Le rose del vento

 di Gianni Biondillo

Widad Tamimi, Le rose del vento, Mondadori, 2016, 269 pagine

Non c’è scrittore che almeno una volta nella vita non abbia progettato di raccontare la storia della propria famiglia. Il problema è che bisogna avercela una storia che riesca a descrivere le ferite subite da una famiglia per colpa degli strali della Storia. Insomma, una storia da raccontare, una che riesca a farsi, nel suo essere privata, davvero comune. E bisogna anche avere una passione per le soffitte, i diari di parenti sconosciuti, i racconti orali, l’attenzione ai particolari minuti che danno corpo e sangue alle anime dei propri avi. Widad Tamimi tutto questo ce l’ha.

Le rose del vento racconta di due famiglie lontane per estrazione sociale e origine geografica, che mai avrebbero potuto e dovuto incrociarsi. Ma la vita sa portarci dove meno immaginiamo. Il romanzo alterna, capitolo dopo capitolo, il racconto delle radici materne e quelle paterne. Da una parte ci porta in una famiglia borghese triestina, di origine ebraica, che per colpa del fascismo dovrà conoscere l’esilio negli Stati Uniti, ma che ha in uno dei suoi componenti (il nonno di Tamimi) la cocciutaggine di chi vuole tornare a vivere in Italia, a Milano, negli anni della ricostruzione postbellica.

Dall’altra parte attraversiamo una storia di tutt’altra natura: Khaled, il padre della autrice, è palestinese, povero e pieno di disperato desiderio d’emancipazione. Non sua, personale, e neppure familiare, ma del suo intero popolo. Riuscirà a venire in Italia per studiare medicina. Le rose del vento è sostanzialmente un romanzo su due opposti esili che sapranno ricongiungersi. È il destino che, meglio di un romanziere, fa incontrare la figlia ribelle di un borghese ebreo con lo studente che vuole tornare in patria a curare i bambini del suo villaggio. Come non poter raccontare, avendola a disposizione, questa storia d’amore che ha radici così lontane?

(precedentemente pubblicato su Cooperazione numero 20 del 17 maggio 2016)

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Attorno a un completo sconosciuto

di Gianluca Veltri
Quando arriva sul palco, il 25 luglio 1965, Dylan sembra un alieno piombato sulla terra. È vestito come un rocker, tutti gli strumenti della band sono elettrici: due chitarre, basso, organo e batteria. Altro che menestrello di Duluth.

Babilonia

di Gianni Biondillo
Fra opere di maggior o minore qualità, fra grandi cantieri e cantieri smisurati, ecco spuntare fuori il Bosco Verticale. Progetto vincente, inutile negarlo, a partire dalla sua comunicazione. Architettura che si fa claim, slogan, motto.

Sangue mio, corri!

di Romano A. Fiocchi
«La geografia aveva complottato con la storia e ne era uscito il capolavoro di un paradosso». "La signora Meraviglia", di Saba Anglana, è una sorta di autobiografia di famiglia con l’atmosfera di "Cent’anni di solitudine", proiettata non in Colombia bensì tra il Corno d’Africa e l’Italia.

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: