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FantaExpo

di Gianni Biondillo

Lavoro per il Dipartimento governativo di Archeologia Celtica, ricostruisco il passato di Milano. Da dopo il GVE, il Grande Vuoto Elettromagnetico, nessuno ricorda più nulla, anche per questo la mia attività negli anni è diventata fondamentale. Il Partito della Rosa Camuna – che prese le redini di questo paese durante il periodo anarchico post GVE – sovvenziona e controlla il mio dipartimento con lo stesso alacre impegno che profonde per il Dipartimento Antintrusione Esterne; sono i suoi due fiori all’occhiello. Mi occupo da tempo dell’Expo di Milano. Sì, quello del 2015; un sacco di anni fa, lo so. Non ne è rimasta più traccia materiale, sembrava quasi una leggenda; poi per un caso fortuito venimmo a conoscenza di un archivio sepolto di documenti pre-GVE. Pazzesco! In Dipartimento eravamo tutti convinti che dopo il famoso rogo in Piazza del Duomo dei libri e dei quotidiani, voluto dalla Gilda dei Libertari per emanciparci definitivamente delle falsità diffuse dalla stampa, non ci fosse rimasto più nulla di cartaceo in città. Poi avvenne il GVE e addio ricordi. Sfoglio da mesi questi documenti, sotto il controllo armato della milizia presidenziale; hanno paura che serbino sorprese: qualunque cosa scoprirò devo per primo informare il Delfino, saprà lui, poi, se diffonderle o meno.
“Ricordati: Milano è la città dell’operosità, del lavoro. È la capitale morale ed economica. Odia le pastette, gli inciuci, i meridionalismi, le romanità.” Così mi disse il Delfino, lui, di persona. “Trovaci dove era sito dell’Expo e faremo una campagna di scavi. Porteremo alla luce l’ultimo grande monumento meneghino pre-GVE”. Sapessero dove mi trovo ora… probabilmente sto rischiando un arresto per attività antilombarda. Ma sono uno scienziato, devo innanzitutto rispondere alla mia coscienza. Perché io quei documenti li ho studiati; erano vecchi fascicoli di quotidiani ingialliti, le annate fra il 2007 e il 2010. Corriere della Sera, c’era scritto; probabilmente materiale sovversivo, estremista, forse foraggiato dalla cricca mondial-rom-meridionalista. Almeno credo. Si dice che per il governo lavorino alcuni Ricordanti. Gente che millanta di non aver subito conseguenze durante il GVE, consiglieri governativi che raccontano come i rom e gli extracomunitari all’inizio del XXI secolo avessero in mano tutte le banche e i gangli del potere politico, obbligando i lombardi a lavorare in nero nei cantieri o nelle fonderie. Ma l’Expo doveva essere la prova della superiorità della razza padana, anche se quello che leggo in questi fogli che mi si sbriciolano in mano è di tutt’altra natura. C’è incoerenza fra il progetto presentato al BIE a Parigi e quello sviluppato in seguito: dov’è la torre landmark? Dove sono i nuovi navigli? E i raggi verdi? Possibile che la giunta comunale meneghina fosse così inconsistente da cambiare idea progettuale nel giro di pochi mesi? E com’è possibile che a tutto il 2010 non avessero ancora iniziato i lavori? Mancavano poco più di quattro anni all’inaugurazione, non ha senso! E l’operosità meneghina dov’è? Non sarà stata mica una leggenda? Sarebbe terribile ammetterlo.
Eppure qui, ora che ho un appuntamento segreto con un Ricordante clandestino (se mi scoprono sono finito!) inizio davvero a credere che ho vissuto tutta la mia vita nella menzogna. Perché – leggendo quelle pagine, quelle parole che restano fisse, non evaporano non si disperdono – nell’estate del 2010 dell’Expo i milanesi non sapevano ancora nulla, solo che aveva cambiato ben tre amministratori delegati in due anni. Roba degna della peggiore politica borbonica. E le linee metropolitane? Nessun cantiere ancora aperto, si ventilava addirittura l’ipotesi di non costruirle affatto. Ma com’è possibile? E poi, sfogliando quei giornali: infiltrazioni camorristiche, politici lombardissimi in affari con la ‘Ndrangheta, quartieri residenziali costruiti su depositi contaminati di pattume chimico, cricche politico-religiose del malaffare…
Eccolo, il mio contatto è arrivato. L’appuntamento è qui, in questo locale della tradizione meneghina: ordino sushi per tutti e due. È una donna. Vecchissima, sembra eterna. Mi guarda con sospetto, ma so che vuole parlare. Rischiamo tutti e due la vita, certo, ma a cosa serve ricordare se non lo si può condividere? E che cos’è una civiltà se non ha memoria (vera, non falsificata o mitizzata) del suo passato? “Non trovo il sito dell’Expo” le dico, ad un certo punto.
Lei mi guarda ma non dice una parola.
Insisto: “Credo di sapere dove sia. Sospetto vicino alla vecchia fiera di Rho, quella trasformata in campi di lavoro per intellettuali e poeti”.
Mi interrompe: “Campi di concentramento è la giusta definizione”. C’è un attimo infinito di silenzio fra noi due. Intingo il maki nella soia, tipica salsa lombarda, e lo porto alla bocca.
“Sei così giovane” mi dice scuotendo il capo.
“Come fai a ricordare?” le chiedo, di botto.
“E tu cosa sai del GVE?” replica lei.
In realtà nulla. È una sorta di buco nero innominabile per tutti noi figli del post GVE. Lei mi osserva e sembra leggere nei miei silenzi.
“Ero una bambina” mi dice “quando accadde. L’intero paese era davanti al televisore a guardare la finale di coppa del mondo. Nessuno hai mai capito chi sia stato, se i terroristi o addirittura i servizi segreti governativi, quello che so è che fu mandato un segnale elettromagnetico che bruciò il cervello di tutti.”
Resto senza fiato: “E tu?”
Sorride: “Io avevo il televisore spento, mio padre mi stava leggendo una favola.” Una lacrima secca le segna il volto. “Neppure un anno dopo lo internarono alla fiera di Fuksas insieme a quei pochi che avevano tenuto nascosti gli ultimi libri nelle loro case.” Non so cosa dire. Lei mi prende la mano. “Io la verità te la dico. Ma se non ti piacerà non è colpa mia. Ti chiedo solo una cosa.”
Annuisco. “Certo, tutto quello che vuoi.”
Si guarda attorno: “Voglio andare via da questa terra. Voglio morire in un paese civile, dove le donne lavorano o governano, dove i gay si possono sposare, dove si stimolano i giovani talenti, dove si fa ricerca scientifica, si studia l’arte e si tutela il paesaggio. Procurami un lasciapassare per la Romania o per la Turchia, paesi molto più civili e tolleranti del nostro.”
La guardo: “Lo avrai! Dimmi dell’Expo.”
“Non lo troverai mai.”
“Cosa?”
“Parigi tolse d’imperio a Milano – per evidente inettitudine e inefficienza della sua classe dirigente – la possibilità di organizzare l’evento. Diede poi a Smirne l’opportunità di portarlo a termine. Quello fu il colpo finale. Milano cadde in un baratro senza fine, fatto di bugie, mafie e guerre fra bande. Il Delfino prese il potere, il resto lo sai. L’Expo di Smirne fu un successo straordinario”.

[pubblicato in versione più breve sulle pagine milanesi de Il Corriere della Sera il 29 agosto 2010]

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12 Commenti

  1. Complimenti, leggendo e sogghignando, non riuscivo a non pensare alla costruzione e alle idee gravitanti attorno al racconto; senza dubbio lascia un senso di vuoto, come un voler continuare, pur essendo completo. Viene voglia di leggerne un altro e non propriamente un seguito. Bravo!

    P.s. ho presenziato al workshop nel Salento, a Villa Conca Marco di Vanze un bel po’ di tempo fa, avrei voluto durasse di più, c’era una bella schiera di personcine divertenti e ben attrezzate alla scrittura, ho appreso un po’ di consigli, grazie anche per questo.

  2. Bello, Gianni.
    Ne approfitto per far girare il comunicato del Comitato Noexpo sulla candidatura di Boeri a sindaco, che gran bel segno di rinnovamento…

    La candidatura a Sindaco di Milano di S. Boeri e il probabile appoggio alla stessa del PD milanese, non costituisce un’alternativa alla Milano della Moratti e di venti anni di giunte di destra.
    L’archistar del Masterplan di Expo 2015, dei giardini pensili a Garibaldi-Repubblica, ma anche del G8 alla Maddalena (quello della cricca di Bertolaso…), ben rappresenta gli interessi del sistema di potere imperante nella metropoli milanese. Il suo ruolo nell’operazione Expo, garantisce a banche, Fiera, immobiliaristi e consorteria varia, la continuità del modello basato sulla densificazione urbana, la trasformazione della metropoli in un grande polo logistico-commerciale, la rinuncia a una visione pubblica di città. Un modello che vede nell’Expo l’occasione per ristrutturare il territorio milanese, al di là della portata reale dell’evento, spartendosi le scarse risorse pubbliche rimaste, e nel PGT lo strumento normativo per completare la deregolamentazione urbanistica e la privatizzazione della città e dei servizi pubblici (con un po’ di housing sociale e di servizi in appalto a cooperative bianche e rosse).
    In questi mesi, mano a mano che il fallimento di Expo diventava palese, complice la crisi economica e le lotte di potere tra i soci di Expo Spa, il PD milanese e Boeri sono state voci costanti nel chiedere risorse, leggi, accordi per garantire la riuscita di Expo 2015, quasi preparassero il terreno alla candidatura, legittimandosi agli occhi del potere economico-finanziario milanese, come garanti dell’operazione e unici in grado di portarla a compimento, magari in un contesto di pace sociale e di città disciplinata. Non ci stupiscono perciò gli apprezzamenti trasversali che Boeri potrà raccogliere, né l’ostinazione con cui il PD continua a difendere Expo 2015. Difendono l’uno gli interessi del proprio ruolo, gli altri, gli affari del blocco economico di riferimento (leggi Legacoop), peraltro sempre più sodale nel business con la “piovra economica e clientelare” che la Compagnia delle Opere rappresenta in Lombardia.
    Milano ha bisogno di altro. Lungi da noi voler fare campagna elettorale per questo o quell’altro candidato, ci limitiamo a ribadire che la priorità è uscire dalle logiche che portano a Expo e che ispirano il PGT di Milano, che portano privatizzazioni e precarietà. La necessità è un’altra Milano, che rimette al centro il concetto di Pubblico, inteso come spazio, come priorità, come modalità di erogazione dei servizi e di gestione delle risorse, e non gli interessi di casta o di bottega.

    Seguirà nei prossimi giorni un più dettagliata analisi sulla situazione milanese.

    Comitato No Expo

    2 settembre 2010

  3. Bel racconto tristemente verosimile e divertente.

    Sul Boeri candidato segnalato da Marco, non so. E’ una persona nota e stimata da molte parti, la politica di Milano è da sempre in mano ai grandi costruttori, Boeri conosce molti meccanismi dall’interno e su certi argomenti (gli scellerati parcheggi sotterranei voluti da Albertini) ha posizioni condivisibili (schierato contro i box in piazza Leonardo Da Vinci). Però proprio queste competenze e frequentazioni megaedilizie lo allontanano dai problemi dei milanesi alle prese con lo sfaldamento del tessuto dei loro quartieri a causa dei gandi lavori (il quartiere Isola, per esempio). Ogni volta che sento parlare di giardini verticali diffido: sono quelli in cui i bambini non potranno andare a giocare, una presa per il fondello.

  4. “Lavoro per il Dipartimento governativo di Archeologia Celtica, ricostruisco il passato di Milano.”

    :-)))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))

  5. “voluto dalla Gilda dei Libertari per emanciparci”

    gianni, ma parli della “scandalosa gilda” che cantava “amado mio”?

    sai che non ho capito bene?

    per il resto anch’io mi complimento per questo racconto del presente, eh sì, proprio del presente, altro che futuro, abilmente da te camuffato. e divertente, come se son bastasse.

  6. Gianni,
    questo testo passerà dalla mia finExTRA.

    Boeri ha una storia un po’ più complessa.
    Credo sia molto più attento: vedete Sarno, Cityrom e il laboratorio Multiplicity.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

    P.S.: Gianni Biondillo aspetto le tue risposte con pazienza, sono siculo non lombardo :-)

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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