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di Simonetta Bitasi

Voi volete essere diversi. Vi crogiolate nel vostro stato di miserevoli stranieri! Vi ostinate ad aggrapparvi al vostro passato, a un tempo e un paese che non esistono più al di fuori della vostra fantasia. Che senso ha prendere lezioni d’italiano? Spaccarvi la testa per imparare la coniugazione dei verbi? Sforzarvi di leggere I promessi sposi e andare al cinema a vedere Il postino? Se rifiutate le basi di una cultura, la sua cucina, …come intendete digerire la vita in questo paese?.

Laila Wadia in questo passaggio di Amiche per la pelle, il suo pluripremiato romanzo ambientato in un multietnico condominio di Trieste, racconta cosa può significare vivere in un paese diverso da quello d’origine. Ma la difficoltà di integrazione, anche se raccontata con ironia, non è l’unico tema di questa storia vivace e coinvolgente anche grazie a un italiano colorato e originale. Come molti autori cosiddetti migranti, Laila Wadia riesce infatti non solo a scrivere benissimo in quella che non è la sua lingua madre, ma anche ad arricchirla e usarla con un talento da sicura scrittrice.

Scrittori-immigrati, migranti o translinguistici o transculturali o italieni: sono circa 300 gli scrittori stranieri che usano la lingua italiana e pubblicano in Italia (il 50% sono donne), e incontrano sempre più il favore della critica e dei lettori. E forse manca una definizione esatta dove collocarli perché sono semplicemente bravi scrittori, che ora scrivono in un italiano acquisito, ora invece hanno la nostra come lingua madre anche se hanno genitori non italiani.

I casi e le storie sono tanti, come variegate sono le loro prove letterarie che mostrano però senza dubbio una vitalità e una voglia e capacità di raccontare che gli scrittori cosiddetti nostrani sembrano aver perso. Saranno loro i grandi scrittori italiani del futuro?

I preamboli ci sono tutti, e quelli che vi segnalo lo dimostrano perché sono prima di tutto bei libri.
Buona lettura!

Amiche per la pelle, Laila Wadia, E/O (2007)
In un condominio, nel centro storico di Trieste, si consumano le vite di quattro famiglie di immigrati, cinesi, indiani, bosniaci, albanesi, ansiosi di integrarsi nella città d’adozione. Sono in particolare le donne che con fatica, ironia e amicizia cercano di migliorare la loro vita e insieme capire dove sono finite.

Laila Wadia, nata a Bombay, in India, vive a Trieste dove lavora come Collaboratore Esperto Linguistico presso l’Università di Trieste. È inoltre traduttrice e interprete e da qualche tempo si dedica con successo alla scrittura in lingua italiana. È una delle quattro autrici pubblicate da Laterza nel 2005 ne Le pecore nere. Nel 2006 ha ottenuto il premio Popoli in cammino, Opera inedita per Amiche per la pelle, Laila Wadia collabora ad alcune riviste tra cui Internazionale.

Le lezioni di Selma, Sarah Zuhra Lukanic, Libribianchi (2007)
Quando i militari serbi occupano la casa di Selma Coen, colta e raffinata donna ebrea sposata ad un medico mussulmano nella vivace e multietnica Sarajevo, assistiamo a uno spettacolo inaspettato e insieme estremamente plausibile: la giovane donna infatti di fronte alla violazione della sua casa e alla tortura inflitta al marito, sarà preda di un’irresistibile attrazione per il capitano a capo della rozza milizia serba. Lei, una donna istruita, amante dell’arte e della musica, si trova irrimediabilmente attratta da una diversità istintiva e violenta. A dimostrare come la guerra possa rivelare un lato nascosto del nostro essere più profondo.
Un romanzo indimenticabile.

Sarah Zuhra Lukanic è nata in Croazia nel 1960. Dopo gli studi classici si è laureata in Letteratura all’Università di Fiume. Nel 1974 ha ricevuto il Premio Internazionale per i Giovani Poeti Europei. Ha lavorato per il Teatro Nazionale di Spalato e per alcuni quotidiani di Spalato e di Fiume come critico teatrale. Nel 1987 si è trasferita a Roma dove tuttora risiede. Dal 2004 ha scelto di scrivere in lingua italiana e ha ottenuto diversi riconoscimenti in alcuni importanti concorsi letterari: nel 2005 Trieste Scritture di Frontiera – Premio Umberto Saba, nel 2006 il Premio Io e Roma, indetto dal Comune di Roma. Nello stesso anno vince il Premio Viareggio Letterario-Giornalistico Mare Nostrum, con la raccolta di racconti Rione Kurdistan, e il primo premio per la poesia nel Concorso Internazionale Amico Rom. Le lezioni di Selma è il suo primo romanzo.

Oltre Babilonia, Igiaba Shego, Donzelli (2008)
Igiaba Scego è uno dei maggiori talenti della narrativa italiana e il suo romanzo più recente è, come dice il titolo, una vera Babilonia del terzo millennio con Howa, Bushra, Majid, la Flaca e i cento personaggi che la popolano. La scrittrice riesce a intrecciare storie, pensieri, eventi in un procedere narrativo che a volte fa perdere la bussola al lettore, che deve avere davanti a sé un po’ di tempo per dedicarsi alla lettura dello straripante romanzo.

Igiaba Scego è nata in Italia, a Roma, da una famiglia di origini somale. Dopo la laurea in Letterature Straniere presso La Sapienza di Roma, ha svolto un dottorato di ricerca in Pedagogia all’Università Roma Tre e attualmente si occupa di scrittura, giornalismo e ricerca avente come centro il dialogo tra le culture e la dimensione della transculturalità e della migrazione. Collabora con molte riviste che si occupano di migrazione e di culture e letterature africane tra cui Latinoamerica, Carta, El Ghibli e Migra. Nel 2003 ha vinto il premio Eks&Tra di scrittori migranti con il suo racconto Salsicce e ha pubblicato il suo romanzo di esordio, La nomade che amava Alfred Hitchcock, a cui è seguito il secondo romanzo Rhoda (Sinnos). Collabora con La Repubblica e Il Manifesto e cura la rubrica d’attualità I colori di Eva, per la rivista Nigrizia.

(Fanculopensiero), Maksim Cristan, Feltrinelli (2007)
Fanculopensiero. Forse non si può dire. Forse somiglia più a uno slogan che al titolo di un libro. Forse dà fastidio. E poi quelle parentesi. Perché? Ma vi è mai capitato di inseguire un obiettivo e di scoprire che avete impegnato tutte le vostre forze invano, perché quello che cercavate era altrove? Vi siete mai aggrappati all’orgoglio e all’ambizione finendo per ferire voi stessi e le persone che amate? Quante volte avete dovuto ammettere che fuori dal cerchio del vostro io non capite granché e giurate, mentendo, di aver cercato una strada negli altri e con gli altri? Questa è la storia vera di Maksim, che da giovane manager in carriera in Croazia si è ritrovato a fare lo scrittore di strada a Milano.

Maksim Cristan è nato nel 1966 a Pola, in Croazia. Cresciuto nella Iugoslavia comunista del maresciallo Tito e arricchitosi rapidamente dopo il crollo del regime e l’introduzione del libero mercato, Maksim a un certo punto ha mollato tutto, è scappato dal suo paese ed è venuto in Italia per ricominciare. Per strada.

Allunaggio di un immigrato innamorato, Mihai Mircea Butcovan, Besa (2006)
Spesso gli amici mi chiedevano consigli su letture da fare per conoscere il mio paese. C’era molta curiosità per Dracula, entusiasmo per la Badescu. E poi, ogni volta che i giornali scrivono di romeni è per fatti di cronaca…e tutti telefonano per dirmi: Ho letto della Romania sul giornale…. Ironica e malinconica la storia del giovane rumeno Mihai, arrivato in Italia per necessità e innamorato di una barista, è l’esempio di come la narrativa italiana possa contare per il futuro sulle voci e sul talento dei migranti.

Nato a Oradea, Transilvania, in Romania nel 1969, Mihai Mircea Butcovan è narratore e poeta. In Italia dal 1991, vive a Sesto San Giovanni e lavora a Milano come educatore professionale nell’ambito del recupero dei tossicodipendenti. Alcuni suoi testi sono inseriti nelle antologie A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy (a c. di Mia Lecomte e Luigi Bonaffini, Los Angeles 2006), Ai confini del verso. Poesia della migrazione in italiano (a c. di Mia Lecomte, Firenze 2006), Nuovo Planetario Italiano. Antologia della letteratura italiana della migrazione (a c. di Armando Gnisci, Troina 2006) e sono stati pubblicati sulle riviste Pagine, Sagarana, Kùmà e El Ghibli. Vincitore nel 2003 del Premio Voci e idee migranti, ha pubblicato il romanzo Allunaggio di un immigrato innamorato (Lecce, Besa 2006) e con la raccolta di poesie Borgo Farfalla (Eks&Tra 2006) ha vinto, nel 2006, la XII edizione del Premio “Eks&Tra”. È nel comitato editoriale della rivista El Ghibli e del consiglio direttivo dell’Associazione Romeni in Italia – Milano. Collabora con Il Manifesto e Internazionale.

I sessanta nomi dell’amore, Tahar Lamri, Mangrovie (2007)
In arabo ci sono sessanta modi di dire ti amo. In questi racconti il grande scrittore di origine algerina declina la parola amore in tutte le sue varianti: amore per gli incontri, per la vita, per il mondo e i linguaggi (le culture) che lo interpretano; amore per la condivisione, lo scambio, il nuovo, il punto di vista spiazzante… Il dialogo che Lamri ci propone è una sorta di rapporto amoroso e la scrittura ne è un po’ il certificato: se il linguaggio non produce ascolto, se non viene accolto, introiettato, resta sterile, non porta più la voce da nessuna parte, il pellegrino è fermo.

Nato ad Algeri nel 1958, Tahar Lamri inizia i suoi studi di Legge in Algeria, e li conclude poi in Libia. Nel 1979 infatti lascia l’Algeria e si stabilisce in Libia, dove lavora come traduttore al Consolato Francese a Beganzi. Nel 1984 per due anni gira l’Europa fino a che nel 1986 si stabilisce definitivamente in Italia, a Ravenna. Ha scritto parecchi testi teatrali, collaborando con Ravenna Teatro, racconti e canzoni. Ha vinto la prima edizione del premio Eks&Tra con il racconto Solo allora sono certo potrò capire, pubblicato nella raccolta Le voci dell’arcobaleno (Fara, 1995). Nel 2006 pubblica per la casa editrice Fara, I sessanta nomi dell’amore il suo primo romanzo, scritto in italiano.

La grande casa di Monirrieh, Bijan Zarmandili, Feltrinelli (2004)
La storia della bellissima Zahra, dagli anni Trenta al conflitto Iraq-Iran. L’amore contrastato per un giovane ebreo, il matrimonio, la sfida dentro le mura della “grande casa di Monirrieh”. Attraverso Zahra e la ricerca di identità della figlia maggiore emerge un Iran insieme familiare e lontano, un mondo raccontato senza esotismo e senza cadere nei luoghi comuni. Un romanzo poetico ed evocativo.

Bijan Zarmandili, nato a Teheran, dal 1960 vive a Roma. Giornalista ed esperto di politica mediorientale per il gruppo Espresso-Repubblica. Ha già pubblicato per Feltrinelli L’estate è crudele (Premio Isola d’Elba e Premio Vittorini 2007) e La grande casa di Monirrieh. Il cuore del Nemico, edito da Cooper nel maggio 2009, è la storia di uno shaid, un martire, deciso a sacrificare la propria vita in nome di Allah, per riparare a un torto antico e per porre fine alla sua solitudine popolata da demoni e incubi.

È la vita, dolcezza, Gabriella Kuruvilla, Baldini Castoldi Dalai (2008)
Una donna lascia l’India per raggiungere l’Italia, ma non trova nessuno zio ad aspettarla e risponde all’annuncio “Cerco badante, giovane e asiatica”. Il figlio di una coppia mista separata vive il disagio dell’adolescenza e ricerca la sua identità. Una ragazza, indossati sari e sandali, scende in strada e insulta la Barbie, bianca e bionda, rivale in amore. Il sogno di una casa a Trivandrum si arena in un quadro, nel ricordo di un padre che ascoltava Bob Dylan e tifava per l’Inter. Una bambina che sta imparando l’italiano sbaglia sempre le doppie e si esercita copiando le parole su pezzetti di carta. Un mosaico di racconti così vividi, caldi e vitali, senza giudizi morali o facili pietismi. Come la vita!

Gabriella Kuruvilla, nata nel 1969 da padre indiano e madre italiana è laureata in architettura. Ha lavorato come giornalista per diversi quotidiani e riviste prima di dedicarsi interamente alle sue grandi passioni: la scrittura e la pittura. I suoi quadri sono stati esposti in Italia e all’estero. Con lo pseudonimo Viola Chandra ha pubblicato nel 2001 il romanzo Media chiara e noccioline, un estratto del quale è presente all’interno dell’antologia statunitense Multicultural Literature in Contemporary Italy (2007). Del 2005 è l’antologia Pecore nere che contiene i racconti Ruben e India. Documenti (da cui è tratto La casa), premiato al Concorso Letterario Nazionale Lingua Madre, è pubblicato in Lingua Madre Duemilasette.

La pelusa, Adrian N. Bravi, nottetempo (2007)
Nulla al mondo è così grande ed encomiabile che non possa diventare polvere. Ogni uomo alla fine diventerà polvere, anzi, il corpo stesso è già un ammasso grigio di polvere. Nessuna cosa è esonerata dal divenire uno strato pulverulento che il vento disperde e dissemina nell’atmosfera. Io sto combattendo una battaglia contro i brandelli del mondo. Anselmo, il protagonista di questo esilarante e malinconico romanzo breve, fa il bibliotecario ed è ossessionato dalla polvere che implacabile si appoggia ovunque.

Adrián N. Bravi è nato a Buenos Aires. Vive a Recanati dove lavora come bibliotecario. Nel 1999 ha pubblicato in spagnolo Río Sauce (Buenos Aires), nel 2004 ha esordito in Italia con Restituiscimi il cappotto (Fernandel). Con nottetempo ha pubblicato i romanzi La pelusa (2007) e Sud 1982 (2008).

Oggi forse non ammazzo nessuno, Randa Ghazi, Fabbri (2007)
È giovanissima Randa Ghazy, ma rivela già un talento maturo. Che dimostra in questo romanzo breve che non ironizza solo sui pregiudizi che colpiscono chi è originario di una cultura diversa dalla nostra, ma diverte anche raccontando amori e amicizie delle ventenni d’oggi. Il racconto ha un bel ritmo, dialoghi riusciti e frizzanti e una scrittura giovane, ma non giovanilistica.

Randa Ghazy, nata a Saronno nel 1987, da genitori egiziani, appena quindicenne, nel 2002, ha pubblicato con Fabbri Sognando Palestina, storia dell’amicizia tra un gruppo di ragazzi nei territori occupati: un grande successo con oltre ventimila copie vendute, traduzioni in quindici Paesi, dagli USA a Israele, all’Egitto. Il suo secondo libro, Prova a sanguinare, è uscito nel 2005. Con Oggi forse non ammazzo nessuno: storie minime di una mussulmana stranamente non terrorista, storia della ventenne Jasmine, conferma il suo talento letterario e propone una visione ironica sugli immigrati di seconda generazione, alla ricerca di un’identità riconosciuta.

La mano che non mordi, Ornella Vorpsi, Einaudi (2007)
L’artista, fotografa e scrittrice di origine albanese si distingue per i molti talenti e la scrittura raffinata e tagliente. Come in questo viaggio a Sarajevo, che rappresenta un tuffo nel cuore dei Balcani, generoso e polveroso come nei ricordi d’infanzia. Dove la morte e la guerra sono evocate con pennellate sapienti, caustiche, estremamente emotive.

Ornela Vorpsi è nata nel ´68 a Tirana, a 22 anni è fuggita in Italia, ha raggiunto Milano dove ha frequentato l´Accademia di Belle Arti e ci è rimasta sei anni. Da 10 anni vive a Parigi ma, per ora, la sua lingua di scrittura rimane l´italiano. Fotografa di fama mondiale (ha esposto a Tirana, Tubinga, Milano, Basilea, Parigi, Vienna, ecc), ha esordito con Il paese dove non si muore mai, che ha riscosso un notevole successo. Ha poi pubblicato per nottetempo Vetri rosa che è uscito anche in edizione speciale per Skira (Ginevra), con le fotografie di Mat Collishaw. Nel 2007 con Einaudi ha pubblicato La mano che non mordi.

Chi ha mai sentito russare una banana, Paul Bakolo N’goi, Fabbri (2007)
Si può scoprire la vita dei ragazzi che vivono in Congo grazie a una banana? Se le banane sapessero parlare, che cosa potrebbero dirci? Furmi, dodici anni passati a cavarsela in un Paese difficile come il Congo, sta per scoprirlo. Tornando dal lavoro, una sera scopre che nel suo zainetto è finita una banana. Come può essere successo? Lui non è un ladro, ma se lo scoprono rischia di essere licenziato. Le sorprese però sono tutt’altro che finite. La banana infatti parla, discute, si arrabbia. Ha persino un nome: Justine. E fa capire a Furmi molte cose sui ragazzi, sull’Africa, sulla vita.

Paul Bakolo Ngoi è nato a Mbandaka (Repubblica Democratica del Congo, ex-Zaire), nel 1962. Figlio di un ex diplomatico si è avvicinato alla scrittura grazie al nonno Bakolo Ngoi, scrittore di discreta fama. Unisce all’attività di scrittore quella di mediatore culturale. Dal 1999 lavora presso l’assessorato alla Cultura di Pavia dove si occupa di turismo e di promozione della sua città adottiva. La sua specializzazione letteraria è quella della narrativa per ragazzi. Nel 1995 ha vinto il 3° premio alla prima edizione del concorso Eks&Tra ed è stato “Premio speciale della Giuria” nella IV edizione (1998) dello stesso concorso. Nel 1999 ha pubblicato Il maestro, il prete e lo stregone (Iucculano editore), Colpo di testa ( 2003, Fabbri), Il pallone come riscatto ha vinto il Premio “Gino Perrone”, San Donato di Lecce ( Marzo 2003) e il Primo Premio “Città di Bella” per la letteratura per l’infanzia ( Aprile 2005), ed è stato tradotto in francese dalla Gallimard- Folio Junior.

Regina di fiori e di perle, Gabriella Ghermandi, Donzelli (2007)
Debre Zeit, cinquanta chilometri da Addis Abeba, 1980; una grande famiglia patriarcale; un legame speciale tra l’anziano e la più piccola di casa. Lui la conosce meglio di chiunque altro: la guarda negli occhi, mentre lei divora le storie che lui le narra. Così, un giorno si mette a raccontarle del tempo degli Italiani, venuti ad occupare quella terra, e degli Arbegnà, i fieri guerrieri che li hanno combattuti, di cui lui ha fatto parte. Quel giorno la bimba fa una promessa: da grande andrà nella terra degli Italiani e si metterà a raccontare. Un lungo viaggio nel tempo e nello spazio, in cui scorrono la vita e le vicissitudini di una famiglia etiope nel periodo della dittatura di Mengistù Hailé Malram.

Italo-etiope, Gabriella Ghermandi è nata ad Addis Abeba nel 1965, e si è trasferita in Italia nel 1979. Da parecchi anni vive a Bologna, città originaria del padre. Nel 1999 ha vinto il primo Premio del concorso per scrittori migranti dell’associazione Eks&Tra, promosso da Fara Editore, e nel 2001 il terzo premio. Ha pubblicato racconti in varie collane e riviste, tra cui Nuovo planetario Italiano. Mappa della nuova geografia di scrittori migranti in Italia e in Europa a cura di Armando Unisci (Ed. Città Aperta), L’Italiano degli altri: 16 storie di normale immigrazione (Einaudi scuola). Seguendo l’arte della metafora tipica della tradizione culturale etiope, scrive e interpreta spettacoli di narrazione che porta in giro sia in Italia che in Svizzera. E’ fondatrice, assieme ad altri scrittori, della rivista online “El Ghibli” e fa parte del comitato editoriale.

Salam Maman, Hamid Ziarati, Einaudi (2006)
La Teheran di Reza Pahlavi, tra posti di blocco, polizia segreta e roghi di libri proibiti, vista dagli occhi del piccolo Ali alle prese con le grandi domande della vita. Come nascono i bambini? In quale istante esattamente inizia la primavera? E perché Mina è muta? E perché il pasticcere Mammad ha dodici dita? E perché i cugini non si possono sposare tra loro? Sembra ci sia una risposta a tutto finché il fratello maggiore Puyan viene arrestato.

Hamid Ziarati è nato a Teheran nel 1966 e vive a Torino, dove lavora come ingegnere professionista e gastronomo dilettante. Si è trasferito in Italia nel 1981. Dopo la rivoluzione khomeinista infatti lascia l’Iran e si rifugia in Italia, dove vive ancora oggi. Con Salam maman, il suo romanzo di esordio, scritto in italiano, ha vinto i Premi Giuseppe Berto, Marisa Rusconi, Fortunato Seminara, Rhegium Julii. A maggio 2009 è uscito il suo secondo romanzo Il meccanico delle rose, sempre per Einaudi.

Poema dell’esilio, Gemid Hajdari, Fara (2005)
L’Albania fa nascere i suoi cantori, poi li umilia, li manda in campagna per essere rieducati, li mettte in prigione, violenta le loro anime, li condanna all’esilio, alla povertà, li fa fucilare, li impicca, li tortura, li lascia senza tomba, per salvare in seguito il loro ricordo. L’Albania è una Medea: divora i propri figli.

Gezim Hajdari è nato nel 1957 a Lushnje (Albania), ha studiato all’Università di Elbasan e alla “Sapienza” di Roma. Dal 1992 vive come esule in Italia. La sua attività letteraria si svolge all’insegna del bilinguismo, in italiano e albanese. È poeta, narratore, saggista e traduttore. Ha pubblicato: Erbamara, Antologia della pioggia, Ombra di cane, Sassi contro il vento, Pietre al confine, Corpo presente, Stigmate, Spine nere, San Pedro Cutud. Viaggio negli inferi del tropico, Maldiluna, Poema dell’esilio, Muzungu. Vincitore di prestigiosi premi letterari, è cittadino onorario della città di Frosinone per meriti culturali. Attualmente è considerato tra i migliori poeti viventi. Ha vinto diversi premi di poesia, tra cui il prestigioso “Premio Montale” per la poesia inedita. Le sue poesie sono tradotte in greco e in inglese. Hajdari scrive sia in albanese che in italiano, rinnovando un’antica tradizione di poeti (da Seneca fino a Keats, Nabokov, Yeats, Celan) che hanno scritto nella lingua del paese ospitante.

Desejo, Rosana Crispim da Costa, EKS&,TRA (2006)
La bella voce poetica di Rosana Crispim Da Costa, perchè di voce si tratta, nel senso che rimette concretamente alla densità di un corpo, fuori da ogni estraniazione, o delocalizzazione volontaria, pone in modo inconfondibile un luogo noto che tuttavia sovente dimentichiamo: ogni poeta porta dentro di sè – e dunque cerca di esprimere – davvero tutta la poesia del mondo.

Rosana Crispim Da Costa è nata a San Paolo del Brasile. Vive da alcuni anni in Italia. E’ stata premiata al concorso Eks&Tra ed ha pubblicato la raccolta di poesie e prosa Il Mio Corpo Traduce Molte Lingue. Le sue poesie sono state raccolte in quattro antologie poetiche. Ha collaborato con radio e televisioni private, realizzando servizi di attualità e costume. Attualmente collabora con l’associazione Eks&Tra come docente di giochi interculturali. Di recente ha iniziato l’attività di paroliere per diversi musicisti.

Qui e là, Christiana de Caldas Brito, Cosmo Iannone (2004)
Storie di ossessioni e visioni di donne e uomini solitari. Persone non esistenti partecipano del loro quotidiano. Un artista alla ricerca della propria identità; una vecchia che abita dappertutto; un oculista che vede una strana presenza in fondo all’occhio del suo paziente; una nonna che passa le giornate davanti alla finestra. In più: cosa succede quando per rispettare la legge Bossi-Fini seimila polpastrelli di immigrati si presentano alla questura di Roma? E che vuol dire francescata? Dove si trova Camuamu? Chi sono Eda Zarehs e Maroggia? Con i racconti di Qui e là ci rendiamo conto che i confini non sono rigidi. Talvolta neanche esistono.

Christiana de Caldas Brito, nata a Rio de Janeiro, vive e lavora a Roma. Psicoterapeuta e scrittrice, ha iniziato a scrivere in Italia grazie al Concorso Eks&Tra. In antologie e on-line ha pubblicato racconti e saggi. Sono suoi i libri di racconti: Amanda Olinda Azzurra e le altre (prima edizione: Lilith, 1998, esaurita; seconda edizione: Oèdipus, 2004); Qui e là (Cosmo Iannone, 2004); il libro per bambini La Storia di Adelaide e Marco (Il Grappolo, 2000); il romanzo 500 Temporali (Cosmo Iannone, 2006) e il saggio Viviscrivi, verso il tuo racconto Eks&Tra, 2008. Diplomata alla Scuola di Arte Drammatica a San Paolo del Brasile, è anche autrice di testi teatrali. Un brano di Christiana de Caldas Brito ha fatto parte di una delle tracce dell’Esame di Maturità, anno 2005.

Fogli sbarrati, Yousef Wakkas, EKS&,TRA (2002)
Pur essendo in carcere, mi sento più libero, perchè sono sicuro che, in qualche parte, c’è sempre qualcuno che leggerà le mie parole. E’ così che inizia la storia dello scrittore siriano Yousef Wakkas, chiuso nella sua cella a Busto Arsizio. Lo sguardo acuto e ironico dello scrittore e una sensibilità arricchita dal senso dell’umorismo, colgono, di episodi penosi, il lato talvolta comico, surreale. Ecco che la scrittura diventa un salvagente, un’ancora a cui aggrapparsi per non affondare nel proprio malessere. Scrivere vuol dire sognare, visitare luoghi lontani, fare compagnia a persone sconosciute, dialogare, abbattere i muri che ci dividono, superare gli ostacoli che ci impediscono di capirci l’un l’altro.

Yousef Wakkas, nato in Siria (A’zaz) nel 1955 e immigrato in Italia nel 1982, ha scontato una condanna in carcere dal 1992 per traffico internazionale di stupefacenti. Proprio in prigione, nel 1995, ha iniziato a scrivere. Più volte è stato tra i vincitori del premio letterario per scrittori migranti Eks&Tra con i racconti Io marokkino con due kappa (antologia Le voci dell’arcobaleno, Fara Editore, 1995), Una favola a staffetta (antologia Mosaici d’inchiostro, Fara Editore, 1996), Shumadija kvartet (antologia Destini sospesi, Fara Editore, 1998). Nel 1998 è stato insignito della medaglia al valor culturale dal Presidente della Repubblica. Ha pubblicato tre raccolte di racconti: Fogli sbarrati. Viaggio surreale e reale tra carcerati migranti (Eks&Tra, 2002), Terra Mobile (Cosmo Iannone Editore, 2004), La talpa nel soffitto (Edizioni dell’Arco, 2005). Il suo ultimo romanzo è L’uomo parlante (Edizioni dell’Arco, 2007). La sua storia ha ispirato una fiction televisiva realizzata da RaiTre e un documentario prodotto dalla Televisione Svizzera Italiana.

[Ad ogni lettore il suo libro ha proposto una bibliografia (di testi recenti), certo non esaustiva, ma indicativa, della produzione letteraria degli immigrati espressa in lingua italiana. L’immagine in apice viene da qui ]

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23 Commenti

  1. Molto interessante, grazie, questo da solo basterebbe a far colare secchiate di ridicolo sul fatto che corriamo il rischio, in futuro, di diventare un paese multietnico, ma sono davvero 3000? mi sembra un numero spropositato.

  2. non sono un fan a priori della multi-etnicità: mi interessa la qualità (qual si sia il significato di questa parola).
    se e quando il multi-etnico produce qualità mi interessa quella qualità, non il multi-etnico in sé.
    quanto poi alla nota tesi della multi-etnicità come “arricchimento” delle culture, al di là della modificazione dei menu dei ristoranti, non ne sono tanto convinto: la multi-etnicità di solito si risolve (negli stati uniti è stato così) in una compresenza di capsule culturali, oltre le quali occorre adeguarsi alla cultura e alla prassi dominanti.
    e in ogni caso vorrei capire cosa, in concreto e al di là dei menu dei ristoranti, significa la parola multi-etnico.
    ho fiducia, invece, in un futuro post-italiano, quando cioè l’italicità si sarà ridotta ad una capsula culturale al pari delle altre, ridotte a coltivare in stanze segrete il mito di alberto sordi, totò, sergio leone e troisi.

  3. Sull’effettivo valore poetico di tutti i libri citati ho qualche perplessità (ne ho letti buona parte), ma non posso che approvare il post. Solo una nota: il titolo del romanzo di Gabriella Ghermandi è incompleto: Regina di fiori e di perle

  4. sono in realtà 300, scusate l’errore.
    sono d’accordo con Francesco. i libri li ho scelti perché mi sono piaciuti e poi è nata la bibliografia in occasione di un mini-tour di Laila Wadia nelle biblioteche mantovane. Quello che mi ha colpito maggiormente in questi libri è stato l’uso dell’italiano in maniera estremamente raffinata e arricchente.

  5. corretto di un fattore dieci il numero degli scrittori migrandi e corretto il titolo della ghermandi. grazie per le pulci. io adoro le pulci. una volta prendo il coraggio e la polvere a due mani e faccio un circo.
    poi invito tash se ha voglia a parlare di albertone :-)
    chi

  6. Interessante.

    Come dice ( giustamente ) francesco pecoraro però sì tratta di andare a vedere cosa scrivono e non solo il come. Ossia, cosa scriviamo.

    E’ però una corrente che non può più essere ignorato. Un tesoro per la sociologia.

  7. multi-etnico vuol dire che in un territorio sono presenti molte etnie, cos’altro?
    siamo già un paese multietnico, sia pure di molte etnie poco numerose.
    chiedersi se ci piaccia o no lo trovo ormai un quesito ritardatario.

    se l’uso dell’italiano in questi libri è già estremamente raffinato e arricchente vuol dire che le capsule sono porose

  8. E poi succederà come a Venezia, molte comunità pur minori si radicano non per conquista imperiosa, ma per ragioni di convenienza in un territorio troppo piccolo perché possano davvero svilupparsi e poi tornano a casa lasciando qualche segno della loro presenza che arricchisce la città.

    Vero che queste nuove migrazioni sono nate prevalentemente dalla povertà e che non tutto ritorna identico, ma i popoli hanno sempre migrato, in massa o in piccole comunità o singolarmente, io non starei a chiedermi se si debbano accogliere con entusiasmo, ma come si possono accogliere bene e ricavarne il meglio.

    Di solito sono loro a essere attive e tirar fuori il meglio, in un territorio la cui prima e più istintiva reazione è difendersi, bisogna imparare da entrambe le parti.

  9. alcors, nel tuo dire percepisco rade molecole di politically correct, però non te la prendere, peffavore, può darsi che mi sbagli.
    se su un territorio sono con-presenti etnie diverse, culture divers, facce e modi di pensare diversi, ciò non significa che sul quel territorio insista una cultura complessiva come risultante dell’interazione et con-penetrazione delle diverse componenti.
    e non so nemmeno se augurarmi – per quanto non me ne importi assolutamente nulla – che esista una cultura così fatta, cioè una specie di ornitorinco culturale.
    quello che mi augurerei – se me ne importasse qualcosa – è una sintesi ulteriore, che trascenda e ri-formi tutte le componenti.
    e però qualcuno deve dirmi se nella storia una tale sintesi s’è già verificata e dove.
    a venezia vedo quelle che correntemente si chiamano “influenze”, cioè insaporimenti sporadici di spezie aliene, copiature, fascinazioni extemporanee: la lingua è la base e se in un posto si parla una certa lingua la cultura che l’ha prodotto (che ne è il prodotto?) la fa da padrona.
    ma posso sbagliare.
    un cinese che parla un pesante romanesco sulle prima mi fa un’impressione de straniamento.
    poi penso che se è nato e cresciuto a roma è del tutto normale che sia un romano.

  10. “e però qualcuno deve dirmi se nella storia una tale sintesi s’è già verificata e dove.”

    il sonetto, per dirne una.

  11. non me la prendo, ma non sono neppure politicamente corretta, vengo da una famiglia di confine, metà dei miei parenti sono sparsi per il mondo, tre delle mie zie hanno preso nomi stranieri, non ho detto che è semplice, dico che ci sono periodi in cui la gente si sposta per necessità, in grandi numeri, e niente la tiene, una società multietnica è una società multietnica, cioè ha varie etnie al suo interno che per alcuni versi si integrano e per altri mantengono in parte le loro caratteristiche e tradizioni.
    Possono convivere senza mescolarsi, ma ci sono sempre avanguardie che fanno da interpreti e mediatori.
    Della gente che emigra, una parte torna e un’altra resta e partecipa alla crescita del suo nuovo paese.
    Questi grandi spostamenti hanno prodotto del buono e hanno prodotto conflitti. Ma nessuno, che io sappia, è mai riuscito a fermarli.
    Si parla tanto di radici cristiane, le radici europee sono intrecciate alle ruote dei carri, dalle grandi migrazioni dei barbari agli spostamenti del medioevo, agli spostamenti sud-nord dagli anni ’50 in poi, qui da noi, tutti si sono sempre spostati, a parte forse i contadini che sono legati alla terra e che in passato le erano legati dalla servitù della gleba.
    Perchè all’improvviso tutto dovrebbe fermarsi e cristallizzarsi?
    Solo perché negli ultimi decenni noi ci siamo fermati e tutto questo ci spaventa?
    Cosa sono pochi decenni nel corso della storia?
    Non dico che sia semplice, né che sia facile, dico solo che sarebbe più saggio imparare a gestire questi flussi inarrestabili. Perchè sono inarrestabili.
    Quelle che a venezia tu chiami influenze esistono perchè c’era il fondaco dei turchi e quello dei tedeschi e la comunità greca e quella armena, e non c’era un solo turco o un solo tedesco o un solo greco o un solo armeno, ma parecchi.
    Certo, era una società mercantile e le società mercantili sono mobili e spregiudicate.
    La nostra è una vecchia società spaventata e ferma, che vuole mangiare la ribollita e ha paura di non poterla mangiare più. E che per non spaventarsi vuole gli emigrati trasparenti.
    Anche gli emigrati devono fare uno sforzo, perché siamo un paese con un territorio piccolo e sovrapopolato, ma visto che molti di quelli che arrivano arrivano da società agrarie e in ritardo di sviluppo, se davvero siamo un paese così civile potremmo pure impegnare delle risorse, anche mentali, per far funzionare le cose.
    Più che politicamente corretto io chiamo questo buon senso, e buona memoria.

  12. e quando dici “la lingua è la base e se in un posto si parla una certa lingua la cultura che l’ha prodotto (che ne è il prodotto?) la fa da padrona.” sbagli alla grossa, la lingua è la cosa più impura che ci sia, vai a guardarti un dizionario etimologico, ed è il suo bello, anche tu quando usi il romanesco fai meticciato, per me per esempio il romanesco è l’alieno assoluto.
    ma questo è uno strale dedicato solo a te.

  13. voglio solo dire che sono contro l’idea preconcetta e de sinistra che la multi-etniscità sia un valore positivo a priori, che aggiunga invece di togliere eccetera.
    dipende.
    per esempio arrivano certi migranti che sono teisti invasati, di cui davvero non si sentiva il bisogno, visto il successo di cui già godono i teisti indigeni: quanto può interessargli una società laica? se gli diamo la cittadinanza quanto saranno favorevoli, metti, ai matrimoni gay, persone che pensano che si debbano lapidare gli adulteri?
    è solo un esempio, certo.

  14. Per francesco pecoraro

    Mettiamo che, d’accordo con il Papa, fossero contrario. Cosa cambierebbe? Niente.

    Riguardo alla lapidazione poi lo trovo francamente esagerato come esempio.

  15. e allora cerchiamo di far passare una legge a favore dei matrimoni gay prima che arrivino e si alleino con Magdi Cristiano Allam,

    ma questi qui sopra mi sembrano, a parte un paio, tutti borghesi laureati, e probabilmente voterebbero laicamente a favore

  16. Mi pare che si scopra l’acqua calda ! L’Italia è multietnica per definizione: è stata la massoneria a costruire l’Italia a tavolino, mettendo assieme popolazioni che sarebbero rimaste volentieri ognuna a casa sua. E le attuali ondate migratorie non sono altro che il compimento del piano massonico cominciato con l’illuminismo.

    intelligenti pauca…

  17. infatti, pauca, e tu non sei tra quelli, satana.
    il Risorgimento, con la erre maiuscola, è stato uno stupefacente e non ripetibile momento storico, che solo gli idioti e i leghisti sono capaci di ridure alla loro misura culturale, che è davvero scrausa.

    la multi culturalità non la fanno scrittori anche egregi, la fanno i matrimoni misti, la scuola, i luoghi di lavoro, il cinema, la televisione.
    se pure la fanno.
    e ne dubito molto.
    alcor.

  18. tash, se ci metti dentro il matrimonio quello di cui parli è meticciato, la multi culturalità vuol dire che in un territorio ci sono molte etnie ognuna con la sua cultura e- si spera – con reciproco rispetto, riconoscimento e zone porose per la reciproca crescita e tolleranza, quando va bene.

    multi culturalità, non mono cultura, la nostra

    che poi anche questa convivenza sia difficile è sotto gli occhi di tutti, mica lo nego

  19. Il concetto di multiculturalità è a dir poco fuorviante. In realtà viviamo in una società tragicamente monoculturale in cui vige il pensiero unico progressista, coi risultati che abbiamo sotto gli occhi: la società multicriminale !

  20. l’abc delle amiche di cucina

    1.
    gli egiziani: crème dei pizzaioli

    2.
    la mia amica mineira sta per tornare definitivamente a belo horizonte, con l’europa ben impacchettata nei container. A belo horizonte essa possiede, di famiglia, un piccolo tocco di terra. dunque ha chiesto a suo cugino cosa MANCA, a belo horizonte, che devo comunque lavorare, lui le ha risposto un obitorio (già compreso nell’europa impacchettata nel container:) e/o, visto che li c’è la sede di FIAT DO BRASIL: un ristorante italiano (pure compreso nel container che lei fa la pasta meglio di me sempre che vi sia differenza, tra la mia pasta e l’obitorio dico, quindi abbiamo pensato che l’Uno (l’obitorio) non esclude l’Altro (il ristorante italiano:) e dunque le possibili ricombinazioni son tutte li da valutare

    3.
    English con salsa di gina valdez

    Welcome ESL 100, English Surely Latinized
    ingles con chile y cilantro, English as American
    as Benito Juarez. Welcome, muchachos from Xochicalco,
    learn the language of dolares and Dolores, of kings
    and queens, of Donald Duck and Batman. Holy Toluca!
    In four months you’ll be speaking like George Washington,
    in four weeks you can ask, More coffee? In two months
    you can say, May I take your order? In one year you
    can ask for a raise, cool as the Tuxpan River.

    Welcome, muchachas from Teocaltiche, in this class
    we speak English refrito, English con sal y limon,
    English thick as mango juice, English poured from
    a clay jub, English tuned like a requinto from Uruapan,
    English lighted by Oaxacan dawns, English spiked
    with mescal from Mitla, English with a red cactus
    flower blooming in its heart.

    Welcome, welcome, amigos del sur, bring your Zapotec
    tongues, your Nahuatl tones, your patience of pyramids,
    your red suns and golden moons your guardian angels,
    your duendes, your patron saints, Santa Tristeza,
    Santa Alegria, Santo Todolopuede. We will sprinkle
    holy water on pronouns, make the sign of the cross
    on past participles, jump like fish from Lake Patzcuaro
    on gerunds, pour tequila from Jalisco on future perfects,
    say shoes and shit, grab a cool verb and a pollo loco
    and dance on the walls like chapulines.

    When a teacher from La Jolla or a cowboy from Swantee
    asks you, Do you speak English? You’ll answer, Si, yes
    simon, of course, I love English!

    And you’ll hum
    A Mixtec chant that touches la tierra and the heavens.

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