les nouveaux réalistes: Barbara Gozzi

JE_lutte_des_classes

La prima persona

di

Barbara Gozzi

 

Erano anni che non usava la prima persona e non le viene granché bene.

L’ultima volta era il 1997 anche se poi aveva dovuto riprendere tutto nove anni dopo quando era sbucato l’editore, ma non le va di ricordate per filo e per segno di quando aveva creduto davvero che un suo libro potesse essere scovato in libreria.

La prima persona – comunque – non è adatta a chi vuole scrivere di cose importanti, negli ultimi quindici anni lo hanno detto in tanti, lei l’ha solo lasciato entrare nella sua testa. E ora che deve scrivere in prima persona non sa bene come muoversi, dove mettersi, come impugnare la penna, come sistemare il bloc-notes sulle ginocchia. Con cosa iniziare.

Perché può scrivere solo in prima persona, a un morto si scrive in prima persona, la si potrebbe chiamare lettera. A lei non sembra di voler scrivere una lettera, comunque.

 

Quando è morto il cielo era bianco, è stato bianco per alcuni giorni, e lei ha creduto che sarebbe rimasta immobilizzata a fissarlo per sempre. Naturalmente non è andata così altrimenti non sarebbe in riva al mare, ora.

Quando è partita stavano crescendo le prime piante sul balcone, in particolare un rampicante s’era messo in testa di colonizzare tutta la ringhiera e spargeva campanelle d’un viola scuro brillante, qualcuna tendeva al rosa e bordeaux. Ogni tanto se lo chiede ancora, come se la cavano le piante sul balcone, non abbastanza da fare una telefonata, comunque.

 

La prima persona non la aiuta per niente. L’aria è fresca, il mare davanti a lei sonnecchia vagamente nervoso, e scrivere non le viene proprio. La testa è rimasta intrappolata nei programmi per il resto della giornata, oggi al bar ha il turno che inizia alle venti e ci sarà un continuo andirivieni ne è sicura, turisti in vacanza, i soliti gruppi di zona in cerca di qualcos’altro di nuovo da ieri, l’altro ieri, e tutte le precedenti notti di quest’estate che procede a singhiozzi. Daniel è il proprietario del bar ed è sempre nervoso, prima di assumerla sua moglie aveva avuto un ictus, da allora si assenta spesso, e lui detesta assentarsi perché al bar tiene molto, l’ha ereditato, non serve aggiungere altro.

Stasera Daniel ci sarà perché l’aiuto cuoco s’è beccato l’ennesimo virus intestinale e non potrà tornare prima di una settimana. Le imprecazioni di Daniel sono sonorità che alle sue orecchie italiane arrivano sottoforma di musica, fanno torciglioni e s’incurvano lungo il canale uditivo.

 

La morte è sorprendente, ma il silenzio è destabilizzante. Credeva di conoscerlo, quasi le va di traverso un grumo di saliva. Non sapeva un bel niente. Il più delle volte non sa granché delle cose poco importanti della prima persona. Dopo la sua morte s’è messa a correre. Ha corso in ogni azione che ha fatto, e se non c’era niente da fare se l’inventava o trovava nuovi lavori, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non fermarsi. Il silenzio – ovunque fosse – era bloccato tra una contrazione muscolare e la necessaria reidratazione periodica via cannula.

Alla fine s’è fermata, comunque.

Il lavoro non bastava più, le hanno mandato i solleciti dei solleciti per i mancati pagamenti delle bollette e le è venuta una bizzarra reazione che a ogni nuova chiamata che riceveva il cuore prendeva a batterle direttamente in gola, martellava sulle corde vocali, e non le riusciva di articolare suoni scomponibili in parole di senso compiuto. Niente, a parte sibili e versi che potevano anche sembrare imprecazioni o pernacchie.

 

La faccenda del lavoro non era nuova anche prima che lui morisse, comunque.

Che nemmeno è una faccenda, in effetti. Pochi soldi ovunque, non serve aggiungere altro.

 

Alla testa arriva direttamente in prima visione l’ultima volta che si sono visti. L’abbraccio. L’odore di colonia. Un vago strofinio tra i tessuti dei vestiti.

Sul volto le si forma una smorfia istantanea.

Da ragazza era genuinamente romantica, ora le danno fastidio un sacco di cose, compresi i pensieri come quello. Compreso l’esser toccata. E non ci si può abbracciare senza toccarsi. Ma all’epoca era tutto lontano, inimmaginabile, comunque. Che lui morisse era inimmaginabile. Non prima di lei, comunque.

 

Dov’è ora gli sarebbe piaciuto, è uno di quei posti che assembla ingredienti di cui avevano anche parlato, anni prima, le tipiche immaginazioni dei luoghi da vistare che poi evaporano ogni giorno un po’. Se socchiude gli occhi sta proprio lì, in piedi davanti a lei a oscurarle il sole prossimo a congedarsi. Si sta lamentando, non basta il vento a portarsi via il borbottare continuo che sempre aveva. La sabbia dentro le scarpe, l’aria sul collo, se si siede il culo per terra gli si raffredda, i ragazzini laggiù finiranno per centrarlo col pallone, s’annoia, gli servono un paio di caffè e in questa stramaledetta spiaggia i locali stanno tutti sul lungomare, bisogna rifare a piedi tutto il tragitto tra la sabbia, è stanco, o il caffè o se ne va, non gli riesce di tenere aperti gli occhi, sta salendo un certo umido è impossibile che lo senta solo lui.

Infatti lei ha i piedi freddi. Le ciabatte se ne stanno scomposte poco distante. Se l’è sfilate di fretta prima di sedersi col bloc-notes in mano, l’acqua del mare le sfiora appena le dita dei piedi quando le onde raggiungono il bagnasciuga. Niente telo, se lo dimentica sempre (è diverso vivere vicino al mare, quando ci andava in vacanza aveva una sacca di quelle enormi, di plastica colorata, con tutto l’occorrente per la spiaggia, viverci invece azzera ogni programma, non importa più cosa ricorda di portarsi uscendo di casa). Fa più freddo, hai ragione. Se ti muovi rientriamo. Ancora un minuto.

 

Non le viene in mente l’incipit. Non scrive da prima che lui iniziasse la vita medica. Ha avuto un anno intero di vita medica, lui, lei no, ha avuto qualcos’altro che non le riesce di qualificare. Ha aspettato, ogni tanto ha chiesto, per lo più comunque ha aspettato. Nel frattempo son tornati i figli, gli amici di quando lavorava, perfino l’amante è tornata, e quell’altra che per un po’ ci aveva creduto. Poi è morto. E son continuati a tornare in tanti, su di lui. L’orizzonte ora gioca con alcune tonalità di blu, il cielo presto si venerà di altri colori. Ha lasciato tutti gli oggetti nella casa col balcone, in Italia. I libri. Le fotografie. Il quadro con la dedica sul retro. I regali. Perfino le mail e i messaggi, sono rimasti in Italia, dentro il pc e il cellulare. Tutto è rimasto dov’era stato riposto quando morì. Quando iniziò il silenzio. Quando ancora ignorava che la prima persona ha una vita propria, che rivendica, e le impedisce di barare o tentare scorciatoie.

Non può comunicare con lui senza parlare a lui.

Il bloc-notes è pieno di scarabocchi, parole storte e cancellate, simboli e immagini disegnate senza un perché, alcune forme si son fatte largo mentre fissava il mare.

Non può parlargli senza ricordare che è morto.

Non può ricordarsi che è morto senza assistere al frastuono di qualcosa che le scoppia dentro.

 

Dovevi lasciarmi prima, anziché aspettare di saperlo. Prima, molto prima.

 

Quando è partita non l’ha detto praticamente a nessuno. Una bella storia da raccontare, lasciare tutto, paese natale compreso, e non avvisare nessuno. Proprio una bella storia, se solo la prima persona le desse tregua. Ha le dita rattrappite per il freddo. Il turno al bar inizierà fra meno di un’ora, le resta il tempo per una doccia e un trucco leggero.

Abbassa lo sguardo sulle ultime frasi scritte.

Cancella quasi tutto con movimenti curvi della penna, lavora di polso.

Osserva le nuvole fresche di inchiostro poi le uniche parole rimaste. molto prima.

È arrabbiata.

Son parole senza senso, le sue. Vuote. Inutili. Le legge e si sente ridicola, ridicola comunque.

Raggiungere la via del lungomare le sollecita i polpacci, le ciabatte scivolano sulla sabbia dura, il ragazzino con la palla la saluta, ha un ciuffo gonfio e scuro sulla fronte, il suo amico sta parlando al cellulare. C’è una melodia nell’aria, forse suonano già lungo la strada, di solito aspettano l’imbrunire. Alcune pagine del bloc-notes finiscono nel grosso cestino grigio lucido al limite della spiaggia, accanto ai resti di alcune coppette di plastica fosforescenti, pezzi di tovaglioli di carta e noccioli di frutta.

Le parole che cerca non esistono, non serve aggiungere altro.

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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