Distruzione ti guardo

sebaldlevine

di Raul Calzoni

Naufragio con spettatore, titolo di una densa opera di Hans Blumenberg, può essere una formulazione appropriata per riferirsi alla produzione letteraria di W.G. Sebald (1944-2001), della quale Secondo natura. Un poema degli elementi («Biblioteca» Adelphi, trad. di Ada Vigliani, pp. 104, €14,00) ha segnato l’esordio in Germania. Così d’altronde scrive l’autore nella terza sezione di questo poemetto, rimarcando la propria inclinazione a una silenziosa e malinconica contemplazione della realtà, già manifestatasi negli anni dell’infanzia trascorsi nel villaggio bavarese di Wertach: “Ma la frequenza con cui cadevo per strada/ e restavo seduto alla finestra/ fra le piante di fucsia, le mani bendate,/ in attesa che la sofferenza scemasse/ e senza far nulla per ore se non guardar fuori,/ suscitò presto in me l’immagine di una catastrofe silenziosa che si compie,/ priva di echi, davanti allo spettatore”.

Apparso nel 1988, Nach der Natur può essere già letto come un manifesto programmatico, se si focalizza l’attenzione sul valore al contempo modale e temporale della preposizione nach contenuta nel titolo originale del poema. Secondo natura è una sua valida traduzione, che veicola l’intento dell’opera di celebrare in versi liberi le leggi naturali, ma Dopo la natura sarebbe stata una scelta altrettanto possibile, poiché Sebald restituisce con la sua lirica l’immagine di una creazione ormai esangue e resa post-naturale dalla civilizzazione. In paesaggi corrotti dall’indiscriminato agire dell’uomo e dominati dalla silenziosa azione distruttiva del fuoco, delle acque e dei ghiacci, Sebald muove i protagonisti delle sue tre elegie postmoderne, affidando loro il compito di ricostruire, oltre alla propria, le biografie del pittore Matthias Grünewald (c. 1475-1528) e dell’esploratore Georg Wilhelm Steller (1709-1746). Collezionista di ricordi individuali, come nel caso delle impressioni di viaggio raccolte in Vertigini e negli Anelli di Saturno, ma anche custode di biografie dimenticate fra le maglie del tempo, come con Gli emigrati e Austerlitz, Sebald ripercorre attraverso Secondo natura la parabola esistenziale di personaggi segnati da una profonda malinconia e da un’intima percezione della Storia naturale della distruzione. Quest’ultimo è peraltro il titolo dell’edizione italiana di Luftkrieg und Literatur, saggio in cui sono raccolti i risultati di un ciclo di lezioni, tenute a Zurigo nel 1997, dedicate alle rappresentazioni letterarie della campagna di bombardamento delle città tedesche condotta dagli alleati durante la Seconda guerra mondiale. Pure nelle lezioni zurighesi, accanto alla denuncia dell’uso indiscriminato fatto dall’uomo della tecnica, si manifesta l’azione lungo l’asse della storia di una “natura ignara di equilibri,/ che cieca compie, l’uno dopo l’altro,/ esperimenti privi di costrutto/ e, come insano bricoleur, ecco/ distrugge quanto appena ha creato./ Sperimentare fino al limite postremo,/ è l’unico suo scopo, germinare,/ perpetuarsi e riprodursi”.

Natura e dissennata civilizzazione, istinto e ragione rappresentano la sistole e la diastole dell’impianto lirico di Secondo natura, che è volto a smascherare l’insensatezza della ragione e della scienza umane, allorquando esse cercano di “porre un limite al disordine nel mondo”. Ciò emerge dal primo medaglione poetico, Come la neve sulle Alpi, dedicato al pittore del celebre Polittico di Isenheim. Attorno alla vita di Grünewald e a dettagliate ékphrasis delle sue opere si snodano le otto liriche che Sebald dedica al pittore bavarese, non senza indugiare su particolari della vita del maestro e presentandolo in preda a uno stato di implacabile malinconia, che lo induce a raffigurare la creazione come “immagine della nostra insana presenza/ sulla superficie terrestre”. Perciò, le opere di Grünewald sono immerse nell’estremo “bagliore della luce/ che strapiomba nell’Aldilà”, ovvero nell’atmosfera di un “oscuramento catastrofico”, simile a quello provocato da un eclissi di sole, che pare essere il diaframma fra il mondo dei morti e quello dei vivi.

Sul crinale fra natura e scienza, luce e oscurità, ragione e istinto si muove pure il secondo viaggiatore di Secondo natura, ossia il medico Steller che si mise al servizio di Vitus Behring, lo seguì nella spedizione del 1741 in Siberia e con lui attraversò “un unico grigio/ senza meta, senza né sopra né sotto,/ la natura in un processo/ di distruzione/ in uno stato di pura insania”. Leggendo questo passo di …E se trovassi dimora sul più lontano dei mari pare di essere dinnanzi al Monaco in riva al mare ritratto da Caspar David Friedrich, ovvero di stare al cospetto di una natura primordiale, silente e quieta. Si prova la medesima sensazione anche quando si leggono i versi che, nella XIII lirica di questa sezione del poema, si riferiscono all’isolato episodio della spedizione in cui Steller si trova dinnanzi a una natura rigogliosa, colta nell’ora panica del mezzogiorno. Si tratta tuttavia di fugaci istanti di stasi e di fulgore, perché in Secondo natura gli elementi non soggiacciono ad alcuna “mite legge”, per esprimersi con l’austriaco Adalbert Stifter tanto amato da Sebald, ma sono sempre sul punto di mostrarsi nella forza distruttiva che gli è propria.

A nulla serve, contro quest’ultima, lo sguardo catalogatore di Steller che, ordinando il proprio archivio botanico, cerca di dominare la realtà e di mettere a tacere le manifestazioni entropiche e le metamorfosi disarmoniche degli elementi naturali. Sottesa alle traversie di Steller soggiace così la medesima inclinazione all’archiviazione di objets trouvés, che ha caratterizzato lo sguardo di Sebald sulle sciagure umane del Novecento. Il compito affidato alla scrittura da questo bricoleur di lacerti del passato è stato quello di collezionare immagini, ricordi e mappe del passato al fine di ricostruire rotte, sentieri e tragitti percorsi nella storia da individui sovente emarginati dalla società e sui quali il nazismo ha inciso un marchio indelebile.

Nel solco di tale processo ricostruttivo l’ultimo quadro del trittico, La notte oscura prende il largo, si apre con il tentativo dello scrittore di restituire attraverso l’ausilio di fotografie – sebbene non riprodotte in Secondo natura, che è l’unico testo di Sebald privo di apparato iconografico – il ricordo degli anni che hanno preceduto la sua nascita. Nato “sotto l’egida del freddo pianeta Saturno”, mentre in Germania le città bruciavano fra le fiamme innescate dalle bombe degli alleati, Sebald ricostruisce poi, sempre avvalendosi di una tecnica associativa, la propria infanzia e il proprio peregrinare attraverso i resti e le rovine del Vecchio continente negli anni del secondo dopoguerra.

Elemento dominante è qui il fuoco, come si evince dalle ékphrasis, da un lato, di Lot e le figlie e la Battaglia di Alessandro di Albrecht Altdorfer e, dall’altro, della Caduta di Icaro di Pieter Brueghel il Vecchio. Il fuoco della distruzione, cui Sebald allude qui, è quello dei forni crematori dei campi di concentramento nazisti, che hanno rappresentato nel secolo scorso l’estremo e più aberrante esito dell’allontanamento dell’umanità dalle leggi della natura a favore dell’esaltazione della tecnica. Sebald, che avvertì su di sé costantemente l’ombra lunga del passato nazista tedesco, ha perciò cercato anche con il suo poema degli elementi di trovare una lingua in grado di poeticizzare la catastrofe naturale e, al contempo, l’apocalisse causata dall’insania di un’umanità votatasi al culto del progresso tecnico-scientifico e ormai incapace di vivere Secondo natura.

[Questo articolo è apparso in «Alias», supplemento del quotidiano il manifesto, sabato 17 ottobre 2009.]

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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