Infanzia salentina

di Nicola Fanizza

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( pubblico un estratto del libro di Nicola Fanizza Maddalena Santoro e Arnaldo Mussolini, edizioni del Sud, 2016, la cui presentazione avverrà oggi a Milano 21 gennaio 2017 alle ore 12.30 presso Superstudio più via Tortona 27. Interverranno Aldo Giannulli, Giovanni Carosotti, Federico La Sala. g.m.)

Il 7 gennaio 1936, Francesco Morelli, funzionario della polizia politica di Milano, si recò in via Conservatorio n. 17, dove abitavano la scrittrice Maddalena Santoro e il suo convivente, il conte Paolo Alberto Colombini. Il funzionario aveva ricevuto l’ordine di requisire al conte i telegrammi spediti dalla Segreteria particolare di Benito Mussolini.

Colombini scriveva libri per ragazzi e nei due anni precedenti aveva donato al Capo del governo alcune sue pubblicazioni: a ciascun omaggio – quattro libri in tutto – aveva fatto seguito un telegramma di ringraziamento da parte di Osvaldo Sebastiani, il segretario particolare del duce.

Quest’ultimo, insospettito, però, per l’insistenza con cui il Colombini aveva chiesto di essere da lui ricevuto, fece assumere informazioni dal Prefetto di Milano; e appurò cosi che si trattava di un pregiudicato dalle numerose condanne – una decina per truffa, falso in passaporto, falso in cambiali, ecc. – e che da circa un anno era diventato l’amante di Maddalena Santoro.

Dopo aver letto il nome della scrittrice salentina, ed essendo consapevole che la Santoro era stata l’amante del fratello del duce, Sebastiani informò subito Benito Mussolini, che, a sua volta, diede l’ordine al capo della Polizia di attivarsi per sequestrare i quattro telegrammi della Segreteria che erano nella disponibilità del conte.

Il funzionario incaricato del prelievo nella sua relazione scrive: «Ho adempiuto, recandomi al 2° piano nel sontuosissimo appartamento di via Conservatorio 17, ove il Colombini è andato a installarsi da circa sei mesi, raggiungendovi l’amante, la signora Maddalena Santoro (…). Durante la conversazione fra me e il Colombini, la signora Santoro è intervenuta per dichiarare la sua viva apprensione che il mandato da me assolto fosse ispirato da “prevenzioni” non contro di “lui”, ma contro di lei. L’ho rabbonita e il colloquio si è concluso amabilmente»1.

Maddalena Santoro aveva detto al poliziotto che quel mandato si configurava come un atto ostile nei suoi confronti, lo avvertiva come una minaccia, come un avvertimento, era come se le avessero detto: ti stiamo col fiato sul collo e attenzione a come ti muovi!

Sapeva, infatti, di essere controllata e aveva buone ragioni per ritenere che quel mandato non fosse ispirato dalle «prevenzioni» sul possibile uso che il Colombini avrebbe potuto fare di quei telegrammi, ma rientrava, invece, a pieno titolo nello stillicidio di intimidazioni e persecuzioni messe in atto dal duce nei suoi confronti.

Le persecuzioni erano iniziate nel dicembre 1931, allorquando Benito Mussolini, dopo la morte di suo fratello Arnaldo, aveva dato l’ordine alla polizia politica di controllare tutti i suoi movimenti. Che cosa temeva Mussolini? Perché aveva dato l’ordine di sottoporla ad assidua sorveglianza? Perché venivano controllati tutti quelli che entravano in contatto con lei? Quali erano i segreti che la Santoro custodiva?

La risposta alle domande di cui sopra sono rinvenibili nelle pagine che seguono, le quali sono incentrate sulla vita, sugli amori e sulle opere di Maddalena Santoro, una scrittrice che, a partire dal secondo dopoguerra, è stata estromessa dal panorama letterario del Novecento.

La mia attenzione nei suoi confronti è in larga parte ineffabile. Fra i motivi che mi hanno spinto a scrivere c’è la casualità legata a un furto avvenuto a Mola nel giugno 1997. I ladri riuscirono a trafugare parte dei mobili2 che, dopo la vendita del palazzo Pesce, erano stati depositati nella casa dello scrivente. E tuttavia, fortunatamente, abbandonarono per terra le lettere contenute in un comò. Si trattava delle missive inviate da Maddalena Santoro alla sua amica Caterina Tanzarella. La lettura di quelle lettere ha stimolato la mia curiosità nei confronti di un personaggio che, inizialmente, potevo identificare solo con il nome che compariva in esergo: Maddalena! Maddalena per diverso tempo è stata per me un’incognita, non riuscivo a identificare il suo cognome. Ciò nondimeno, col tempo, attraverso una lenta impazienza, sono riuscito a rendere meno opaca la sua immagine.

Non so quanti ricordino Maddalena Santoro, una singolare figura di scrittrice salentina; e quanti – meno ancora, immagino – conoscano le sue opere. Eppure, grazie alla sua attività di giornalista, di poetessa e di scrittrice di romanzi, era riuscita a ritagliarsi un notevole spazio nel contesto culturale del ventennio fascista.

Terza di sette figli – quattro femmine (Dolores, Ginevra, Maddalena e Regina) e tre maschi (Achille, Giuseppe e Michele) –, Maddalena Santoro nacque a Lecce il 13 dicembre 1884 da Saverio, avvocato e pubblicista, e dalla gentildonna Maria Elisabetta Lo Re.

Imparò a leggere e a scrivere, senza difficoltà, prima che avesse l’età richiesta per cominciare ad andare a scuola. Assisteva alle lezioni che sua madre faceva ai suoi fratelli maggiori, e apprendeva prima di loro. Aveva una memoria straordinaria. Le bastava leggere o ascoltare qualche cosa due tre volte, perché la potesse ritenere e ripeterla meravigliosamente.

Avviata agli studi, manifestò ben presto una spiccata intelligenza e una notevole sensibilità. Tuttavia, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, per le ragazze appartenenti alle famiglie di estrazione borghese non era per nulla scontato né usuale frequentare le scuole superiori. Tanto è vero che Saverio Santoro era intenzionato a far proseguire gli studi solo a figli maschi e giammai alle figlie femmine. Fu il direttore didattico a convincerlo a far iscrivere sua figlia Maddalena al Regio Liceo Palmieri di Lecce, dove diede prova di una notevole predisposizione verso la creazione letteraria.

Maddalena, a tale proposito, scrive:

«Ricordo perfettamente che a scuola, fin da piccola, mi appassionavo moltissimo allo svolgimento dei temi d’“Italiano” e detestavo la matematica. Una volta, avendo finito prima del tempo assegnato il compito in classe, mi misi a scrivere dei versi, senza aver mai studiato la metrica e senza averne sentito parlare.

La maestra, vedendomi assorta, s’avvicinò, e lette le due o tre quartine che quasi inconsciamente, certo senza alcuno sforzo, avevo composte, mi chiese:

  • dove le hai imparate? –
  • Che cosa?

La guardai stupita.

– Dove l’hai letta, chi t’ha insegnata questa poesia che hai scritto? – ella insistette, esprimendo con altre parole la medesima interrogazione.

– Nessuno, – risposi arrossendo, senza capire il lusinghiero significato di quella domanda, e piuttosto impacciata, anzi, quasi fossi stata sorpresa in flagranza di colpa! – Avevo finito il compito…. Non sapevo cosa fare, e….

La maestra s’allontanò, senza dare alcuna importanza alla cosa, convinta ch’io avessi messo sulla carta delle reminiscenze più che pensieri; io continuai a scrivere; e la poesia, spontaneamente sbocciata dal mio fresco spirito di bambina ancora ignara, fu pubblicata qualche mese dopo in un giornale di provincia, per desiderio d’un amico del povero papà mio, che ne era il direttore»3.

Maddalena era troppo sensibile. La sua eccessiva sensibilità non le consentiva di reggere alle emozioni forti. Quando sua madre morì per ragioni connesse alla gravidanza, Maddalena aveva appena tredici anni. Non ebbe nemmeno il tempo di abituarsi all’idea della sua morte. Ne fu desolata, ne fu sconvolta a tal punto da non poter mangiare per diverse settimane, da non poter addormentarsi per moltissime notti. Lo spettro della morte e, in particolare, il fantasma della morte di parto si farà latore di incubi che Maddalena cercherà di esorcizzare attraverso la scrittura.

Durante gli anni del Liceo, Maddalena stringe una forte amicizia con la compagna di classe Caterina Tanzarella, figlia del medico Gaetano, il quale fu deputato nel Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto dal 1873 al 1907. Caterina era nata a Ostuni e per frequentare il Liceo si era trasferita a Lecce, presso il collegio delle Marcelline. Questa amicizia durerà per tutta la vita ed è testimoniata da un intenso scambio epistolare.

Maddalena era una ragazza dolce e, insieme, determinata, era sempre indaffarata e non sprecava mai il suo tempo. Era ordinata in tutte le cose che faceva e non è un caso che all’anagrafe di Lecce, nella situazione di famiglia dell’avv. Saverio Santoro, Maddalena è indicata come «impiegatessa».

Era a tal punto diligente nello studio da spingere le sue compagne di classe a recarsi a casa sua ogni pomeriggio – mettendosi in coda – per poter ottenere le versioni da lei approntate dei brani di latino o di greco.

Nei periodi in cui non andava scuola, Maddalena si trasferiva nella villa di famiglia che era ubicata a San Pietro Vernotico, un comune che si trova a metà strada – venti chilometri – fra Lecce e Brindisi. Qui si immergeva nella lettura; scriveva poesie e novelle che, con l’aiuto del padre, venivano pubblicate sui giornali di provincia; e curava i rapporti epistolari con amici e scrittori.

Solo quando in estate si trasferiva a Marina di Castro lo splendore del paesaggio sostituiva nei suoi pensieri la scrittura: «la spiaggia non offre carta meno interessante: vorrai, dunque perdonare»4, è questo l’incipit della lettera che Maddalena invia, in data 27 settembre1919, alla sua amica Caterina Tanzarella.

Qui Maddalena prestava attenzione al vento, ne sentiva le voci e gli odori, così stranieri, leggeri e invisibili. Voleva restare lì per imparare ad ascoltare il vento, ad annusare, a porgere la mano al vento; come se fosse un compagno d’avventura; come fosse un antico conoscente, familiare e, insieme, affascinante, che ci prende per mano, fa volare le foglie e la polvere e per pochi istanti fa dimenticare della gravità che ci tiene attaccati alla terra. Sperava di essere accarezzata dalla brezza, voleva avvertirne il fremito sulla pelle e abbandonarsi, dolcemente, ai sogni d’amore. Sognava un amore fatto di vento, un vento che ti entra dentro, lascia i pensieri in tempesta e appena si allontana ti manca l’aria.

 

 

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1 commento

  1. A SCUOLA DA BRECHT – “MADDALENA SANTORO E ARNALDO MUSSOLINI” E I LIBRI DI STORIA:

    NON è CHE L’INIZIO! BENE! CONTINUARE LA LETTURA!!!

    E non fermarsi al primo “libro”!

    Il “carteggio” della seconda parte (pp. 109-154), è un altro “libro”: le 32 lettere che Maddalena Santoro, invia, dal 1919 al 1938, all’amica di Mola di Bari, Caterina Tanzarella, sono dei documenti storici di grande rilevanza, per sapere di più e meglio sia di questa donna salentina, intellettuale e scrittrice, fedele a se stessa e alla sua amica (e alla sua famiglia), sia del fratello del Duce, “il fratello di un Grande Fratello” (che, se “preferì restare nell’ombra”, come scrive Indro Montanelli nel novembre del 2000 – cfr. “Il fascino di Arnaldo Mussolini”: http://www.corriere.it/solferino/montanelli/00-11-09/01.spm, non per questo deve continuare a restarvi).

    Il coraggioso e originale lavoro di Fanizza, sia per la qualità della sua scrittura sia della sua preziosa documentazione storica sulla “storia d’amore che il duce voleva cancellare”, è una formidabile occasione per riprendere una “vecchia” indicazione di Luisa Passerini(in una sua relazione nel convegno a Bologna nel 1993, su “Il regime fascista. Bilancio e prospettive di studio”): “coniugare la tradizione della storiografia antifascista sul fascismo con gli studi storici che adottano le categorie di genere e di generazione” e superare definitivamente la obsoleta prospettiva storiografica che voleva e vuole ancora “le questioni di genere e la storia delle donne come questioni separate e secondarie o come questioni che hanno a che fare più col sociale che col politico”(cfr.: AA.VV, “Il regime fascista. Storia e storiografia”, a c. di Angelo Del Boca, Massimo Legnani e Mario G. Rossi, Laterza, Bari 1995, pp. 498-506). E riguardare l’intera storia della società (e dell’umanità intera!) con due occhi, non con un occhio solo!

    DA NOTARE che in quello stesso Convegno (e si riconsideri il titolo e il tema) una – e dicesi: una! – sola volta è citato Arnaldo Mussolini e solo per problemi relativi al “connubio tra affari e politica” (op. cit., p. 133), e una e una sola volta (e proprio da Luisa Passerini) è citata Rosa Maltoni (p. 504), la madre sua e del “Grande Fratello”, oggetto di “un culto molto ampio” durante il fascismo…

    Federico La Sala

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