per non restare stupida – un romanzo di formazione

di Laura Barile

Si vede una bimba in un costumino a righe degli anni trenta, capelli al vento, colta nel balzo delle lunghe gambette che salta ambedue gli scafi del patino: spiaggia di Riccione. E’ la foto di Luciana Castellina in copertina del suo La scoperta del mondo (nottetempo 2011). Il libro, autobiografico, è giocato su un diario ritrovato su quaderni di scuola di se stessa fanciulla (vedi foto dell’autografo nelle illustrazioni). I vecchi quaderni, in corsivo, costituiscono il filo rosso, il racconto dal vivo, intorno al quale sorgono altri ricordi, riflessioni, battute, commenti, quasi un dialogo mai nostalgico ma sempre intelligente e spiritoso, della Castellina di oggi.

Dal 25 luglio del 1943 – l’arresto di Mussolini interrompe la partita a tennis con la compagna di classe, la quattordicenne Anna Maria Mussolini – all’iscrizione quattro anni dopo, fine ottobre 1947, al PCI con tessera n.2158861, questo libro racconta un percorso appassionato che in quei pochi ma fondamentali anni fra la fine della guerra e la nascita della repubblica, attraverso alcune spericolate e a volte pericolose, ma sempre entusiasmanti avventure portano il nostro eroe Luciana alla consapevolezza di sé e del mondo – e alla militanza.

L’intenso e avventuroso percorso dalla buona borghesia pariolina e ebraico-triestina, e dal “bel mondo” delle feste, alla federazione romana di piazza Sant’Andrea della Valle è anch’esso un grosso salto davvero, che testimonia il temperamento curioso e appassionato della fanciulla: che vuole capire. Vuole capire come è fatto il mondo e chi è lei stessa, proprio come Alice e con la stessa improntitudine nel porre domande che ha l’eroina di Lewis Carroll.

Si tratta dunque di un romanzo di formazione al femminile (cosa rarissima), che si svolge nel passato prossimo della nostra storia, e si inserisce in una linea famigliare matrilineare di grande vivacità. Il romanzo, non volendolo, obbedisce sul piano stilistico ai canoni del romanzo moderno: è fatto di frammenti e aneddoti del vecchio diario mescolati a dialoghi, narrazioni e riflessioni successive. Così facendo il libro restituisce dal basso, dall’ottica di una ragazzina, un pezzo della Storia intricata di quegli anni. Ma, contrariamente al “non conclude” dei romanzi moderni, questo corre al suo fine: a quella scelta politica della quale, scrive l’autrice, “non mi sono mai pentita”.

Il Partito è per lei uno strumento per guardare il mondo e non “restare stupida”. E’ anche uno strumento per capire com’è fatta l’Italia, nella gavetta della militanza di base, dura e faticosa nelle borgate romane a convincere le donne proletarie della loro appartenenza a un grande movimento internazionale in marcia verso il socialismo, come scrive non senza un sorriso.

Anche Amelia Rosselli compì negli anni ’50 (aveva un anno meno, era del ’30) un analogo salto, pur se molto meno divaricato, rispetto alla sua origine: e fu proprio nel lavoro faticoso della militanza di base, come spesso ricordava, incurante dello scarso o distratto ascolto.

Si ha l’impressione che l’autrice abbia potuto abitare la propria casa, grazie all’intelligente affetto familiare e della madre, come una figlia e insieme come un’estranea avventurosa e felice. La freschezza della voce della fanciulla è intatta e si riflette nella voce della scrittrice di oggi, che serba il suo timbro trasparente e aperto. In questo forse consiste il “midollo” comune, come lo chiama Castellina, alla sua generazione: nell’impegno vissuto (sono parole di Calvino) “senza risparmio, con grande gioia e libertà più che baldanza”. Era la generazione che aborriva, con mitica espressione giunta fino a noi, di stare “a guardarsi l’ombelico” …

Fra compagni di liceo e compagni di partito sfilano in queste pagine molti degli intellettuali, dei politici e degli artisti che hanno fatto l’Italia. Molti architetti e pittori, che la protagonista segue con interesse particolare: dalla sua conferenza di liceale sul cubismo, all’esposizione di via Margutta di Dorazio, Perilli ecc. sotto l’egida di Guttuso nel marzo del ’46. L’aria del tempo spira dai titoli dei film: “20 maggio 1945. In coda al film Sette ragazze innamorate, che hanno dato al Cinema Moderno, viene proiettato un documentario sui campi di concentramento in Germania. Possibile che sia accaduto tutto questo?”. E poi: “16 maggio 1946. Com’era verde la mia valle. Il film mi fa molta impressione …”; “7 dicembre 1946. Un film bellissimo al Capranica: Casablanca”.

Il ginnasio, i nuovi compagni del liceo Tasso,fra spostamenti familiari, parenti ebrei nascosti, ashkenazi (i Liebman), sefarditi (i Modiano) e italiani (gli Ascoli): la ragazzina cerca di decifrare la complicata realtà del biennio di guerra1943-45. Ma nell’ultima parte del libro arriva la vera “scoperta del mondo”: che inizia a Parigi nell’aprile 1947, con la pittura e le caves esistenzialiste. La ragazza Luciana sfugge alla famiglia “per bene” alla quale è affidata, vive anche la notte e incontra e intravede tutto quello che c’è da vedere a Parigi nell’aprile del 1947. Impavida segue la sua curiosità, il suo fiuto, il suo proiettarsi verso le cose che accadono (il fuori!) e non “ l’ombelico”.

La via della conoscenza passa per lei attraverso il Fronte della Gioventù e i primi congressi universitari (“non vedo l’ora di uscire da questo maledetto liceo!”): la prima conferenza nazionale del PCI, i primi scioperi, e finalmente, appena data la maturità nel luglio 1947, Praga. A Praga Castellina si aggrega al Consiglio dell’Unione Internazionale studenti guidati da Giovanni Berlinguer al Festival Mondiale della gioventù. Festival che segna davvero la fine della guerra: è un’esplosione di gioia in una babele di lingue dove i giovani scoprono la politica e l’amore, pur nella rigida castigatezza di costumi della sinistra italiana di allora.

Da Praga Luciana decide di non tornare a Roma con i compagni, ma, compiendo un viaggio lunghissimo nell’estate 1947 nelle tradotte attraverso l’Europa distrutta ( esperienza già di per sé non da poco!), arriva al campo di Zenića dove alloggiano i giovani della brigata internazionale dei volontari che costruiscono in Jugoslavia la ferrovia che collega Šamac a Sarajevo. Faticosissimo e duro lavoro: lei è lì anche per capire meglio, dice, la questione di Trieste per cui ha combattuto l’amato nonno, il problema con gli slavi, il fascismo degli italiani. E questa sarà una grande finestra spalancata sul mondo.

La fuoruscita dal proprio ambiente, che non ha più orecchie per ascoltarla né più le interessa, è già avvenuta – ma sono decisive al compimento di questo viaggio nella coscienza civile e politica, le elezioni amministrative del 12 ottobre 1947 a Roma (lei ancora non vota, le manca un anno ai 18), con la sconfitta del Blocco del Popolo (socialisti e comunisti). Castellina ha appena preso la tessera, ma capisce bene che: “Sta iniziando un’altra stagione, più complessa. Il mondo che si era miracolosamente aperto, si sta chiudendo. La gioia è finita”. E quanto alla gioia, alla felicità che percorre il libro: viene in mente la poesia Saba, di Vittorio Sereni, che chiude con l’imprecazione del poeta triestino dopo le elezioni del 18 aprile 1948: “(…) Lo diceva all’Italia. Di schianto, come a una donna / che ignara o no a morte ci ha ferito.”

Nel segno della consapevolezza della strada in salita- ma anche con una struggente nostalgia infine appena accennata per quegli anni e quel senso di appartenenza a qualcosa di più vasto – si compie dunque il percorso di formazione narrato da questa indomita Alice del ventesimo secolo, colta nell’ultima illustrazione in un vivace atteggiamento (dalla copertina del quotidiano ecologista “Terra”), il giorno del suo ottantesimo compleanno: 9 agosto 2009.

L. Castellina, La scoperta del mondo, nottetempo (2011), pp. 296, eu 16.50.

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3 Commenti

  1. Dopo i bellissimi “La ragazza del secolo scorso” di Rossana Rossanda e “Volevamo la luna” di Pietro Ingrao non intendeno perdermi questo di Luciana Castellina. Grazie della segnalazione (e della recensione), non sapevo di questa uscita.

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