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Il corpo insepolto di Pasolini

di Marco Belpoliti

Il corpo di Pier Paolo Pasolini è ancora ingombrante e simbolicamente insepolto, così come quello di Aldo Moro, due morti eccellenti, e per molti versi misteriose, intorno a cui si agitano politici, intellettuali, investigatori, critici, scrittori e poeti. Il 22 marzo scorso Walter Veltroni, politico di rango, e anche autore di successo, ha inviato al Ministro Alfano una lettera per chiedere la riapertura delle indagini con metodi scientifici, da RIS, del delitto di cui fu vittima la notte tra il 1° e il 2 novembre 1975 il poeta. All’inizio del medesimo mese un altro politico, il senatore Marcello Dell’Utri aveva annunciato l’esistenza di un capitolo “rubato” di Petrolio, opera postuma di Pasolini, trafugato, si dice, dalla casa romana dell’autore dopo la sua morte. Il capitolo, che doveva essere esposto alla mostra del Libro Antico, di cui Dell’Utri è il motore, a Milano il 12 marzo. Come i giornali hanno documentato, quel manoscritto scomparso all’esposizione non c’era: sparito prima di essere mostrato in pubblico. Una storia strana che ha dato subito da scrivere a molti per via dell’alone di mistero che aleggia intorno al senatore, intimo di Silvio Berlusconi e fondatore di “Forza Italia”. Da ultimo, l’articolo apparso sul settimanale “L’espresso” in edicola il 26 marzo, a firma di Carla Benedetti.
In questo pezzo l’autrice racconta di essere andata a verificare di persona alla mostra del libro antico e di aver constatato l’assenza del capitolo, probabilmente quello intitolato “Lampi sull’Eni”, in cui si stabilirebbe una connessione tra l’uccisione di Enrico Mattei, presidente dell’ente petrolifero di Stato, ed Eugenio Cefis, misterioso manager, capo della Montedison. Il pezzo della Benedetti e la lettera di Veltroni avanzano l’ipotesi che il delitto Pasolini possa essere collegato con ciò che il poeta avrebbe scoperto della oscura vicenda Mattei-Cefis; il capitolo scomparso di Petrolio ne sarebbe la prova. Lampi sull’Eni sarebbe perciò la vera causa della sua morte. Non dunque un delitto a sfondo sessuale, bensì un delitto politico per le verità nascoste scoperte da Pasolini. Ne darebbe ulteriore testimonianza il celebre articolo, più volte citato da molti, Cos’è questo golpe, apparso sul “Corriere della Sera” il 14 novembre 1974, e poi raccolto in Scritti corsari, in cui Pasolini diceva io so chi sono i responsabili delle stragi. Carla Benedetti cita un libro presente nella mostra di Milano, Questo è Cefis, esposto accanto alle prime edizioni di Pasolini – Dell’Utri è un celebre bibliofilo –, e insieme a un altro misterioso volume, L’uragano Cefis di Fabrizio De Marsi. L’articolo, Giallo Pasolini, prefigura un altro dei “misteri italiani”, l’ennesimo, in cui il più celebre e scandaloso intellettuale italiano, scopre i segreti di una trama che poi lo travolge. Ne è convinto il giudice Vincenzo Calia, della Procura di Pavia, che ha avviato nuove indagini sul delitto Mattei. In una conversazione notturna con la Benedetti e Gianni D’Elia, autore di un libro sull’argomento, il petrolio delle stragi (Effige 2005), Calia conferma alla Benedetti che lo scrittore può essere stato fatto fuori per quello che aveva scoperto.
Come in un romanzo giallo tutto dunque ruota intorno a un misterioso volume, presente nella mostra milanese: Questo è Cefis. Sulla copertina c’è il nome di Giorgio Steimez; l’editore si chiama Ami, ovvero Agenzia Milano Informazioni con sede a Milano, di cui era titolare il giornalista Corrado Ragozzino. Subito ritirato, il libro è un atto di accusa contro Cefis, ed è oggi una preziosità libraria per studiosi dei complotti italiani, così come l’altro citato nell’articolo dalla Benedetti, L’uragano Cefis, probabilmente edito da Flan.
Che nel delitto di Pasolini vi siano molti punti oscuri è senza dubbio vero. Che le indagini non furono condotte in modo scrupoloso, come scrive Veltroni nella sua lettera al Ministro della Giustizia, è altrettanto vero, ed è anche possibile che con gli strumenti scientifici attuali – tipo carabinieri del RIS – si sarebbero chiariti molti punti oscuri. Delle contraddizioni delle indagini hanno scritto Gianni Borgna e Carlo Lucarelli in un saggio “Così morì Pasolini” (“Micromega”, 2005). L’ipotesi di fondo è che l’assassino dello scrittore e regista, Pino Pelosi, non fosse solo. Da qui si dipartono due ipotesi: la prima che sia stato ucciso da un gruppo di persone in rapporto con Pelosi collegate al sottobosco della prostituzione maschile, o qualcosa del genere; la seconda che il delitto sia invece politico, come insiste da tempo Carla Benedetti e altri con lei.
Ora l’articolo pubblicato su “L’espresso” ruota intorno al capitolo scomparso di Petrolio, che non sappiamo se esiste davvero, e sul romanzo stesso che era sul punto di smascherare il complotto contro Mattei. Il perno sarebbe appunto il libro di Steimez, una tesi esposta nell’ultimo capitolo del libro di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Profondo nero (Chiarelettere, 2009). Dunque Pasolini era a conoscenza di cose che altri non sapevano? Si era così spinto avanti nella ricerca della verità su Cefin, Mattei e l’Eni da mettere a repentaglio la propria vita? Per rispondere a queste domande basta andare in libreria e comprare l’ultima edizione di Petrolio. Non quella edita da Einaudi nel 1992, ma quella attualmente a diposizione: copertina nera con una striscia bianca; un Oscar Mondadori curato da Silvia De Laude, uscito nel 2005, e da poco ristampato in una nuova veste grafica. De Laude è la curatrice delle opere di Pasolini nei Meridiani, di cui ha composto anche le note. Nel 2005 quando ha curato l’edizione economica – sconosciuta sia agli autori di Profondo nero sia probabilmente anche a Carla Benedetti – ha aggiunto delle note particolarmente dettagliate. Riguardano le fonti utilizzate dal poeta per comporre le diverse parti di Petrolio, libri e giornali consultati. Silvia De Laude ha utilizzato due strumenti: la cartella dove Pasolini archiviava i ritagli dei giornali e le fotocopie, ora conservata al Gabinetto Vieusseux di Firenze accanto all’autografo del romanzo e un lavoro svolto per una tesi di laurea da Iolanda Romualdi, la quale ha identificato con certosina pazienza le fonti giornalistiche utilizzate. Niente di segreto, dunque, ma tutto già ampiamente noto. Nell’avvertenza De Laude elenca gli articoli di giornale consultati (dal “Corriere” all’”Unità”) e poi il fascicolo della rivista “L’Erba Voglio” di Elvio Fachinelli, dove era riportato un discorso di Cefis all’Accademia Militare di Modena, altri due discorsi tenuti dal manager, e la fotocopia del libro di Giorgio Steimetz: Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, Ami, Milano 1972. Questa gli era stata fornita da Fachinelli stesso che gli aveva procurato anche altri materiali. Nelle note al libro, a partire dalla nota numero 12, De Laude cita passi del volume e li mette in rapporto con le pagine di Petrolio. Vi si segnalano inoltre due articoli apparsi su “L’espresso”, a firma di Giuseppe Catalano, nell’agosto del 1974, che impressionarono molto Pasolini, dedicati al rapporto tra Cefis e i servizi segreti; lo scrittore aveva ripreso nel romanzo rapporti redatti dal Sid, il servizio segreto, pubblicati sul settimanale romano e riguardanti Francesco Forte, socialista, vice presidente dell’Eni. Tutto quanto sta nella cartellina al Vieusseux. Si tratta perciò di materiale già noto, citato anche da altri, che circolava nei giornali, non di rivelazioni segrete, su cui Pasolini ha intessuto la sua complessa trama narrativa che, per quanto realistica, sconfina nella particolare visionarietà che possiedono le pagine dello scrittore, una visionarietà più vera del vero stesso. Tutto questo sarebbe il materiale che giustifica il delitto politico del più famoso intellettuale italiano, cineasta celebrato in tutto il mondo, poeta e collaboratore delle pagine del “Corriere della sera”? Cosa sapeva di più e di diverso, se le sue fonti erano quelle note al mondo giornalistico dell’epoca, citate da altri, pubblicate in volumi che, per quanto presto scomparsi, potevano essere fotocopiati e diffusi da Elvio Fachinelli? Si uccide uno scrittore per questo?
La mia risposta è no. Il delitto Pasolini resta ancora oscuro, tuttavia far di lui, come accade, oltre che un santo e martire, anche lo scandaglio dei misteri italiani, mi pare eccessivo e sicuramente lontano dal vero. L’articolo di Carla Benedetti in realtà funziona come un sintomo, a sua volta veritiero, di un problema rimosso. Lo dice con evidenza la chiusa stessa del pezzo apparso su “L’espresso”, là dove la Benedetti scrive in tono sublime: “Non ci sarà pace finché il mondo resterà così fuori dai suoi cardini, con i colpevoli impuniti e le storie letterarie che raccontano di Pasolini ucciso mentre tentava di violentare un ragazzo”. La vera omissione è proprio quella: non accettare il contesto e la situazione in cui Pasolini si è trovato. Non accettare la sua omosessualità, la sua attrazione non per il mondo gay – parola che il poeta rifiutava, come si evince da due saggi compresi in Scritti corsari –, ma per i ragazzi eterosessuali, per qualcosa che oggi si chiamerebbe pederastia, su cui con la sua solita intelligenza e ironia Alberto Arbasino si è più volte soffermato. Questo è il vero problema su cui nessuno, o quasi, si misura, questo lo scandalo, nel senso evangelico della parola: pietra d’inciampo. L’omosessualità rimossa di Pasolini è trattata come una sorta di vizietto, un elemento su cui sorvolare, mentre costituisce la radice vera della sua lettura della società italiana, l’elemento estetico su cui egli ha fondato la critica della società dei consumi. Le lucciole, scomparse per via dell’inquinamento di fiumi e rogge non sono solo la metafora della modernizzazione senza sviluppo denunciata da Pasolini, ma anche della scomparsa dei ragazzi eterosessuali disposti all’incontro sessuale con lui. Le lucciole sono i ragazzi stessi.
In un libro, credo ignorato dai più, ma assai acuto e insieme delicato e poetico, Breve vita di Pasolini, edito da Guanda, il cugino di Pier Paolo, Nico Naldini, ha spiegato a suo modo, non troppo lontano dal vero, cosa successe quella notte a Ostia. L’ultimo capitolo di quel libro sarebbe da trascrivere qui tutto, ma non è possibile. Naldini dice di non credere al complotto e probabilmente neppure all’esecuzione del branco. I motivi che adduce fanno riflettere, e gettano uno sguardo differente sull’intera vicenda. Anche quella di Naldini, anche lui omosessuale, poeta e scrittore fine e sottile, è una visione. L’ultima notte Pier Paolo la trascorse al ristorante con Ninetto e sua moglie. Poi incontrò Pino Pelosi che era, in quel punto della vita, nella fase di un Kairos adolescenziale: a Pasolini rammentava le fisionomie delle sue amicizie borgatare. Questo accese il desiderio: un ritorno al passato. “Se il desiderio è solo libidine, esige un rapido appagamento. Ma se esso si allunga in aspettative voluttuose – scrive Naldini – e se l’immaginazione è colpita dal ritorno del “sopravvissuto”, gli atti che si sono succeduti in quella sera trovano una collocazione”. I due siedono al ristorante. Pier Paolo ha già mangiato, ma ordina per il ragazzo e una birra per sé, ma anche “per darsi un contegno”. Comincia a far domande. Si sente senza dubbio attratto, ma non gli basta la concupiscentia oculorum. Nella sosta al ristorante la Medusa si palesa attraverso i tratti del ragazzo, e questo “gli fa perdere il senso del pericolo proveniente da una generazione che si è smarrita nei confini tra il bene e il male”. Nell’auto avviene il primo scambio sessuale. Forse non a caso il luogo dove si trovano è quello in cui due anni prima Pasolini ha girato la scena più erotica di un suo film.
La visione di Naldini a questo punto s’inoltra in un terreno friabile, difficile, eppure pertinente. Ci dice qualcosa sul desiderio omosessuale che non si legge quasi mai se non nei romanzi, cioè nella letteratura: “A differenza di quanto avviene nella sessualità femminile, un ragazzo non può simulare attrazione”. Anche se è stato abbordato per strada o in un luogo preciso, se ha risposto all’invito di uno sconosciuto, “è il ragazzo che quasi sempre sceglie sia pure inconsapevolmente il suo partner”. In quella sera di quindici anni fa “la disponibilità del ragazzo è fatale per Pasolini”. Egli l’ha sentita probabilmente come un’apertura ad un altro genere di complicità, e proprio questo ha spinto l’uomo a compiere un gesto inequivocabile il quale ha indotto nel ragazzo un elemento di terrore, “come una rivelazione implicita o l’atto offensivo di una supposizione”. Ecco, scrive Naldini, questa è la situazione “in cui si accetta il proprio destino o lo si rifiuta; ma c’è una sospensione tra le due cose, la violenza diventa tanto maggiore”. In Pelosi si scatena una violenza inaudita: non solo violenza contro l’incubo dell’altro, ma “pura hybris di fuggire da se stesso”. Per questo fugge da sé passando e ripassando con l’automobile sul corpo dell’uomo. Quando si sederà sulla poltrona di uno studio televisivo – le dichiarazioni fatte anni dopo che hanno indotto a molti a ritenere che il delitto non fosse stato commesso da lui solo –, dice Naldini, “nessuno sa più che cosa egli sia”:“Una forma umana di genere indefinito, una forma dilavata dall’interno e fuori che può esternare qualsiasi cosa”.
Qui termina il racconto e il libro stesso. Una visione, non una certezza processuale. Ma cosa può fare un poeta, uno scrittore e persino un critico se non muoversi tra le visioni e la forma letteraria che esse prendono. Questo era il metodo stesso di Pasolini, la sua forza, per cui, come mi è capitato di scrivere, è quella di colui che ha sempre ragione anche quando ha torto. La sorpresa è dunque di scoprire che, non solo la sua particolare omosessualità venga rimossa, a sinistra come a destra, ma che la sua lezione poetica e intellettuale disattesa dai suoi seguaci e difensori. Il delitto Pasolini non è un delitto politico perché operato per far tacere uno che “sapeva” la verità su un attentato o una strage, ma perché è stato ucciso un poeta che diceva verità scomode usando la parole e le immagini, uno che gettava il suo corpo nella lotta, uno che praticava lo scandalo di contraddirsi, che non scopriva segreti occulti, ma che rivelava tutto quello che era già evidente, e che nessuno voleva davvero vedere: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere/ con te e contro di te; con te nel cuore,/ in luce, contro di te nelle buie viscere”.
Forse è venuto il tempo di seppellire il corpo insepolto di Pasolini, di comportarsi con lui così come lui si è comportato con noi. I maestri si mangiano in salsa piccante, dice il Corvo in Uccellacci e uccellini. Sarà un pasto duro e una digestione lunga e difficile, ma abbiamo abbastanza salsa. Dimenticare Pasolini per ricordarlo davvero. Ai poliziotti e ai tribunali spetta un altro lavoro. Non credo che sia propriamente il nostro.

[pubblicato oggi su La Stampa, in una versione notevolmente ridotta]

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22 Commenti

  1. Non vorrei che così ci si dimenticasse della mente di Pasolini. E quanta gente ci mangia sopra, con articoli, foto ecc.?

  2. Con questo pezzo, Belpoliti, a colpi di finto moralismo e aurea d’intellettuale democratico-modernissimo-moderato, sfianca la battaglia di tante e tanti.
    oppure la fortifica; che questo discorsetti affermano nuovamente – al di là del (sano) immaginario o dell’immaginazione proprio e propria – l’esistenza d’un genere d’immenso tradimento dell’intellighenzia italiota.
    m’auguro dunque che non si segua ‘sta teoria
    Perché quest’esempio: non funziona.

    b!

    Nunzio Festa

    p.s. non è sul corpo del maestro che emettiamo firme, Noi cerchiamo sempre e dobbiamo continuare Verità e Giustizia
    p.s.s. Massimo Consoli, rispetto alle tiritere tirate a tiro da Naldini avrebbe molto probabilmente sghignazzato…

  3. Belpoliti, che cita tutti gli articoli recenti, s’è dimenticato del racconto di Comisso apparso giorni fa su Libero: eppure è letteratura molto più di Naldini.

  4. Ha ragione Belpoliti, però ci sono da fare un paio di distinguo: 1 – Il corpo di Pasolini che se lo mangino altri; la carne frollata va bene, ma qua si esagera. Per la verdura cresciuta nel frattempo sopra, sotto e intorno mi offro con piacere; 2 – di tutte le ipotesi possibili non s’è mai presa in considerazione quella fantamassonica (o sbaglio?): che il Mattei sia riuscito a mettersi in viaggio nel tempo, quella sera del 27 ottobre 1962, grazie a un complicato rito gnostico-quantistico (molti pensano che la chiave per decodificare questa maniera di viaggiare nel tempo risieda nella ben nota iconologia del cane a sei zampe); da lì si sarebbe poi palesato in momenti chiave della storia italica per indirizzarla nel suo giusto corso (il lieto fine della vicenda trattata nel post consisterebbe nel fatto che Mattei avrebbe recuperato il corpo astrale di Pasolini e lo avrebbe infuso in diverse intercapedini del Quirinale, permettendo così al poeta una dimora fissa nelle oscure, o almeno supposte tali, stanze del potere)

  5. Dove vuole arrivare questo articolo?
    Vuol contribuire a fare verità storica o ragionare in termini letterari di un fatto accaduto (la morte di Pasolini) entro un contesto ancora non definito?
    Come fa Belpoliti a sostenere che “il cugino di Pier Paolo, Nico Naldini, ha spiegato a suo modo, non troppo lontano dal vero, cosa successe quella notte a Ostia”. Belpoliti sa forse cosa è successo quella sera a Ostia?
    La tesi di Naldini in forza di cosa viene citata come interpretazione reale di quel che è successo? Chi sono e cosa sanno Naldini e Belpoliti per erigersi a depositari del vero? Non è che la tesi di Naldini sia non troppo vicina al vero in forza del suo fascino letterario? Perché è un argomentare chic dire che si è rimossa anche a sinistra l’omosessualità di Pasolini?

    A me questo articolo, per come è impostato, per i presupposti impliciti, e per le conclusioni più o meno esplicite a cui arriva, sembra un modo per farsi belli intorbidando ancor di più le acque: chi lo segue, di certo non adotta un metodo che possa far luce sulla verità.

  6. ho contemplato con semi-perversione necrofila il cadavere di Pasolini: mmhh… sembra l’Italia in miniatura.

  7. La vera omissione è proprio quella: non accettare il contesto e la situazione in cui Pasolini si è trovato. Non accettare la sua omosessualità, la sua attrazione non per il mondo gay – parola che il poeta rifiutava, come si evince da due saggi compresi in Scritti corsari –, ma per i ragazzi eterosessuali, per qualcosa che oggi si chiamerebbe pederastia,

    Veramente già gli antichi greci utilizzavano questa parola. Tant’è vero che è greca.

    su cui con la sua solita intelligenza e ironia Alberto Arbasino si è più volte soffermato. Questo è il vero problema su cui nessuno, o quasi, si misura, questo lo scandalo, nel senso evangelico della parola: pietra d’inciampo. L’omosessualità rimossa di Pasolini è trattata come una sorta di vizietto, un elemento su cui sorvolare, mentre costituisce la radice vera della sua lettura della società italiana, l’elemento estetico su cui egli ha fondato la critica della società dei consumi.

    Ma quale elemento su cui sorvolare, che praticamente non si parla d’altro?

    Le lucciole, scomparse per via dell’inquinamento di fiumi e rogge non sono solo la metafora della modernizzazione senza sviluppo denunciata da Pasolini, ma anche della scomparsa dei ragazzi eterosessuali disposti all’incontro sessuale con lui. Le lucciole sono i ragazzi stessi.

    Mah, ci andrei piano. Possono benissimo essere anche i ragazzi, ma perché dovrebbero essere solo loro?

  8. Grande Marco Belpoliti. Non dice fra l’altro nulla di nuovo. Da Arbasino fino a Dario Fo, passando per Marco Pannella. Sempre un piacere leggerlo.

  9. Intervista di Gian Piero Bona su Pride del 2005: “Pasolini era un uomo di grande intelligenza, però mi faceva un po’ paura la sua temerarietà. Gli ho visto fare cose che io non avrei mai potuto fare, per paura, per viltà forse.Però era un illuso: la società la voleva piegare secondo le sue idee, ma è la società che ti piega, non c’è niente da fare. E poi, nonostante quello che gli avevano fatto, credeva ancora nel partito comunista, ma i comunisti erano terribili, per loro l’omosessualità era vizio borghese e gli omosessuali li perseguitavano.”

  10. forse, appunto, Belpoliti dovrebbe rivedere
    la sua posizione:
    ma presumo non accetti di poter avere torto, mia presunzione:
    tutta che nasce, però, dalla vocazione ascoltata dal pezzo da lui
    infisso.

    b!

    Nunzio Festa

  11. Dario Fo, che ha condiviso il suo spazio vitale con Pasolini in diverse occasioni, ne ha dette di cose sull’autore di Petrolio, alcune molto interessanti e a mio avviso condivisibili. Se avete voglia potete dare un’occhiata a questa intervista qui, una cosuccia senza pretese ma interessante ugualmente…

    Che ne pensi del teatro di Pasolini?
    Ho avuto anche polemiche in diretta Tv con lui, e sulla sua concezione dell’omosessualità rappresentata in teatro. Credo abbia concorso all’equivocità del “essere se stessi sia nel cinema sia nel teatro”. Pasolini era poi veramente maschilista nei confronti degli omosessuali: trattava i ragazzini come il tipico commendatore figlio di puttana tratta la sua segretaria da scopare per pochi soldi. È stato uno che faceva l’elogio della Marchetta.

  12. Il capitolo e mezzo di cui parla Siti è stato nel frattempo scoperto?
    In rete ho trovato questo passaggio di Sivia De Laude: “La cosa interessante è che il fatto grave contamina un episodio avvenuto davvero a Chioggia, con Comisso, e l’episodio di Ramuscello, con scandalo annesso”.

  13. Stimo Belpoliti, ma mi sembra che stavolta sia andato fuori strada. Il suo ragionamento l’ho già sentito altre volte: “non accettate l’omosessualità di Pasolini e solo per questo non volete convincervi che la verità giudiziale sul suo omicidio rispecchia la realtà dei fatti”. E’ un argomento ricattatorio e solo in questo risiede la sua efficacia, che consiste nello zittire l’interlocutore (schiacciandolo sotto l’accusa infamante di omofobia) più che nel convincerlo.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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