Variazioni Meridiano – 4: Stefano Guglielmin
omaggio al meridiano
Respiro, il che significa direzione e destino. Mi si chiede perché scrivo, ed io rispondo, con Celan: perché respiro. Dico: respiro, e scrivo. Scrivo del verso che si contrae e si dilata, del verso-mantice che dà fiato al mio “20 gennaio”. Così facendo, il verso lo traduce in canto, muta quel tragico giorno in direzione e destino. E tuttavia nel canto, nel mio canto, direzione è destino. Per me scrivere è andare incontro, andare verso, tornare. Verso, ossia volgere, girarsi, così che andare lungo la direzione sia, anche, tornare nei pressi di dov’ero già stato. E, da qui, parlare. Fato ha la medesima etimologia; phatos: detto, sentenza, oracolo. E sorte: annodare, legare insieme. Dico: respiro, e annodo la lingua al presente, indicando una direzione, facendo il verso alla direzione. Guardo indietro, come l’angelo di Klee. Riconosco nelle macerie il mio destino. Inorridisco, in loro vedo intero il mio 20 gennaio, la mia “soluzione finale”. Eppure destino è bifronte. Il futuro è già qui, aperto. Direzione è destino nell’aperto della lingua.
Qui, dove tutto volge alla fine. L’aperto è tutto ciò che volge alla fine. Volge, in verità, custodisce il segreto di direzione e destino, del loro essere siamesi, come ringraziare e pensare, danken e denken. La lingua si volge indietro, si fa verso e, così facendo, versa la fine nel corpo del testo, la tiene nell’aperto. Tiene nell’aperto quel tutto che volge alla fine. Null’altro. Perché scrivo? Per tenere vivo altro, ciò che, non essendo qui, volge all’inizio. Ed è minuscolo, come il corpo del testo, come il respiro del corpo quando scrive. Null’altro soffia in tutto ciò che volge alla fine, lo lascia essere. Null’altro non è meridiano, non consiste, dalla mia soglia, in “tutto ciò che unisce”, bensì è ciò che lascia nella disseminazione, null’altro che questo dissiparsi delle esistenze nell’aperto del mondo. La poesia che scrivo dissipa l’aperto nello spazio del testo, lasciandogli tuttavia il tempo dell’incontro. Giusto il tempo di un respiro.
La pausa del respiro – questo sperare e pensare –. Tra l’inspirazione e l’espirazione, l’istante diventa attimo, un passaggio dove quel tutto che volge alla fine mostra il null’altro da cui viene. Null’altro spera, null’altro pensa, mentre tutto volge alla fine. La poesia asseconda questo destino caduco, nella pienezza della luce del pensiero e della grazia. Essa lascia al respiro il canto del proprio 20 gennaio, dandogli in dono speranza e pensiero. Dico: respiro, e già ringrazio il creato di stare tutto nella sua fine. Scrivo per raccontare questo dono, che mi fa essere qui, null’altro che qui, a cantare le macerie della storia e i passi che verranno, nell’aperto del pensiero della speranza. Scrivo questo dono, che è racconto degli olocausti ed è parola del signore. Minuscolo perché, al mio signore, l’increato non appartiene. Signore è questa creatura, sono io-tu, in equilibro su null’altro.
Arte crea lontananza dall’io. Arte opera per la lontananza dell’io. Che fa olocausti, come ci racconta Zygmunt Bauman. Io erge steccati, impone scadenze, erige città. Io redige liste di proscrizione, compila elenchi per gli obitori. L’arte invece crea salvezza, allontanando l’io; ecco la lista di Schindler, il quale dice, disperato: potevo salvare altri ebrei vendendo la mia auto, perché non l’ho fatto? Schindler, perdendo se stesso, trova l’umanità. Allo stesso modo, poesia, la mia poesia, non è tutta mia. Non la controllo pienamente, non ne dispongo come fosse uno strumento. Piuttosto, la verso sul foglio e le vado incontro, ne cerco l’orma per acquietarmi in essa ed ascoltare la pausa del respiro: speranza e pensiero. Io sceglie l’ascolto, vuole ciò che deve, in nome di altro: “Parlare per conto di un Altro – chissà, magari di tutt’Altro“, scrive Celan. Vivere poeticamente è assunzione di questa responsabilità: io nella quiete canta la morte di Dio, canta speranza e pensiero, e si libera per la propria fine, scegliendo altro. Scrivo per prepararmi a scegliere, in piena libertà di pensiero, ciò che apre direzione e destino. Se nella mia poesia direzione è destino, la prassi vuole invece solco e memoria, passo e meta. Entrambi separatamente perché poeta è uomo che cammina fra gli uomini. Non dice io, ma noi. E ama la festa. Eppure poeta, in generale, è modello astratto, prigione. Poeta, in verità, si dissemina in questo e quello. E festa talvolta sta chiusa nella teca per troppa luce oppure rinuncia al canto perché il poeta, questo poeta, abita da sempre la mezzanotte dell’olocausto. Non c’è luna lì e il mondo dimentica. In questo autunno, Celan scelse l’aprile della Senna. Il suo viaggio crudele non andrà a capo: giù, nell’ebbrezza del gorgo, per oltrepassare la notte. Arte crea lontananza dall’io. Vita offesa, annienta.
WITZ
Auschwitz,
Aschwitz…
S. W.
[…] (Continua a leggere qui.) […]
Sämtliche Werke » Non fa ridere.
concordo con domenico. ultimo (unico) avvertimento.
@ Pinto: si vede che non sai il tedesco.
@ Melanie: meglio Schwein che Klein.
@ me: sarebbe piaciuto a P. Celan?
risposta: sì.
S. W.
S. W. » e tu non sai il danese ;-)
ragazzi, non capisco, ma non importa.
cosa è successo il 20 gennaio, che viene definito “tragico giorno”?
occorrerebbe una legge che proibisca ai poeti di parlare della loro poesia, agli artisti della loro arte, ai musicisti della loro musica, ai registi del loro cinema, ai ballerini della loro danza, agli strumentisti del loro suonare uno strumento (non dello strumento), agli attori della loro recitazione, agli architetti della loro architettura, ai narratori delle loro narrazioni, eccetera.
ma si dia via libera, si diano incentivi in denaro ai pescatori che vogliono parlare della pesca e del loro essere pescatori, agli ingegneri di ingegneria e di ingegneri, di compressione/torsione/taglio/trazione, ai falegnami del loro essere falegnami, ai panificatori delle loro notti al forno, seminudi, si raccolgano le testimonianze dei capomastri, dei selciaroli, dei manovali, eccetera.
forse che anche loro, immancabilmente, citeranno/nomineranno paul celan?
Un testo bellissimo: etica, consapevolezza, forza, utopia, oltranza: le radici di un fare poetico che non dimentica mai le “radici”.
dal respiro della poesia-dalla poesia del respiro alle arti dei mestieri-ai mestieri delle arti, ottimo passaggio: tashtego.
Il 20 gennaio 1778, Lenz, dopo aver attraversato a piedi i Vosgi, arriva a casa del pastore Oberlin, dove resta fino all’ 8 febbraio.
L’attacco del ‘Lenz’ di Büchner dice così:
“Il 20 gennaio Lenz attraversò la montagna. Le cime e gli alti pianori coperti di neve, giù per le valli pietra grigia, distese verdi, rocce e abeti…»
Per saperne di più, oltre al fatto che Celan pronuncia il discorso in occasione del conferimento del premio Büchner, vedere Büchner, ‘Lenz’, Adelphi ’89.
E Celan, ‘La verità della poesia’, Einaudi ’93, dove c’è il discorso.
caro Tash l’avevi già detta questa
Perché non impedire semplicemente ai tash di commentare e così la chiudiamo in bellezza.
il 20 gennaio 1942 è il giorno il cui il nazismo decise di sterminare tutti gli ebrei e coincide con il giorno in cui il personaggio di buchner comincia appunto una discesa che lo porterà a morire da solo, in una strada moscovita.
come scrive Giuseppe Bevilacqua, nella prefazione al libro citato da Alcor, il 20 gennaio rappresenta il giorno in cui ” a ognuno di noi si è rivelato lo scandalo insostenibile della storia”.
Credo sia capitato a tutti.
infine: ho nominato Celan perché il testo che ho scritto nasce dall’attraversamento del Meridiano: ciò era la richiesta esplicita di Nazione Indiana.
OT: [a “Sch. W.”: link interessante quello che ti ho messo in moderazione; ripostalo, se ti va, in Bacheca o sotto qualche altro post in cui sia più attinente all’argomento. Grazie.]
@veronica
può capitare che mi ripeta, lo so.
qualsiasi indiano può impedirmi di commentare, quindi chiedi a loro.
io non mi offendo.
Forse il link è sbagliato, Meschonnic non parla di Celan
maestro bellissimo, dimmi, cosa ci fai tra questi indiani?
e il corpo, il corpo del poeta, il sacrificio, il farsi pane e darsi?
la chiusa non mi piace è tristissima
Grazie a Andrea per l’idea di Meridiano. I testi sono di una qualità notevole.
Grazie ai commenti qui mi hanno aiutata a capire il pezzo cha alla prima lettura ho trovato difficile.
Non avevo capito gli accenni.
Avevo sentito giusto il respiro: si, scrivere è respirare come nuotando.
Il cuore diventa grande, grande.
a Véronique: grazie mille. Però l’idea è di Luigi Pingitore.
a Tash: nessun problema, tranquillo. Salvo che hai tempo fino a domani sera per leggere il Meridiano (quello vero). Occhio che ti interrogo.
mi inserisco solo per ringraziare anch’io Veronique. E si, penso anch’io che i testi siano tutti notevoli, che abbiano colto nel segno – e cioè non una pedissequa rilettura del Celan, ma un suo attraversamento col corpo di ciascun poeta. La vivacità – l’estraneità / straniamento – di alcuni commentatori mi conferma che la poesia è viva al di là della morte culturale e civile del paese. Non sia presa per retorica quest’ultima – la morte è assoluta in questo istante storico. Ma Stefano, Giulio, Roberto e Marina sono vivi e lottano con le parole – una delle poche battaglie che vale la pena di affrontare. Vi anticipo che in questo progetto Variazioni Meridiano saranno coinvolti nelle prossime ‘puntate’: Lidia Riviello, Marco Giovenale, Andrea Raos e ci sarò anch’io.
Mi trovo in argomento e vorrei ripetere una mia convinzione, e cioé che il libro di Raos ‘le api migratori’ è il più importante libro di poesia italiano degli ultimi 10 anni. E che meriterebbe una più ampia diffusione. Ma quando parlo della morte, parlo anche di quanti lavorano nel mondo editoriale e distributivo con superficiale cialtroneria.
Il ripercorrere la data, l’attimo e poi quel “null’altro” e lo scarto denken/danken mi fanno pensare a derrida e alla lettura che fece di Celan nello Schibboleth.
A parte ciò, in quel che scrivi, Stefano, si sente come quei riferimenti siano degli attraversamenti, consapevoli (e non, come naturale prosecuzione di percorsi aperti).
Ed è davvero un bel leggere qui sopra.
Condivido nell’anima Luigi Pingitore che rigranzio del cuore. Il libro di Andrea fa ascoltare una voce originale, nuova in poesia: un corpo di scrittura attraversato dalla storia odierna e futura.
Aspetto il seguito di Meridiano con piacere.
certo Derrida è un maestro. e anche lui ha una tradizione.
Non può essere altrimenti, Stefano, ma restano nel tuo scritto suggestioni del tutto (o quasi del tutto) allotrie al pensiero derridiano, che trovano nel tuo “manifesto” una felice sintesi. Penso ad esempio all’aperto e a problemi sull’etica, forse di matrice agambeniana, e ad altri riferimenti nascosti o meno.
Se è filosofia e poetica, lo è in una scrittura da vera e godibile letteratura.
Cercherò di leggere le sue poesie. Mi affascina la sua idea di poesia e mi incuriosiscono l’ allontanamento dall’io, di cui lei parla e il riferimento al respiro, come unico termine sensibile di confronto per spiegare la genesi della sua poesia. E’ un commento dopo una prima lettura, a caldo. Mi piace l’idea di andare verso e poi ritornare, su quel filo del nulla (come se l’universo sensibile interno ed esterno) rivelasse la sua perenne caducità, e il poeta dovesse svelare questa dimensione. Resta l’apertura all’altro in questa comunicazione, resta il dialogo rarefatto e essenziale. Non so se è un’interpretazione rispettosa. Lo spero. Per me la poesia è anche espressione dell’io nelle sue molte forme e anche la ricerca del dialogo con l’altro è pur sempre una di queste forme. Per me è vitale il legame con la natura. Anch’io comunque scrivo perchè respiro ed ho la presunzione(sarà davvero così?) di dire qualcosa di significativo anche per qualcun’ altro.
Il mondo che vorrei.
Tutti nell’attuale società dicono di essere per la vita, per la difesa della vita. Intanto miliardi di persone non godono delle bellezze dell’esistenza, non vivono. Sopravvivono! Miliardi di esseri umani soffrono la fame. Milioni di bambini muoiono d’inedia. Ciò nonostante la produzione di beni abbia raggiunto livelli tali da poter soddisfare i bisogni di tutto il genere umano.
Eppure ancora vi sono coloro che, testardi, continuano a difendere l’attuale sistema sociale, economico e politico!
“Taciti, soli, senza compagnia
n’andavan l’un dinanzi e l’altro dopo,
come i frati minor vanno via”
Come dice Dante degl’ipocriti nel canto XXIII dell’ Inferno.
Ancora credono che possa migliorarsi e non si accorgono che peggiora con il tempo e che le condizioni umane siano secondarie all’ottica del profitto ed allo sfruttamento, che ne consegue.
Sono in buona fede o difendono interessi ben precisi?
Costoro continuano a perpetrare un falso storico e cioè che il mondo nuovo sia stato già realizzato nell’Unione Sovietica, in Cina ed altri paesi e non sanno o forse non vogliono sapere che in quei paesi non c’è mai stato sistema senza l’egida del profitto e che la forma assunta in certi momenti storici non era altro che capitalismo di stato. Cosa c’entra Stalin con il mondo nuovo?
Egli semmai è stato un persecutore delle speranze di una nuova società, arrivando ad uccidere le persone che avevano nel cuore una nuova realtà sociale.
“Uno spettro si aggira per l’Europa:è il comunismo!” Diceva Cavour.
Oggi, visto l’abnegazione che tanti mettono in campo nel cercare di combattere questa dottrina, lo spettro continua ad aggirarsi!
E il fatto che nella società vi siano pensieri e sentimenti, che ardono nei cuori e nelle menti sulla necessità di un mondo nuovo, mostra come nella stessa società vi siano i germi di un futuro di libertà, uguaglianza, fratellanza, pace. Il capitalismo è un morto che cammina!
Sembra forte, più forte di sempre, ma più aumenta la sua forza e più cresce la sua debolezza, poiché crescono le sue contraddizioni insanabili. Salario e profitto non potranno mai andare d’accordo!
“Cioè appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore o critico critico, e tale deve restare se non vuole perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.”
“L’ideologia tedesca
K. Marx F. Engels
Questa è la vita che vogliamo! Questa è la vita che meritiamo!
“ Se l’uomo è sociale per natura, egli sviluppa la sua vera natura solo nella società, e la potenza della sua natura deve trovare la sua misura non nella potenza dell’individuo singolo ma nella potenza della società.”
La sacra famiglia
K. Marx F. Engels
L’interesse di ogni persona deve coincidere con l’interesse del genere umano!
In questa società non è così. Non sarà mai così.
Chi è per la vita deve lavorare per la coincidenza dell’interesse individuale con quello generale dell’umanità.
Solo così si è per la vita e per l’umanità; per la sua libertà, uguaglianza, fratellanza!
Se lo vogliamo, possiamo assaporare il caldo respiro della speranza!
Se lo vogliamo, possiamo sognare!