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Avventure 9 (fine) – Famiglia

di Giacomo Sartori

Il rilevatore che arriva nella corte della masseria è stanco, si domanda che senso abbia questo suo accanimento a nutrirsi di vento. La costruzione settecentesca ha una loggia aperta alla brezza della valle, e le chiazze di sole sulla facciata e sulla signorile terrazza fanno pensare a un acquerello inglese, ma proprio davanti sono stati eretti due capannoni di cemento armato per le galline. E anche la cucina nonostante l’alta volta e gli stucchi è una cucina di contadini poveri. Il padre mangia chino in avanti sul piatto e intanto parla, e quando parla nessuno lo interrompe. Strappa il pane con le mani che sembrano troppo grandi, e poi lo strascica nel piatto con la risolutezza di chi si sente dalla parte del giusto. Si lamenta dell’etichettatrice elettronica per le uova che le nuove leggi comunitarie lo obbligheranno a comprare. Il figlio che gli sta di fronte ha una faccia liscia di ragazzo di buona famiglia, non sembra essere uscito dalle sue rughe dure. Studia al liceo classico. La figlia al suo fianco ha scelto invece di fare la parrucchiera, perché non ha voglia di studiare. Ha una fessura tra i pantaloni e la maglietta, si direbbe la bocca della sua incontrollata sensualità, un inno alla vita. Il padre sostiene che non è giusto che una ragazza non possa aprire un salone di parrucchiera solo perché non ha ancora sedici anni, e come sempre il rilevatore non sa se è d’accordo, ma è soggiogato da quell’uomo che mangia con l’appetito inconfondibile della rettitudine e dei mestieri fatti bene. Per qualche motivo la simpatia è ricambiata: gli offrono il loro vino scuro, e poi dell’uva piccola e raggrinzita sui graspi, ogni acino è una paradisiaca vampata di aromi antichi. Anche la madre è intelligente e schietta, deve essere stata bella come la figlia. Mentre risponde alle domande che gli fanno il rilevatore fatica a tenere lontani gli occhi dalla fenditura tra i jeans e la maglietta della ragazza. A più riprese ha l’impressione che lei faccia apposta a offrirgliela. Forse la madre e il padre l’hanno notato, ma non gliene vogliono, vogliono piuttosto sapere di lui, della sua vita. Prima ancora di deciderlo confida allora dettagli che di solito tace, come lasciando socchiuse delle porte, indicando delle direzioni. Ma anche lui vorrebbe sapere il più possibile di loro. Ogni parola si è fatta pregnante e essenziale, come qualche rarissima volta succede. Si direbbe che ognuno cerchi delle risposte per tutto. Una parente anziana porta il caffè e raccoglie i piatti in silenzio, anche lei attenta a ogni respiro. Uno zio ascolta ansimando e interviene con le frasi smorzate di chi è abituato a parlare da solo. Quando il pasto è finito già da un pezzo la ragazza saluta con un sorriso impacciato ma anche monello il visitatore occasionale e trotterella via. Al pensiero che non la rivedrà più lui prova una fitta sotto il cuore, quasi uno strappo. Ma anche ne è sollevato: così è più facile. L’allevatore gli chiede la sua età, e solo allora si rende conto che nonostante le scarificature sulla pelle non è affatto anziano: deve avere appena qualche anno più di lui. Più tardi, finito il suo lavoro, si prepara ad andarsene. Lo zio insiste per regalargli un bottiglione del vino scuro, e gli racconta che prima stavano in pianura e coltivavano il riso, ma poi dopo la disgrazia del suicidio di un familiare sono venuti lì in collina, e si sono messi a allevare le galline. Proprio in quel momento la ragazza esce sull’aia allo stesso tempo principesca e misera con dei pantaloncini diventati troppo piccoli e una maglietta senza maniche che le schiaccia e valorizza il seno prepotente. Questa volta è uscita per lui, nonostante il rigore dell’autunno si aggira cercando una scusa per stare lì. Appoggia una spalla al muro, inclina la testa e batte l’acciottolato con le gambe paffutelle come farebbe un vitellino. Il rilevatore si sforza di non guardarla, ma allo stesso tempo vorrebbe che almeno capisse che lui non la fissa solo per riconoscenza per quella famiglia nello stesso tempo contemporanea e ancestrale dalla quale fa tanta fatica a staccarsi. La ragazzina sta un po’ ad ascoltare, poi rientra in casa. Il cielo si sta spegnendo, presto appariranno le prime stelle. L’allevatore gli dice di tornare quando vuole, magari d’estate quando saranno mature le albicocche. Ma la domenica, gli altri giorni lavoriamo, aggiunge stringendolo con le sue mani enormi e secche di fatica. La pedissequità ha ripreso il sopravvento. Costeggiando i brutti capannoni con i polli il rilevatore si domanda chi era il parente che ha ripudiato la vita, perché lui lo ha fatto.

[qui finisce, perché prima o poi tutto si sfilaccia e finisce, anche le narrazioni brevi, la (mini)serie di questi testi; li ho scritti, lo dicono le puntigliose date dei files, nell’autunno del 2003; non piacciono a tutti, e in un certo qual modo spero non troppo narcisistico mi stanno simpatici anche proprio per questo; gs]

[l’immagine: Luca Coser, “L’Avventura”, 100 disegni tecnica mista su carta, cm 18×21,5]


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giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016) e Baco (Exorma, 2019). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese.
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