In cammino tra antagonismo e arte. *

di Nadia Agustoni

                                                             a Oksana Shachko in memoria

Nella fotografia di un murales di Shamsia Hassani, artista afghana poco più che trentenne, si vede una giovane ragazza, la stessa Hassani, ripresa in sovrapposizione alla sua opera, in un interno dal pavimento squarciato da cui guarda in basso la città, in bilico su una striscia di piastrelle che le impedisce di cadere e circondata da pipistrelli che le volano intorno. La città è Kabul e sul suo volto c’è interesse, curiosità, mai paura. Nata nel 1988 e cresciuta quindi sotto il regime dei primi talebani, Hassani ha raccontato cos’è per lei la libertà, il bisogno di musica, visione e comunicazione. I suoi murales e graffiti hanno ispirato altre/i afghane/i e molte delle sue opere sono visibili in Europa e in America, una anche a Firenze.

Il giorno dopo la presa di Kabul da parte dei nuovi talebani una foto riprende una ragazza, che scrive o disegna sui muri la sua protesta. Seguendo la traccia di questa fotografia sono arrivata a questa artista che mi ha colpito anche perché ha rotto con la tradizione che non permette ai mussulmani di dipingere la figura umana.

Le donne dei suoi murales 1 sono figure idealizzate, con capelli fluttuanti, a volte coperte da un pezzo di burqua e un cuore dipinto sul vestito con una crepa a metà, per ricordarci cos’è realmente vivere un’esistenza fortemente condizionata. Altre volte sulla testa hanno rotoli di pellicola cinematografica e nelle mani strumenti musicali, perché la musica, amatissima dagli afghani, è l’altra grande proibizione dei regime; oppure hanno fiori in mano e sullo sfondo ci sono i barbuti o i carri armati o una strada spezzata e una donna che fa il primo passo e sembra andare verso un luogo lontano. 

L’originalità e il respiro di questi murales, dei graffiti e di alcune installazioni danno l’idea di un lavoro intenso, meditato, in cui il simbolismo ha una grossa valenza, perché i simboli, per tutte le culture d’oriente, sono importanti e tutti li capiscono.

Shamsia Hassani sembra voler trasmettere un’idea di pace che è sempre idea di libertà, e il suo sguardo, dall’acutezza non comune, sembra indicare una breccia, un’uscita, magari partendo da un punto solo in apparenza limitato. Vi è una certa ariosità nelle sue visioni, anche quando indicano un pericolo, perché lasciano dietro di sé l’idea di un altro islam possibile. Un islam vicino al cuore delle donne e dei Sufi, la cui tradizione ha radici antichissime e in cui i “cercatori di verità” appartengono a ogni credo religioso e non poche volte a nessuno.

Ho pensato, guardando il lavoro di Hassani, a quello che Azar Nafisi è riuscita a tramettere alle sue studentesse, con le sue lezioni di letteratura tenute in privato e di nascosto a Teheran (Iran), dove la pratica critica si univa a una libertà cui non una di loro aveva rinunciato.

L’esilio delle donne spesso comincia dentro casa, un’alienazione da se stesse che si ripercuote su ogni aspetto della vita, al cui confronto ogni altro esilio ha solo il sapore di una condizione scelta e/o temporanea. E qui, nella costrizione, l’interiorità assume un grande valore, perché salvare una propria visione della vita, porta con sé una diversità vera. Una diversità che è unicità. Da una condizione si esce con una narrazione che dica quanto è taciuto, ma soprattutto ogni narrazione deve farsi cammino per testimoniare che c’è dell’altro oltre alle cosiddette verità imposte. 

Un’altra giovane artista ha testimoniato la sua verità e la sua vita. Oksana Shachko 2 morta suicida nel 2018, è stata una delle fondatrici delle Femen, gruppo che aveva lasciato nel 2013, per diversità di idee, ma anche per poter dipingere. Shachko, attivista e pittrice, ha vissuto gli ideali politici libertari, soprattutto il femminismo, con una coerenza estrema.

Le Femen hanno portato i loro corpi come bandiere, ovunque ravvisassero un’ingiustizia. Hanno suscitato indignazioni, che andrebbero invece indirizzate contro dittatori, stupratori e pedofili, ma anche molto consenso. Vi sono luoghi al mondo dove nessuna voce fuori dal coro trova ascolto e l’attivismo politico inventa quindi strategie molto dirette, un confronto forte, urlato, ferito, con le autorità, com’è poi anche per Black Lives Matter negli Stati Uniti. Per quanto riguarda le Femen inoltre, bisogna riconoscere, che le loro performance fatte di nudi e slogan scritti sulla pelle, trasformano i loro corpi in graffiti viventi.

Oltre al carcere, Oksana Shachko subì due sequestri, uno a opera dei servizi segreti bielorussi, che la picchiarono, la fecero spogliare e minacciarono di darle fuoco e l’altro da agenti russi che la percossero fino a provocarle diverse lesioni. L’esilio in Francia le aprì il mondo degli squatter e degli artisti, ma pur condividendo tratti di cammino con donne che le hanno voluto bene, le ferite non si sono rimarginate.

Il 23 luglio 2018 si è uccisa impiccandosi all’armadio che aveva nella sua piccola stanza. Una stanza disadorna, dove nella sua estrema povertà e coerenza si è lasciato tutto alle spalle. L’ultimo messaggio su Instagram: “Siete tutti finti”.

I suoi quadri ispirati alle icone della religione ortodossa – da giovanissima Shachko voleva farsi monaca – hanno al centro figure femminili simili ad arcangeli, dipinte con una forte carica di empatia. In uno, l’angelo amazzone è a seno nudo, a cavallo, con un arco misteriosamente privo di frecce, come se non ci fosse un bersaglio da colpire, ma solo uno sguardo lanciato oltre qualunque mondo o forse solo verso di sé e sempre quell’aprirsi di un crepaccio, la terra squarciata su cui il cavallo rimane come sospeso, mentre tutto sembra stia per accadere.

La sua pittura, pur non innovando, ha una freschezza inconsueta. Non inganni l’uso di immagini della tradizione cui apparteneva, perché tutto quello che lei era, quello a cui credeva, confluisce nella sua visione. 3 Anche così Oksana Shachko, pur divisa tra l’aspirazione ai diritti umani e civili per tutti e un’arte che è spesso in mano agli uomini, ha parlato di ciò voleva salvare, un’idea di libertà, creatività dignità, anche per il femminile. Non a caso sono stati pochi i tributi per lei come artista, ma significativi.

* Questo articolo è stato pubblicato con il titolo Donne tra antagonismo e arte in Emma n. 3, rivista semestrale di culture e pensieri libertari; 2022

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NOTE
  1. Il sito ufficiale di Shamsia Hassani

    https://www.shamsiahassani.net

  2. Per chi vuole approfondire segnalo un mio precedente articolo su Oksana Shachko pubblicato da Nazione indiana. Qui la parte finale:

    In un sistema che si mostra come onnipotente sono, guarda caso, i corpi delle donne a indicare cosa c’è dopo l’irrealtà dei primi piani di chi ci governa. Siano il Vaticano, il politico di turno o gli ayatollah di ogni sorta, è la loro ossessione verso un corpo che sentono anarchico e desiderabile a mostrarli per ciò che sono; esseri violenti che solo esercitando la violenza, la sottomissione e il controllo possono stare in piedi. Il desiderio di controllare qualcuno mostra che si vuole usarlo. E’ la stessa sorte riservata agli animali e agli oggetti. Nel desiderio maschile pornografico le donne sono un miscuglio di animale e oggetto e insieme qualcosa che sconfina nella servitù della gleba o nello schiavismo. Del resto i lavori di cura sono un pre-inferno per molte ed è emblematico che chi vuole cambiare il mondo non pensi mai di cominciare da qui.    

    Il riscatto per la morte di Oksana sono le vite di tante donne a cui abbiamo dovuto guardare e a cui qualcosa è stato restituito, ma è ancora troppo poco. Troppe vite infrante chiedono una giustizia senza se e senza ma. Troppe vite ridotte al puro lavoro di servizio, sfruttato e sospinto nell’oblio, sono uno schiaffo a queste democrazie in cui si cambia nome all’oppressione per un ulteriore feroce inganno, mentre la sostanza resta immutata e la presa in giro è certa”.

  3. La sua arte rimanda al suo femminismo e a istanze libertarie. La sua etica, la sua stessa vita, le hanno dato uno sguardo profondo capace di ribaltare la visione religiosa dei corpi femminili, in visione combattiva, fuori dai ruoli.

    Tra chi ha condiviso con Oksana Shachko le battaglie, si distingue la voce di Anna Hutsol che così ne parla: “La più coraggiosa, la più vulnerabile”.

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,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.