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Gaza, chi ha iniziato?

[Ieri sul Corriere della Sera ho letto la risposta di Sergio Romano ad una lettera sulla guerra a Gaza. Ora, tutto possiamo dire dell’ex ambasciatore – autore, tra gli altri, di I falsi protocolli. Il “complotto ebraico” dalla Russia di Nicola II a oggi– tranne che sia un antisemita estremista di sinistra. Proprio per ciò vi allego domanda e risposta (scaricate dall’archivio del Corriere) pubblicate dal giornale della borghesia milanese e non certo dal solito circuito di controinformazione o di quotidiani che “noi” siamo abituati a leggere. G.B.]

Nel suo intervento intitolato «Gaza: le elezioni israeliane e il silenzio di Obama» pubblicato sul Corriere della Sera del 3 gennaio, lei attribuisce la scelta dei tempi dell’ attacco israeliano a svariati motivi tra i quali le imminenti elezioni in Israele e il cambio della guardia alla Casa Bianca. Ma non prende nemmeno in considerazione la vera ragione dell’ attacco: la necessità di sopprimere i lanci dei missili di Hamas dopo il rifiuto di questa organizzazione terroristica di estendere la tregua. La sua insistenza nel negare l’ evidenza e nel proporre una dietrologia fatta di luoghi comuni sottintende che lei ritiene che Israele non abbia il semplice diritto di difendersi in modo opportuno quando lo esige la congiuntura strategica.
Daniel Gold

Cari lettori,
Vi sono almeno due modi per giudicare un conflitto e pesare le responsabilità dei contendenti. Il primo è quello di ricostruire la dinamica delle vicende che hanno preceduto l’inizio delle ostilità. Chi ha sparato per primo? Chi ha assunto l’atteggiamento più provocatorio? La risposta a queste domande è indubbiamente: Hamas.
L’organizzazione islamica che governa la striscia di Gaza ha denunciato la tregua e ha continuato a colpire con i suoi missili alcune città israeliane in prossimità del confine. Sapeva che i suoi lanci avrebbero provocato una reazione israeliana, ma non ha rinunciato alle sue azioni offensive. Voleva una guerra e l’ ha avuta.
Il secondo è quello di allargare lo sguardo a un periodo più lungo e di prendere in considerazione altri fattori. Israele ha occupato alcuni territori arabi nel 1967 e ha assunto in tal modo il controllo di una popolazione che ammonta oggi, complessivamente, a non meno di tre milioni e 300 mila abitanti. Non li ha assorbiti all’ interno della propria società perché avrebbero intollerabilmente diluito la sua natura di Stato ebraico. Non ha garantito a essi una reale autonomia perché ha permesso ai suoi cittadini di insediarsi nei territori occupati e di estendere le proprie comunità occupando terre della popolazione locale: un fenomeno che ha avuto per effetto, oltre a numerosi espropri, l’instaurazione di controlli, blocchi stradali, corsie preferenziali per i cittadini della potenza occupante. Ha ritirato 8 mila coloni dalla Striscia di Gaza, ma non ha riconosciuto la vittoria di Hamas nelle elezioni del gennaio 2006. Ha stretto d’ assedio la Striscia per diciotto mesi prima dell’ inizio delle ostilità. E ha adottato infine verso la popolazione civile lo stile di una tradizionale potenza coloniale.
Mi ha colpito, ma non sorpreso, la lettura dell’ articolo dello scrittore e giornalista israeliano Yossi Klein Halevi (Corriere del 6 gennaio) che ha fatto servizio militare nella Striscia di Gaza durante la prima Intifada e scrive: «Il nostro contingente non solo arrestava i sospettati di terrorismo, ma trascinava la gente giù dai letti nel cuore della notte per costringerla a coprire di vernice le strisce anti israeliane e rastrellava persone innocenti, dopo un lancio di granate, giusto “per far sentire la nostra presenza”». E non è possibile dimenticare a questo proposito la distruzione delle case dove abitavano le famiglie dei guerriglieri e gli 11 mila detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, prigionieri di guerra, ma trattati come terroristi e combattenti irregolari.
Tutta colpa di Israele? No. Al Fatah prima, Hamas e Jihad islamica poi hanno ucciso civili israeliani, compiuto attentati terroristici nelle città, deliberatamente provocato le reazioni di Israele, alimentato un ingranaggio che consentiva ai loro gruppi più radicali di assumere la guida del movimento. Ma esiste in queste situazioni una legge politica a cui non è possibile sottrarsi. Le maggiori responsabilità, in ultima analisi, sono sempre della potenza occupante.
Se 41 anni di occupazione non bastano a risolvere il problema, le conseguenze ricadono inevitabilmente sulle sue spalle. Esiste anche una seconda legge che risponde indirettamente alla domanda di Gold. Chi fa una guerra non può limitarsi a programmare le operazioni militari. Deve avere un progetto per il dopoguerra. Se l’ obiettivo è sbaragliare Hamas, chi governerà la Striscia di Gaza dopo la fine del conflitto? Con chi fare la pace se non con quelli contro i quali si è combattuto?

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29 Commenti

  1. Come può un popolino governato da Berlusconi e il papa e le mafie non risulatre ridicolo quando s’impegna a discettare di alcunché!

  2. Che l’è pure annichilito e non si aggiorna, a differenza della mi’ Accademia!

  3. ok. dopo il lungo zapping fra i blog, decido di lasciare l’interassenza e tornare al mio wor(l)d. le rete vuole emulare la televisione? non si può scrivere della crisi in medioriente senza porsi in maniera faziosa, dall’una o dall’altra parte? no. esiste solo un pensiero unico con varie collaterali divergenze che truciolano il significante dispotico in insignificanti variazioni che truccano la realtà unica facendola sembrare multicolore. non ci sono poteri buoni. (quasi) addio. :)

  4. “Con chi fare la pace se non con quelli contro i quali si è combattuto?”

    Sembra che sia destino della nostra generazione rimpiangere i nemici che abbiamo combattuto nel passato.
    L’esistenza delle poche persone che oggi possono genuinamente rivendicare la qualifica di “moderato”, non può che evidenziare quanto di degenerato si possa nascondere dietro quest’etichetta troppo strombazzata, a torto, dai massimalisti impegnati a far prevalere i propri interessi su tutto.

  5. avevo letto l’articolo di Romano. Dico solo che Biondillo, riproponendolo, ha fatto una correttissima operazione di informazione. Cosa necessaria in una vicenda che necessita innanzitutto di essere capita storicamente. Poi magari scendiamo in piazza a protestare.
    saluti

  6. E’ falso l’inizio. E’ Israele che ha colpito e provocato durante la tregua (incursioni, sequestri, tra cui quello di Vittorio Arrigoni mentre era a pescare in acque palestinesi, ma che ne parla?, uccisioni) rendendo impossibile la vita nella Striscia. Ma questo Romano non lo sa. I razzi di Hamas sono stati una conseguenza all’inasprimento dell’embargo e delle incursioni marine israeliane che avevano il preciso scopo di impedire la pesca, di affamare i palestinesi.

    Se si considera questo, la posizione di Romano potrebbe diventare più radicale.

    E poi, se si chiede chi ha iniziato, occorre tornare al 1947, non al 1967.

  7. come i bambini, tu sei stato! no! tu sei stato! la colpa è di entrambi! di dio e di allah e di chi ancora non vuole il relativismo. chi vince chi perde chi muore? ma altre letture possibili? oltre a quella lineare?
    con questo chiudo, buonanotte. che lasciassero stare donne e bambini, questi battaglieri autistici, questo gregge senza sentimenti, che si affanna a calcolare le ragioni e gli sviluppi.

  8. Dopo aver sentito molte opinioni sul massacro di Gaza, non credo inutile dar spazio a questa voce, che proviene da uno dei tanti buchi di culo del mondo (secondo l’espresione di Lobo Antunes), dove comunità indigene zapatiste stanno lottando contro ciò che chiamano il “malgoverno”, sinonimo messicano di capitalismo. A scanso di equivoci, lo zapatismo è quanto di più diverso, per pensiero politico, cultura e pratica “militare”, da Hamas. Ma si ritrova nella sofferenza del popolo palestinese.
    Lo posto qui perché la discussione nel 3d sotto è intasata:

    “Perdonate la nostra ignoranza, forse quel che abbiamo detto e diremo non fa effettivamente al caso, o alla cosa. E invece di ripudiare il crimine in corso, da zapatisti e guerrieri come siamo, dovremmo forse discutere. e prendere poisizione nella discussione se “sionismo” o “antisemitismo”, o che all’inizio sono state le bombe di Hamas.
    Forse il nostro pensiero è semplice e ci mancano le sfumature sempre così necessarie nelle analisi, ma per noi, zapatisti e zapatiste, a Gaza c’è un esercito professionista che sta assassinando una popolazione indifesa.
    Chi, in basso e a sinistra, può restare zitto? Serve dire qualcosa? Le nostre grida possono fermare qualche bomba? La nostra parola può salvare la vita di qualche bambino palstinese?
    Noi pensiamo che serva, che la nostra parola forse non fermerà una bomba né che potrà trasformarsi in uno scudo blindato tale da evitare che quella pallottola calibro 5,56 o 9, con le lettere IMI, “Industria Militare Israeliana” incise alla base della pallottola, arrivi al petto di una bambina o di un bambino, ma forse la nostra parola riuscirà a unirsi alle altre in Messico e nel mondo, e forse si trasformerà per prima cosa in un mormorio, poi in una voce alta, infine in un grido che verrà ascoltato a Gaza. Non sappiamo voi, ma noi, zapatisti e zapatiste dell’Ezln, siappiamo come sia importante, in mezzo alla distruzione e alla morte, ascoltare una parola di incoraggiamento.
    Non so come spiegarlo, ma succede che le parole da lontano non riescono a fermare una bomba, ma è come se si aprisse una feritoia nella nera abitazione della morte ed entrasse una piccola luce.
    Per il resto, succederà quello che deve succedere. Il governo di Israele dichiarerà che ha assestato un forte colpo al terrorismo, nasconderà al suo popolo le proporzioni del massacro, i grossi produttori di armi avranno ottenuto un respiro economico per affrontare la crisi e l’“opinione pubblica mondiale”, questa entità malleable e sempre educata, volgerà lo sguardo da un’altra parte.
    Ma non solo. Potrà anche succedere che il popolo palestinese riuscirà a resistere e a sopravvivere, continuerà a lottare e ad avere la simpatia di quelli di sotto per la sua causa. E forse anche un bambino o una bambina di Gaza sopravviveranno. Forse cresceranno, e con loro crescerà il coraggio, la indignazione, la rabbia. Forse diverranno soldati o miliziani di qualcuno dei gruppi che lottano in Palestina. Forse combattendo si scontreranno con Israele. Forse lo faranno sparando con un fucile. Forse immolandosi con una cartuccera di dinamite attorno alla vita.
    E allora là in alto scriveranno sulla natura violenta dei palestinesi e faranno dichiarazioni condannando quella volenza e si ricomincerà a discutere se sionismo o antisemitismo.
    E nessuno si domanderà chi ha seminato ciò che si raccoglie.
    Per gli uonimi, le donne, i bambini e gli anziani dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale
    Subcomandante Insorgente Marcos
    Messico, 4 gennaio 2009″.

  9. “E nessuno si domanderà chi ha seminato ciò che si raccoglie”

    Il fatto è che siamo stati noi a seminare, o almeno a guidare l’aratro. I crimini generano crimini.

  10. ti aiuto io macondo vai QUI e in particolare per i link QUI vedrai che impari facilmente :-), non posso spiegartelo direttamente perchè se metto i tag poi non appaiono
    georgia

  11. Condivido quello che scrive Romano sul primo punto, cioé sulla responsabilità di Hamas nel reinnescare la guerra a Gaza, prime con la esplicite dichiarazioni dei suoi leader di non voler rinnovare la tregua da e con poi con il susseguente massicio lancio di missili verso il sud di Israele. Questa decisione non è una semplice reazione a sporadiche violazioni della tregua (tra l’altro non solo di Israele), ma rappresenta una esplicita volonta di riaprire le ostilità, mettendo in conto anche una reazione di Israele su ampia scala.

    L’occupazione di militare di un territorio è un mestiere che incanaglisce chi lo fa e esaspera e umilia chi la subisce e trovo fondate le accuse che Romano rivolge in proposito a Israele.

    Con chi fare la pace dopo a aza. Con chiunque non sparerà missili.

  12. ” (…) Israele non ha mai nascoosto il suo obiettivo, fin da principio: fare il vuoto nel territorio palestinese. Anzi, fare come se il territorio palestinese fosse vuoto, destinato da sempre ai sionisti. Era sì colonizzazione, ma non nel senso europeo del XIX secolo: non si trattava di sfruttare gli abitanti del luogo, ma di farli andare via. E quelli che restavano non sarebbero diventati mano d’opera locale, ma mano d’opera itinerante e separata, come se fossero immigratii, messi in un ghetto. Fin da principio l’acquisto delle terre ha come condizione che siano vuote o che lo possano diventare. È un genocidio, ma un genocidio in cui lo sterminio fisico resta subordinato all’evacuazione geografica: poiché non sono che arabi in generale, i palestinesi sopravvissuti debbono andare a fondersi con gli altri arabi. Lo sterminio fisico, affidato o meno a mercenari, è interamente presente. Ma non è un genocidio, si dice, perché lo sterminio non è “lo scopo finale”: ed effettivamente non è che un mezzo fra gli altri.
    La complicità fra gli Stati Uniti e Israele non deriva soltanto dalla potenza di una lobby sionista. Elias Sanbar ha mostrato come gli Stati Uniti ritrovino in Israele un elemento della loro storia: lo sterminio degli indiani, che anche in quel caso fu fisico solo parzialmente. Bisognava fare il vuoto, bisognava fare come se gli indiani non ci fossero mai stati, tranne che nei ghetti che ne fanno degli immigrati dall’interno. Per molti aspetti i palestinesi sono i nuovi indiani, gli indiani di Israele.(…)”

    Gilles Deleuze, Grandezza di Yasser Arafat, ed. Cronopio

  13. Con chi fare la pace dopo Gaza. Con chiunque non sparerà missili.
    Fermarsi una parola prima – Con chiunque non sparerà suona troppo radicale?

  14. L’oppressione rende spietati. In base a quale diritto l’oppresso dovrebbe sempre e soltanto tollerare? C’è chi si accontenta, accettando di vivere relegato in un angolo buio dell’umano e costretto a una vita sotto minaccia; e c’è chi all’umiliazione risponde come può, talvolta con una rabbia che gli si rivolta contro. Costui, stanco di fili spinati e di checkpoint, si condanna all’atto partigiano. Non lo fa per capriccio o per partito preso; è una vittima che si ingegna come può per smettere di essere tale. Gli propongono dei patti che lo umiliano. Non li accetta, combatte. Combatte perché vuole spuntarla, uscendo una volta per tutte dal castigo cui è costretto. Si assume su di sé il rischio, compreso quello di agire nell’errore. D’altra parte, solo chi fa qualcosa sbaglia.

    Ho la fortuna di non abitare a Gaza. Se ci abitassi, probabilmente parteciperei alla resistenza a fianco di Hamas. Gli invasori non fanno distinzione: davanti al mirino hanno un palestinese qualsiasi. Perché dovrebbe farla chi subisce? Da palestinese, pur restando distinto da Hamas, farei di tutto per bloccare l’avanzata dei tank. Ma, per mia fortuna, non devo prendere decisioni così pesanti. Posso starmene davanti al mio computer e leggere riflessioni e commenti su quanto sta accadendo a Gaza. Qui, in questa nostra condizione di privilegiati, possiamo mantenere la lucidità e discernere sulla situazione, senz’altra pressione che quella della nostra coscienza. Ci indigniamo, cerchiamo un senso, magari partecipiamo a iniziative di solidarietà. Non corriamo rischi.

    Il dramma del popolo palestinese è l’assenza di serenità. Vittima di un’oppressione incontestabile (può negare l’oppressione del popolo palestinese solo chi si autoesclude dall’intelligenza), è condannato a dover scegliere tra una forma di resa che consacra la propria oppressione, magari addolcendola, e una forma di combattimento che rischia di essere ostacolo alla propria libertà. Una condizione tragica. Quanti di noi, dentro la crudeltà di quegli avvenimenti, sarebbero in grado di conservare la misura?

    Cosa può fare un abitante del privilegio occidentale? Se potessi, consiglierei ai palestinesi di Gaza di perseguire una resa che non sbaragli del tutto il fronte della resistenza, attestandosi su alcune posizioni difensive e mantenendo il controllo di parti di territorio. Nell’impossibilità di ottenere una vittoria, cercherei cioè di garantire uno scenario che, oltre che evitare ulteriori traumi alla popolazione, permetta la ripresa futura delle ostilità con mutati rapporti di forza. Il mio sarebbe, per così dire, un consiglio di tattica. Ma sarebbe comunque un consiglio astratto, essendo io del tutto ignorante sulla reale situazione che si vive nelle strade di Gaza. Che fare, allora? Forse da qui, dalla nostra posizione periferica, possiamo solo provare a smascherare l’arroganza filo-israeliana. Svincolarsi dal senso comune che ribadisce il diritto di Israele a difendersi per affermare il diritto dei palestinesi a ribellarsi. Tutto il resto è imbroglio linguistico.

    ng

  15. “Chi fa una guerra non può limitarsi a programmare le operazioni militari. Deve avere un progetto per il dopoguerra. Se l’ obiettivo è
    sbaragliare Hamas, chi governerà la Striscia di Gaza dopo la fine del conflitto? Con chi fare la pace se non con quelli contro i quali si è combattuto?”
    si deve citare l’esempio dell’IRAQ? l’importazione della democrazia. questo vogliamo progettare?
    se non si ammettono le responsabilità di Israele, si sbaglierà anche a progettare il futuro, è banale.
    mi interessa di più, adesso, cosa si può fare per fermare tutto questo. anche da qua.

    dal manifesto:
    Naomi Klein:
    perchè io boicotto

    “La strategia più efficace per fermare un’occupazione sempre più sanguinosa è far sì che Israele diventi il bersaglio della stessa specie di movimento globale che fermò l’apartheid in Sudafrica”. Lo scrive Naomi Klein su The Nation”
    invito a leggere…

    “Molti noi – riflette ancora Klein – non riescono ancora ad abbracciare questa causa. Le ragioni sono complesse, emotive e comprensibili. Ma semplicemente non valgono abbastanza. Le sanzioni economiche sono l’arma più efficace nell’arsenale della non violenza”.

    http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2009/mese/01/articolo/233/?tx_ttnews%5BbackPid%5D=16&cHash=2507ed4454

    inoltre invito a leggere l’editoriale della Ciotta ieri su Il Manifesto, titolato CHI è ANTISEMITA (scaricabile da internet, da domani)

    e naturalmente a seguire Arrigoni.
    il suo “restiamo umani” di ogni giorno ci da la dimensione delle cose.
    lui è lì, influenzato da lì. Sergio Romano, noi e tanti altri siamo qua.

  16. Temo che di questo passo l’unica soluzione possibile sia allontanare le due parti in causa dalla zona e renderla nuclearmente inabitabile per i prossimi quattro eoni.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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