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Overbooking: Fabio Sebastiani

Aforismi: solo forme, only for me
di
Gigi Spina

Bello poter scrivere la recensione di un autore che non si conosce personalmente. Primo vantaggio. E poi, il volume ha già una sorta di pre-recensione (di Raul Mordenti, “Il sacrificio della parola banale. A mo’ di introduzione” pp. 7-12). Secondo vantaggio. Terzo: anche l’autore, Fabio Sebastiani – stiamo parlando e parleremo di “Concerto per aforisma (quasi) solo”, Zonacontemporanea 2011 – premette una ‘”Nota” (pp. 13-16), in cui fornisce a lettori e lettrici utili istruzioni per l’uso, accanto a una personale poetica dell’aforisma. La nota contiene, già all’inizio, un bell’aforisma: “L’epoca della ‘riproducibilità tecnica’ si è di fatto trasformata nel suo opposto, ovvero nella ‘tecnica della riproducibilità’”. Lo so, un po’ troppo ‘spiegato’ per essere un vero aforisma, ma tale da prepararci alle pagine che leggeremo con grande curiosità e, alla fine, con gran piacere della mente.

Fabio Sebastiani entra, col suo volumetto, in una tradizione nobile. Secondo Gino Ruozzi, uno dei massimi studiosi delle forme brevi, “in Italia l’attenzione per il genere dell’aforisma è notevolmente cresciuta nell’ultimo decennio, così da avere almeno in parte colmato un vuoto che ci separava dagli altri paesi europei, in particolare Francia e Germania” (introduzione a AA.VV., “Teoria e storia dell’aforisma”, Bruno Mondadori, Milano 2004, p. IX). Per capirne di più, un altro bel volume è “La brevità felice. Contributi alla teoria e alla storia dell’aforisma”, a cura di Mario Andrea Rigoni, Marsilio, Padova 2006. Ma soprattutto, per leggerne di più (di aforismi), fondamentali sono i due volumi dei Meridiani (Milano 1994,1996), curati da Gino Ruozzi, “Scrittori italiani di aforismi”.

Ora, pensare e scrivere aforismi è un’arte raffinata e particolare. Frutto di una ‘contrainte’, di un’autocostrizione. Voler ascoltare le sirene, ma farsi legare all’albero della nave per impedirsi di raggiungerle. Voler comunque usare le parole, ma legarsi alla forma breve per evitare il compiacimento dell’argomentazione. Cosicché la ciurma dei marinai, insomma lettori e lettrici, ti vedano contorcerti nel tormento della concisione e ne traggano spettacolo edificante.

Seneca, che di aforismi ne capiva, tant’è che ne regalava spesso, in forma di sententia, all’amico Lucilio, a suggello di molte lettere, faceva riferimento a un’esperienza musicale (epistola 108). La musica, del resto, come dirò meglio fra poco, organizza e modula gli aforismi di Sebastiani, fin dal titolo del volumetto.
Seneca parlava della costrizione del verso rispetto alla prosa e della sua efficacia quando un filosofo inframmezza versi a precetti salutari, per farli penetrare più a fondo nelle menti degli ignoranti. E citava una riflessione di Cleante di Asso, filosofo stoico: quando soffiamo dentro una tromba, il nostro soffio, incanalato dentro quel tubo lungo e stretto, attraverso l’apertura più ampia produce un suono più squillante. Così, la rigida costrizione del verso rende i nostri sentimenti più limpidi.
Il concerto di Sebastiani per aforisma (quasi) solo si organizza, come ogni concerto che si rispetti, per movimenti musicali (tecnicamente ‘indicazioni agogiche’), che istruiscono gli strumenti (la voce, il pensiero, l’occhio del lettore/lettrice?) ad eseguire alla perfezione. 18 movimenti, dall’Adagio misterioso all’A piacere. Raul Mordenti fa già il punto nell’Introduzione; starà poi a ogni lettore/lettrice, come a un direttore d’orchestra, adattare alla sua sensibilità quelle istruzioni di esecuzione.

Ma c’è un’altra struttura che organizza gli aforismi e li divide in blocchi – caratteristica, del resto, che è d’obbligo per ogni libro di aforismi: di una ripartizione c’è bisogno, che sia tematica, cronologica, stilistica o di altro tipo. Ogni blocco, corrispondente a un movimento, si apre con un paio di righe in corsivo: aforisma esso stesso, il corsivo tematizza in qualche modo la sezione. A me sembra anche di individuare quasi sempre un legame fra l’ultimo aforisma della sezione e l’aforisma-corsivo della sezione successiva, quasi un riprendere il pensiero da un’angolazione diversa o, per meglio dire, con un diverso movimento. Anche in questo caso, sarà il lettore/lettrice ad aguzzare l’ingegno.
Non conoscendo Sebastiani, ed essendo l’aforisma un punto di vista assolutamente e costitutivamente autobiografico, diciamo ‘il proprio modo di guardare il mondo’, lo immagino (certo, ho letto la sua ‘nota’ introduttiva) come uno scrittore intransigente, che al consumo usa-e-getta preferisce senza alcun dubbio il dono generoso della condivisione profonda, la sfida dell’interpretazione che genera altre interpretazioni, rinnovando continuamente un testo.

Ho deciso, mentre scrivevo questa recensione, di non citare nessuno degli aforismi di Sebastiani, per evitare quella sorta di ‘quale ti è piaciuto di più?’ o ‘cos’hai provato?’ che costringe – costrizione, questa sì, fastidiosa – i nostri sentimenti e i nostri pensieri in caselle strette di questionari d’incomunicabilità.
Dico solo che ‘eseguire’ le sue pagine è stata un’esperienza importante, un passare in rassegna, attraverso lo sguardo di un altro, fasi e momenti della propria vita, allegri e tristi, spensierati e profondi, (ri)conquistare idee e perderne altre, consentire e dissentire, sbilanciarsi fra pessimismo e ottimismo (che poi, intelligenza e volontà non hanno accoppiamento fisso!); e, soprattutto, desiderare di saper pensare per aforismi, che sono il contrario delle verità assolute, dogmatiche e definitive. Proprio no: sono l’istantanea fedele della complessità, contro la semplicità della superficie.

Gli studiosi dell’aforisma fanno riferimento, tradizionalmente, all’etimologia greca della parola: definire, segnare un confine, distinguere (il verbo ‘horízo’), a partire da (la preposizione ‘apó’). Da grecista, mi piacerebbe invece – anche se so che non è possibile – che nel composto si sentisse il verbo ‘horáo’, il verbo dello sguardo, del vedere, quello stesso dell’ ‘idea’. Perché, cos’altro è un aforisma se non esercitare gli occhi della mente a guardare le sirene e descriverle al meglio, con poche e essenziali parole, senza farsene vittima?

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2 Commenti

  1. Quest’attenzione alla poetica dell’aforisma ricorda l’avvento dell’epigramma prosastico in forma di epistola nella letteratura greca di età ellenistico-romana. Da questo punto di vista si potrebbe parlare di “over-prose” (o di “under-poetry”).

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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