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Una luce diversa

di Antonio Sparzani
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La mattina romana è ancora giovane quando attraverso Campo dei Fiori in cerca di un caffè accogliente e tranquillo abbastanza da poter raccogliere le chiacchiere con l’amico appena conosciuto di viso e di figura ma già noto per quel che ha scritto e prodotto nelle sue ricerche matematico–letterarie e per questo subito avvertito così vicino al mio modo di avvicinare i contenuti che la professione e il gusto mi invitano a scavare; ci sediamo intorno a un tavolino all’ombra severa ma radiosa del Nolano, quel frate così bizzoso e intraprendente da aver sfidato il potere quello vero, quello che non perdona, no, non perdona se non ti prostri ai suoi piedi rimangiandoti la lingua amaramente.
Zenone di Elea invece sì che si era mangiato bene la lingua dalla quale il tiranno della sua città voleva sentire le delazioni, però se l’era staccata da solo con un morso e l’aveva sputata in faccia al tiranno, costernato da tanto protervo ardimento.

Le chiacchiere si tramano bene con i tè, i caffè e i cornetti tiepidi abbondantemente forniti dal gentile ragazzo del bar, e all’ombra protettrice delle case e della statua; vogliamo farci conoscere, con le nostre idiosincrasie, le nostre preferenze e le nostre conoscenze letterarie, messe lì sul piatto, o sui piattini, con fare da nulla, saltano fuori i ricordi lontani, ma anche la vita vissuta, adesso ho due bambine in affido – dice – la mia vita è sconvolta non riesco più a badare a tutti i miei impegni, prima ero un romano atipico, preciso, rigoroso, attento al dettaglio, adesso devo tirarmi indietro da tanti impegni, sì, però già dopo due mesi una delle due nuove bimbe comincia a esprimersi e a dar fuori ricchezza e gioia e allora tutto prende una luce diversa.

Succede allora che la luce intorno al tavolino comincia davvero a essere diversa, ma come mai può essere, le metafore della lingua non producono effetti fisici, no, però, .. .. .. guardiamo intorno cosa succede, è giugno ormai, il sole si alza senza aspettare tutto il tempo che ci sarebbe voluto in aprile per superare il bordo dei tetti attorno alla piazza, qualche raggio comincia a sfiorare il tavolino, i nostri capelli, e l’aria trascolora per qualche minuto trasformando una luce in un’altra luce, c’è uno stupore nell’aria di cui ci si accorge poco alla volta, una piccola meraviglia che su quel tavolino si avvera tante mattine ma che questa mattina ha beneficato noi. La conversazione diventa più calda, il sole accarezza tutto, gli scambi tra noi sono più sorridenti, ci si racconta senza più volersi esibire ma con un’attenzione nuova all’altro, da questa mattinata al caffè verrà fuori qualcosa di bello per il futuro, i nostri gusti si precisano meglio e si scoprono affinità e consonanze, ci si alza infine con una cosa nuova da pensare e da accarezzare nel cuore.

Postilla per i curiosi.

Sta bene Zenone di Elea (V secolo a. C.), discepolo diletto di Parmenide, e altresì tirannicida, in piazza Campo dei Fiori, dove Giordano Bruno fu arso vivo il 17 febbraio 1600, e dove fu collocata, il 9 giugno 1889, la statua a lui dedicata..

Diogene Laerzio (II—III sec. d. C.), dedica il cap. V del nono libro delle sue Vite dei Filosofi a Zenone. Non tutto è da prendere per oro colato, ovviamente, e Diogene stesso cita varie fonti discordanti. Questo è quanto scrive:

«Si mostrò nobilissimo sia come filosofo che come uomo politico. I suoi libri, in ogni modo, sono ricchi d’intelligenza. E, per quel che riguarda la sua attività politica, egli si propose di abbattere il tiranno Nearco (secondo altri Diomedonte), ma fu arrestato, come riferisce Eraclide nell’Epitome di Satiro. In quell’occasione egli fu interrogato sui complici e sul trasporto delle armi a Lipari, e denunzio tutti gli amici del tiranno, volendo isolarlo completamente. Poi disse che egli doveva deporre delle confidenze su alcuni complici direttamente nell’orecchio del tiranno: così gli addentò l’orecchio e non lo lasciò, finché non cadde trafitto, subendo lo stesso destino del tirannicida Aristogitone.
Ma Demetrio negli Omonimi attesta che Zenone gli morse il naso, non l’orecchio. Antistene nelle Successioni del filosofi riferisce che, dopo aver denunziato gli amici del tiranno, fu interrogato dal tiranno se vi fosse qualche altro complice e che rispose: “Tu, maledizione della città” e agli altri che gli erano accanto disse: “Mi meraviglio della vostra viltà, perché per timore che anche a voi possa toccare qualche sofferenza toccata a me, continuate a servire il tiranno”. Alla fine egli si morse la lingua e la sputò in faccia al tiranno; allora i cittadini, eccitati, sùbito lapidarono il tiranno.»
(Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, cura e traduzione di Marcello Gigante, Laterza, Bari 1987, vol. 2°, pp. 362-63).

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7 Commenti

  1. Com’è bello questo racconto luminoso.
    La luce nella lingua di una bambina
    ha l’accento di un giardino in formazione,
    è la lingua presa agli occhi della madre,
    alla foglia dell’albero, all’erbe ancora
    selvatica, all’acque della prima goccia.

    Il racconto svela lo splendore del
    mondo nella luce, lento mare
    che avanza mezzo la conversazione
    di una giornata banale, ma nel miracolo
    di una tavola, di un caffè, di una piazza.

  2. Si legge ch’è un piacere.
    Com’era famelico, però, quel Zenone.
    Anche questo, però, non scherza:
    Zénon! Cruel Zénon! Zénon d’Elée!
    M’as-tu percé de cette flèche ailée.
    Qui vibre, vole, et qui ne vole pas!

  3. Nel magnifico libro di Marguerite Yourcenar,
    l’oeuvre au noir;
    il personaggio di Zenon filosofo
    affronta il potere reliogioso fanatico,
    come Giordano Bruno.

  4. La luce è la compagna dei momenti migliori. Quelli che hanno una qualche vicinanza con la magia. La luce è spesso accompagnata da attributi. Perché la luce è come la neve nella lingua groenlandese, dove ci sono più di dieci modi per dire “neve”. La luce porta chiarezza, la luce porta trasparenza.
    In questo racconto lieve la luce ritma quelle azioni così dense e belle che gli esseri umani sembrano compiere così raramente: lo scambio di ciò che si è, di ciò che si pensa, di ciò che si vive. La luce, si direbbe, apre le porte dell’anima.

  5. la luce è compagna sempre, basta una cornice diversa e cambia. Ciò fece arrivare alla conclusione tautologica che è teatro ciò che viene percepito come teatro. Alla buona pace di ogni sostanza che a seconda della cornice cambia luce e delle volte anche consistenza

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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