Les nouveaux réalistes: Mirco Salvadori

                                           

Scatti di Stefano Gentile

 

  f r a m m e n t i

di

Mirco Salvadori

Saper dosare la banalità e il paradosso: è tutta qui l’arte del frammento: proprio una gran frase ad effetto. L’aveva trovata in rete e ne ignorava l’autore, filosofo nato in Transilvania e vissuto a Parigi.

Aveva trascorso ore incollato davanti al portatile alla ricerca di una frase convincente, qualcosa che mascherasse la sua inettitudine traducendola in svogliato gesto di colta concessione: frammenti, azioni nate dall’incompiutezza che da sempre lo perseguitava e che ben sapeva usare, al pari dei mille pezzi di un Ravensburger, quel gioco di composizione da sempre odiato, un rutilante insieme di cartoncini a cui solo un asceta poteva sperare di dare un senso quantomeno visivo, che per il resto era materiale da pura discarica.

Spesso si chiedeva chi fosse, lo faceva in special modo quando l’immagine allo specchio gli rimandava il lavoro che il tempo aveva prodotto sui suoi lineamenti di anziano in costante anticipo sul divenire degli avvenimenti che lo riguardavano, un anticipo dovuto al disastroso ritardo che pesava sulle sue spalle di immobile viaggiatore temporale verso una interiore crescita reale giunta assai dopo il dovuto o forse mai avvenuta. Il suo metro di valutazione era da sempre la Musica, trasformatasi dopo molti anni di ascolto in Suono. Pur non amando particolarmente questo gesto, abitava comunque e costantemente il ricordo e questo gli permetteva di visionare i vecchi filmati che tale frequentazione consentiva: il suo primo vinile da ragazzino, l’infinito percorso attraverso i vasti territori dei vari generi musicali ai tempi non così diffusi, l’impatto sonoro provocato dalla fine degli anni settanta sul vinile stampato dai cantautori italiani e il grande e frenetico salto nella filosofia musicale degli ottanta compiuto quando la giovinezza ormai se ne stava andando. Da quel momento in poi il meccanismo temporale segna un costante anticipo causato dal ritardo, il rock indipendente si trasforma nella vibrazione elettronica negli anni novanta, il nuovo millennio lo trova alle prese con echi sempre più densi e distanti dall’ascolto massificato, fino a giungere ad oggi, seconda decade di una realtà sempre più vicina allo spavento come reazione ordinaria e normale, tradotta in ascolti capaci di tradurre tale sensazione in maniera lucida e immersiva. Sapere di avere come compagni di cuffia esclusivamente giovani ragazzi o ben che vada adulti con anni in meno sulle spalle, gli donava quel senso angosciante di ritardo anticipato contro il quale nulla poteva, così come nulla poteva contro il procedere del tempo.

L’esperienza di tempiternità è vivere il presente come esperienza intensa dell’istante senza riferimento al passato che fu o al futuro che sarà. E’ il presente sempiterno nel quale si realizza un’azione veramente tale, ovvero autentica e quindi, unica. La tempiternità sta a significare che l’essere e il tempo sono interrelazionati in modo tale che non v’è nulla che rimanga non toccato dal tempo, neppure l’eternità. Al contempo l’aspetto temporale della realtà totale è “soltanto un aspetto parziale della natura tempiterna delle cose”. Non vi era cosa più lontana dal suo intimo e profondo essere, del pensiero di un sacerdote filosofo e guru spagnolo. Eppure quelle righe gli donavano come una sorta di pace e calma interiore, aiutandolo ad affrontare il grande mostro che ogni cosa trasforma e trascina con sé: il tempo.

Per quanto tendesse a nascondere tale ossessione, il tempo era il metro con il quale misurava le cose, un po’ come la musica prima e il suono poi. La visione del mondo e del suo mondo interiore, era tutta racchiusa in bilico sul margine di un consumato righello che non segnava i centimetri ma gli anni. Sapeva di non essere il solo a subire questa maledizione ma mai avrebbe pensato di condividerla con chi il percorso della vita lo aveva iniziato molti anni dopo il suo.

Per la prima volta aveva adottato un comportamento per lui stupefacente: era onesto con se stesso. Aveva  abbandonato l’incoscienza e i giochini nel passato, viveva quell’incontro avvenuto per caso nella chat di un gruppo Facebook chiamato The Soulsavers, come il duo anglo-americano, con ovvia curiosità e molto interesse ma al contempo con la consapevolezza dei ruoli che sempre lui, il tempo, ora imponeva alle due figure ora in bilico sopra quel logorato righello.

Complicato per me pensare di conoscerti immergendomi nel tuo digitare, non posso sapere quanto del tuo intimo silenzio trasformi in profonda condivisione travasandolo sui tasti che ci connettono. Non intendo certo forzare la pressione delle tue dita o la loro velocità sulla tastiera. Faccio ciò che mi risulta più naturale per collegarmi con chi a sua volta non mi conosce: ti invio suono. Mi basta per raccontarti chi sono e chi mai probabilmente sarò, lui le scriveva. Credimi io ti assorbirei, come una perilinfa nel canale uditivo/sbalorditivo. Non voglio leggere di te da internet. Non l’ho fatto finora e non lo farò. Voglio sapere di te quello che ti va di dirmi di te. E tutto questo suono che sei, che sgorghi, io lo assorbirei. Till last drop, lei gli rispondeva.

 Se mai ci incontreremo dammi 15minuti del tuo tempo, dovró abbracciarti per donarti quel poco rimasto del mio non ancora andato disperso, lui le scriveva. Quel tempo che sembra fermarsi che ferma tutte le cose è il tempo che conosco, in cui sto bene.

 

15mila minuti, lei gli rispondeva.

 

Sapeva che mai l’avrebbe incontrata; non era certo l’oceano che li divideva geograficamente il motivo, ma la rarissima purezza di uno scambio che lo stupiva per la sua troppo intima essenza giunta dal nulla, senza preavviso alcuno e il terrore che la magia scaturita dal vorticoso mescolarsi dei loro pensieri, potesse realmente finire proprio con un lungo e sincero abbraccio seguito dal suono delle loro voci non più tradotto dalla tastiera del pc. Questo, ma anche la consapevolezza del suo essere costantemente fuori tempo e luogo, in ritardo dentro una chat il cui nome apparteneva ad una formazione che, a dirla tutta, non aveva mai amato granché.

 

Riesumò da una cartella il testo scritto per un reading sonorizzato da un grande poeta del minimalismo elettroacustico italiano, Sono Nato Storto recitava il titolo: Da sempre abituato a navigare in mari distanti e difficili da narrare a chi poco è abituato a navigarli io insisto. Non ho notorietá e forse neanche mi interessa averla, ho scelto un percorso diverso piú complicato e da decenni affronto le tempeste e le supero. Sono nato storto vado alla ricerca dei gorghi e dei fondali dai quali spuntano scogli che possono in un attimo spezzare la spina dorsale ma vado avanti. Attorno a me solo la furia del mare e la violenza del silenzio interrotto di tanto in tanto da voci amiche, limpide come i fondali di quella laguna che prima o poi troveró. Ricordò questa intima e ai tempi per lui furiosa confessione perduta nelle pieghe del passato, proprio per il finale nel quale brillavano come squame di mille sirene danzanti nella tempesta, quelle voci amiche con le quali ancora aveva la fortuna e il piacere di intrattenersi, sempre storto e sul limite della vecchiaia in un consesso di lontane anime non ancora toccate dal pensiero della fine.

 

Cliccò e il copia incolla si trasformò in veloce messaggio capace di varcare l’oceano in meno di 15 secondi.

 

Che altro nascondeva quella frase letta all’inizio dei suoi intricati pensieri, quelle parole legate alla banalità. Forse che nel suo intimo sentiva bruciare la fiamma del finto e ridicolo nichilismo? O più semplicemente, era un metodo di fuga ben studiato per evitare le frane, gli smottamenti di un lungo percorso, affrontato preferendo sempre la pianura e mai il ripido sentiero che si inerpica nel fitto bosco delle difficoltà, quei faticosi passaggi capaci di tradursi in insperate e discontinue possibilità: Saper dosare la banalità e il paradosso: è tutta qui l’arte del frammento.

scatti di Stefano Gentile

 

 – f r a m m e n t i –

                                               

Siamo ferocemente esondati uno nell’altra. Abbiamo travolto gli argini non appena il tempo ha smesso di sorvegliarci a vista, eruttato come lava ardente quando nulla avrebbe potuto frenare il nostro scivoloso e incandescente tragitto che ogni cosa fondeva. Siamo costantemente vissuti in un frastuono di promesse, progetti, desideri, sogni, racconti, confessioni, indossando le nostre anime strappate al costante silenzio di chi diffida. Ce la siamo scordata, quella linea temporale superata oltre venticinque anni or sono. Lei ora ci ha raggiunto soffiando sui nostri sguardi tutta la cenere che ci siamo lasciati alle spalle. E’ un molesto fardello che pesa e rende lento il procedere spoglio di  promesse, progetti, desideri, sogni, racconti, confessioni. Si fosse in grado di vivere in bilico sul margine di un consumato righello che non segna i centimetri ma gli anni, potremmo iniziare a mantenerci in equilibrio, convinti di riuscirci senza precipitare. Ma il tempo pesa e sbilancia e schianta, prima di sussurrarti che sei alla fine.

 

Dalla sua amata compagna di una vita ricevette solo un breve messaggio di risposta; conteneva la descrizione di un sogno fatto quella stessa notte:

 

nell’esperienza onirica ero una sospiratrice, non un Maestro vetraio che semplicemente soffia, bada bene. Io cesellavo con il sospiro il Frammento. Eravamo in pochi, rimasti nei nostri vetusti frammentatoi. Si continuava isolati e imperterriti da anni in quell’arte per altro mai riconosciuta. Un bisogno inspiegabile ci spingeva ogni giorno a sospirare creando. Conoscevamo il Frammento in ogni sua declinazione e lo plasmavamo a nostro piacere. Al pari di free climber, ci arrampicavamo aggrappandoci alle fessure invisibili che solo il nostro sospiro poteva percepire e indagavamo ciò che la parete delle altrui banalità nascondeva ai più. Chi non possedeva il dono del sospiro ci descriveva al pari di stupidi vetusti nichilisti; in verità eravamo semplici e meravigliosi Sognatori destinati a svegliarci, le dita ferite ancora ritratte nella posizione dell’artiglio che nulla però riesce più a trattenere.

 

Addio.

 

 

                                             f r a m m e n t i –

 

Due promontori gli stringono le tempie mentre assetato cerca di raggiungere l’insenatura, quell’apertura la cui calda onda attende di sgorgare e verso la quale una forza primitiva, ancestrale, lo sta spingendo.

 

Le due lingue di vellutata epidermide che serrano il suo capo si vanno via via restringendo, la loro morsa è una scossa che si perde nell’ansimare di una bufera pronta ad esplodere, pronta a far esondare quel mare nel quale immergersi per rinascere.

 

Come un nuotatore esperto allunga ogni organo del corpo per superare la potenza tellurica scatenata dai muscoli tesi contro cui nuota, immerso nella densitá di un cielo rosa sussulto.

 

GUARDAMI!

 

Lo sente quel richiamo, conosce alla perfezione il verde insostenibile da cui giunge. Con un gesto improvviso si libera dalla stretta e salta verso quell’ansimare, dritto come un fuso nella tempesta.

 

GUARDAMI, ADESSO GUARDAMI!

 

Quante declinazioni puó avere il colore verde, quanto il delirio della sua profondità quando, soddisfacendo la richiesta e fissandola negli occhi, lei aziona la sua aggressiva voglia di frantumarlo, finirlo, sgretolarlo, polverizzarlo, annientarlo, amarlo.

 

Inerpicarsi giù giù dove quel mare schiuma e urla e poi risalire su su nell’attesa dell’onda che nuovamente trascina nel profondo, a un centimetro dall’estremo dono, a un milionesimo di millimetro da quel verde insostenibile.

 

Lontano miglia dall’amore, follemente perduto nella ferocia della fine, nell’estrema tensione di muscoli e nervi che improvvisamente formano un arco dentro il quale spinge e viene spinto, getta la sua anima sfinita nel fuoco dell’illusione di un atteso gemito che urla che si trasforma in respiro affannoso che si trasforma in un lungo sospiro che si trasforma in un sorriso che si trasforma in un abbraccio che si trasforma in un in-finito sogno colorato dalle mille sfumature di un iride al quale si è inchinato, sulle spalle il scivoloso peso del piacere.

 

Guardami ancora, ora.

    

 

 

                                             f r a m m e n t i –

 

 

Il passaggio è stato lento, troppo lento. Il passaggio è stato doloroso, maledettamente doloroso ma ora, nulla di quanto ho vissuto e sofferto più mi appartiene.

 

Non so dove mi trovo, lo sguardo di un tempo più non serve, non basta per comprendere in quale realtà sono immerso.

 

Una sola percezione: sento di essere poca cosa, un indefinito non descrivibile che possiede dimensioni infinitamente piccole e al contempo sconfinate.

 

Ascendo.

 

Qualcosa di inimmaginabile, vasto, immenso, senza limite mi sorregge ma la mia vista è ancora legata a ciò che ero e vedevo. Non riesco a descriverlo ma sento, lo sento!

 

Lo sento e il suo lieve abbraccio è un contorcimento che mi devasta di bellezza!

 

Ma non ricordo

 

in un solo attimo ho dimenticato il pianto, più non ricordo come accenderlo con la fiamma della beatitudine.

 

Io non ricordo perché più non sono.

 

Ora mi innalzo nel tutto e il tutto mi solleva tenue in uno stato di grazia che non appartiene a nulla di quanto visto o studiato o immaginato.

 

è… è…

 

È suono! Posso solo definirlo con questa parola, una delle ultime che ancora non si sono lentamente sbriciolate assieme al ricordo.

 

Ascendo!

 

Immobile al termine dell’ascesa, levito sospeso nel tutto che contribuisco a creare ed espandere.

 

Sento che giunge

 

la chiamata giunge possente, puro delirio cosmico moltiplicato per miliardi e miliardi di impossibili lacrime di stupore, gioia, paura, terrore, incredulità o forse altro ancora raffigurato come vecchie emozioni ormai perdute nell’eternità di questo attimo.

 

Ci sono.

 

Sono lì dove il per sempre è un baleno.

 

Sono giunto e vedo

 

distinguo il nulla e il tutto di cui faccio parte, distinguo l’immensa vastità del mio non essere e al tempo stesso sentirmi.

 

Sono immenso cullato dall’inesauribile.

 

Sono giunto e ora vedo!

 

Sono essenza.

 

 

**  mail del 17.06.2023  ore 03.18 

invio recensione best year song per il Mensile Musicale Approaching Silence. “Anchor”  by All Hands Make Light – Constellation Records 2023accludo link Bandcamp per ascolto:  https://allhandsmakelight.bandcamp.com/album/darling-the-dawn

 

                                          

scatti di Stefano Gentile

                                          

 

                                          f r a m m e n t i –

 

Nella calma del mezzogiorno estivo, all’improvviso partiva il rombo del bicilindrico.

Mia madre si girava di colpo correndo verso quel rumore che ben conosceva  sapendo benissimo cosa significasse: una decisione che a lei proprio non andava giù:

 

Marco dove ti va?! Tra poco xe pronto in toa!!

(Dove stai andando Marco! Tra poco è pronto in tavola!)

 

Mio padre la guardava con il casco giá allacciato e il cancello spalancato.

 

Irma! Manca el pan, vado a torlo!

(Manca il pane, corro ad acquistarlo).

 

Ma se eo gavemo tolto stamattina??!!

(Ma se lo abbiamo preso stamattina??!!)

 

Ah vero, manca ea ua e e banane!

(Vero, mancano comunque l’uva e le banane!)

 

Gavemo tolto anca quee!!

(abbiamo preso anche la frutta!!! Spegni quella moto che stai facendo un rumore infernale!!)

 

Vovi? Crekers? CocaCola? Me par che manca.

(Uova? Crackers? CocaCola? Mi sembra manchino)

 

STUA QUELL’OSTIA DE MOTO E VIEN SU!! CHE XE PRONTO DA MAGNAR!!

(Spegni quella moto maledetta e torna su che è pronto in tavola!!)

 

Questa era una scena ricorrente nelle estati trascorse al Lido: mio padre (ז״ל)** non perdeva occasione per inforcare la sua bicilindrica e scorrazzare lungo le strade dell’isola; le occasioni le inventava, nel caso non fossero credibili. L’altra attrice principale della splendida commedia era mia madre (ז״ל )** che puntualmente cercava di bloccarlo urlandogli dal balcone che affaccia sul giardino.

Confesso che era uno spasso, una vera commedia nella quale i due attori eccellevano nell’interpretazione.

 

Oggi per la prima volta in vita mia, ho inforcato quel rombo che il tempo non è riuscito a zittire e come mio padre, sono andato a fare spese nel piccolo supermercato vicino casa.

 

Prima di uscire dal cancello ho alzato lo sguardo: li ho visti affacciati a quel balcone, sorridevano.

 

                                           f r a m m e n t i –

 

Siamo frammenti di ciò che vorremmo esser stati

di ciò che mai saremo

di ciò che solo la fortuna vorrà noi si divenga

 

Siamo frammenti scagliati con forza nel sottopasso che la vita ha scavato per ridurre le distanze tra le nostre delusioni e l’abitudine a riprendere la corsa

 

Frammenti immortali nel fluido istante della carne, unico attimo nel quale apriamo gli occhi nel capogiro dell’esplosione che ci scaglia mille miglia fuori rotta

lontano da ciò che vorremmo esser stati, saremo o ciò che solo la fortuna vorrà noi si divenga.

 

** Onorificenza per i defunti nella religione ebraica: ז״ל – zl” – zikhrono livrakha (maschile) o zikhronah livrakha (femminile)- “il suo ricordo sia una benedizione”.

 

 

frammenti  

– mirco salvadori – parola

– stefano gentile – immagine

 

Venezia, 18.09.2023

 

 

 

 

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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