Vasio di mezzanotte

di Francesca Fiorletta

Recentemente pubblicato da nottetempo edizioni, “Tuono di mezzanotte” è una brillante raccolta di racconti di Carla Vasio, in cui grandeggia tutta la sua affilata prosa onirica.

Di seguito, uno dei quattordici spaccati di vita (e magia) che compongono il libro.

 

Beatrice detta Bea

Incompresa, esasperata, drammatica, la Bea sbatte la porta, accende il lampadario appeso al soffitto, scaraventa la cartella sul letto e si getta bocconi sul tappeto.
Attraverso la finestra spalancata entra un forte odore di erba tagliata, guizza qualche riflesso mobile senza altra causa che non sia il riverbero del tramonto, interviene il suono impaziente di un clacson o lo stridore di una marcia male ingranata.
La Bea aspetta la primavera: la Bea è sicura che non ha mai tardato tanto a venire, ma questa sera il cielo è già di una trasparenza perfetta.

La finestra della sua stanza si trova in una posizione particolare: è l’ultima a destra su un lato del cortile: è come se fosse situata su una sporgenza del palazzo, per cui si vede in alto, di scorcio, una sottile porzione d’aria libera fra una costruzione e l’altra. La Bea si rotola sul tappeto, si ferma supina in modo da vedere lo spazio arioso fuori dalla finestra. Con gli occhi segue il volo del seggiolino lanciato in aria, subito ricaduto, scomparso dietro lo spigolo del tetto. Eccolo di nuovo: sale, ricade, scompare – rilanciato e ripreso. Non lo stesso seggiolino, ogni volta il colore è diverso: è blu o rosso o verde o d’oro o d’argento. È evidente che nel prato nascosto in basso la giostra ha cominciato a girare e i seggiolini a volare, ma la Bea li può vedere soltanto nel momento piú alto del volo, il piú veloce: di volta in volta ognuno si ferma per un attimo librato nell’aria viola della sera, quando la luce del giorno non si è ancora spenta ma già il cielo sta perdendo colore. Una cosa visibile che oscilla su e giú, in alto e in basso, entra ed esce dallo schermo, dentro e fuori dall’ombra: è il mondo esterno che appare e scompare oltre il davanzale, si accende e si spegne, si allontana e ritorna.
L’altoparlante comincia a trasmettere una vecchia canzone. Un disco graffiato ripete all’infinito: “It is forever…”
Quella deve essere una canzone cosí vecchia che la Bea non l’ha mai sentita prima, ma da una settimana la giostra la trasmette un numero insopportabile di volte: “Love is forever…” La Bea è curiosa dell’amore. Domande senza risposta: è soltanto una scalfittura o una ferita sanguinante? È un pericolo o soltanto una recita? La Ludo ha quindici anni e la Bea è convinta che sia stata ferita e sanguini, ma lei non le con da le cose dell’amore anche se è sua sorella. È un punto d’arrivo o un delirio, un porto sicuro o una tempesta, una conquista o una perdita? “…Love is forever…”
La canzone dice che l’amore è fatale, è notturno, è incomprensibile e definitivo: “…And let forever begin tonigh…t”.
Ma quando arriva l’amore? In quale ora della notte?
I seggiolini della giostra continuano a salire, dopo un attimo precipitano. Escono fuori dal buio, sono ripresi dal buio, uno dopo l’altro, sempre vuoti a quell’ora della sera. La Bea spera che almeno uno, almeno una volta, rimanga sospeso in aria, nella luce smagliante del faro che dal basso illumina la ruota della giostra. Ma il mondo continua a oscillare oltre il davanzale, si allontana e ritorna, nché scompare per sempre, forever…
La Bea balza in piedi, afferra la cartella e tira fuori i libri di greco. Per domani mattina deve tradurre una poesia: da lí è partita la sua inquietudine. La professoressa di greco ha letto con voce sicura: “Deduke men a selanna…” Anche nella poesia si prevede l’arrivo di una cosa misteriosa e segreta che accadrà questa notte, quando sarà tramontata la Luna con le Pleiadi, dopo la mezzanotte… “Deduke men a selanna kai Pleiades mesai de nuktes”. La poesia non dice che cosa accadrà e se sarà per sempre, dice soltanto che l’attesa è lunga quanto la notte, e non dice neppure che cosa si aspetta, né se verrà: si può sapere soltanto che l’attesa comincia questa notte.
La Bea afferra il vocabolario: tradurrà la poesia parola per parola, per nessuna ragione al mondo vorrebbe mancare domani alla lezione di greco.
Un tuono improvviso. Un lampo immediato. Allarmante.
La Bea, che si era addormentata sull’antologia di poesia greca, si sveglia di soprassalto, corre alla finestra e guarda la notte serena illuminata da una Luna che scende verso il tramonto.
Può scoccare un lampo in una notte serena? Può esplodere un tuono? Intorno alla Bea avvenimenti inaspettati si stanno organizzando in modo singolarmente appassionante, di notte, mentre la Luna attraversa un cielo purpureo. Si può dire che il cielo è purpureo? Purpureos: Omero lo dice del mare.
Ma, aveva detto la signorina Longo, non si deve tradurre “purpureo”, è insufficiente, limitativo, in un certo senso è improprio, perché il mare diventa purpureo quando è profondo, quando l’azzurro è cosí intenso da sembrare turchino, blu oltremare appunto: un blu cupo invaso da riflessi purpurei. Il mare antico è viola… viola: mare antico, insondabile, misterioso, dove albergano i mostri e gli dèi, dove si nasconde la passione, dove si nasconde la morte se gli dèi sono irati.
Durante la correzione dei compiti, la signorina Longo aveva tenuto la punta rossa della matita sospesa sopra il foglio su cui la Bea con tanta diligenza aveva scritto la sua traduzione: la punta rossa della matita rossa e blu, la punta degli errori poco importanti, neanche veri errori, la stessa professoressa li chiamava sviste o imperfezioni e calcolava una penalità di mezzo punto, non piú di mezzo punto.
“Ma il vocabolario…” aveva sussurrato la Bea.
“Un vocabolario scolastico dà traduzioni superficiali,” aveva risposto la signorina Longo impaziente, e la punta rossa della matita si era appoggiata sul foglio.
Il mare purpureo. Anche il cielo è purpureo? È purpureo un cielo dove il tuono si scatena senza le nubi e senza il lampo…?
Certamente, il lampo lo ha attraversato, venuto da chissà dove, precipitato nel cielo come in un abisso in cui ha acceso chissà quali echi. La Bea ha sentito il tuono, ma non ha fatto in tempo a vedere il lampo: che certamente c’è stato, la Bea ne è sicura perché sempre vengono insieme. E i suoi riflessi in cielo erano purpurei, certamente purpurei. Un cielo decisamente purpureo, attraversato dal tuono e da un invisibile lampo, una luce istantanea che la Bea non ha fatto in tempo a vedere.
Adesso la Luna è quasi tramontata dietro il tetto della casa di fronte, stanno per spegnersi la sua luce e il suo alone. “Deduke men a selanna…”
Vada per purpureos, per la poesia la Bea non ha avuto mai problemi di traduzione e domani la signorina Longo lo riconoscerà.
Ma per la traduzione della poesia non basta il vocabolario: “Tramontata è la Luna e le Pleiadi…”
Eppure qualcosa rimane in sospeso. Non l’incertezza sui vocaboli, no di certo: “Tramontata è la Luna e le Pleiadi…” È semplice e chiaro. Eppure…
Improvvisamente la Bea si accorge di essere sola, perduta in un cielo che si sta oscurando mentre tramonta la Luna. Una sensazione terribile. Piange silenziosamente con la testa appoggiata sul braccio e il braccio sul davanzale, e le lacrime le escono dagli occhi come pioggia.

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3 Commenti

  1. non conoscevo questa autrice, e questo racconto mi è piaciuto molto, l’ho trovato purpureo! Ma si può dire purpureo, di un racconto? Immagino di sì, mi è sembrato intenso, e magari “purpureo” ci sta.

  2. “Il mare antico è viola… viola: mare antico, insondabile, misterioso, dove albergano i mostri e gli dèi, dove si nasconde la passione, dove si nasconde la morte se gli dèi sono irati.”

    Indaco, il mare antico…
    Indaco!

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