Articolo precedente
Articolo successivo

Da “Trasparenza”

di Maria Borio

[Presentiamo alcuni testi da Trasparenza, volume in uscita nella collana “Lyra giovani” a cura di Franco Buffoni, Novara, Interlinea].

 

Settima scena

Stendevamo le mani contando
i bordi di pelle incrinati.
…………Questa è una scena visibile
dietro una parte di me che indietreggia,
si sorregge la luce insieme
la carta e il digitale, ti sorreggi
consegnato alla portafinestra
e mi apri uscendo sopra il gelo.
…………Questa è una seconda scena
che mi lascia creatura tra gli uomini,
tu uomo tra le creature che degradano –
il balcone, la condotta di rame, i grovigli delle nuvole,
una sagoma parlante.
Nella terza scena parliamo immobili
attraverso uno schermo nell’etere
particelle o nella sottospecie di materia,
gli atti che chiamano linguaggio
o il linguaggio vero, sinuoso, incosciente.
…………Posso dirti
il tempo reale, nel tempo reale puoi
dirmi, accecati dalla luce digitale,
la fortuna di saper aprire
una quarta scena
dove entrano i frammenti degli altri
e noi ricomponiamo barricandoci
a un orario e a una parola –
le notizie rosse e irreali
sono scese dietro l’orizzonte,
un attimo al mondo per diventare –
quando nella quinta, sesta, settima scena saranno
il postino o l’uomo del pub
o tuo padre persino e mia madre
sempre più in sé sprofondati.
…………Così alla quinta scena ero tornata nel segreto
e l’avevi cancellato per un mondo
che entrava nella stanza allontanandosi.
Poi alla sesta scena eravamo in una semplice fila
alla stazione, con gli occhi e una banconota
piegati tra la mano e il tavolo –
un affidarsi, un rispettare.
…………Alla settima scena torno e respiro
nell’irrealtà prodotta dello schermo dei colori
del viso e della voce,
lontani e accesi, collisioni, temperature, frenetici
mentre il puro pensiero di me
non è più me
ma lo conservi, e i famelici ostacoli
di una lotta per il nostro posto
sono accidenti,
tempeste.
…………Un suono di gola, primitivo:
la trasmissione del niente è all’altrui niente –
la settima scena di noi è il settimo giorno,
la vita che vogliono rubare
bianca è nuda.

*

Il cielo

ármonía è collegamento, connessione, unione.
«Finché restano uniti i tronchi della zattera, starò qui, resisterò…»
(Odissea V, 361-362 )

Il cielo è trasparente. Il cielo è armonia: significa collegamento, connessione, come viviamo l’era, come dice solitudine trasmessa, guerra, pace, virtuale. Rete e corpo si schiudono, gli ologrammi strappano la natura al cielo e la fondono ai sentimenti: queste cose fragili, per una volta. Queste cose fragili rendile libere e unite al di sopra, al di sopra, al di sopra. Il cielo è un uomo nero perché addensa.

*
1980

La provincia si è riempita di case nuove.
C’è una felicità. Non eravate ancora nati.
Le case salde di coppie eternabili.

Pensavamo che si espandesse per gru altissime
e alberi trapiantati l’anello di catrame
che terminava nel campo e il campo sereno

come di fronte a uno spettacolo. Dici
non eravate ancora nati, ma esisteva una forma
su cantieri e famiglie: le radici che forzavano,

il catrame, le gru montate, i figli nati,
uno per uno un’automobile, la felicità
come pelle nutrita di un rettile.

Una primavera calda vi taglia adesso
fra le buste della spesa e i bulbi nel cellofan:

ci taglia dove dico guardate il campo con le rovine
delle immagini, il tubo catodico spezzato.

Nel suono fermo della televisione
le case indietro si sbriciolano nel video:

le tiriamo fuori, allacciamo il tetto con il grano.
Senza noi invecchiate come non fossimo nati –

miniatura finita, acqua ragia, ologrammi
dentro tutto il paesaggio.

*

Accoglienza

I

Si raccontano, una faccia nell’altra.
C’è il pane fresco sul banco, asciutto,

il suono di cose toccate. Dispone
pezzi in fila – le mani sembrano terra,

le unghie sono tagliate fin dentro la carne.
Le storie scomposte in sagome

fanno corto circuito. Attraverso
il vetro appare reale solo la forma

delle magliette made in china.
Come dire posto per accoglienza?

Il cielo preme su tutti, scivolano fuori
dalle magliette i corpi.

II

Parlare, sentire: entriamo, compriamo
due chili di pane – parlare, sentire

le mani calde, gli occhi geologici. Sembra
di attraversarsi, noi nella mattina soli

dal banco al vetro alla strada…
Le aste traslucide attraverso i vetri

sono rami – e il vento
le apre, li chiude.

III

Il nome inizia con la a e finisce con la h
suona una cosa calda, di lievito

ed è vero – la distanza esiste meno
di prodotti che di etnia. La cosa esplode.

Il vento comprime tutti,
finisce con la h, come si soffia.

IV

Sembriamo serpenti, curve, lingue mescolate.
Passiamo attraverso un posto immaginario.

È una sfida, come il ragazzo della favola
nascondeva la volpe tra ascella e fianco.

Il cielo preme su tutti, le solitudini esplodono.
Il posto intorno è vero – i serpenti solo suono.

*

Del bene

proviamo a scandire i ritmi come fossero puri: le leggi, una tavola separa un’altra. La società, i codici, certo. Ma solo fantasmi resistono a temperature glaciali e al compromesso nei ritmi del giorno le persone diventano realmente strumenti – la sopravvivenza rende ladri. I ladri sopravvivono, nel caso si appoggiano ai codici. La giustizia fredda sulle tavole.

Di un bene,
contrario, come si crea

nelle regioni interne, quando una via è aperta: cigolano i vetri della fabbrica dismessa, ansie acquattate, regole acquattate, un flusso solitario fa commuovere, si rimpicciolisce il dna del mondo in amore per frammenti – il dubbio, un calore…

Del bene,
allora, che vuole corrodere

Del bene che così
cerca di salire

guardare la storia scritta e gli affetti anonimi in onde, come onde di acqua e aria, alte, placate, poi sorrette da energia nuova. Ma energia è parti contrarie, le galassie: pesi contrapposti. Gli affetti tornano nascosti sotto le tavole…

Del bene che fa flussi
e istanti:

la terra e il mare, gli strumenti che curano il corpo, gli strumenti che uccidono il corpo, e piccoli affetti sbucati dal nido interno, frammenti di spazio uscendo da noi fuori, sempre meno umani fuori, nell’etere lavati dalle prime improvvise calde qualità…

Del bene infine tra te e me
senza che io tu, tu io

possiamo almeno per un momento capire chi tu, chi io. Apparire nella strada interna l’uno dell’altro. Ma l’esperienza mescola freddamente, l’esperienza come l’energia. Una luce cosmica, di ghiaccio, velocissima circoscrive la lotta interna

e l’affetto abbaglia per disincanto.

*
Farnese

La finestra a una luce dice non immaginate,
appoggiatevi alla parete come fosse una strada.
La schiena nuda non ha più freddo. Ecco le cose
che ci abitano: il vetro trasparente, il muro opaco,
noi per le cose, una strada curva sul muro,
il muro dentro vene lenticolari. Tutto batte
come bronzo sul deserto: è innocenza
che muove la testa. Mi abiti così, come il giorno
sulla piazza che Giordano Bruno era quel piccolo
fuoco di tutti. Ti abito come il suono che si stacca
tra i palazzi incastrati, la campanella sul muro duro
caldo come un liquido muove la testa.

 

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Vigilanza nera, ascolto bianco. Considerazioni critiche sull’antirazzismo europeo

Andrea Inglese
Guardare la storia della tratta atlantica e del colonialismo europeo da vicino non è più facile nel secondo decennio del XXI secolo che nell’ultimo del XX secolo. L’oblio, l’ignoranza, la semplificazione sono innanzitutto dei meccanismi di protezione. C’è una storia di sofferenze e di crudeltà estreme, di disumanizzazioni e disumanità inconcepibili, che vorremmo tagliare fuori dalla nostra identità collettiva di europei bianchi.

Tech house e pulsione di morte

di Lorenzo Graziani
Che la quota di oscurità nella popular music – ascoltata in solitudine o ballata in compagnia – sia in costante crescita è un fenomeno sotto gli occhi di tutti. E non serve lambiccarsi troppo il cervello per notare la connessione con il ripiegamento nichilista che ha segnato la storia della controcultura...

Da “Elogio della passione”

di Carlotta Clerici
Avanzavo tranquilla nell’acqua nera e spessa che ogni mio movimento trasformava in schiuma iridescente sotto i raggi della luna piena. Dieci, quindici minuti, mezz’ora… Le forze scemavano, ma ero fiduciosa, sapevo di poterne ancora attingere dentro di me.

Kwibuka. Ricordare il genocidio dei Tutsi.

di Andrea Inglese
Ieri, 7 aprile, si è tenuta a Kigali la trentesima commemorazione dell’ultimo genocidio del XX secolo, quello perpetrato tra il 7 aprile e il 4 giugno del 1994 da parte del governo di estremisti Hutu contro la popolazione Tutsi e gli oppositori politici Hutu.

Sulla singolarità. Da “La grammatica della letteratura”

di Florent Coste
Traduzione di Michele Zaffarano. I poeti, così drasticamente minoritari, così lontani e così persi nelle periferie di questo mondo, come si collocano, i poeti? Contribuiscono con forza raddoppiata al regime della singolarità o, al contrario, operano una sottrazione basata sulla riflessione e resistono?

Benway Series

Risposte di Mariangela Guatteri e Giulio Marzaioli
... ci concedemmo la possibilità di cercare altre scritture c.d. “di ricerca” consimili, soprattutto al di là della lingua italiana, e di pubblicarle in Italia in un contesto che non era così ricettivo rispetto a tali opere.
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: