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In uno scompartimento ferroviario

Tommaso di Tommaso Meldolesi

Era mattina presto. Fuori già faceva caldo e si prospettava una giornata bollente. “Meglio scappare da questo forno!”, pensai salendo sul treno delle sette meno un quarto. Ero convinto che una volta adagiato sul mio sedile sarei stato molto meglio grazie anche all’aria condizionata. Ma l’aria condizionata non funzionava. In compenso trovai seduto nel mio scompartimento un tizio assai strano che stava occupando il posto che mi ero prenotato. Visto che non c’erano altri viaggiatori, per evitare inutili discussioni, mi sedetti di fronte a lui. Lo scrutai attentamente. Non era giovane e aveva un fisico molto asciutto, il volto ossuto, i baffetti e gli occhialini un po’ retrò. Portava un completo di cotone a righe bianche e nere, sopra una camicia blu e una cravatta in tinta con il vestito. Vidi che sopra il sedile, nel ripiano adibito alle valigie, si trovava una bombetta che probabilmente gli apparteneva e provai per un istante a immaginarmelo con in testa quello strano copricapo alquanto démodé. “Chi è questo strano tipo? Che cosa ci fa su questo treno? Dov’è diretto e perché sta viaggiando proprio in quel giorno infrasettimanale?”, pensai.

Essendosi accorto che lo stavo osservando, accennò a un sorriso e mi disse in tono solenne:

– Forse le sembrerà strano con questo caldo, come vado vestito. In realtà questo è l’abbigliamento che più mi si addice, anche perché mi occupo di apparenza.

– Scusi? – chiesi basito.

-Sì signore. Ha capito bene. Di apparenza. E me ne vanto. In un mondo in cui l’apparenza ha conquistato tutto e tutti, nessuno sa più distinguere cosa è bello da cosa è brutto. Ma che cosa è bello e che cosa è brutto nella nostra società?

Mi parve di sognare. Dove voleva arrivare questo tizio così strano? Cosa stava cercando di dirmi?

Per un istante mi guardò stralunato, come se mi chiedesse implicitamente di trovare io una risposta ai quesiti che aveva appena esposti.

Subito dopo invece riprese a parlare:

– Vede signore, lei è molto giovane e forse non ha esperienza in questo campo; ma io di apparenza me ne intendo e le posso dire che nella società di oggi tutto ciò che appare ha preso il sopravvento in maniera arrogante e  molto conformista.

– Che cosa vuol dire? – chiesi incuriosito.

– Voglio dire che nel mondo di oggi siamo tutti sempre più condizionati dalle immagini che ci vengono proposte dai mass media a cui molti finiscono per sottomettersi.

– E questo secondo lei è un bene o un male? – chiesi curioso di seguire più che l’opinione del mio vicino, il filo del suo ragionamento.

– E’ un male! E’ un malissimo, signore mio! – esclamò alzando le braccia ed emettendo un sibilo stranissimo da sotto i baffetti argentati, simile a quello che emette il falco pecchiaiolo. –  La Belle Époque! Quella sì che è stata l’epoca d’oro delle apparenze! A quei tempi ci si poteva divertire davvero! Mica come adesso dove tutto è diventato un mercato e i prodotti commerciali hanno successo solo se hanno una bella apparenza! E gli uomini e le donne lo stesso!

Dopo di che tirò fuori una strana rivista dall’aspetto vetusto e s’immerse nella lettura, scandendo ora qua ora là dei gridolini di gioia e di stupore per taluna o tal’altra immagine che avevano attratto la sua attenzione.  Dopo un po’ però chiuse la rivista e si appisolò.

Io nel frattempo mi ero messo a  guardare, fuori dal finestrino, il paesaggio che scorreva inesorabile a una velocità sempre crescente. Era un paesaggio che conoscevo nei minimi particolari per aver percorso quella stessa tratta innumerevoli volte, eppure ad ogni viaggio mi sembrava di scorgervi qualcosa di nuovo: un muretto, una scritta o un cespuglio che forse non avevo notato le volte precedenti. Avevo la strana sensazione che, una volta passati dinanzi al mio sguardo immobile, quei muretti, quelle case, quelle scritte, quei disegni fossero destinati a scomparire per sempre dalla mia vista e chissà quando e semmai un giorno sarei ritornato a scorrerli velocemente  per poi vederli inghiottiti di nuovo dalla velocità del treno.

Di tanto in tanto gettavo un occhio sulla strana pubblicazione che il mio compagno di viaggio aveva lasciata aperta sul sedile vuoto di fianco al suo. Non sapevo di cosa si trattasse, ma mi sentivo incuriosito da quella rivista così insolita. La mia curiosità stava crescendo a tal punto che quando l’uomo si svegliò, fui lì lì per chiedergli se potessi darvi un’occhiata. Invece mi trattenni. Sentivo che se avessi ceduto al mio istinto sarei stato come risucchiato dalla stessa fantasia nostalgica e alquanto malsana che lo caratterizzava. E non avrei voluto per niente al mondo che questo accadesse. Volevo restare con i piedi ben ancorati sulla terra e capire fino a che punto quell’individuo si sarebbe spinto a rendermi parte di tutte le sue elucubrazioni sull’apparenza. Certo su alcuni punti poteva pure avere ragione, ma era il suo tono così enfatico e saccente che mi stava infastidendo.

Quando si svegliò, ricominciò a parlarmi:

– Lei saprà bene – mi disse sempre con un piglio d’arroganza – che i servizi e i beni di prima necessità, nel nostro disgraziato paese, sono sempre legati all’apparenza. Per vendere un prodotto lo si agghinda e lo si confeziona per bene, in modo che l’acquirente potenziale possa sentirsene attratto. Deve sapere, caro signore, che io, occupandomi di apparenze, presto particolare attenzione a  tutto quello che appare a prima vista ma che in realtà non è, ovvero a ciò che è molto diverso da come lo si potrebbe pensare.

E, prima che io mi fossi anche solo azzardato a rispondergli, continuò:

– Sa di apparenze ce ne sono un po’ dappertutto e sono molto più numerose di quante se ne possano immaginare.

– Mi scusi – osai chiedergli – ma quali apparenze?

– Tutte!

– Come tutte? – esclamai.- Mi spieghi un po’!

– Tutte! – mi rispose divertito. – Vede caro signore, noi viviamo nella società delle apparenze che ogni giorno ci sfiorano, ci colpiscono, ci sfruculiano la mente e finiscono per condizionare tutti i nostri comportamenti e a turbarci in profondità. Come dire? Anche lei si renderà conto che i vecchi princìpi di una volta adesso non esistono più, che tutto è diventato una moda, una vetrina, un prodotto da proporre a chi in questa società è ancora così ingenuo e stupido da farsi abbindolare…

– Ma lei è sicuro – lo interruppi –  di quel che sta dicendo?

– Ma certo signore. Ne sono arcisicuro!  – dopo un istante – ma lei, mi scusi, che lavoro fa?

– E’ proprio per questo che glielo sto chiedendo. Faccio l’insegnante alla scuola superiore.  Mi occupo dell’educazione degli adolescenti e non mi sembra che le cose stiano proprio così.

Vidi allora il mio interlocutore emettere uno strano fischio di disapprovazione e riprendere immediatamente a parlare.

-Uh uh uh signore mio, ma allora… ma allora… Eh sì, signore mio; se lei è un professionista dell’educazione, lo dovrebbe sapere… lo dovrebbe sapere ben meglio di me eh eh eh!

– Scusi, ma che cosa?

-Come ma che cosa? – esclamò quasi seccato – che tutti i ragazzi e specialmente gli adolescenti, si burlano degli adulti, non dicono mai la verità e le cose che uno tenta invano d’inculcar loro nella testa gli entrano da un orecchio per uscirgli immediatamente dall’altra parte!

– Ma non è vero! – ribattei seccato. – Ma lei che ne sa degli adolescenti di oggi?

– Ne so! Ne so! Io so tutto!

Questo tizio mi stava davvero facendo affiorare i nervi a fior di pelle. Non ho mai sopportato quelli che affermano di sapere tutto e il mio compagno di viaggio sembrava appartenere a quella scellerata categoria di persone il più delle volte arroganti e qualunquiste.

Inghiottì la saliva e continuò a parlare:

– Ma non li vede anche lei tutti i ragazzini con i telefoni cellulari e i vestiti firmati, tutti impomatati, costantemente assorbiti dai loro messaggini sui telefonini, dalla musica commerciale che ascoltano in continuazione astraendosi dalla realtà e da tutto quello che li circonda? E tutti questi extracomunitari che devono dare l’impressione di fare la fame per la strada e ogni tre per due fermano i passanti per farsi dare qualcosa in elemosina e poi possiedono anche loro dei telefoni cellulari di ultimo grido con cui comunicano con la loro famiglia oppure con chi hanno lasciato nel loro paese d’origine? Tutto nella società in cui viviamo è svuotato dei propri conteunti e ridotto a un accumulo d’immagini accattivanti! Basta dare una parvenza di democrazia! Basta far sì che la gente creda che  i diritti di tutti siano tutelati, anche se non è vero! Ci s’illude. Ci s’illude di un’apparenza che poi regolarmente finisce per schiacciare i più deboli!

Il mio compagno di viaggio aveva pronunciato queste ultime parole con un piglio talmente arrogante da farmi passare la voglia di starlo ad ascoltare. Certo, sui princìpi generali saremmo pure andati d’accordo, ma davvero cominciavo a non sopportarlo più.

Quando all’improvviso tacque, mi sembrò per un istante di tornare a respirare e, dopo un momento di silenzio, fui io a parlare. Cercai di controbattere, se non altro per spezzare la monotonia del suo interminabile monologo. Provai a riportare il discorso sui ragazzi adolescenti. Perché se è vero che si acconciano spesso nei modi più impensati seguendo ora questa, ora quella moda, è anche vero che il loro equilibrio è sempre più instabile. La loro incolumità è minata di continuo dalle opinioni espresse sulla rete e, in particolar modo sui social networks, da loro coetanei o da ragazzi di poco più grandi. E’ là che, a mio avviso, in questo momento storico, per lo meno nella società occidentale, tutto quello che riguarda il mondo dell’apparenza gioca un ruolo devastante, specialmente sullo stato d’animo e sull’equilibrio psicologico sempre più instabile degli adolescenti. Avrei voluto intavolare con lui un dialogo su questo argomento, ai miei occhi di scottante attualità, ma il mio compagno di viaggio non mi ascoltava, intento com’era a seguire soltanto il flusso dei suoi pensieri.

Fui allora io ad appisolarmi, per non so bene quanto tempo. Quando mi risvegliai, lo vidi in piedi di fronte a me, con un’espressione completamente diversa. Contrariamente a quanto aveva affermato, l’uomo dai baffetti s’era cambiato d’abito. Ora assomigliava a un normalissimo viaggiatore. Sembrava che il suo interesse per l’apparenza fosse completamente svanito.

Mi apostrofò in tono perentorio chinandosi verso di me:

– Sono stato uno statista. Sono un grande illusionista e oggi ho gabbato anche te!

Poi si allontanò, uscì allo scompartimento e sparì nel nulla.

 

Ogni tanto mi chiedo se l’incontro con questo personaggio così singolare non sia stato tutto un sogno. Eppure quel viaggio fatto ormai molti anni fa lo ricordo bene quasi nei minimi particolari. E questo mio strano compagno di viaggio magari è davvero esistito fuori dalla mia fantasia di curioso inventore di storie e d’illusioni.

 

 

 

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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