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Jean Baudrillard e il delitto perfetto

di Davide Gatto

[prima parte]CharlieS
Un esergo  adatto a presentare questo libro di Baudrillard – Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà? – cronologicamente un po’ datato (1995, Èditions Galilèe, Paris; 1996, Raffaello Cortina Editore, Milano), ma di fatto così attuale da apparire ora profetico – potrebbe essere rappresentato da alcuni celebri versi di Leopardi:

Ahi ahi, ma conosciuto il mondo

non cresce, anzi si scema (…).

(…) e figurato è il mondo in breve carta;

ecco tutto è simile, e discoprendo,

solo il nulla si accresce.

(Ad Angelo Mai, vv. 87-88; 98-100)

Il saggio del filosofo e sociologo francese (1929 – 2007) si compone di due distinte sezioni: la prima, che ripete il titolo dell’opera (Il delitto perfetto), occupa i due terzi del libro ed è di carattere speculativo, mentre la seconda (L’altro versante del delitto) ragiona sulle evidenze del ragionamento teoretico in alcuni aspetti emblematici – psicologici, sociologici, politici – del mondo contemporaneo.

 

Il delitto originale e lo spazio vitale dell’illusione

L’assunto di base che Baudrillard si preoccupa di motivare preventivamente è di chiara ascendenza nietzschiana: fin dalle sue origini l’uomo ha cercato di cogliere un senso definitivo, “vero” del mondo e delle cose, che però il mondo e le cose non hanno. La riflessione si colloca quindi nell’alveo di quel nichilismo “disincantato e creativo, capace di distruggere i valori tradizionali per portarli alla loro “transvalutazione”, accettando il “gioco” della verità sui sentieri infiniti dell’apparenza”[1] , che fu proprio di Nietzsche e della cosiddetta “Nietzsche-Renaissance francese, con G. Bataille”[2] (e altri), pensatori – i due nominati – direttamente o indirettamente citati nell’opera.

Dietro le apparenze che si dispiegano dinanzi ai nostri sensi – ragiona Baudrillard – non c’è alcun senso riposto, nonostante i perentori tentativi di rivelarlo o di definirlo messi in atto nel tempo dai promotori di istanze metafisiche, religiose, ideologiche, scadute tutte, una dopo l’altra, al rango di illusioni.

Questa esperienza fallimentare circa l’esistenza di un senso delle cose e del mondo basterebbe da sola a inibire nell’uomo qualsiasi ulteriore ricerca di senso, eppure – constata Baudrillard – antropologicamente noi “desideriamo volere – è questo il segreto – come desideriamo credere, come desideriamo potere, perché l’idea di un mondo senza volontà, senza fede e senza potere ci è insopportabile”.[3]

È innegabile infatti che la ricerca di un senso che dia conto, razionalmente conto (anche nel caso delle soluzioni metafisiche e religiose, in definitiva), delle evidenze del mondo è espressione del nostro desiderio innato di governare le cose, di controllare la loro imprevedibilità invece che subirla come un destino.

E tuttavia, che questa nostra pretesa di verità sia pienamente e definitivamente illusoria, tramontate le stagioni delle religioni e delle ideologie, è dimostrato anche dal percorso accidentato compiuto sulla medesima strada dalla fisica – la regina delle scienze degli ultimi centocinquanta anni -, che ha svelato con la meccanica quantistica un mondo dell’infinitamente piccolo “radicalmente strano e misterioso”[4] rispetto a verità fino ad allora ritenute assiomatiche.

Perché allora cercare delle verità che non esistono, perché inseguire questa illusione? Perché non possiamo farne a meno? È come se – ragiona Baudrillard nel modo metaforico che gli è più congeniale – noi (la storia, il caso, dio) avessimo ucciso ab origine (è “il delitto” originale del titolo) il senso delle apparenze che si affollano nella nostra coscienza, e percepissimo quelle stesse apparenze come tracce di questo assassinio primordiale: come cercare una persona scomparsa i cui effetti personali siano stati rinvenuti lungo le sponde di un fiume. Se ci sono degli effetti personali, quella persona deve essere esistita e deve essere cercata, così come se ci sono le apparenze del mondo e delle cose Qualcuno/Qualcosa che le ha lasciate deve essere esistito e deve essere quindi cercato.

Il fatto è che per Baudrillard mettersi sulle piste di questo Qualcosa che in realtà non esiste, illudersi di poterlo presto o tardi raggiungere e conoscere coincide con la pienezza vitale, con la passione e il desiderio che, loro sì, danno senso alla vita. Dopo aver osservato che le cose continuano a sfuggirci, banalmente per la distanza fisica che ci separa da esse, cosicché anche nei tempi infinitesimali della scienza l’oggetto percepito è sempre temporalmente dislocato rispetto all’oggetto in sé, Baudrillard benedice questo stato di inviolabile segretezza del mondo: “Fortunatamente, viviamo in base a un’illusione vitale, a un’assenza, a un’irrealtà, a una non immediatezza delle cose”.[5]

Questa distanza, che per un verso tanto più ci angoscia quanto più è grande, fino alla nevrosi, per l’altro è spazio vitale per l’intelligenza speculativa, alle prese con le infinite possibilità – irriducibili in fondo, dato il presupposto della inconoscibilità del mondo – che le apparenze hanno di trasformarsi in realtà, in una qualsiasi realtà solida come una verità. Anzi, è bene che il pensiero sia “radicale”, cioè diffidi sempre della perentorietà definitoria dell’altro pensiero suo concorrente, quello che “si crede fondato sulla garanzia di un mondo oggettivo e decifrabile”[6]: il pensiero radicale “È illusione, capacità d’illudere, ossia un gioco con la realtà, come la seduzione è un gioco con il desiderio, come la metafora è un gioco con la verità”.[7]

Poche pagine più avanti il filosofo francese polemizza con “La critica ideologica e moralista, ossessionata dal senso e dal contenuto” e raffronta il pensiero radicale con “l’atto della scrittura”, con la “forza poetica, ironica, allusiva, del linguaggio”.[8] Ciò che davvero conta non è inseguire una realtà-verità che non esiste, ma il gioco del pensiero e della scrittura che ricamano sul Niente travestito da realtà, che smontano e destrutturano – anche ironicamente – il presunto reale, che generano allusioni e illusioni: “La regola assoluta del pensiero è quella di rendere il mondo quale ci è stato dato – inintelligibile – e, se possibile, un po’ più inintelligibile”.[9]

 

Il delitto (quasi) perfetto: la realtà totale della scienza e della tecnologia

Se per Baudrillard le apparenze per l’uomo sono destinate a restare apparenze dietro alle quali non c’è nulla, egli è pure consapevole – nonostante il suo elogio dell’illusione cui lega il fervore e la bellezza del pensiero e del linguaggio, la pienezza della vita – che la storia dell’uomo si è svolta paradossalmente all’insegna della ricerca inesausta di un senso del mondo e delle cose: date le premesse, la storia dell’uomo è a suo giudizio la storia della creazione graduale ma caparbia della realtà, della trasformazione delle apparenze in realtà certificata e indiscutibile.

Realtà peraltro ormai unica, totale, omologata, dotata com’è del crisma veritativo per eccellenza della nostra epoca: quello della scienza e della tecnologia, il vero bersaglio polemico di questo saggio di Baudrillard, che vede in esse e nel loro attuale trionfo la causa prima della morte dell’illusione radicale e vitale.

Se nell’uomo è insopprimibile il desiderio di svelare il segreto del mondo, di conoscerlo per governarlo – pena l’angoscia e la nevrosi di chi è esposto a un destino per definizione cieco -, oggi tecnica e scienza soddisfanno appieno questo suo impulso caratteristico semplicemente prendendo per reali le apparenze, dotandole cioè di un senso non riposto ma esplicito e univoco: questo mondo è reale, le cose sono reali perché rispondono alle teorie e agli esperimenti degli scienziati, la dimensione misteriosa dell’Altro (per Baudrillard naturalmente il Niente, ma poco importa ai fini degli effetti sulla vita dell’uomo), che induce alla ricerca e alla pienezza vitale, è scomparsa.

È una sorta di appiattimento quello che rappresenta il filosofo francese, che non soltanto imputa alla scienza lo sterminio dell’illusione e la sua sostituzione con una presunta realtà-verità assoluta, del tutto trasparente, ma anche il riempimento di ogni spazio della coscienza con la riproduzione virtuale di queste cose ormai senza mistero: “La tecnica è l’alternativa micidiale all’illusione del mondo”, per un verso, per l’altro “con la simulazione tecnica, e con la profusione di immagini in cui non c’è niente da vedere”[10] non siamo più capaci di rincorrere con il pensiero il Qualcosa (il Niente) che si nasconde dietro le apparenze.

È proprio questo il delitto “perfetto” cui allude il titolo del libro: viviamo in un mondo di apparenze che interpretiamo naturaliter come tracce di Qualcuno/Qualcosa che si nasconde – o che forse nichilisticamente non esiste affatto pur producendo con la sua stessa assenza il benefico effetto di farci pensare, di farci indagare, di spingerci alla ricerca e alla conoscenza dell’Altro/altro -, ma se gli oggetti che presumiamo gli siano appartenuti diventano reali in sé, perdono lo status subordinato di indizi dell’esistenza di Altro, allora l’Altro/altro scompare definitivamente dalla scena e il suo “cadavere” non può più neanche essere pensato.

Al di là della finezza simbolica del ragionamento filosofico, Baudrillard ha cura di soffermarsi sulle conseguenze di questo scenario unificato, dominante, verrebbe da dire totalitario del trionfo delle scienze, dei dispositivi tecnologici e tra essi, soprattutto, di quelli di riproduzione del supposto reale (per Baudrillard nient’altro che costruzione artificiale e simulazione), del Virtuale.

Intanto la sostituzione dell’illusione con la realtà-verità totale implica necessariamente la reductio ad unum di tutte le possibilità di significato che il mondo e le cose conservano in potenza a beneficio di una sola, di fatto decretando la scomparsa del mondo, che per Baudrillard esiste solo in quanto enigma.[11]

Scomparso il mondo come enigma, in cui ogni cosa aveva la sua ombra misteriosa, resta una realtà totale senza ombre e senza mistero, una realtà costruita a fil di ragione in cui gli incastri tra le cose – noi compresi – sono così stretti da non lasciare più alcuno spazio: il mondo del Virtuale è un mondo perfetto – ad Alta Definizione[12] dice Baudrillard -, la cui caratteristica principale è la soppressione della distanza “vitale”[13] tra le cose.

Ora, è il pensiero innanzitutto che ha bisogno di distanza, per poter misurare quello che appare rispetto a qualcos’altro, rispetto a una delle infinite possibilità dell’Altro. Nel tempo questo Altro si è manifestato nelle forme delle religioni, delle ideologie, persino – tramontate queste – della riflessione critica. Ora invece, nel mondo perfetto, totale, immediato del Virtuale neppure il pensiero ha più lo spazio per pensare: da speculativo diventa “uno stato d’intelligenza operativa pura”, che incarna semmai “uno stato di disillusione radicale del pensiero”.[14]

Tanto radicale è questa resa del pensiero che oggi non è più la macchina a rispondere ai comandi dell’uomo, ma è l’uomo ad essere chiamato dalla macchina a scegliere un comando tra le opzioni determinate (miei entrambi i corsivi) che essa gli offre (anche a me che sto scrivendo – di fatto sotto tutela “macchinale” – questi righi al computer).[15]

Che dire poi del linguaggio – incalza il filosofo francese – in questa realtà totale, compatta e perfetta (ancorché artificiale) che, cancellando la distanza tra la parola e il suo significato, ha propriamente sancito la morte dell’interpretazione, il gioco infinito e “felice” della parola sulle piste di un senso sempre sfuggente e perciò stesso vitale?[16]

E se nella realtà pienamente dispiegata e compiutamente definita, immobile, della scienza e della tecnica l’intelligenza da un canto è diventata puramente ragionieristica e organizzativa, dall’altra il linguaggio ha perduto la pluralità delle sue forme (lingue e dialetti…) e la poliedricità dei suoi significati possibili per scadere in una sorta di “forma universale di trascrizione che annulla il testo originale”[17], anche la storia ci è stata strappata di mano dal Virtuale, che l’ha ingabbiata in un sistema di riproduzione infinita di cose già viste: “Storia senza desiderio, senza passione, senza veri eventi (…).[18]

Infine, in questa realtà totale, programmata e ormai anche autoprogrammata, data la capacità autonoma assunta dai dispositivi tecnologici di modellarla e di generarla, la scomparsa dell’Altro ha inevitabilmente promosso l’affermazione di un unico paradigma anche a livello antropologico, la definizione esatta, “perfetta” di un modello umano unico che si offre come termine di paragone, che rende comparabile l’incomparabile, che permette di marcare le differenze ma non più di avventurarsi pieni di curiosità nel mistero dell’alterità radicale: si è persa anche la nozione propria di “individuo”, di essere radicalmente e incomparabilmente altro rispetto a tutti gli altri esseri.[19]

 

Le spinte contraddittorie dell’animo umano

Lo scenario disegnato da Baudrillard, dal sapore dichiaratamente apocalittico[20], non può che essere frutto di una disposizione originaria dell’uomo, è figlio di una precisa antropologia.

Si diceva sopra che l’uomo è animato dal desiderio di volere, dal desiderio di credere, da quello di potere, dal desiderio – in definitiva – di conoscere a fondo il mondo e le cose per poterli governare a proprio piacimento. Siamo ab origine alla ricerca di un senso che per Baudrillard non esiste (dato che noi non siamo altro che apparenze tra apparenze che si accampano su un fondale vuoto, sul Niente), ma che tuttavia tiene vive quelle illusioni che sono tutt’uno con il desiderio, con la passione, con la pienezza vitale.

D’altra parte la percezione di una realtà che nasconde un senso, un senso che è rimasto impenetrabile alle religioni, alle ideologie, ai valori morali, coincide con un destino imperscrutabile che genera angoscia e ormai – per una sorta di stratificazione storica – una nevrosi individuale e globale dell’umanità.[21]

Ecco allora che il pensiero scientifico e tecnologico sarebbe intervenuto a creare, letteralmente creare secondo Baudrillard, un mondo virtuale da cui la componente misteriosa e ansiogena sarebbe stata eliminata, insieme però all’illusione vitale di cui a lungo si è detto.

Le parole del filosofo sono a questo proposito nette: “In un mondo virtuale (…) facciamo a meno della nascita e della morte, e al tempo stesso facciamo a meno di una responsabilità talmente diffusa e opprimente da non poter essere assunta. Probabilmente, siamo pronti a pagare questo prezzo per non dover più assolvere l’enorme compito di distinguere il vero dal falso, il bene dal male ecc. Forse la specie è collettivamente pronta a rifiutare l’angoscia morale e metafisica che ne deriva, che ha finito per accumularsi fino alla nevrosi, ed è al tempo stesso pronta a rifiutare il privilegio della coscienza critica, a beneficio di una liquidazione delle differenze, delle categorie e dei valori? (…) Non vi è più polarità, alterità, antagonismo.”[22]

È evidente che il mondo virtuale provoca la scomparsa di tutto il mondo reale, in esso compreso l’uomo, con il suo tratto tipicamente perturbante, appunto l’alterità.

(fine prima parte)

CSA1

 

[1] Vd. AA.VV., L’enciclopedia della filosofia e delle scienze umane, De Agostini Editore, Novara, 1996, s.v. “nichilismo” (curata da Guido Boffi)

[2] Ibidem

[3] J. Baudrillard, Il delitto perfetto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996, p. 17.

[4] Ivi, pag. 19. Baudrillard cita il fisico Bruno Jarrosson, che conclude significativamente il suo ragionamento ribaltando la prospettiva consueta: “Il mondo microscopico dev’essere (…) considerato così com’è. (…) Dobbiamo quindi pensare che la cosa più strana non è la stranezza del mondo microscopico, ma la non stranezza del mondo macroscopico. Perché i concetti d’identità, di terzo escluso, di tempo e di spazio sono operativi nel mondo macroscopico? Ecco quanto dobbiamo spiegare” (Dal micro al macro – il mistero delle evidenze).

[5] Ivi, pag. 11; cfr. anche pag. 58: “A causa della dispersione e della velocità relativa della luce, tutte le cose non esistono che in differita, in un disordine inesprimibile delle temporalità, a una distanza ineluttabile l’una dall’altra. Esse quindi non sono mai veramente presenti le une alle altre, né “reali” l’una per l’altra. (…) tutto ciò è il fondamento insuperabile, la definizione per così dire materiale dell’illusione”.

[6] J. Baudrillard, op. cit., pag. 103

[7] Ivi, pag. 101

[8] Ivi, pag. 108

[9] Ivi, pag. 110. Che il “gioco” con la vita e con le apparenze sia alla fine più importante del preteso raggiungimento di un obiettivo definito, di un punto d’arrivo che tanto sa di morte, lo scrive d’altronde anche Italo Calvino (di cui è nota la prossimità con gli intellettuali francesi) negli stessi anni, quando ragiona del destino prefissato di Rinaldo: “(…) ci resta il dubbio se ciò che veramente conta sia il lontano punto di arrivo, il traguardo finale fissato dalle stelle, oppure siano il labirinto interminabile, gli ostacoli, gli errori, le peripezie che danno forma all’esistenza” (Italo Calvino, Italo Calvino racconta l’Orlando Furioso, Einaudi, Torino, 1995, p. 20)

[10] J. Baudrillard, op. cit., pagg. 8-9, passim

[11] Ivi, pp. 62-64. In fin dei conti – ragiona Baudrillard – noi preferiamo pensare a una nascita del mondo improvvisa, quasi magica, capace di scatenare “l’immaginazione poetica” e quindi l’illusione: “l’illusione è costituita da questa parte magica, da questa parte maledetta (corsivo mio)”. Impossibile non cogliere qui un riferimento diretto a Georges Bataille e al suo La parte maledetta (Parigi, 1967): la parte maledetta è quella che viene sottratta al consumo utilitaristico e quindi, secondo Bataille, servile (come le vittime, anche umane, dei sacrifici), e restituita pertanto all’ordine del sacro, dell’”intimità perduta”, della “libertà interiore” (Bollati Boringhieri, Torino, 2015, p. 106), un mondo del tutto precluso al pensiero raziocinante e definitorio della scienza e della tecnica.

[12] Ivi, p. 35: “Il concetto chiave di questa Virtualità è l’Alta Definizione. Quella dell’immagine, ma certamente anche quella del tempo (il Tempo Reale), della musica (l’Alta Fedeltà), del sesso (la pornografia), del pensiero (l’Intelligenza Artificiale), del linguaggio (i linguaggi numerici), del corpo (il codice genetico e il genoma”.

[13] Ivi, pp. 58-59: “Questa distanza è vitale, poiché senza di essa non percepiremmo proprio niente. (…) Questa distanza, questa assenza sono oggi minacciate. (…) La minaccia teleinformatica è quella di una soppressione del buio, della preziosa differenza tra notte e giorno, mediante un’illuminazione totale di tutti gli istanti.”

[14] J. Baudrillard, op. cit., pag. 23

[15] Ivi, p. 38: “il sistema del pensiero si allineerebbe rapidamente a quello della macchina. Esso finirebbe per captare e trattare soltanto quello che la macchina può captare e trattare, o comunque su sollecitazione della macchina. È già così con i computer e con l’informatica.”

[16] È sempre Baudrillard che qualche pagina più avanti (p. 108), riguadagnato un ottimismo filosoficamente fondato, afferma risolutamente che “la lingua e la scrittura invece illudono sempre – esse sono l’illusione vivente del senso, la risoluzione dell’infelicità del senso mediante la felicità della lingua.” È del tutto evidente che il senso è (paradossalmente) infelice perché inafferrabile, mentre la lingua è felice perché vive intensamente, appassionatamente l’esperienza vitale dell’indagine e della ricerca del senso (che esso ci sia o – meglio – non ci sia affatto).

[17] J. Baudrillard, op. cit., p. 95. Si pensi solamente alla diffusione dei traduttori automatici di Google etc.

[18] Ivi, pag. 53.

[19] Ivi, pag. 130: L’individuazione apparteneva all’epoca d’oro di una dinamica del soggetto e dell’oggetto. (…) non si può più parlare di individuo, ma solamente del Medesimo e dell’ipostasi del Medesimo”.

[20] Il filosofo non esita a intravedere nei contenuti della sua analisi “la soluzione finale, la risoluzione anticipata del mondo tramite la clonazione della realtà e lo sterminio del reale col suo doppio.” (J. Baudrillard, op. cit., p. 31). Si intende che i termini “realtà” e “reale” sono in questo senso le apparenze misteriose di cui si nutre la “sacra illusione”.

[21] Cfr. J. Baudrillard, op. cit., p. 43: “Infatti, il concetto di realtà, se rinforza l’esistenza e la felicità, rende ancora più sicuramente reali il male e la sventura. In un mondo reale anche la morte diventa reale, e secerne un terrore che ha la sua stessa forza.” Naturalmente la “realtà” a cui qui il filosofo si riferisce non ha nulla a che vedere con quella piatta e artificiale del Virtuale, che ha sterminato l’Altro: la “parte maledetta” che Baudrillard ha mutuato verosimilmente da Bataille.

[22] Ibidem.

 

 

 

 

 

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6 Commenti

  1. Il discorso ruota tutto intorno a feticci e simulacri.
    Ottimo saggio, “occhi di gatto”.
    Attendo il séguito.

    ^ ^

    • Grazie Corrado.
      Avremo modo di riparlare in seguito allora di questo Baudrillard, sempre acuto, sempre spiazzante.

  2. Non comprendo. D’accordo per quanto riguarda la tecnologia che ci propina costantemente la ‘solida’ realtà virtuale, ma cosa centra la scienza che da tempo immemorabile ormai ha rinunciato a qualsiasi pensiero positivista e naviga sull’onda dell’indeterminatezza…

  3. Scusa Paolaga per il ritardo nella risposta.
    Credo che per Baudrillard il punto stia alle radici del pensiero scientifico, cioè alla sua pretesa di giungere un giorno alla spiegazione piena e integrale della realtà. Per Baudrillard è appunto la prospettiva di una realtà senza più alcun mistero da sondare a essere micidiale per l’uomo, che vive intensamente solo quando può misurarsi con la stranezza irriducibile delle cose, e muore invece (esistenzialmente parlando) in tutte le condizioni di Verità (presunta verità) dispiegata. La tecnologia, l’accelerazione del suo sviluppo negli ultimi decenni, ha reso forse per la prima volta nella storia tangibile la percezione di una realtà finalmente tutta decifrata, tutta a portata della nostra razionalità. Peraltro Baudrillard stesso riconosce con cauto ottimismo che forse anche il vertiginoso progresso scientifico dell’ultimo secolo (vedi la meccanica quantistica, Heisemberg etc.) non sia che l’ennesima strategia delle cose per sfuggirci ancora di mano e lasciare intatto il loro mistero (il mistero dell’Altro), così essenziale per la vita degli uomini.

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Jamila M.H. Mascat vive a Parigi e insegna presso il dipartimento di Cultural Studies dell'Università di Utrecht, in Olanda. Si occupa di filosofia politica e teoretica, marxismo contemporaneo, critica postcoloniale e teorie femministe. Nel 2011 ha pubblicato Hegel a Jena. La critica dell'astrazione. Ha co-curato Femministe a parole (2012); G.W.F. Hegel, Il bisogno di filosofia. 1801-1804 (2014); M. Tronti, Il demone della politica (2017); Hegel & Sons. Filosofie del riconoscimento (2019); The Object of Comedy. Philosophies and Performances (2020); A. Kuliscioff, The Monopoly of Man (2021).
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