Bufale dei Pirenei

di Pierluigi Pellini

Sul «Corriere della sera» di martedì 23 febbraio 2010, un articolo di Vittorio Messori (Da Zola a internet l’eterno duello su Lourdes), ricollegandosi al dibattito sul film di Jessica Hausner (Lourdes) e sulla recentissima traduzione di un taccuino di Émile Zola (Viaggio a Lourdes, Medusa edizioni, 2010), si scaglia contro le «vecchie leggende» laiciste che negano le apparizioni; depreca la proliferazione di «pareri opposti», «tanto più appassionati quanto più disinformati»; e poi porta, a favore della realtà dei miracoli, argomenti che lasciano esterrefatto chiunque abbia un minimo di conoscenze sull’autore dei Rougon-Macquart.
Racconta Messori che, nel 1892, Zola «s’imbarcò sul treno dei malati del Pellegrinaggio Nazionale»; sul marciapiede di una non meglio precisata «stazione di Parigi», lo scrittore naturalista avrebbe osservato una «tisica all’ultimo stadio», Marie Lebranchu. Sempre secondo Messori, «le testimonianze sono unanimi»: Zola avrebbe promesso di convertirsi al culto mariano nel caso in cui le acque di Lourdes avessero guarito Marie; più tardi, di fronte al puntuale avverarsi del miracolo, avrebbe ignorato la promessa, cercando addirittura di corrompere la donna: sarebbe andato a casa di Marie chiedendole di tacere e emigrare in Belgio, in cambio di lauto compenso; «in quel momento», continua Messori, «tornò il marito, solido operaio, che buttò il romanziere giù per le scale».
È vero che nell’estate del 1892, durante un viaggio nel sud della Francia con la moglie Alexandrine, Zola si fermò una dozzina di giorni a Lourdes, in concomitanza con il Pellegrinaggio Nazionale, per prendere appunti in vista di un romanzo dedicato alla città di Bernadette. E tuttavia Zola e signora si guardarono bene dal viaggiare su un treno di pellegrini: la sera del 18 agosto, alla gare d’Orléans (l’attuale gare d’Austerlitz), salirono a bordo di un confortevole sleeping car del «Pyrénées-Express». Messori attribuisce allo scrittore le vicende (immaginarie) di Pierre Froment, il protagonista del romanzo Lourdes (1894): confondendo con superficialità disarmante vita e invenzione romanzesca. E condisce l’aneddoto riesumando senza alcun vaglio critico le calunnie mirabolanti diffuse da personaggi ambigui e interessati come il dottor Boissarie (il medico incaricato, a Lourdes, di constatare le guarigioni miracolose) e padre Lasserre (il primo biografo di Bernadette), e riprese con strepito dalla stampa clericale dell’epoca.
Delle «unanimi» testimonianze invocate da Messori non c’è traccia nei documenti d’archivio e nei libri di studiosi seri dedicati all’argomento: nell’ottima edizione del romanzo curata da Jacques Noiray per «Folio» nel 1995, nella monumentale biografia (Zola, tremila pagine in tre volumi, a tratti prolisse ma impeccabilmente documentate) pubblicata da Henri Mitterand per Fayard fra il 1999 e il 2002, nel bel libro dell’antropologa Clara Gallini (Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes, Liguori, 1998). Né poteva esserci: trattandosi di pure e semplici invenzioni. Messori le copia da un libro pubblicato in Francia nel 1957 e tradotto da Mondadori l’anno successivo, Cento anni di miracoli a Lourdes di Michel Agnellet: un volume apologetico, privo di qualsiasi attendibilità storico-filologica. Del resto, della favola di Zola corruttore nella soffitta di Marie Lebranchu si era già appropriato nel suo Ipotesi su Maria (Edizioni Ares, 2005), da dove la riprende un altro giornalista digiuno di metodo storico, Antonio Socci, in un pezzo intitolato La Madonna sconvolge gli intellettuali, su «Libero» del 19 febbraio scorso.
Fa specie che a più di mezzo secolo di distanza si prendano per buone le mistificazioni di Agnellet su un giornale serio come il «Corriere» (non stupisce invece «Libero»); e che a Messori sia permesso di scrivere grossolane sciocchezze su Zola (e su Renan), senza che a uno studioso dello scrittore sia concesso il diritto di replica. Con le credenziali di chi ha curato l’edizione italiana dei Romanzi zoliani, per i «Meridiani» Mondadori (il primo volume è in uscita a fine mese), ho inviato al Direttore del «Corriere», Ferruccio De Bortoli, una richiesta di rettifica: ignorata, in barba alle consuetudini e alla deontologia giornalistica. È triste che un pasdaran cattolico possa impunemente diffamare «un momento della coscienza umana» (così Anatole France definì Zola, nel suo celeberrimo elogio funebre). Ma è ancora più squallido – anche, anzi soprattutto, agli occhi di un credente, direi – il tentativo maldestro di ‘provare’ il miracolo, su un quotidiano laico e colto, ricorrendo a storielle che avrebbero potuto far breccia, tutt’al più, fra il pubblico di un oratorio degli anni Cinquanta. Si sa: se i comunisti mangiano i bambini, anche i positivisti hanno buon appetito.

Messori non è nuovo a simili scivoloni. In passato, nella sua smania di accreditare il Mistero (con la maiuscola, e quale che sia), è riuscito a sostenere, sempre sul laico «Corriere», il 24 febbraio 2003, che gli astrologi hanno previsto con secoli di anticipo la Rivoluzione francese, osservando che nel 1789 si sarebbero verificate numerose, temibili congiunzioni di Giove con Saturno. (Che la posizione della Chiesa in materia di astrologia sia complessa, è noto; però viene quasi voglia di rimpiangere i tempi di Urbano VIII, quando Messori qualche problemino con l’Inquisizione probabilmente ce l’avrebbe avuto). A parte l’assurdità in sé del presunto nesso causale, si dà il caso che nel 1789 Saturno non entrò mai in congiunzione con Giove.
In un’altra occasione, sul «Corriere» del 13 agosto 2003, è la realtà delle visioni di Bernadette a ispirare al Nostro un’appassionata difesa. C’è una lettera del 28 dicembre 1857 in cui il procuratore generale di Pau mette in guardia il procuratore di Lourdes da «manifestazioni simulanti un carattere soprannaturale, miracoloso». Poche settimane più tardi, hanno inizio le apparizioni: forte il sospetto che si tratti di un’abile truffa, da tempo programmata, ai danni della credulità popolare. La storiografia apologetica contesta l’autenticità della lettera. In particolare, un ‘esperto’ di apparizioni mariane come don René Laurentin crede di dimostrare il falso sostenendo che il 28 dicembre di quell’anno era domenica: gli uffici giudiziari erano chiusi, il procuratore generale non poteva essere in servizio e scrivere al collega. E Messori, come sempre senza controllare, segue Laurentin: sullo smascheramento del presunto falso imbastisce un intero articolo. Peccato che il 28 dicembre del 1857 fosse lunedì.
Di entrambi questi incidenti si è accorto a suo tempo l’astronomo Corrado Lamberti: non ottenendo dal «Corriere» diritto di replica – in nome di quali interessi, di quali protezioni, Via Solferino copre pervicacemente le ripetute bufale del suo opinionista? –, li ha denunciati sui numeri 49 (maggio-giugno 2003) e 54 (marzo-aprile 2004) di «Scienza & Paranormale», la rivista del “Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale” (gli articoli di Lamberti si possono leggere anche in rete, sul sito del Cicap).
Oggi Messori è recidivo, con l’aggravante della diffamazione nei confronti di uno dei maggiori scrittori e intellettuali di ogni tempo. Zola non ha mai viaggiato su un treno di pellegrini, non ha mai visto Marie Lebranchu prima della presunta guarigione miracolosa, tantomeno è andato in casa sua con l’intenzione di comprarne il silenzio. A Lourdes, dove ha constatato l’assenza di ogni serio controllo scientifico sulle presunte guarigioni, il romanziere naturalista ha suggerito di sottoporre i malati a visita medica accurata (con anamnesi, vaglio delle cartelle cliniche e fotografia delle piaghe evidenti) prima dell’immersione nelle piscine – il dottor Boissarie si limitava a constatare lo stato di salute dei pellegrini dopo le abluzioni, dando credito, per il pregresso, a certificati medici di dubbia attendibilità.
Tutto ciò è evidente già a chi legga – per citare solo, fra le tante possibili, una testimonianza ora di facile accessibilità per il pubblico italiano – i manoscritti privati del Viaggio a Lourdes; anche se la traduzione delle edizioni Medusa, opera di Mario Porro, lascia molto a desiderare. (Per dirne una: come si fa, in un contesto che non ha nulla di arcaizzante, a tradurre règles con “regole”, quando significa correntemente “mestruazioni”? Zola nota con un disgusto, questo sì molto ottocentesco, che nelle piscine di Lourdes le donne vengono immerse anche avec leurs règles). Ma il taccuino di viaggio, anche nella sua non impeccabile veste italiana, è ugualmente straordinario: come altri appunti preparatori di Zola, costituisce un ricco e rigoroso reportage etnografico avant la lettre; e bene hanno fatto le piccole e vivaci edizioni Medusa a proporlo per la prima volta al pubblico italiano. Anche se poi è curioso che vadano nelle nostre librerie gli scartafacci (sia pure d’eccezione) e non il romanzo: a Antonio Socci, che non avendo letto né gli uni né l’altro confonde i due libri (il romanzo sarebbe «stato ristampato in Italia anche di recente»), sarà bene ricordare che di qua dalle Alpi l’ultima edizione di Lourdes (il romanzo) è quella stampata a Torino da Roux e Viarengo nel 1903. (Da oltre un secolo – stesso editore, 1904 – è assente dalle librerie italiane anche il secondo volume della trilogia delle Trois villes, Rome: un romanzo che nella trama concede troppo agli stereotipi del melodramma, ma è pur sempre la descrizione letteraria più ampia e più acuta della società romana di fine Ottocento. Stupefacente che in Italia pochissimi ne conoscano l’esistenza: come se vigesse ancora l’anatema del Vaticano, che a suo tempo lo mise all’Indice).
Se Messori e Socci avessero letto Lourdes, saprebbero che nei confronti della fede degli umili, delle sofferenze dei malati, delle speranze dei familiari, Zola manifesta compassione e emozione, mai disprezzo. Condanna, invece, l’affarismo dei mercanti nel tempio, dei frati spregiudicati e accaparratori che gestiscono l’industria del miracolo. Per chi ha a cuore la dignità del sentimento religioso popolare, lo Zola degli anni Novanta dell’Ottocento è un bersaglio sbagliato. Viene il sospetto che lo scopo di Messori sia altro: evidentemente, il primo dei moderni intellettuali, uno dei classici del romanzo più letti e amati in tutto il mondo (tranne che in Italia), a qualcuno pare ancora pericoloso. Meglio non leggerlo. E diffamarlo: come faceva la stampa antisemita ai tempi dell’affaire Dreyfus. Non c’è da stupirsi: se i Feltri o i Belpietro possono ispirarsi (inconsapevolmente, temo) allo stile e ai metodi giornalistici di Édouard Drumont, che durante il processo Picquart pubblica sulla «Libre Parole» gli indirizzi di casa dei magistrati, dopo averli definiti «imbecilli», «felloni», «cameriere», i Socci rinverdiscono i fasti della «Croix», il foglio clericale che dopo «J’accuse» titola cristianamente Étripez-le, «Sbudellatelo» (bersaglio, naturalmente, Émile Zola); più melliflui, i Messori si limitano a scrivere sciocchezze.

Una sintesi di questo intervento, e in particolare della sua prima parte, è uscita a p. 18 de “Il Fatto Quotidiano” di sabato 13 marzo 2010, con il titolo Chi ha paura di Émile Zola.

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12 Commenti

  1. “come si fa, in un contesto che non ha nulla di arcaizzante, a tradurre règles con “regole”, quando significa correntemente “mestruazioni”?”
    Pellini è troppo severo, mi sembra una scelta di traduzione legittima, a dire la verità.

  2. Mi ha fatto ben ridere!

    Ma si ho già visto bufale nei prati della terra natale :-)

    Ho ben capito i due sensi della parola bufala, ma mi sono divertita
    a pensare che posso dire anch’io un’invenzione.

  3. Dei miracoli e della credenza…

    Permettetemi una (sentita) divagazione. Incrocio questo articolo interessante su Nazione Indiana, e, pur approvando incondizionatamente quello che c’è scritto (compresa l’ammirazione per l’impegno sociale di Émile Zola), mi permetto…

  4. Qui sopra, nei commenti al mio articolo «Bufale dei Pirenei», pubblicato il 14 marzo scorso, è comparso da qualche giorno un link che rinvia a una pagina del sito personale di Vittorio Messori, dove si legge una risposta al mio intervento, datata 19 marzo e contrassegnata da un «copyright» del «Corriere della Sera». Non mi risulta che il pezzo sia stato pubblicato dal giornale di Via Solferino. E infatti la home page del sito di Messori lo presenta come «articolo sospeso in attesa della pubblicazione sul “Corriere della Sera”, domenica» (e non permette di accedere al testo, che dunque è raggiungibile solo da «Nazione indiana»: che privilegio!). Par di capire che il pezzo sarà pubblicato sul «Corriere», in una non meglio precisata «domenica». È significativo che l’intervento di un collaboratore abituale sia tenuto in «sospeso» dal giornale; e che non sia presentato come articolo ma come semplice «lettera al Direttore». Forse il «Corriere», che continuo a considerare «giornale laico e serio», preferisce evitare al suo opinionista cattolico l’ennesimo scivolone. Perché il testo di Messori, ancora una volta, è zeppo di inesattezze. Ma le cose più sgradevoli mi paiono due. Punto primo: «Nazione Indiana», giustamente, ospita un link che permette di leggere la risposta di Messori; il quale, invece, non solo non rinvia al mio pezzo con un link, ma omette perfino di citare il mio nome: sottraendosi, come sempre, al confronto. Secondo: Messori presenta il suo pezzo come articolo del «Corriere»: il copyright inganna (non tutti vanno a controllare la home page messoriana); e infatti, avendolo visto, vari amici mi hanno scritto o telefonato avvertendomi che Messori mi avrebbe risposto sul «Corriere». Non so se, a rigore quel «copyright», finché il pezzo non esce, possa essere considerato un falso. Di certo, però, in tutta questa vicenda Messori dà prova di scarsa correttezza (nei confronti miei, di «Nazione Indiana» e anche del «Corriere»): evidentemente, a bazzicare i Boissarie e gli Agnellet, si rischia di apprenderne l’arte.
    Se davvero il «Corriere della Sera» intende ospitare la lettera di Messori, «domenica» o in un altro giorno, sono certo che – come vogliono consuetudine e deontologia – non rifiuterà di pubblicare contestualmente anche una mia replica, che oggi stesso invio al Direttore del giornale. Ma anche se Messori ha pubblicato la sua lettera prima sul web che su carta, io non desidero fare altrettanto: per correttezza nei confronti del «Corriere», prima di far uscire il mio intervento su «Nazione Indiana» o su qualunque altra sede (virtuale o cartacea), mi sento in dovere di attendere le decisioni del Direttore del giornale.

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franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it
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