Come un film francese

di Giacomo Verri

saporito

C’è uno scrittore dalla penna annebbiata, uno che ha scritto quella manciata di romanzi e poi si è perso. Come tanti, in fondo. Però il fatto di aver nella vita pubblicato delle pagine lo pone al di là di una linea d’ombra, una frontiera oltre la quale gli è riconosciuto ufficialmente un ruolo intellettuale ambiguo, difficile, a tratti tragicamente ridicolo. Il protagonista dell’ultimo romanzo di Roberto Saporito, Come un film francese (Del Vecchio editore, pp. 135, euro 14), è infatti uno scrittore a cui viene affidato, nonostante gli anni di assenza dagli scaffali reali e virtuali delle librerie d’Italia, un corso di scrittura creativa; ruolo beffardo e disciplina equivoca, ma che rappresentano a tutto tondo uno dei vizi dell’editoria che insegue chimere: “questa è la mia piccola rivincita”, spiega il protagonista, “insegno qualcosa che nessuno mi ha mai insegnato e che sono sempre più fermamente convinto che non si possa insegnare”.

E tuttavia il corso ha successo, le diciotto ragazze assiepate tra i banchi idolatrano il loro maestro (che sfrutta l’aria da intellettuale fascinosamente trasandato come stimolante antidoto alle piretiche attrazioni del gentil sesso verso il macho-calciatore-esibizionista), i maschietti un po’ di meno, ma tant’è. La ninfetta più appassionata è Carlotta, ventun anni, “bella di una bellezza frutto di generazioni di innesti di donne bellissime con uomini ricchissimi”. Scopano in maniera moderatamente sfrenata, sopra al letto è appesa “un’enorme e originale tela di Jean-Michel Basquiat”, lei ha una quantità lussureggiante di soldi, una Cinquecento a pois molto molto chic e molto smart, e ha pure la sindrome della salvatrice, vuole riaccendere senza indugi il fuoco sacro della scrittura nel professore disilluso e questi, tra una seduta di sesso e un’altra, si lascia condurre nelle belle dimore della facoltosa studentessa.

In “una villa-palazzotto di pietra grigia della fine dell’Ottocento, direi, a metà strada tra Antibes e Cannes”, avviene un incontro importante: quello con una fanciulla dagli occhi verdi e i capelli rossi cortissimi: c’è un viaggio nella notte a bordo di una Vespa viola, c’è una Gauloises, c’è un bacio. La proprietaria della labbra osculanti è Lea, liceale ricca ereditiera.

E ancora della diciassettenne Lea è la voce narrante della seconda parte del libro. Lea la bella, Lea la trasgressiva, inusuale e spiazzante Lea. Assieme a Martina intraprende un allucinante viaggio verso Londra a bordo di un Maggiolino del 1969, rosso, quanto di più vintage si potrebbe immaginare. Al duo si aggiunge, da qualche parte in Francia, Anny. Insieme vivono una serie di ricamboli tarantiniani che epilogheranno al Père-Lachaise. E tra lazzi e disincantate malinconie Roberto Saporito ci fa conoscere un personaggio divertente, cinico e innamorato a un tempo, di quella disperazione leggera che si respira nei film francesi di una volta.

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davide orecchio
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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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