Il problema indiano

[Così si presenta, in versione semplificata, lo studio noto come problema indiano. Il bianco muove e dà matto in tre mosse. dp]

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28 Commenti

  1. Il re che subisce il matto di scoperta è un po’ come il marito che si fa beccare in flagranza di adulterio dalla moglie…

    1. Ac1, e6
    2. Td2, Rf4
    3. Te2… è finita!

    Vedo una data.
    E’ una situazione verifcatasi in qualche partita importante con Lasker, Casablanca, Alekhin, o è il problema “nato” nel 1845?

  2. Il bianco muove e dà matto in tre mosse.
    Non saprò mai quali.

    (ricordo una poesia di Magrelli simile, in “Didascalie per la lettura di un giornale”)

  3. Questa versione, che rastrema l’idea di Henry Augustus Loveday, viene proposta negli Akademische Monatshefte für Schach nel 1927.

    La storia dello studio si legge qui. Ma ci sarà certamente anche in inglese, da qualche parte.

  4. grazie alle indicazioni di plessus ho potuto finalmente scoprire a quale tipo di mattia appartenesse domenico pinto. qui di seguito viene indicata la completa casistica. Io un’idea ce l’ho. E voi?

    matto puro: le case del campo del Re nero sono controllate tutte solo una volta da pezzi bianchi, oppure non sono sotto il controllo di pezzi bianchi se sono gia’ occupate da pezzi neri;
    – matto economico: tutti i pezzi bianchi presenti collaborano al matto, con l’eventuale eccezione del Re o di qualche Pedone;
    – matto modello: avviene quando nella posizione di matto si verificano contemporaneamente le condizioni gia’ citate di matto puro e di matto economico;
    – matto a specchio: il campo del Re nero e’ sgombro di qualunque pezzo, sia bianco che nero.

    effeffe

  5. Certo che il matto modello che è anche un modello di matto non in grado di essere interpretato da Matteo è un bel problema indiano in nazione indiana…
    :-)
    Il matto derivante dalla soluzione del problema sembrerebbe di tipo economico.

  6. Tra tanti matti e barboni, penso si stia esagerando col mio buon Domenico. Non è il solo!
    Mi incarico io, dunque, di gratificarlo, con un omaggio per il suo coraggio:

    BARBONI [matti]

    Zombi, anime dannate
    , dall’esterno.

    Dentro, anime incantate
    o incatenate.

    Guardano, alla Stazione, partire Angeli
    verso altri Paradisi.

    Compiangono i Ritorni
    : per loro sono morti che hanno fallito
    nel compiere l’ultimo tragitto.

    Perdendo l’occasione di amare perdutamente Persefone
    , o una bambina.

  7. [estratto da:http://www.samuelbeckett.it/murphymatch.htm_segnalato da Orsola]

    *

    […] Io l’ho interpretata come una metafora di quel comportamento che si ha spesso verso i malati mentali, di non *urtarli* troppo. Comportamento che evidentemente non fornisce grandi risultati. Ma forse c’è qualcosa di più?

    (Anelastico).

    *

    Quindi, niente di nuovo, ora e qui.
    Sono queste infatti le parole di un indiscutibile esperto di scacchi con cui viene commentata una “vera” partita.

    La grande letteratura è grande prché trasforma in personaggi letterari i propri lettori.

  8. Quello cranico è un problema mio, come è noto:-)

    Ma davvero non c’è un problkema che faccia pensare acutamente anche noi poveri giocatori compulsivi di dama?

  9. Per Alcor copio qui questo dall’inizio de “Gli assassinii della Rue Morgue” di Poe in cui, di certo per le ottime qualità di damista, fu per Dupin un gioco scoprire che l’assassino era l’orango. Senza però ricavarne molte lodi:

    Approfitto dunque dell’occasione per asserire che il massimo potere della riflessione è più decisamente e utilmente provato dal modesto gioco della Dama che non dalla complicata futilità degli scacchi. In quest’ultimo essendo i pezzi dotati di movimenti diversi e bizzarri e di valori diversi e variabili, quello che è soltanto complessità vien preso (errore abbastanza comune) per profondità. L’attenzione sì, è messa in gioco moltissimo. E se per un momento si allenta, si commette una svista che risulta in una perdita o nella disfatta. Essendo i movimenti possibili, oltre che varii, involuti, le occasioni di quelle sviste ne vengono moltiplicate; e in nove casi su dieci non è il giocatore più acuto ma il più concentrato che vince. Nel gioco della Dama al contrario, nel quale la mossa è una sola e non subisce che poche variazioni, le probabilità di inavvertenze sono minori e l’attenzione del giocatore relativamente libera, per cui i vantaggi riportati da questo o quel contendente si ottengono grazie a una perspicacia superiore. Per essere meno astratti, supponiamo un gioco di Dama nel quale i pezzi siano stati ridotti a quattro sole dame e nel quale naturalmente non si suppongono sviste. E ovvio che (essendo le parti assolutamente eguali) la vittoria non può essere decisa che per qualche abile mossa dovuta a uno sforzo potente della mente. Privato delle sue risorse ordinarie, l’analista penetra nell’animo del suo avversario, si identifica con esso, e non di rado scopre a colpo d’occhio l’unico metodo possibile (metodo talvolta di un’assurda semplicità) per attirarlo in un tranello farlo cadere in un calcolo sbagliato.

    ,\\’

  10. Non so quanto del ragionamento di Poe possa essere accettato. Certo a me sembra un tentativo già dato come concluso di stabilire la differenza tra il lineare e la caotica complessità.
    Con una presa di posizione netta a favore del determinismo. Che si perpetuerà sino al Conan Doyle de “Il segno dei quattro”.

    A me risulta invece che sia stato il “gioco degli scacchi” a essere scelto da molti pensatori di fine Ottocento e dell’inizio del Novecento.
    Come strumento di riflessione e come modello di “sistema”.
    Quando questo concetto andava precisandosi, per poi definirsi come “sistema formale”.
    Per quanto ne so iniziò Gottlob Frege, nel 1893, in “Principi dell’aritmetica esposti ideograficamente”.
    Troviamo ancora il “gioco degli scacchi” in “La scienza e l’ipotesi”, di Jules-Henry Poincaré, 1902.
    Quindi in Hermann Weyl “Il mondo aperto”, 1932.
    Da Weyl, citandolo direttamente in una lettera, lo riprenderà Wittgenstein. Che lo userà varie volte, in varie opere, che in questo momento non sono in grado di controllare.
    Buon ultimo, ma per me buon primo, Carlo Emilio Gadda, che usa il gioco degli scacchi come modello del suo universo – godeliano prima di godel – in “Meditazione milanese”, 1928.

  11. “Privato delle sue risorse ordinarie, l’analista penetra nell’animo del suo avversario, si identifica con esso, e non di rado scopre a colpo d’occhio l’unico metodo possibile (metodo talvolta di un’assurda semplicità) per attirarlo in un tranello farlo cadere in un calcolo sbagliato.”

    E’ questo che mi piace, non per la fine ingloriosa dell’avversario, ma per il lato umano, gli scacchi sono troppo tecnici e i giocatori di scacchi troppo mentali, è giusto che sia Poe a difendere la dama.
    Nonostante tutto lo scialo di figure araldiche e guerresche esibite dagli scacchi e tutto il loro apparato logico e matematico, la strategia della dama prevede la comprensione dell’avversario, come nell’arte tradizionale della guerra di Sun Tzu:

    “Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere

    In ogni conflitto le manovre regolari portano allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria

    Se sei inattivo mostra movimento, se sei attivo mostrati immobile (questa è una manovra che amo e prediligo)

    Chi è prudente ed aspetta con pazienza chi non lo è, sarà vittorioso

    Conosci il nemico, conosci te stesso, mai sarà in dubbio il risultato di 100 battaglie

    Un risultato superiore consiste nel conquistare intero e intatto il paese nemico. Distruggerlo costituisce un risultato inferiore.”

    La dama è un gioco umano, gli scacchi confinano con l’autismo.

  12. Considerare gli scacchi come un gioco da intellettuali è limitativo. Le mosse dei pezzi, è vero, sono più complesse di quelle della dama, ma quello è solo un piccolo aspetto di tutto il gioco. La strategia è quello che conta, e le considerazioni che continuamente un giocatore deve fare sullo spazio, sul tempo, sul materiale. I gradi di libertà in una partita di scacchi sono particolarmente numerosi. Le aperture sono ormai state quasi tutte codificate, e cercare aperture alternative può facilmente portare, di fronte a un avversario che sa il fatto suo, a quelle che uno dei maestri di Garri Kasparov definiva “catastrofi di apertura”. Tuttavia le doti di creatività e la capacità strategica di un giocatore di scacchi si manifestano subito dopo l’apertura. E possono essere affascinanti nella loro bellezza.
    Gli scacchi poi sono stati spesso considerati come uno “sport”, proprio per l’unione di doti fisiche e intellettuali di cui il gioco necessita. E sono uno “sport” anche molto violento, molto aggressivo.
    La dama sicuramente è meno violenta. Ma mi sembra un gioco meno creativo, più “chiuso”. Alla dama prefersico allora Othello (http://it.wikipedia.org/wiki/Othello), che ha delle regole semplicissime ma che, pur essendo chiuso, riesce in qualche misura a essere strategico e creativo.

  13. @alcor

    A volte si menano, e se non ricordo male anche Korčnoj e Petrosian si prendevano a calci negli stinchi, sotto la scacchiera.

  14. Per distrarre l’avversario, immagino, o per infantilismo aggressivo?
    Comunque sia, un giocatore di dama non dà calci negli stinchi.
    Credo.

  15. Io non li metteri in alternativa. E’ questione di “gusto”.
    Le categorie invocate come argomenti per una supremazia, sono categorie “ideologiche”.

    La differenza essenziale è tra “composizione esteticamente efficace” del “semplice” e “manipolazione esteticamente efficace” del “complesso”.
    Penso che richiedano doti e intelligenze di diverso tipo.

    Ci sono tessuti africani – a questo mi fa pensare la dama – che sono di una bellezza sublime. Il teorema di incompletezza di Godel – a questo mi fanno pensare gli scacchi – di una bellezza sublime di cui, purtroppo, soltanto un piccolo gruppo di nostri simili riesce a fruire.
    E di cui, per mia miseria, non ho alcuna di speranza di far parte.

    Gioco a dama, ma, a scacchi, sono decisamente una schiappa.

  16. Posso confessare, ora che ho trovato un’alleata, che la mia associazione tra gli scacchi e Godel era una po’ tendenziosa: mirava a ribadire ancora una volta quel parallellismo tra matti e un gioco in cui la vittoria si determina in una situazione definita “scacco matto”.

    Una invidiosa vendetta da parte di noi semplici mortali.

    Sto leggendo un libro appena uscito: Pierre Cassou-Noguès, I demoni di Godel. Logica e Follia, Bruno Mondadori.
    Inizia così: “Godel è un logico “folle”. Preciso: non è vero che tutti logici
    siano folli e, all’inverso, tutti i folli non siano logici: Ma Godel è logico ed
    è “folle”.

    Se fossi bravo a giocare scacchi inizierei a preoccuparmi.

  17. io gioco a dama e a scacchi e a qualsiasi giuoco di carte e da tavolo, tranne Scarabeo in cui sono abbastanza brava, in modo mediocre ma educativo, nel senso che quando i miei figli mi battono clamorosamente, di solito già verso gli otto anni, hanno un’esperienza di formazione capitale che ne sviluppa l’autostima in modo unico.

    ,\\’

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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