Raymond Depardon, una poetica dell’interstizio
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di Ornella Tajani
Il y a un autre monde, mais il est dans celui-ci.
Paul Éluard
«C’è un altro mondo, ma è in questo»: Serge Toubiana, critico cinematografico, sceglie una celebre citazione di Paul Éluard per aprire il testo che accompagna Entre-temps, l’ultimo lavoro fotografico di Raymond Depardon, apparso in Francia lo scorso dicembre per Atelier EXB.
È un mondo interstiziale quello ritratto dal grande fotografo tra il 1979 e il 2006, fatto di marciapiedi umidi, ristoranti cinesi deserti, ruote panoramiche su sfocati orizzonti, scritte murali che segnano il tempo: «Roulez moins vite, vous pourriez écraser Roland Barthes» [Andate piano, potreste investire Roland Barthes], pensata senz’altro a seguito dell’incidente di rue des Écoles nel 1980.
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Molti scatti notturni, in Entre-temps, e molta Parigi, da parte di un fotografo-regista che in realtà è diventato celebre soprattutto per aver girato mezzo mondo: dall’Algeria, dove uno dei suoi primi incarichi come reporter fu quello di seguire i momenti salienti della decolonizzazione all’indomani dell’indipendenza, fino all’America latina, da New York a San Clemente, dove documentò gli anni a cavallo dell’approvazione della legge Basaglia. D’altro canto, una porzione della sua fama è dovuta invece all’aver raccontato la Francia interna, nascosta, quel gigantesco esagono che contiene moltitudini, eppure nella rappresentazione spesso scompare dietro l’astro di una troppo leggendaria capitale (si pensi a La France, 2010); in alcuni casi oggetto di attenzione è stato poi il territorio prettamente rurale (come nel più recente, bellissimo Communes, 2021).
Molta Parigi, dunque, con luoghi più o meno riconoscibili (il Louvre, i cinema, le brasserie, la punta della Tour Eiffel), ma anche un po’ di altrove: le lapidi di un cimitero recano nomi e cognomi italiani, la ragazza stesa sui gradini di marmo a fumare potrebbe trovarsi in una piazza toscana.
Sottolineando l’importanza dell’Italia come hors-champ, come «altrove immaginario fondato sul vuoto e sulla nostalgia», Toubiano esalta l’influenza di due registi sull’opera di Depardon: Antonioni, omaggiato dallo scatto di un cinema in cui si proietta L’Avventura, e Wim Wenders, cui il fotografo è associato dal gusto per una poetica della deriva, in cui l’unico punto d’equilibrio sta «nello sguardo posato sopra un mondo in fuga».
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Non potrebbe essere altrimenti per Depardon, già autore di Errance (2000), sorta di récit de voyage fuori e dentro la fotografia, dedicato allo spazio e al tempo «intermediari», a una ricerca dell’esperienza del mondo dettata da un ritmo non frenetico ma placido, votato all’ascolto. Entre-temps, «nel frattempo»: il rinvio è alla dimensione della quotidianità, dell’apparente banalità, estranea al momento dell’incontro fotografico ideale; come suggerisce Toubiano, l’espressione delinea l’intervallo tra due tempi, due desideri, l’attesa prima che qualcosa accada — il frangente in cui prende corpo «le romantisme de l’absence et du vide».