Franco Camera (veramente un gran bel testo), se ti interessa posso prestartelo, oppure fotocopiarti il lavoro che ti interessa. Credo che il libro non sia di facile reperibilità, ed è un peccato, perché contiene molti studi di gran pregio.
…
Immagino la tua delusione per il Kommentar, se il meglio si riduce a quello che hai postato.
Mit
dem Griffel seelenhell,
dem Staubfaden himmelswüst,
der Krone rot
vom Purpurwort, das wir sangen
über, o über
dem Dorn
Prima della versione definitiva, C aveva scritto
Mit
dem Griffel seelenschwarz,
der Narbe himmelswüst,
der Krone rot
vom Königswort, das wir sprachen [tauschten] über
dem Dorn.
Con
lo stilo nero-anima,
lo stigma desolato-cielo,
la corolla rossa
per la parola regale che dicemmo [scambiammo] sopra
la spina.
La differenza colossale è che nella prima versione C ha pensato solo all’apparato femminile. Il pistillo infatti è costituito di ovario/stilo/stigma (mentre lo stame, apparato maschile, di filamento/antera).
Lo stigma impollinato feconda via stilo l’ovario, da cui nasce il frutto.
Ho interpellato oggi prima Siti, che mi ha risposto di non saperne nulla, poi Luisa Sbordone, la mia prof di scienze del liceo, laureata in botanica, che non si è pronunciata sul senso floreale di Psalm, e mi ha ingiunto di inviarle la trad. italiana (i nostri rapporti sono davvero amichevoli dopo quegli anni di tensione – mi confessò poi che lei, non ancora laureata, soffriva il mio occhio fisso sulle sue gambe accavallate).
Cato, passerò in Senato ad affittare Camera. Intanto darò un’occhiata alla Metamorfosi delle piante del divo Goethe.
(traducciò perché sei morto
hölderlin non ti mancava
catalogna era nell’orto
e un celan avevi tu
traducciò traducciò
fanno i pc in coro)
Ningú no ens torna a pastar de terra i fang,
ningú no conjura la nostra pols.
Ningú.
Alabat siguis, Ningú.
Per l’amor de tu volem
florir.
Cap
a Tu.
Un no-res
fórem, som, continuarem
essent, florint:
la rosa del no-res, la
rosa del ningú.
Amb
el pistil clar-espiritual,
el filament d’estam erm-celestial;
la corona, vermella,
de la paraula de porpra que canviàrem al dessobre,
oh al dessobre de l’espina.
(trad. catalana de Hans-Ingo Radatz)
Our conversation was short and sweet
It nearly swept me off-a my feet.
And I’m back in the rain, oh,
And you are on dry land.
You made it there somehow
You’re a bad god now.
Bird on the horizon, sittin’ on a fence,
He’s singin’ his song for me at his own expense.
And I’m just like that bird, oh,
Singin’ just for you.
I hope that you can hear,
Hear me singin’ through these tears.
Love is so simple, to quote a phrase,
You’ve known it all the time, I’m learnin’ it these days.
Oh, I know where I can find you, oh,
In somebody’s room.
It’s a price I have to pay
You’re a bad god all the way.
a 22 anni, B. Brecht pubblica Hauspostille (1920), la cui sezione IV è di Salmi. Da adolescente, BB leggeva ad alta voce il libro di Giobbe (a tratti bella, sostanzialmente schifosa la bibbia, per lui). Sono Salmi di un antiteista, così anti che poi l’eroe è Baal, l’opposto babilonese dell’ebraismo. I Salmi sono i lamenti/bestemmie dei disperati della terra: ladri, prostitute ecc…
Con la “La metamorfosi delle piante” (1798), si sa, Goethe indaga il mistero della vita vegetale, con uno sguardo attento ai minimi mutamenti, e con la fiducia solare che vita ci sarà (a Padova, e poi a Palermo). Una sezione è: Die Bildung der Krone/La formazione della corolla (a prop., la mia prof. naturalista non ha mai sentito parlare di corona a prop. dei fiori). Un’altra Die Bildung des Griffels (§69 In vielen Fällen sieht der Griffel fast einem Staubfaden ohne Anthere gleich, und die Verwandtschaft ihrer Bildung ist äußerlich größer als bey den übrigen Theilen). Per quanto riguarda stilo e filamento, Goethe sottolinea:
1- la somiglianza intima tra i due (maschile e femminile)
2- la non indispensabilità dei due.
Sono entrambi dei fili esilissimi che collegano (antera, stigma) e quasi si confondono. C è alla ricerca proprio del minimo vitale, sul confine del nulla. Così la rosa è rosa di nulla, quel nulla interno, quel centro vuoto della corolla (ah, Rilke!), che però è un qualcosa.
Il divo Goethe l’ha messo anche in rima, in un poemetto didascalico all’amata – che come ogni vero salmo, finisce in gloria: la Herrlichkeit della corolla (regale/purpurea) è Verkündung della nuova Creazione. Sì, il petalo colorato sente die göttliche Hand. Hymen … Mutterschoß … e così die Natur chiude il cerchio delle ewigen Kräfte. Un inno a Dio? Sì, solo che questo dio si chiama Natura, e Spinoza è il suo profeta.
“Io do solo il sommario e poi uno può rimpolpare il tutto. Io metto lo scheletro, e ognuno può montarci a suo piacimento carne e cuore e fegato e reni”. HC Artmann, Grammatik der Rosen, Salzburg 1979.
Mit
dem Griffel seelenhell,
dem Staubfaden himmelswüst,
der Krone rot
vom Purpurwort, das wir sangen
über, o über
dem Dorn
Mit
dem Griffel seelenschwarz,
der Narbe himmelswüst,
der Krone rot
vom Königswort, das wir sprachen [tauschten] über
dem Dorn.
Dalla prima alla seconda e definitiva stesura dell’ultima strofa, ci sono cambiamenti notevoli.
1) C sostituisce la coppia stilo/ stigma con stilo/filamento. Con la prima coppia descrive per intero il pistillo, ma solo quello, ossia solo l’organo riproduttivo maschile. (l’ipotesi del Kommentar che introducendo solo parti di organi C avesse voluto sottintendere la sterilità della rosa, non regge: sarebbe come dire che è una rosa assurda perché non c’è accenno allo stelo, né alle foglie). Con Narbe C si garantiva il doppiosenso stigma/cicatrice (stimmata), con riferimento implicito alla spina successiva ma soprattutto al dolore per l’assenza di dio.
2) Che la prima stesura, pur garantendo il passaggio dal nulla all’essere nel divenire/fiorire della rosa, fosse più tetra, come depressivamente attardata sulla polvere/nulla, lo conferma l’iniziale schwarz, il vedo-nero. D’altra parte il nero rinforzava l’accezione seconda di Griffel/lapis-matita. Sostituendo con hell, alza l’umore e mantiene il rapporto con la scrittura via matita chiara. (da tutto ciò si capisce che l’intenzione aggettivante è descrittivo-coloristica – specie in una raccolta come Die Niemandsrose che è la più parca in assoluto di colori: solo 7 in tutto nominati, come nota Helmutinka).
3) Mettendo Staubfaden, C guadagna tantissimo. Innanzitutto pone l’elemento femminile; poi mantiene il parallelismo scrittorio con la matita chiara, che traccia un segno color polvere; infine, più importante ancora, recupera il significato primario di Staub nel contesto descrittivo della rosa – ché in botanica Staub = polline. Parecchi piccioni con una fava: mentre infatti il significato secondo di Narbe guardava solo indietro, alla polvere, il significato secondo di Staubfaden guarda letteralmente indietro e letteralmente davanti, all’impollinazione = vita.
4) La corolla resta quella, rossa, ci mancherebbe. Cambia invece la parola, che da Königs- si fa Purpur. Anche qui con guadagno, ché C: aumenta l’intensità coloristica (porpora come specie di rosso), e soprattutto mantiene ancora l’esposizione sul registro descrittivo (con Königs- invece affrettava, per quanto leggermente, la deriva metaforica).
5) Frenato con Purpur il moto ascensionale (il salmo ha da finire in gloria), C può portarlo a compimento alla fine del verso, che nella prima versione già calava in un prosaico sprechen/parlare, e invece nella versione finale si impenna coincidendo col Sang stesso.
6) Il fatto che per un momento C abbia pensato al tauschen/scambiare, conferma che l’über è anche complemento di argomento, e non solo di luogo (scambiare due parole su un argomento).
7) L’acme dunque si sposta dal Königswort al sangen: ciò spiega perché C sia stato così “costretto” a raddoppiare l’über, per dar tempo al raptus innico di stemperarsi nella chiusa (anche qui con guadagno netto, poiché la lenta decompressione assume tonalità da eco, da risacca).
(dimenticavo: Goethe dedica uno dei 16 capp. della “Metamorfosi delle piante” proprio alla rosa.)
In “Blood on the Tracks”, Zimmerman concocts a whirlwind of torment in
the wake of mangled irreparable religious relationship. But Zimmerman’s seminal 1974 release is not merely a funeral pyre set ablaze to eradicate a former believer. As destructive and ruinous in tone as “Blood on the Tracks” is, the book also yearns for and reminiscences about those ubicuous first moments of requited and actualized faith. After years of being among many things, a political signpost and a Paul Celan protégé, Zimmerman, the enigmatic troubadour, finally removes his mask. For those anticipating another persona, Zimmerman outwits them all by seemingly donning a non-persona. On this particular book, he is a revelation: honest, searching, and vulnerable, though elusively like fireflies flickering in a dark country night.
“You’re A Big God Now” well, I read that this one was supposed to be about my life. I wish somebody would ask me first before they go ahead and print stuff like that. I mean it couldn’t be about anything else but my life, right? Stupid and misleading jerks sometimes these interpreters are!
Like that’s my foolish mission. How many roles can I play? Fools, they limit you to their own unimaginative mentality. They never stop to think that somebody has been exposed to experiences that they haven’t bee. Anyway it’s not even the experience that counts, it’s the attitude towards the experience.
I’m a mystery only to those who haven’t felt the same things I have. You can’t take my stuff and verbalize it, like I don’t write confessional poems. Emotion’s got nothing to do with it. It only seems so, like it seems that Laurence Olivier is Hamlet.
Oh God said to Abraham, “Kill me a son”. Abe says, “Man, you must be puttin’ me on”. God says, “No.” Abe says, “What?” God say, “You can do what you want Abe, but the next time you see me comin’ you better run”. Well Abe says, “Where do you want this killin’ done?”. God says, “Out on Highway 69”.
‘Twas in another lifetime, one of toil and blood
When blackness was a virtue and the road was full of mud
I came in from the wilderness, a creature void of form.
I was burned out from exhaustion, buried in the hail,
Poisoned in the bushes an’ blown out on the trail,
Hunted like a crocodile, ravaged in the corn.
Suddenly I turned around and she was standin’ there
With silver bracelets on her wrists and flowers in her hair.
She walked up to me so gracefully and took my crown of thorns
“Come in,” she said, “I’ll give you shelter from the storm.”
Now there’s a wall between us, somethin’ there’s been lost
I took too much for granted, got my signals crossed.
Just to think that it all began on a long-forgotten morn.
Well, I’m livin’ in a foreign country but I’m bound to cross the line
Beauty walks a razor’s edge, someday I’ll make it mine.
If I could only turn back the clock to when God and her were born.
La raccolta “Blood on the tracks” di fine ’74 è fondamentale nel percorso poetico di Z. In una parola, lasciatosi alle spalle Abramo (così si chiamava tra l’altro il padre), per la prima volta Z “entra nei panni” di Giobbe e Cristo contemporaneamente. Il titolo stesso, così enigmatico (track è tanto orma, impronta quanto binario), non lascia dubbi: qui abbiamo un poeta che sanguina sulla via, biblicamente andando. Considererò solo la prima e l’ultima poesia, che fanno corona. E della prima solo una strofa:
Then she opened up a book of poems
And handed it to me
Written by an Italian poet
From the thirteenth century.
And every one of them words rang true
And glowed like burnin’ coal
Pourin’ off of every page
Like it was written in my soul from me to you,
Tangled up in blue.
Una tradizione critica balzana ha supposto nel poeta italiano il Petrarca, non considerando che è del quattordicesimo secolo (e che la madre di Z si chiamava Beatrix Stein). Ma è eccezionale qui il rapporto di lettura con Dante, che ha un analogo solo ne La ripetizione di Kierkegaard (dove il libro era quello di Giobbe). Funzione salvifica della poesia che si allarga nell’ultima poesia a magnificat della bellezza in sé:
… I’m bound to cross the line
Beauty walks a razor’s edge, someday I’ll make it mine.
If I could only turn back the clock to when God and her were born.
(dove tremendum è il finale sacrilego, di un dio nato).
Una bellezza che unica può compiere il miracolo su questa creature void of form, burned out from exhaustion, buried in the hail, poisoned in the bushes an’ blown out on the trail, hunted like a crocodile, ravaged in the corn:
She walked up to me so gracefully and took my crown of thorns
“Come in,” she said, “I’ll give you shelter from the storm.”
(mi sembra inutile sottolineare gli imprestiti celaniani; piuttosto mi soffermerò casomai sull’influsso che ebbe su questo Z il pittore di origine ebrea Norman Raeben.)
L’avrò ascoltato un migliaio di volte nella mia vita (per me è il capolavoro assoluto di BD/RZ: BD??? DB!), ma un parallelo del genere non mi sarebbe venuto nemmeno curando diecimila Paoli Franceschi Celani o vivendo l’equivalente di due o tre vite… Cosa faccio, adesso? Mi licenzio da me stesso?
Di Norman Raeben sapevo.
Secondo te, Street Legal contiene qualcosa di utile al tuo discorso?
C’è tutto Giobbe e C, pure in dettaglio, nell’ultima raccolta di Z, “Modern Times”: dalla prima poesia
Thunder on the mountain, rolling like a drum
Gonna sleep over there, that’s where the music coming from
I don’t need any guide, I already know the way
Remember this, I’m your servant both night and day
Thunder on the mountain rolling to the round
Gonna get up in the morning walk the hard road down
Some sweet day I’ll stand beside my king
I wouldn’t betray your love or any other thing
Gonna raise me an army, some tough sons of bitches
I’ll recruit my army from the orphanages
I been to St. Herman’s church and I’ve said my religious vows,
I’ve sucked the milk out of a thousand cows
all’ultima
As I walked out tonight in the mystic garden
The wounded flowers were dangling from the vine
I was passing by yon cool crystal fountain
Someone hit me from behind
Ain’t talkin’, just walkin’
Through this weary world of woe
Heart burnin’, still yearnin’
No one on earth would ever know
Now I’m all worn down by weeping
My eyes are filled with tears, my lips are dry
If I catch my opponents ever sleeping
I’ll just slaughter ‘em where they lie
Ain’t talkin’, just walkin’
My mule is sick, my horse is blind.
Heart burnin’, still yearnin’
Thinkin’ ‘bout that gal I left behind.
Well, it’s bright in the heavens and the wheels are flyin’
Fame and honor never seem to fade
The fire gone out but the light is never dyin’
Who says I can’t get heavenly aid?
Ain’t talkin’, just walkin’
Carryin’ a dead man’s shield
Heart burnin’, still yearnin’
Walkin’ with a toothache in my heel
As I walked out in the mystic garden
On a hot summer day, a hot summer lawn
Excuse me, ma’am, I beg your pardon
There’s no one here, the gardener is gone
non ho parole, o solo una: se hanno dato il Nobel a Franca Rame, dovrebbero darne almeno due… (su Norman Raebe, il cui padre rabbino era detto il Twain chassidico per i suoi romanzi, e su una prima traduzione dii Modern Times http://www.maggiesfarm.it stamane un mio amico mi ha detto di aver battuto il record di lettura: 82 ore sempre solo di Modern Times)
Scusi, ma lei è il dott. Peyote che aveva in cura Saul Datura? E’ mio grande amico. So che avete avuto dei problemi di dosi e di tisane, ma mi ha parlato proprio bene di lei. E’ vero che coi pazienti fa popterapia, previo pop test? Nel qual caso, ci farei un pensierino. E’ da 13 anni infatti che sono in analisi da un dottore younghiano, Stefano Calmi. Lo conosce? Ha studiato da giovane in California, dice, ma a me mi pare che tanto non deve aver studiato. Già che ci sono, mi tolga una curiosità: noi pazienti come santo patrono abbiamo Giobbe, ma voi dottori chi avete?
Conto in una sua risposta.
Ciccio Ovatta
Che cosa gli avrà sussurrato all’orecchio Guenter Grass a Celan durante le umide passeggiate serali lungo la Senna?
Gli avrà illustrato tutti i segreti della filologia e della metasemantica.
GG (a pc): SS…
Our conversation was short and sweet
It nearly swept me off-a my feet.
_ _ _ _ And I’m back in the rain,
|||||||| OH |||||||
And you are on dry land.
\\\\ YOU MADE //// it there somehow
= = = = You’re a bad god now.
Niemand knetet uns wieder aus Erde und Lehm,
_ _ _ _ niemand bespricht unsern Staub.
|||||||| NIEMAND ||||||||
der Krone rot vom Purpurwort,
das \\\\ WIR SANGEN //// über,
= = = = o über dem Dorn.
Ho reagito alla sfiga di non poter sentire la voce di C immaginandomi un equivalente plausibile sulla base delle indicazioni fornite da più “uditori” in questo thread. Fortunato nemmeno in questo (la voce di Z me l’ha messa un amico su cd, ma attaccandoci male la cartina sopra, sicché potevo ascoltarlo solo in macchina, a notte fonda…).
_ _ _ _ la voce s’incrina, cala ancor più rispetto a prima
|||||||| al colmo della disperazione, esplode il suono perentorio
\\\\ la voce si alza in inno, ma pacato, come una constatazione
= = = = e sfuma quasi a girarsi indietro, dal frutto alla fatica
(NB rispetto al testo scritto, Z varia l’ultimo verso in: *You’re a big god now*.)
Caro C. Ovatta, è un piacere sentirti. Mi permetto di darti del tu perché gli amici degli amici, in questo caso Saul, li sento già un po’ come miei pazienti, anche se non li conosco ancora di persona. Permettimi di consigliarti, a proposito del dott. Stefano Calmi, un uso moderato dei suoi scritti, soprattutto quelli degli ultimi anni. I suoi libri migliori li ha scritti a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, quando il ricordo della caccia al bufalo nei campi di primavera era presente con tutti i suoi umori e odori ancora sparsi nell’aria. Poi si è dedicato a una lettura eterodossa dell’opera del maestro, con l’intenzione di allargare le schiere dei discepoli e dei simpatizzanti, ma finendo, in ultima analisi, per scimmiottare dottrine che meritavano bel altra sorte. Diciamo che da allora non l’ho seguito più, ma quattro o cinque opere della sua cospicua produzione le salverei comunque. In ricordo dei bei tempi andati.
Il santo protettore? S. Erasmo da Rutterdam.
Conto di vederla presto nel mio studio, caro Ciccio.
à paris…
GG = 1 ELEPHANT IM PAUL CELAN LADEN
GG = 1 ELEFANTE NEL NEGOZIO DI POL CELANA
http://www.hagalil.com/archiv/2006/08/grass-1.htm
E per quanto tempo
può un uomo
girare la sua testa
fingendo di non vedere…
La risposta, mio amico
sta soffiando nel vento,
la risposta sta soffiando nel vento….
Non ho caputo: prima soffiava all’orecchio, ora sta soffiando nel vento… non vorrei che domani soffiasse il naso!
Io cammino fumando
e dopo ogni boccata
attraverso il mio fumo
e sto dove non stavo
dove prima soffiavo.
Le mie ultime perplessità sono sull’aggettivazione di stilo e filamento. Un punto assodato è che C, scrivendo inizialmente “schwarz”, aveva in mente il colore fisico, materiale (tanto più notevole, in quanto Die Niemandsrose è scarsissima di colori: appena 7 in tutta la raccolta, stando a Helmutinka). Poi C scolora agganciandosi al lapis “hell”. A intuire in parallelo allo svolgersi della rosa il dipanarsi della scrittura/segno mi ha aiutato (in bella consonanza con un commento del thread, forse di myfly) una poesiola ormai famosa di un ragazzo di 22 anni, che si stava laureando in filosofia proprio mentre la scriveva (a prop., 2 anni fa è uscito Die Philosophische Bibliotek von P.Celan – un volume intero solo per raccogliere i titoli echt filosofiici)
Essere matita è segreta ambizione.
Bruciare sulla carta lentamente
e nella carta restare
in altra nuova forma suscitato.
Diventare così da carne segno,
da strumento ossatura
esile del pensiero.
Ma questa dolce
eclissi della materia
non sempre è concessa.
C’è chi tramonta solo col suo corpo:
allora più doloroso ne è il distacco.
Mi pare che dica “la stessa cosa” di C (in forma ovviamente assai diversa). Insomma, tradurrò i 2 aggettivi badando di non scivolare nel toboga della metafora.
A Monaco ventidue anni li aveva – quando morì – un’altro studente universitario, anzi, una rosa bianca disobbediente beccata mentre distribuiva un volantino… “…… Vogliamo sacrificare ai più bassi istinti di potere di una cricca di partito ciò che resta della nostra gioventù tedesca? Mai più!……” All’uomo della Gestapo che poi la interrogò in prigione “Signorina Scholl, non si rammarica, non trova spaventoso e non si sente colpevole di aver diffuso questi scritti e aiutato la Resistenza, mentre i nostri soldati combattevano a Stalingrado? Non prova dispiacere per questo?”, lei rispose: “No, al contrario ! Credo di aver fatto la miglior cosa per il mio popolo e per tutti gli uomini. Non mi pento di nulla e mi assumo la pena!”»
La ghigliottina tranciò di netto la sua corolla rossa di sangue.
@Cato+chiunque. l’ho trovato per caso in rete, e visto che sei interessato a tombe ed epitaffi, l’ho tradotto e lo incollo (Wolff contava allora più di 300 interpretazioni: chissà gli aggiornamenti!) – NB non è un ricato.
La storia delle interpretazioni dell’epitaffio di Rilke è riassunta in J. Wolff, Rilkes Grabschrift, Heidelberg 1980. Rileggendo questo corpus di interpretazioni ci si accorge del meccanismo che mette in moto e mantiene attiva l’operosità degli interpreti: è l’insoddisfazione delle interpretazioni che li hanno preceduti. Ma proprio questo corpus, irritante per la stessa mole, indica una via d’uscita esemplare. Ricominciare da capo, rifiutando di seguire la logica di aggiungere riflessioni su riflessioni creando così testi senza fine. La prima interprete del Grabspruch, E. von Schmidt-Pauli (RMRs Grabspruch, in “Frankfurter Zeitung”, 1927 n. 492), forte della sua familiarità con il poeta e dell’intima conoscenza della sua opera, accosta il Grabspruch a un passo dei Sonetti a Orfeo II, 14:
ROSA, CONTRADDIZIONE PURA! VOGLIA / D’ESSERE IL SONNO DI NESSUNO SOTTO SI’ TANTE PALPEBRE.
Tutto ondeggia. Allora andiamo qua e là come portatori, / piazzando noi stessi su tutto, incantati dal peso: / oh, che maestri spossanti siamo per le cose, poiché ad esse arride fanciullezza eterna!
La sua interpretazione, a ben vedere, altro non è che una parafrasi del legame intertestuale tra i due testi: *Ora la rosa non deve più essere condannata, lei la fanciullesca, la giocosa, a condividere il peso di una vita adulta – non a condividere il sonno di un defunto: sii contraddizione, rosa! [dormi ora il tuo proprio sonno sotto sì tante palpebre!] RMR, il tuo poeta, ti restituisce al tuo!*
Dall’interpretazione ho tolto la frasetta da me messa tra [ ]: con questo inciso la Pauli aggiunge un pensiero non necessario allo sviluppo stesso della sua interpretazione. Il tema del sonno della rosa non fa parte della poesia di Rilke. “Restituire la rosa a quanto le è proprio” è il senso del testo, qualora esso non venga vincolato dalla presunta analogia tra il sonno del poeta morto e il (presunto) sonno della rosa.
Basta togliere quella frasetta e l’interpretazione del Grabspruch è “perfetta”. Come prova si potrà leggere un altro passo di questa bellissima interpretazione sostituendo – in sintonia con il taglio della frasetta – “al suo proprio sonno” con “a quanto le è proprio”: *RMR ha sempre voluto muovere quanti amava a fare ciò che era loro proprio. E noi, che leggeremo che la rosa è stata restituita a quanto le è proprio [al suo proprio sonno], riceviamo in consegna di andare e di fare ciò che ci è proprio*.
Ho visto la foto, e mi sono piantato
http://www.olokaustos.org/opposizione/ gruppi/weisserose/scholl-s.htm
Ho letto il motto di Sophie, da Maritain: Il faut avoir l’esprit dur et le cœur tendre.
Ho letto che il fratello Hans aveva scelto il nome d’istinto, pensando che fosse abbastanza incisivo e suonasse positivo.
Wikipedia dice: Fino a tutto il 19° secolo un locale, un negozio, un albergo o altro che avesse il nome di “rosa bianca” (ve ne erano molti e alcuni ancora sopravvivono in tutta Europa) stava a significare che chi doveva sapere, sapeva di poter trovare lì assistenza “fraterna” e discrezione.
E un pezzo di volantino: Ein jeder will sich von einer solchen Mitschuld freisprechen, ein jeder tut es und schläft dann wieder mit ruhigstem, besten Gewissen. Aber er kann sich nicht freisprechen, ein jeder ist schuldig, schuldig, schuldig ! Doch ist es noch nicht zu spät, diese abscheulichste aller Mißgeburten von Regierungen aus der Welt zu schaffen, um nicht noch mehr Schuld auf sich zu laden.
Rose, du thronende, denen im Altertume
warst du ein Kelch mit einfachem Rand.
Uns aber bist du die volle zahllose Blume,
der unerschöpfliche Gegenstand.
In deinem Reichtum scheinst du wie Kleidung um Kleidung
um einen Leib aus nichts als Glanz;
aber dein einzelnes Blatt ist zugleich die Vermeidung
und die Verleugnung jedes Gewands.
Seit Jahrhunderten ruft uns dein Duft
seine süßesten Namen herüber;
plötzlich liegt er wie Ruhm in der Luft.
Dennoch, wir wissen ihn nicht zu nennen, wir raten …
Und Erinnerung geht zu ihm über,
die wir von rufbaren Stunden erbaten.
griderò a dio di darmi un piede spezzato.
chiederò una cicatrice e un naso squarciato.
prenderò l’ultima cosa e la peggiore.
sarò divorato da topi grigi in una tana dove
non entrano messaggeri del sole e non vivono cani.
eppure – di tutti gli “eppure” questo è il bronzeo più forte –
mi rimarrà una cosa migliore d’ogni altra: è in essa
l’acciaio azzurro di una grande stella alle prime ombre della sera;
vive più a lungo di un piede spezzato e di una cicatrice.
il piede spezzato va dentro un buco scavato con la vanga
e l’osso di un naso può finire sulla cima di un colle
– eppure – “eppure”-
alla fine rimane sempre un pizzico di ceneri purpuree;
e nessuno dei venti capricciosi che frustano l’erba
e nessuna delle piogge martellanti che battono la polvere
sanno come toccare o trovare quel guizzo di porpora.
io grido a dio di darmi un piede spezzato, una cicatrice,
una morte immonda.
io che ho visto quel guizzo di porpora, chiedo a dio
l’ultima cosa e la peggiore.
Rosa, regina che per gli antichi
eri semplicemente un calice bordato,
per noi sei il fiore pieno innumere,
l’oggetto mai esauribile.
Nel tuo regno appari come drappeggiata
attorno a un corpo fatto di splendore puro;
ma il tuo singolo petalo è anche l’evitare
e il rinnegare ogni vestimento.
Da secoli il tuo aroma emana verso noi
i suoi nomi dolcissimi;
d’un tratto sta come gloria nell’aria.
Eppure non sappiamo nominarlo, ci proviamo…
E passa a lui il ricordo
che imploravamo da ore revocabili.
Your day breaks, your mind aches.
You find that all his words of kindness linger on
when he no longer needs you.
And in his eyes you see nothing.
No sign of love behind the tears
cried for No One,
a love that should have lasted
years.
You want him, you need him,
and yet you don’t believe him
when he says his love is dead:
you think he needs you –
you stay home, he goes out.
He
says that long ago he knew someone
but now he’s gone:
he doesn’t need him.
There will be times when all the things
he said will fill your head –
you won’t forget him.
Included in J. Derrida, “Sovereignties in Question: The Poetics of P. Celan”, London 2005, are the 1984 text “Schibboleth;” a 2000 essay that engages Celan poems as witness or testimony; an interview from 2001; a discussion of Celan’s “Meridian” lecture from Derrida’s 2001-2002 Paris seminar; and “Rams,” his 2003 memorial lecture for Hans-Georg Gadamer. Central themes include the date or signature and its singularity; the notion of the trace; temporal structures of futurity and the “to come”; the multiplicity of language and questions of translation; such speech acts as witness, promise, and testimony, but also lying and perjury; the possibility of the impossible; and, above all, the question of the poem as addressed and destined beyond knowledge, seeking to speak to and for the irreducible other.
Quando Celan decidió suicidarse estaba leyendo una biografía de Hölderlin; en su escritorio, una página abierta con unos versos subrayados: “A veces el genio cae en la oscuridad y se hunde en el oscuro pozo de su corazón”(J. Felstiner, Paul Celan, Poet, Survivor, Jew, NY, Yale Univ. Press, 1995).
ICH TRINK WEIN aus zwei Gläsern
und zackere an
der Königszäsur
wie Jener
am Pindar,
Gott gibt die Stimmgabel ab
als einer der kleinen
Gerechten,
aus der Lostrommel fällt
unser Deut.
Bevo vino da due bicchieri
e aro su
la cesura regia
come quello
su Pindaro,
dio porge il diapason
quale uno dei piccoli
giusti,
dall’urna del lotto esce
il nostro numero.
TÜBINGEN, JÄNNER
Zur Blindheit über-
redete Augen.
Ihre – “ein
Rätsel ist Rein-
entsprungenes”, ihre
Erinnerung an
schwimmende Hölderlintürme, möven-
umschwirrt.
Besuche ertrunkener Schreiner bei
diesen
tauchenden Worten:
Käme,
käme ein Mensch,
käme ein Mensch zur Welt, mit
dem Lichtbart der
Patriarchen: er dürfte,
spräch er von dieser
Zeit, er
dürfte
nur lallen und lallen,
immer-, immer-
zuzu.
(“Pallaksch. Pallaksch.”)
TUBINGA, GENNAIO segue immediatamente Psalm nella raccolta Die Niemandsrose (la tr. it. nei Meridiani Mondadori è aberrante, non solo nel fastidioso refuso romanesco *Hörderlin*).
ICH TRINK WEIN invece è una poesia d’occasione, scritta per il bicentenario della nascita di Hölderlin celebrato a Stoccarda il 21 marzo 1970 (è lui che nel 1805, a un passo dalla follia, zappava/traduceva Pindaro). Celan si suiciderà 1 mese esatto dopo. L’ultimissima poesia di C è ancora enologica: REBLEUTE graben (Vignaioli vangano).
Lors de leur dernière entrevue, le jeudi saint de 1970 [26 marzo], Heidegger proposa à Celan, pour l’été, un voyage en commun “sur les sites hölderliniens du haut Danube”. Dall’ultimo volume delle Opere Complete, si desume che Heidegger morì letteralmente su Die Aussicht (La veduta), l’ultimissima poesia di Hölderlin cui Heidi aveva dedicato già più di un saggio.
1. Paul Celan, CHANSON DI UNA DAMA NELL’OMBRA (La sabbia delle urne, 1948)
Se arriva quell’ Essere Silenzioso e trancia la testa ai tulipani:
Chi è vincente?
Chi perdente?
Chi va alla finestra?
Chi pronuncia anzitutto il suo nome?
Vi è uno che regge i miei capelli.
Li regge come si reggono in mano corpi morti.
Li regge come il cielo li resse quell’anno che io ero in amore.
Li regge per vanità a quel modo.
Costui vince.
Costui non perde.
Costui non va alla finestra.
Egli non pronuncia quel nome.
Vi è uno che possiede i miei occhi.
Li possiede dacché le porte si chiudono.
Li reca al dito come anelli.
Li reca come schegge di piacere e di zaffiro:
già in autunno mi era fratello;
già annovera i giorni, le notti.
Costui vince.
Costui non perde.
Costui non va alla finestra.
Egli pronuncia quel nome alla fine.
Vi è uno che possiede ciò che io dissi.
Lo porta sotto il braccio come un fardello.
Lo porta come l’orologio porta la sua ora peggiore.
Lo porta di soglia in soglia e mai non lo getta.
Costui non vince. Costui perde.
Costui va alla finestra.
Egli pronuncia quel nome anzitutto.
A lui vien tranciata la testa come ai tulipani.
2. Tito Livio, Istorie, I
Al messo che sembrava di dubbi