Dietro la maschera del sonno il cervello piange


 
di Mariasole Ariot
 
Una copertura: dietro la maschera del sonno il cervello piange. Il mutismo dei lineamenti, l’inflessione straniera, appena piegata sul bordo: non dicono niente.
Questa apparente nuova cera è un frutto chimico, composizione di elementi. La lingua non batte, e voi cosa vedete? Quando uno sguardo perfora e si acceca trafitto da se stesso, e vede il retro senza aver mai notato la fronte.
E cosa vedete voi – di questa mascherata silenzosa, che ha perso i denti nella muta, di questa cosa che credete sia passato e invece resta. Tutto l’inchiostro delle mani è ora rappreso nella zona cava dell’interno, dove tace, mentre si dice: è solo un momento.
Il bianco che ho ingoiato per secoli ha seccato la lingua.

***

Crolla il rovescio dei mondi sulla tua faccia d’animale, e cade tra intenti e milioni di corpuscoli conficcati nella lingua.
Ricordi i ricordi della prima nascita? Ricordi la tragedia?
Quando le foglie dicevano la stagione secca, e tu scricchiolavi sulla mia schiena costole e polmoni. Il volto che mi hai creato addosso non mi appartiene: una mandria infuriata
di ossicine.

***

La notte poi dilata le ferite, questa lingua nera degli sconosciuti, i passati che si muovono nei sotterranei dei presenti dove tu affili gli strumenti a perforare le tane che mi hai scavato negli occhi. Escono bulbi dalle finestre come linci impazzite, uomini con la testa separata, membra putrefatte – e in questo buio crepano le cose, si angosciano contenuti e contenitori, uno sguardo fisso che dice colpevolezza, che infrange il tempo sicuro della gestazione.
La protezione non è mai abbastanza, l’ombra che mi hai infilato nella bocca parla e dice: un reato d’esistenza.

***

Siamo formati da lividi e da richiami di parole d’antenati, ci sediamo calmi nell’attesa prossima di vedere aprire una porta, far entrare il sonno nella stanza, aprire le bocche e infilarcelo dentro a forza fino a quando raggiunge le parti più alte, il principio di ogni cosa. Così decidiamo per la caduta: stenderci immobili ad est, raccogliere le piante morte del giorno e darci vita nella massa scura del notturno – hai ascoltato, madre, questo canto di sirena, l’hai seguito? Hai ancora la coda lucida e le mani fasciate, ti sono caduta dalle braccia.
Il giorno non arriva se non per tranciare i tempi, dividere gli spazi, mentre gruppi di ragazzine ballano sulla collina degli accigliati, quando le serpi entrano sottopelle e si muovono premendo verso l’esterno per urlare il loro gioco preferito. Nascondersi, non farsi mai più trovare, la paura della luce.

***

Quando dire – allora? : è finito

Print Friendly, PDF & Email

6 Commenti

  1. nel sonno, la nostra morte apparente, le occhiaie si fanno dimora per lo sguardo temporaneo, giaciglio per il ricovero della visione, luogo dell’indugio. nel sonno, la nostra forma è levigata fino a considerarne la dissoluzione. porta con se l’eco di parole sussurrate in tempi lontanissimi, riconosce il non detto di una confessione e non dimentica il colmo dragato a una profondità incognita, non dimentica la buia umidità a cui non ha saputo dare un nome, non dimentica lo spazio riempito di materia incerta.

    • E nel sonno, onimo archico, siamo forse più svegli di quando abbiamo gli occhi aperti ma ciechi.
      Grazie di aver letto

  2. La lingua non batte, il sonno maschera il pianto del cervello, ma arriva ancora l’eco delle tue parole, lontanissime, vicine a chi le legge fino al fondo.

  3. Grazie, Aitan, di leggere sempre fino al fondo, anche quando la lingua non batte.

    @sando, in che senso dici “una paura inferiore”?

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Marabecca

di Daniela Sessa
In “Marabbecca”, ultimo romanzo di Viola Di Grado, persino la copertina sa di naufragio. E la donna di spalle con la testa spettinata dentro una gabbia è un relitto ammassato dall’onda.

Last Stop Before Chocolate Mountain

di Mariasole Ariot
Un pascolo dell'immaginazione, vita che vive della volontà di riscrivere la storia – la propria, quella collettiva.

Pietà

di Ilaria Palomba
Embolizzazioni. Trasfusioni. Dimentico. Cosa ci fai qui? Meriti questa seconda possibilità? A quali condizioni? Non pensare. Ora cammina. Non pensare. Non devi pensare.

Todesfuge

di Paul Celan
Nero latte dell’alba noi lo beviamo la sera/ lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo la notte/ noi beviamo e beviamo/ scaviamo una fossa nell’aria là non si sta stretti

L’infinita

di Emanuele Muscolino
Magari, quando sarà il momento, dirò a Chang di lanciare un dado e di decidere per me: che il caos faccia ancora la sua parte.

Il presente è una grotta del passato

di Mariasole Ariot
Fotografie dal passato remoto - quando tutto è fermo, quando il tempo ricorda la sostanza
mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: