di Antonio Sparzani
E’ uscito da qualche giorno il volume dal singolare titolo FINITUDINE, che l’autore, Telmo Pievani, definisce nel sottotitolo ”romanzo filosofico su fragilità e libertà” (Raffaello Cortina, € 16,00). Telmo ha ottenuto a Padova la prima cattedra italiana di “Filosofia delle scienze biologiche”, ha molti scritti, scientifici e divulgativi, alle spalle, ha collaborato con Luigi Luca Cavalli Sforza (di cui ha qui scritto un bel ricordo) e, lo si sente in ogni riga di quel che scrive, è un autentico appassionato della sua scienza, della ricerca e dei collegamenti della sua scienza con altri rami del sapere, più o meno adiacenti.

Albert Camus ritratto da Antonio Molino

Jacques Monod ritratto da Antonio Molino
Tutto parte da questa strana parola del titolo: Finitudine è, così si comincia a capire, una proprietà di tutto quanto, l’umanità finirà, la Terra pure, il sistema solare, la galassia nella quale incessantemente giriamo e anche tutto l’universo andrà verso quella che i termodinamici fin dall’inizio del secolo scorso chiamavano la morte termica dell’universo. Non c’è ombra di trascendenza in tutto questo libro, Telmo è un darwinista convinto, gli dèi della Grecia sono morti e non si ha notizia di altri che li abbiano degnamente sostituiti. Ma la ricerca che spinge tutto l’argomentare del libro è quella di una scappatoia, di una luce in fondo alla strada, di qualche percorso che ci conduca a uscire dalla disperazione del finire, e io certo qui non voglio fare spoiling e dirvi chi è l’assassino, o, meglio, se e come qualcosa ci salva dall’assassino. I titoli dei capitoli da soli indicano questa strada: 1. La finitudine di tutte le cose, 2. Sfidare la finitudine con la tecnica, 3. Sfidare la finitudine con il progresso, 4. Sfidare la finitudine con il DNA. Ma il capitolo 5 ha un titolo diverso: Diventare un coleottero alato, e il sesto, poi, si chiama Le virtù della finitudine.
Il libro non è sempre di immediata facilità, soprattutto quando Monod spiega all’amico Albert certe sottigliezze della genetica tirando fuori gli operoni e la allosteria (per carità, senza apostrofo), ma la sostanza dell’argomentazione si capisce sempre. I colloqui dei due poi, il genetista, colonna del prestigioso Istituto Pasteur di Parigi e l’amico Albert, già nume sacro dell’ambiente letterario francese, sono infarciti di altre vicende, grandi e piccole: i due hanno fatto entrambi la Resistenza antinazista nel loro paese e anche su ciò hanno ricordi comuni; Monod poi, sta cercando di liberare una collega genetista ungherese dalle durezze del regime (siamo nel 1960, ricordate?), cosa che poi nella realtà veramente riuscì. Ho molto apprezzato anche la competenza di Pievani che ha dovuto forzatamente limitarsi a quello che era noto sessanta anni fa, anche se una volta il termine “pandemia” è menzionato, dato che, dal punto di vista della genetica e della medicina in generale, sempre si tratta di una possibilità futura. Confesso che l’ho letto con grande piacere e non esito a consigliarlo, soprattutto poi di questi tempi in cui tutti abbiamo più tempo da dedicare alla lettura e a cercare di praticare quella che a un certo punto del libro, questo è l’unico indizio che vi fornisco, viene chiamata etica della conoscenza.
Molto interessante questo esperimento di romanzo filosofico. Comincerò presto la lettura.
Grazie della segnalazione Sparz, sono proprio a corto di letture!