Hic sunt leones

di Gianni Biondillo

A farci un giro a piedi fra queste strade attorno a Piazzale Gabriele Rosa, senza pregiudizi, togliendosi le fette di salame dagli occhi, bisognerebbe ammirare la qualità dell’edilizia, la compattezza urbanistica, il patrimonio arboreo. Un quartiere popolare, certo. Ma come si progettavano quando Milano era davvero una città che aveva a cuore il decoro e la dignità dei suoi abitanti, anche quelli più disagiati. A modo suo un bel quartiere, da conservare per la sua coerenza urbana, proprio come l’asse di via Padova, con la sua valida cortina edilizia e l’infilata di vetrine di negozi che può fare invidia a molti pachidermici centri commerciali. E proprio come in via Padova anche qui si è deciso da parte del Comune di applicare un incomprensibile coprifuoco che vieta ai negozianti di restare aperti dopo le dieci di sera. Nel nome della sicurezza. Si sa, le kebaberie sono covi di temibili terroristi e negli internet point è un via vai di loschi figuri. Nel frattempo, per non dispiacere al vicesindaco De Corato, i pestaggi per strada e le minacce ai vigili urbani si fanno di giorno, prima dello scattare del provvidenziale coprifuoco.

La contraddizione è tutta qui: svuotare le strade non le rende più sicure, ma le trasforma in luoghi dove l’illegalità detta legge. La politica meneghina gioca col fuoco, da troppi anni. Urla i suoi diktat demagogici, validi solo per l’ennesima campagna elettorale, ma non fa nulla, assolutamente nulla di concreto sul territorio. La sicurezza si ottiene con i progetti sociali a lungo termine, non con i proclami. Per dire: sono ormai 30 anni che a Milano non si fa più pianificazione sociale; che non significa solo edilizia popolare ma anche asili, scuole, ambulatori, piazze, cimiteri, biblioteche, etc., cioè presidi sul territorio della legalità, attestazione concreta di un interesse collettivo per le zone periferiche.

Al di là dell’imbalsamata Zona 1, oltre la cerchia dei navigli, per gli amministratori comunali hic sunt leones: una marmellata indistinta di proletariato, piccola borghesia, pensionati, extracomunitari. Lo stesso malaugurato passaggio amministrativo attuato anni addietro da Albertini -dalle 20 alle 9 zone di decentramento- è la dimostrazione di come nella loro mente, fuori dal centro storico, quello delle banche e della ricca e indifferente borghesia alla quale il nostro sindaco appartiene, il resto del territorio non ha personalità, storia, coerenza. Quindi chi se ne frega dei borghi storici o dei quartieri popolari, con le loro vicende e le loro esigenze. Basta ogni tanto mostrare il pugno di ferro, fare la voce grossa.

Ma dopo tutti questi anni la strategia dell’emergenza perenne mostra la corda. Non ci vuole l’esercito per evitare che un gruppo di ragazzi italiani – sempre gli stessi, conosciuti sin dall’adolescenza dalle forze dell’ordine – si sentano padroni di un quartiere, mettendolo sotto scacco, con le loro incursioni, pestaggi, violenze indiscriminate. Non ci vogliono leggi speciali per risolvere un problema di criminalità di strada, altrimenti con quella organizzata cosa facciamo, un bombardamento termonucleare?

Ormai il disagio non è solo dei quartieri popolari. A poche centinaia di metri dal Corvetto sorge l’imponente monumento al fallimento urbano che è Santa Giulia: edilizia residenziale senza alcun servizio pubblico, asilo nido, luogo di scambio sociale; edificato, a sfregio del senso di cittadinanza dei suoi abitanti, su terreni contaminati. La casa concepita solo come un bene speculativo, non come bene d’uso, bisogno, rifugio, diritto. Abbandonando la dimensione sociale della città abbandoniamo il territorio, che si barrica, autoghettizandosi, dietro inferriate mentali e reali. L’identità dei quartieri (non solo quelli popolari) è, come è ciclicamente, in via di ridefinizione. Ci sono problemi e contraddizioni. Se non si interviene con progetti costruttivi (e non restrittivi), se non si dà spazio alle realtà positive che sorgono dal basso, si lascia agli umori del posto la spartizione del territorio. Ciò significa però fomentare una guerra per bande, etnica e sociale.

Questa compagine politica amministra la città da ormai 17 anni, senza soluzione di continuità. Non scarichi perciò il barile delle colpe ad altri se Milano al posto di assomigliare alla metropoli internazionale che per talento e dimensioni doveva diventare – una “città aperta” 24 ore al giorno, cuore pulsante di una nazione-, si ritrova ad essere una città abbandonata alla microcriminalità di strada, al sospetto e alla paura del diverso, desiderosa solo di chiudersi in casa, indifferente alle sue stesse sorti e al suo futuro, che pare ogni giorno sempre più passato.

[pubblicato in una versione più breve l’altro ieri sulle pagine milanesi del Corriere della Sera]

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17 Commenti

  1. E’ una zona (qualla vicino piazza gabrio rosa…) che conosco molto bene, avendo amici in zona. Spesso dal 1988 a oggi l’ho frequentata a piedi e sinceramente non è poi cambiata nel tempo (a differenza di zone come quella del centro o che so naviglio grande) e tutti gli allarmi paiono a dismisura. Ma la cosa preoccupante è una politica tesa a rendere questi quartieri isolati ghetti e concentrarsi sul genere. A milano almeno. Levando rassegne (non solo la biblioteca in giardino che conosco bene), chiudendo centri sociali (NON parlo di quelli che si occupano ma quelli comunali), negozii piccoli che spariscono, leggi che vietano di mangiare kebab per strada, ecc ecc. il vigile di quartiere chje è solo nei quartieri ricchi ecc ecc
    NON è un caso. E’ una volonta’. Emigrati e gente con censo non rilevante tende a non votare a non avere peso e allora tanto vale tagliare.
    Però non preoccupatevi Bersani apre a Casini, Bossi è un moderato e Berlusconi pensa solo al paese.
    E la cultura dopo lì’appello di Mancuso (chissà poi perché ora s una cosa irrilevante rispetto a tutte le accuse che pensono sul presidente del consiglio e dominatore della informazioni) si ribellerà…

  2. Mi fai venire in mente un movimento nato non ricordo più se in un paese scandinavo o in Svizzera che vuole tutelare i diritti dei bambini e nello specifico il diritto a non essere sempre sotto sorveglianza diretta e invesiva e poter per esempio andare a scuola a piedi da soli e che vorrebbe far leva sulla responsabilità generale e condivisa di un quartiere e degli adulti di dare un occhio che sia tutto a posto senza dover invaderne gli spazi di bambini che vanno in giro teorizzando ( e temo avendo profondamente ragione) che un quartiere e delle strade sicure sono strade vissute e ci si riappropria del territorio vivendolo e riprendendo gli spazi della vita.

  3. Forse un tantino OT e un tantino personale, ma non riesco proprio a trattenermi.

    Il commento di Lucia Cossu mi ha fatto venire in mente quando da bambina vivevo a Gratosoglio e a scuola (elementare) io e mi miei compagni ci andavamo a piedi, da soli. Erano viaggi emozionanti e ricchi di scoperte.
    Ora vivo da qualche anno in brianza, prima in un paesotto alle porte di Milano e ora in un “verdissimo” paesino di campagna di poco più di 3 mila abitanti. Mamme/nonne/nonni non mancano mai di accompagnare i figli a scuola – magari in groppa ad un bel SUV – terrorizzate da quel che potrebbe accadere se non ci fosse il loro occhio vigile. Poveri bambini, penso io, chissà che noia. [so che sono terrorizzate perchè ascolto i loro discrorsi al bar].

    Sono d’accordo, gli spazi e le strade devono essere caricati positivamente, essere vissuti. E quoto in toto lucia c. quando parla di “responsabilità generale e condivisa”. Temo, però, che siamo molto lontani da quel genere di responsabilità, in un paese dove una persona può morire per strada circondata da passanti che si limitano, al massimo, a guardare, forse pensando di essere al cinema e/o che non gli riguarda da vicino.

    “Milano è una città […] capace di generosità”, dichiara la Moratti. E ogni volta che sento dire questa cosa mi viene l’orticaria. Veramente? E come è stata raggiunta e misurata questa generosità civile? Chiudendo i negozi e mandando l’esercito a tutela di insani coprifuoco?
    Forse Milano era generosa anni fa e io sono troppo giovane per avere vissuto quei momenti d’oro? [che palle, c’è sempre qualcosa per il quale si è nati troppo tardi!]

  4. Milano rimane sempre un mistero. Potrebbe essere ben altro, come chiude nell’ultimo paragrafo dell’articolo. Dovrebbe. Perche’ non lo e’?
    Era ben altro, e non e’ solo enunciare un falso mito del declino dirlo. Ovvio che qualsiasi grande area urbana porta sempre con se’ grandi problemi sociali. Ma, in genere, la grande area urbana porta con se’ anche i vantaggi dell’essere centro di fermento culturale, di dinamismo, creativita’. Perche’ Milano no?

  5. io essendo de milàn pur’io in quelle zone là nun ce vaco proprio pecché me pare ‘e sta’ a napule [però quella piazza è davvero bella].

  6. Sergio,
    a parte che “quelle zone”, come le chiami tu, non sono come Napoli perchè Napoli è una città diversa da Milano (forse se vai, vivi, in quelle zone, te ne rendi conto anche tu), e che ogni luogo ha le sue problematiche. A parte questo.

    Il punto sta proprio nell’andare o meno, nel considerare certi luoghi della città come degni di vita e di essere vissuti. E’ ora che si riconosca che “quelle zone” non sono solo luoghi di delinquenza e di emarginazione come si vorrebbe far credere (vedi ad es. tgr lombardi di ieri su Gratosoglio). C’è anche altro. C’è anche della positività che vorrebbe emergere, che ci prova tutti i giorni, nonostante la delinquenza (spesso originata da un’emarginazione continua, generazionale, vissuta dai soggetti rassegnati come l’unica vita possibile) e nonostante, appunto, chi si ostina a considerare certi posti come inferni da lasciar bruciare su stessi.

    No, in certo luoghi non andiamoci. Camminiamo solo nella milano chellopanata, quella sì che ha una dignità, quella sì che deve essere tutelata.

  7. no mirfet ma figurati, quale cèllofan!… e solo che via padova, leoncavallo, chavez ecc. è un po’ troppo (anche se in via padova c’era – o c’è – uno dei più grandi negozi di vinile di tutti i tempi). io per dirti amo via cenisio, p.za diocleziano, pier della francesca… cioè non proprio brera… poi è chiaro che famagosta la barona quarto oggiaro sono peggio… [dicevo di napoli perché solo in viale padova ho visto una scena à la napoli e cioè un arabo ubriaco che pisciava su un motorino bruciato][mi sentii a casa]

  8. Solite iniziative da dilettanti allo sbaraglio!
    Per contrastare il mondialismo ci vorrebbe ben altro: chiudere i centri di accoglienza, abolire le leggi contro il razzismo, sopprimere il ministero delle pari opportunità…

    Con questa classe dirigente andiamo poco lontano…

  9. “oltre la cerchia dei navigli, per gli amministratori comunali hic sunt leones: una marmellata indistinta di proletariato, piccola borghesia, pensionati, extracomunitari. Lo stesso malaugurato passaggio amministrativo attuato anni addietro da Albertini -dalle 20 alle 9 zone di decentramento- è la dimostrazione di come nella loro mente, fuori dal centro storico, quello delle banche e della ricca e indifferente borghesia alla quale il nostro sindaco appartiene, il resto del territorio non ha personalità, storia, coerenza”

    sarò tera tera, ma come diavolo succede che alle elezioni di sindaco la destra vince ininterrottamente da 20 anni o quasi? dentro la prima cerchia ci abita il 57 per cento della popolazione? evidentemente c’è un ‘cuofano’ di gente, anche e soprattutto delle periferie, che vota o ha votato Furmenta, Albertini e Moratti. Tertium eccetera eccetera.

    Finalino. E in questo sfascio la sinistra meneghina niente niente? neppure una colpicina? una sera di qualche anno fa, diversi anni fa, si era alla fine dei 90, mentre si attendeva che si facesse ora di treno si gironzolava intorno al duomo. Si sbucò in piazza scala e allora vedemmo le torce, le bandiere verdi e rosse. Era una manifestazione dell’allora PDS: quattro gatti.

  10. Sulla storia di milano e il suo presente segnalo un libro molto bello, La città degli untori, di Corrado Staiano-

    Maria

  11. No so, Carlo.
    Ma la tua è domanda interessante e forse cruciale a livello nazionale, direi, nel senso che interessa tutte le periferie intese non necessariamente sul piano geografico/architettonico; domanda che la sinistra (chiamamola così, faccio fatica ad identificarla) si è posta ma alla quale ancora oggi sembra non aver trovato una risposta. Io non sono una sociologa nè esperta di comunicazione di massa e non ho i dati delle elezioni sotto mano ma posso provare a fare delle ipotesi.

    E alla tua domanda, la prima risposta che mi viene in mente è: – perchè Moratti&Co sono con berlu e berlu è il presidente del Milan.
    Altre (ipotesi):
    – perchè berlu è ricco e se voto lui e/o i suoi uomini divento ricco anche io ed esco da questa merda;
    – perchè se rubano lui e i suoi uomini allora posso farlo anche io;
    – perchè la sinistra sfianca, spacca il capello il quattro e quando parla non la capisco. Berlu&co. è più semplice e sui giornali da lui controllati scrivono bene e chiaro; perchè la sinistra parla a se stessa, si vomita addosso, la destra invece parla a me;
    – perchè da grande voglio fare la velina o la escort, farò molti più soldi;
    – perchè la sinistra non c’è, non la vedo. Gli altri invece hanno tante belle bandierine e proclami;
    – perchè i voti sono manipolati;
    – perchè Mike B. e Iva zanicchi hanno detto che votano per lui, e io mi fido di Mike B e di Iva zanicchi;
    – perchè la Moratti veste bene, è una donna di classe; perchè Formigoni è garbato ed ha dei bei denti, un brav’uomo.

    Queste sono solo alcune delle ipotesi che mi vengono in mente.
    Il binomio classe popolare > voti a sinistra non esite più da molto tempo, credo. E la questione sta diventato vecchia, temo.

  12. Carlo,
    la sinistra a Milano (e di riflesso nell’intera nazione) ha responsabilità inenarrabili.

  13. Comunque… a Milano neanche il centro è un granchè: è completamente vuota, trovi forse qualche turista temerario che va alla Rinascente °_°.. mmh che invidia.
    Se vai al cinema e poi volessi prendere un gelato dopo le 23:00, è meglio che te lo porti da casa chiuso in una borsa frigor; per non parlare della puzza di piazza mercati: se decidi di andare a prendere un caffè in via Dante, dal Duomo, è meglio che ti doti di una maschera anti gas.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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