Da “Monoideale”
di Vasile Leac
traduzione dal romeno di Clara Mitola
La zona dei distrutti
Che facciamo noi, quelli senza ambizione a cui piacciono
i monologhi interiori irrazionali?
Noi, che non sappiamo di essere colti in meschinità e stanchezza,
e ogni cosa ci sembra impossibile e lontana?
Che facciamo noi, questa gente bloccata, eternamente insoddisfatta?
Quando ci capita di passare una bella serata,
ci sembra tutto così semplice ma più tardi,
quando restiamo soli, moriamo piano e senza senso.
Noi, i delusi che non hanno voglia di azione ed ergoterapia;
noi, che desideriamo segretamente essere teletrasportati
in una riserva, dove c’è una festa con illusioni e allusioni,
da cui sappiamo che nessuno va più via.
Quelli per cui la religione non significa più niente,
la famiglia niente, la natura niente, gli animali niente, i bambini niente…
La scienza non ci soddisfa più l’immaginazione e l’intelligenza.
Noi, che desideriamo tanto amare ma quando
succede, ci sembra impossibile e faticoso.
Che facciamo noi che ci perdiamo in dettagli, che vediamo
defezioni ovunque, che non sopportiamo più i subdoli ma ci lasciamo
prendere a volte nella loro trappola. Noi, che viviamo per lo scroll e
il lavoro meccanico, per confusione e scarti?
Noi, questa gente senza energia o un’occasione, rimasti in attesa…
Quando otteniamo ciò che desideriamo,
non desideriamo più ciò che abbiamo ottenuto.
Consumatori di pessimi film, umorismo secco e testi discutibili.
Per noi il passato non significa niente, il presente è parallelo,
il futuro impossibile.
Che facciamo noi, che ne abbiamo abbastanza di poesia e arte?
Che siamo messi male con l’orientamento, con gli skills?
Noi non desideriamo che essere lasciati in pace, a ciondolare
per bagni e corridoi bui, come zombi.
Noi, quelli che non hanno voluto raggiungere la maturità;
che non hanno mai voluto conoscere il ridicolo e la mancanza di un senso.
Che facciamo noi, che non abbiamo capito gli schemi e siamo rimasti
bloccati per sempre qui, nella zona dei distrutti?
*
Il prato
Il campo di zucche si estende verso sud fino al recinto
delle mucche selvatiche, così le chiamiamo noi: selvatiche e
piene di clorofilla. Una tenda verde s’innalza a est:
il campo di grano dove fuggiamo a turno per i bisogni
o la frescura.
È sabato pomeriggio. L’aerodromo della zona
invia i suoi amanti degli sport estremi in aria. Ora
il cielo è pieno di paracadutisti. Un altro sabato, uno è
atterrato nella parte ovest, nel campo di grano. Non
sono passati 15 minuti fino a quando è apparsa una jeep
per il recupero. Il paracadute è stato impacchettato velocemente
e buttato nel portabagagli scoperto – ha la forma
di una bolla fantomatica che danza per noi.
Qualcuno crede che qui tutto sia stabilito molto tempo prima.
Non parliamo quasi di niente. Usiamo il linguaggio
di quelli che non si sopportano ma sono obbligati
a stare insieme e lavorare. Siamo quattro
uomini ossuti, tutti sui 40 che, in questo istante,
non desiderano niente.
Le nostre schiene brillano al sole; raggi piccoli e brillanti
salgono dal sudore della pelle. Indicatore negativo
per i paracadutisti dilettanti. Qui c’è il campo di zucche Hokkaido-Kürbis.
Se fossi un SuperEroe, colpirei il suolo con un palmo della mano, le zucche
schizzerebbero in aria, e questo non sembrerebbe più divertente
ai paracadutisti.
Alle nostre spalle appaiono mucchi di zucche, zolle
arancioni. Decine di migliaia di porzioni di zuppa.
Nella parte ovest c’è una strada di campagna, dove i ciclisti
olandesi pedalano rilassati dentro un diorama.
Noi siamo una categoria sociale che non dev’essere guardata
con compassione. Il capitalismo è un prato perfettamente falciato.
Noi siamo fili d’erba perfettamente recisi. E chi non
sorride e non si sente felice quando vede un prato così
perfetto e rigoglioso?
Anche noi ci divertiamo, ci attacchiamo le zucche al petto
e balliamo tra le foglie appassite. Che ballo è questo?
Un brasiliano-kur-bis, dice il tipo che segue la bundesliga,
e guarda spaventato in tutte le direzioni.
Sono balli brevi; qualche passo fino al mucchio di
zucche. Fantomatici lampi sul prato perfetto.
*
Vieni e mostrami le stelle
Quanto può sorprenderti ricevere la telefonata di
un amico che non ti chiama mai?
Per un monaco urbano niente è sorprendente,
lui sostiene l’inerzia.
Il tuo amico, di cui ti fidi, attraversa adesso
l’imprevedibile.
– Non entro nei dettagli, voglio che tutto finisca presto.
Lei parte per Roma con la bambina. Credi di poterci aiutare con
un passaggio all’aeroporto?
– Sì, posso portarvi all’aeroporto, ma non scendo dalla macchina;
di’ quello che vuoi, non scendo dalla macchina.
Ciò che sente adesso è inspiegabile.
Mi ricordo di una notte in cu siamo andati in macchina alla
collina dei cardi a contare le stelle. La bambina saliva sul
tettuccio dell’auto e contava come conta una bambina di 5 anni.
Al ritorno ho visto, nella luce dei fari, un uccello notturno.
Sembra una palla a pois, hai detto. Sì, è una palla che
vedi una sola volta. Non dimenticare questa notte e neppure
la palla che l’ha attraversata.
La casa, il cortile e i meli del cortile e i giocattoli nascosti nell’erba
e le piante medicinali. E noi in veranda a parlare di qualsiasi cosa,
a tentoni su una zona fragile.
– Forse per la bambina è meglio andar via. In effetti, per tutti.
– Sì, è meglio, ho detto.
La moglie del mio amico sembra molto felice.
La bambina non sa cosa stia succedendo esattamente,
scoprirà più tardi il significato della parola regalo.
Si sono avviati tutte e tre verso l’aerostazione, la bambina al centro
tenendoli per mano, guardando in su.
Sapevo che non conteremo mai più le stelle sulla collina
dei cardi.
Lui è tornato alla macchina. Ha fumato una sigaretta appoggiato alla portiera,
ha guardato l’aereo decollare e scomparire nell’atmosfera.
Ho messo su della musica, ci siamo guardati per qualche secondo
e questo è stato quanto.
Ho parcheggiato di fronte alla casa. Il sole era andato.
Sua nonna, una persona di oltre 80 anni e quasi sorda,
ci ha chiesto quanto rimane Florina con la bambina ad Arad.
Io l’ho guardato con disgusto e stupore.
La compassione è la morte del nichilismo.
Il cortile pieno di giocattoli da due soldi, sparsi a caso – e una nonna
sorda ad attraversarlo.
Per la maggior parte della gente d e s o l a n t e è solo una parola.
Abiti sporchi sparsi a caso, oggetti, oggetti, oggetti…
Ha messo anche lui un po’ della sua roba in una borsa e siamo andati via
insieme verso la città. Dalla porta ci seguiva
la statua di un fantasma anziano.
Era già buio.
*
Non sempre capisci come stanno in effetti le cose
Puoi isolarti perfino nel mezzo dell’evento storico.
Sviluppi un complesso psicologico che non capisci,
un balcone di osservazione per ecologie speculative e
regimi spirituali utopici.
Non immagini quanto sarei felice di rivederti.
È come quando esci in bicicletta e la vedi per
un secondo, e pensi che vorresti passare le giornate con lei,
ma non la incontrerai mai più.
Che significa per te provinciale?
È un’atmosfera in cui percepisci il profumo vestimentario del ridicolo?
Maniere false unite alla magia del cameriere?
Quanto ti senti liberato dalle nevrosi familiari
E dalle altre pressioni sociali.
Quando la tecnologia è a tuo vantaggio,
allora sei un estraneo per i più.
Luminoso e leggero, puro e indescrivibile.
Sei smarrito ma non puoi sparire.
Quando vuoi sapere qualcosa sulle balene,
vai dal ciclista Bordone,
te lo dice lui perché-sono-bianchi-i-pesci-sull’addome.
In comune sei baciato da qualcuno
in abiti leopardati
Attenzione al sostantivo comune moglie
Sul suo braccio destro c’è una sirena in ginocchio
L’unica tipa al mondo che prega ancora per lui.
*
bad or worse
In treno gli anziani rappresentano la curiosità ti
soffocano, come da dove medicine pensione
osservazioni metereologiche il mondo di oggi
ecc. ecc. ecc.
Oh, com’è bello pattinare
Com’è bello il semplice scivolare
accanto ai vecchi, non con indifferenza
e compassione, ma con un fare intelligente
che sa dare risposte ingenue e banali,
cioccolata calda invece di marmellata.
È uno schifo rimanere a letto bloccati nel grasso,
odiare e disperarsi perché l’auto si è rotta.
Curioso come il figlio di un mafioso che vuole stare alla finestra.
Le connessioni sono opzionali,
non tutti ci riescono.
È una semplice apparenza alimentata da catastrofi immaginarie.
È l’insopportabilità che crea sentimenti violenti
e atrocità nello spazio domestico.
Stati d’animo che ti spingono a nasconderti e fregarti la faccia tra le mani.
Puoi credermi in preda a una demenza oscillante
ma che sono indifferente e tollerante no.
Osservazioni personali, piccole introspezioni in territorio ipocrita.
Dai un calcio a un cartone: una forma disinteressata
di punire l’invidia.
Oh, che bel divertimento
Vedere tanto inquinamento
Non hai punito nessuno, più che altro te ne stai al chiuso
e fumi, non allontani il cane con il piede.
Ti lasci guidare da una coscienza sonnolenta nella
zona chiamata monoideale: un luogo in cui hai trasferito
speranze e piaceri.
Mi ricompongo
in tutti gli eroi che odio e invento una dottrina
politica in cui gli individui conoscono solo dolore e panico.
Una riserva dei sentimenti domestico-ostili.
*
Presenza
Di sera quando l’aria del bosco crea mistero nella tenda
La materia sceglie altre forme d’espressione
Altre forme di comunicazione in caso di scomparsa
È come imparare a nuotare seguendo le indicazioni
Di qualcuno che non sei sicuro di vedere
La sincerità è il nuovo sport dei curiosi
In attesa nessuno può accumulare esperienza
Dall’esperienza degli altri non puoi imparare niente
I dinosauri: catalizzatori d’acqua vorticosa
Fuori si sentono rumori di rami spezzati
È il figlio del soccorritore alpino accompagnato da un fantasma
Entriamo nella zona degli eventi storici
dove ci sono censurate le informazioni
In una situazione-limite è preferibile non elaborare
immagini che non capisci.
Realista è il ragazzo chiuso a forza in camera sua.
Dopo due giorni, quando siamo scesi nella prima cittadina,
tutti sembravano turisti.
Siamo degli extraterrestri che non capiscono la forza dell’abitudine.
Lo svuotamento di contenuto lo trovi anche senza consenso orientale
Caustico e indifferente a cosa succede nei paraggi
Senza senso non puoi dire di essere ascoltato e compreso
L’aeroporto è una rapina legale dove tutti sembrano complici
Tra noi solo insopportabilità
*
Gli alberi del paradiso
Vedi come ciò che sei sia meno di
un’impressione negativa in una congiuntura scontata.
Quando ci capita di essere schivati dall’inverno
Rafforziamo i nostri tronchi in attesa.
Questo non ci rende per niente speciali.
Ci sforziamo di essere visibili e vulnerabili;
Imploriamo riconoscimento nei luoghi pubblici.
La MAFIA lo dice meglio quando si tratta di prendere posizione.
Siamo solo una specie detestata a causa dell’ambizione
di alcuni orientalisti abituati alla ripetizione.
*
II
L’eccesso ecologico e settario è noioso.
Noi muoviamo nel tempo eventi di contenuto economico.
Senza appartenenza – cresciamo lì dov’è impossibile.
Abbiamo bisogno solo di un piccolo nascondiglio nella
archeologia industriale.
Che sempre noi rendiamo invisibile e più facile da sopportare.
Non contate su di noi se non in caso d’apocalisse.
Abbiamo bellissime orecchie.
*
III
Li vedo dall’autobus accalcati lungo il muro
della casa, dove la crisi ha investito fantasmi.
Non dicono niente ma i loro movimenti, quando il vento soffia caldo,
parlano al nostro posto: – A noi piace ballare
fino a tardo autunno. Poveri e concilianti come voi.
Stretti gli uni agli altri. Oppure solitari.
Abituati all’oscurità.
Teniamo lontane le zanzare vampiro.
*
IV
Come tutti i disordinati, non siamo un pericolo.
Cerchiamo di convincervi ogni giorno
di non essere altro che alberi amichevoli.
L’inverno ci veste di ghiaccio e sonno.
È una città grande e non siamo tutti fortunati.
*
V
I parchi e gli spazi verdi amministrativi
non fanno per noi.
Noi amiamo le rovine e la scomparsa della civiltà.
Qualcuno dice che siamo soltanto parassiti aggressivi,
resistenti all’inquinamento, indifferenti al futuro.
L’autunno ci trasforma nei disegni di un bambino incompreso.
È rischioso mostrarti vivo e quasi frantumabile.
Rimpiazziamo la mancanza senza pretese, adattabili e resistenti
come un movimento clandestino, occupiamo territori e
Istituzioni morte.
*
VI
Ma anche tra noi ci sono scapoli isolati che bussano
a finestre vuote, implorando l’inverno di essere più comprensivo.
Loro rappresentano noi, quelli che non ce la fanno,
loro giustificano le nostre frustrazioni.
Loro coprono con foglie lunghe, mobili, l’abbandono.
La loro unica preoccupazione è proteggere la rovina,
dicendo agli altri: Andate via! Qui non c’è niente d’interessante.
Andatevene e lasciateci alle cure del vento.
La nostra unica gioia è portare il fondo delle buche
in superficie.
*
Monoideale
Quando sei al limite e hai forza
solo per constatare. Il residuo crea
una disfunzione consolante nella coscienza;
è come stare al finestrino di un treno
regionale che non ferma da nessuna parte.
Erbacce – una sensazione indifferente di fronte alla campagna,
di fronte allo stato naturale e selvatico dei cardi,
di fronte ai viaggiatori che ti diventano insopportabili.
È probabile che esista una contemplazione incosciente
che ci precipita tutti in uno stato di stupida fantasia,
senza controllo, senza destinazione.
Non esiste in pratica questo stato di coscienza
quando diciamo di non pensare a niente.
Ogni volta pensiamo a qualcosa senza poter
spiegare esattamente a cosa.
Questa per me è la fine.
*
II
Un gruppo di turisti amanti della natura,
degli alberi esotici, con l’immaginazione ridotta
a un’impressione, mentre moltiplica le stesse inquadrature.
Ora sono tutti a casa, scaricano le immagini,
inventano nature chiuse, sole, fino a quando non
accenderanno altri apparati che gliele faranno
dimenticare.
I paesaggi hanno creato in un momento impreciso sensazioni
vaghe di felicità, consumate in gruppo,
accanto a degli sconosciuti.
Le fotografie non salvano, ti rendono consapevole,
lì nel tuo profondo, di quanto triste e infelice tu sia.
Da qui non te ne vai dalla porta su retro del magazzino.
*
III
Cosa ti dice adesso la natura?
Quasi tutto ciò che non capisco.
Di fronte a me vedo quello che di solito tutti vedono.
Verde – e niente di più.
Consapevole che lì c’è un mondo
misterioso e affamato;
straniero, reale e senza rimorsi.
Quando e come siamo arrivati qui?
Alcuni dicono tramite la tecnologia e l’immaginazione.
*
Nota bio-bibliografica
Leac ha debuttato ufficialmente nel 2005 con la raccolta Seymour: sonată pentru un cornet de hârtie (Seymour: sonata per una cornetta di carta, Ed. Hartmann, Arad). Nel 2007 ha pubblicato Dicționar de vise (Dizionario di sogni, Ed. Cartea Românească, Bucarest), con cui si aggiudica il premio letterario Euridice. Seguono Lucian (Ed. NinPress, 2009), Toți sunt îngrijorați (Sono tutti preoccupati Ed. TracusArte, Bucarest 2010), Unchiul este încântat (Lo zio è incantato, Ed. Charmides, Bistrița 2013) e infine Monoideal (Monoideale, Ed. Nemira 2018), opera vincitrice del premio Radio România Cultural e Observator Cultural come miglior libro di poesia del 2018). V. Leac è stato inoltre membro del gruppo letterario Il celebre animale e tra i fondatori della rivista Ca și cum.
Che testi formidabili: forza dell’aleatorio, generazione distrutta, stati meditativi problematizzati, ritmo, intelligenza. Che spettacolo, che anti-spettacolo!
Cara Renata, sono contento che non ti siano sfuggiti. La scena romena, per come l’ho conosciuta, e per come Clara Mitola ci permette di conoscerla, l’ho trovata subito particolarmete forte e vivace. Per citare Majorino, Leac possiede questo andamento “tetrallegro”, che ha davvero dell’anti-spettacolo, dell’anti-edificante; dei versi a caso:
Cosa ti dice adesso la natura?
Quasi tutto ciò che non capisco.
Di fronte a me vedo quello che di solito tutti vedono.
Verde – e niente di più.
Un bel contravveleno, per l’ondata di poesia “ecologista” che si prepara… per dirne una.