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La grande crociata del negazionismo in agricoltura

di Giacomo Sartori

invito a leggere questa lucida cronaca di Roberto Pinton (pubblicata da STORIEDEL BIO) che racconta di come si stia completamente smantellando l’ambiziosa strategia della EU “Farm to Fork”; su istigazioni delle organizzazioni professionali degli agricoltori, trincerate su posizioni retrive e negazioniste, e molto influenti sui partiti di destra e su molti governi della EU (a cominciare dall’Italia, dove nei fatti le posizioni governative e delle organizzazioni di categoria sono indistinguibili, come viene spiegato); approfittando non solo per sdoganare le nuove tecniche genomiche, ma per imporle – abile strategia per minare la loro credibilità – al mondo dell’agricoltura biologica;

 

Dal produttore al consumatore (alla discarica?)

Roberto Pinton

Il contesto

La strategia Farm to Fork [da noi: dal produttore al consumatore] è (era?) parte integrante del Green Deal europeo, che si propone di costruire entro il 2050 un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e della competitività, garantendo la neutralità climatica, senza più emissioni nette di gas a effetto serra.

Obiettivi della strategia, tra gli altri, arrivare al taglio del 50% dei fitofarmaci più pericolosi e degli antibiotici negli allevamenti, al dimezzamento della perdita dei nutrienti attraverso la riduzione del 20% dei fertilizzanti e portare al 25% la superficie agricola europea condotta con metodo biologico, tutto entro il 2030.

È evidente che si tratta di uno scenario che rivolterebbe la produzione agricola come un calzino, con molte sfide entusiasmanti per la produzione attualmente convenzionale, ma anche per quella biologica (presumibile crescita del segmento del “residuo zero”, diffusa corsa ai claim sulla sostenibilità, aumento della competizione tra operatori biologici, ecc.).

Non mancano le misure a corollario: obbligo per l’industria alimentare di integrare la sostenibilità nelle strategie aziendali, codice di condotta per pratiche commerciali responsabili nella filiera, iniziative per promuovere la riformulazione degli alimenti trasformati (con livelli massimi per grassi, zucchero e sale), nuova etichettatura nutrizionale per facilitare scelte alimentari salutari, revisione della normativa sugli imballaggi per ridurre l’impronta ambientale del settore, riscrittura della normativa in materia di benessere animale, iniziativa sul sequestro del carbonio nei suoli agrari, etichettatura di sostenibilità dei prodotti alimentari e contrasto al greenwashing, criteri minimi obbligatori che favoriscano i prodotti biologici e gli altri sostenibili negli appalti pubblici, ri-orientamento dei programmi UE di promozione per potenziarne il contributo alla produzione e al consumo sostenibili, potenziamento della cooperazione tra i produttori per rafforzarne il peso nella filiera, iniziative per migliorare la trasparenza.

In sostanza, l’agroalimentare dovrà dimenticare il calduccio della comfort zone.

Nel 2020 il pacchetto è stato presentato dalla Commissione al Parlamento europeo, che a larga maggioranza ha approvato la strategia, riconoscendola come strumento efficace per garantire una produzione sostenibile di alimenti sani; parere favorevole anche da Consiglio, Comitato economico e sociale europeo e Comitato delle regioni.

Tutto a posto, con tanto di sol dell’avvenire che s’intravedeva all’orizzonte?

Col fischio.

Ostacoli e inciampi

Per correre alle elezioni nazionali da leader di un accordo tra i socialdemocratici e Sinistra Verde Frans Timmermans si è dimesso da Commissario per il clima e per il Green deal (alla fine, pur avendo guadagnato il 50% di seggi in più, è arrivato secondo dopo il Partito per la libertà, di estrema destra) ed è stato sostituito nell’ottobre scorso dal connazionale cristiano democratico Wopke Hoekstra, già dirigente della multinazionale britannica Shell (fatturato 2021 di 261,5 miliardi di dollari da petrolio e petrolchimica) e il cui partito CDA ha brillato nei tentativi di sabotare il Green Deal: quando si dice l’uomo giusto al posto giusto.

Ma già prima che Hoekstra potesse cominciare a far danni, il lavoro di logorio da parte di popolari, conservatori e liberali (non è una malattia italiana, tutti pensano alle prossime elezioni e alle cambiali da onorare con il proprio elettorato di riferimento e con gli amici degli amici) ha cominciato a mandare in frantumi il Green Deal prima che il necessario quadro normativo fosse del tutto definito.

Andiamo alla rinfusa.

Il 22 novembre lo stesso Parlamento europeo che pure aveva approvato il documento sulla strategia Farm to Fork che ne prevedeva il taglio del 50% entro il 2030, ha bocciato la proposta di regolamento della Commissione sull’uso sostenibile dei pesticidi (Sustainable Use Regulation, SUR) presentata nel giugno 2022 come parte del pacchetto di misure volte a ridurre l’impronta ambientale del sistema alimentare.

299 deputati hanno respinto la proposta, 207 a favore e 121 astenuti.

È improbabile ci siano i tempi (e la volontà: a urne imminenti vuoi metterti contro le lobby agricole che sostengono di manovrare milioni di voti?) per un nuovo passaggio in Consiglio, per cui la questione verrà ereditata dal nuovo parlamento che uscirà dalle elezioni del giugno prossimo.

Oggi è un buon giorno per gli agricoltori e per chi pensa che la UE non debba imporre ulteriori ostacoli”, ha dichiarato la vecchia volpe PPE (CDU) Peter Liese, al parlamento europeo dal 1994.

Richiama alla riflessione il plastico titolo di ieri di Winenews (https://winenews.it/it/niente-accordo-sui-fitofarmaci-lutilizzo-non-sara-dimezzato-esulta-lagricoltura-italiana_511518/): “Niente accordo sui fitofarmaci, l’utilizzo non sarà dimezzato: esulta l’agricoltura italiana”.

Liberi tutti, nessun ostacolo, nessun taglio dei pesticidi, nemmeno nelle aree sensibili come quelle protette da Natura 2000, nemmeno negli spazi verdi urbani.

E l’Italia? Esulta.

Non cambia molto la situazione sulla proposta di regolamento sui requisiti per l’intero ciclo di vita dell’imballaggio, dalle materie prime allo smaltimento finale: “Il Parlamento europeo annacqua il regolamento sugli imballaggi. Passano le deroghe sul riuso e l’Italia festeggia”, titola Eunews.it.

Sull’argomento il PPE si era inizialmente spaccato in commissione ambiente, con i deputati di FdI a votar contro parlando di “deriva ultra-ambientalista”; la posizione del governo era nettamente contraria perchè “Il nuovo regolamento favorirebbe il riuso a svantaggio del riciclo”.

Così com’era la proposta avrebbe avuto ripercussioni sull’economia italiana che vede consorzi che fondono barattoli e scatolette, lattine e vetro e mandano al macero carta e cartone: la riduzione della loro materia prima e il suo riuso avrebbero messo in crisi una filiera che si alimenta di spazzatura (va detto che anche la Francia era dubbiosa, preoccupata per gli astucci di balsa del camembert).

Ma al momento giusto la posizione si è ricompattata: niente vetro a rendere, salve le buste di plastica, salve le vaschette di polistirolo più film in PVC per confezionare una singola melanzana prezzata 61 centesimi (vista on line ieri: quanto incassa l’agricoltore e quanto l’industria della plastica?).

E l’Italia? Festeggia.

Pochi giorni prima, in mancanza di una maggioranza qualificata tra i Paesi membri, la Commissione ha ri-approvato per dieci anni il glifosate (voto favorevole al rinnovo da parte dell’Italia in ottobre, astensione a novembre, così come la Francia di Macron –che pure nel 2017 ne aveva annunciato il bando entro il 2020- e la Germania della Bayer).

Il nostro ministero è dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, non dell’agricoltura, della sicurezza alimentare e delle foreste, altrimenti (forse) avrebbe tenuto conto che gli inquinanti prioritari glifosate e il suo metabolita AMPA sono già le sostanze contaminanti più frequentemente rilevate nelle acque superficiali italiane (42% l’uno, 68% l’altro), dove superano gli standard minimi di qualità ambientale nel 52.7% dei casi (AMPA) e nel 21.2% (glifosate).

Poco prima, la cristiano democratica svedese Jessica Polfjärd, relatrice in Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare sulla bozza di “Parere sulla proposta di regolamento relativa alle piante ottenute mediante alcune nuove tecniche genomiche e agli alimenti e mangimi derivati”, non solo ha proposto la soppressione di disposizioni sull’etichettatura delle sementi, che avrebbero almeno rappresentato un punto di partenza per la trasparenza, ma ha anche scritto che “Il relatore ritiene che le nuove tecniche genomiche dovrebbero essere consentite in agricoltura biologica. Lo scopo di questo progetto di relazione è garantire che qualsiasi operatore senza discriminazione possa utilizzare le tecniche. Pertanto, il divieto proposto dalla Commissione per le tecniche da utilizzare nell’agricoltura biologica viene revocato per garantire condizioni di parità senza imporre la tecnica a nessun operatore.

La proposta dovrebbe garantire che ogni operatore possa avere accesso a queste nuove tecnologie. La libertà di scelta è essenziale per gli operatori e la tecnica dovrebbe rimanere disponibile”.

Molto liberale, non c’è che dire, ma in totale contrasto con quanto chiesto con forza dal settore, da ultimo nella risoluzione “Keep Organic GMO-free” adottata da IFOAM Organics Europe nell’assemblea generale del giugno 2023 (ma il primo position paper sulle New Plant Breeding Techniques risale al 2015, appena si cominciava a parlarne).

Il documento IFOAM Organics Europe (al quale si era allineata la proposta della Commissione, che oltre a vietare in agricoltura biologica le piante geneticamente modificate richiedeva l’etichettatura delle sementi, punti che la Polfjärd ritiene siano da cassare) ribadisce che il processo di produzione biologica deve rimanere libero da OGM vecchi e nuovi, e che la libertà di scelta e il diritto degli operatori biologici a produrre senza NGT sarà efficace solo se accompagnato da strumenti tecnici e legali integrati nel regolamento.

Come ben ha commentato Jan Plagge, presidente di IFOAM Organics Europe, “Questa bozza di parere invalida la visione di un intero movimento e di un intero settore economico”.

Mantenere la fiducia dei consumatori nell’integrità della filiera biologica è fondamentale per il suo successo: tracciabilità e chiara etichettatura delle sementi OGM vecchi e nuovi servono anche a garantire che non ricadano sugli operatori altri oneri finanziari e legali per garantire lo status di produzione OGM free.

La bozza di parere ha fatto brindare l’industria biotech: “Molte tecnologie interessanti arriveranno sul mercato nei prossimi anni”.

Il ministro Lollobrigida, dal canto suo, ritiene che sia “necessario investire in queste tecniche senza ideologie o pregiudizi”, mettendo sul piatto quante più risorse possibili.

E le rappresentanze degli agricoltori?

COPA COGECA (il COPA è il Comitato delle organizzazioni professionali agricole -soci italiani Coldiretti, Cia, Confagricoltura-, il COGECA è la Confederazione Generale delle Cooperative Agricole, socio italiano l’Alleanza delle Cooperative Italiane Agroalimentare – ACI, che ingloba le tre organizzazioni Agci/Agrital, Anca/Legacoop e Fedagri/Confcooperative) in una sua nota, a nome degli (inconsapevoli) agricoltori europei, aveva sottolineato la necessità di campagne di comunicazione da parte dei settori pubblico e privato affinché i consumatori accettino e si fidino delle nuove tecniche OGM.

Qualcuno ricorderà che nella (vecchia) “Task Force per un’Italia libera da OGM” con Aiab, Slow Food, Legambiente, WWF e Greenpeace c’erano anche Coldiretti e la sua appendice Campagna Amica, con Cia, Legacoop Agroalimentare e CNA alimentare, mentre oggi nella (nuova) “Coalizione Italia Libera da OGM” son rimasti Aiab, Slow Food, Legambiente, WWF e Greenpeace (con altri) ma si son perse le tracce delle organizzazioni di categoria a vocazione generale.

Non si scherza nemmeno sul Nutriscore (qualcuno ne ha più sentito parlare?), concepito non per la promozione dei prodotti alimentari, ma per la promozione di un’alimentazione meno insana: come rivelato da Il Fatto Alimentare (https://ilfattoalimentare.it/beuc-nutri-score-lobby-italiane.html), appena insediato, il governo, con Federalimentare e Coldiretti ha tenuto diversi incontri con la DG SANTE e la DG AGRI per scongiurare l’adozione dell’etichetta a semaforo (già adottata da sette Paesi europei) temendo una penalizzazione dei consumi di Nutella ®, ovetti Kinder®, lardo di Colonnata e prosciutto di Parma.

A volte è difficile capire dove finiscono le autorità italiane e dove iniziano le associazioni agroalimentari” è il commento sconsolato del Bureau Européen des Unions de Consommateurs (l’organizzazione ombrello di 45 associazioni di consumatori di 31 Paesi) (https://www.beuc.eu/blog/food-label-ambush-how-intense-industry-lobbying-halted-eu-plans/).

Da noi la sinergia (l’obbedienza?) con alcune organizzazioni di categoria e rappresentanze d’interessi, senza manco fare il beau geste di audire le altre, si è palesata in tutto il suo splendore di recente con l’approvazione della norma che non vieta solo la carne da coltura cellulare, ma anche denominazioni ormai tradizionali e che proprio non paiono in grado di ingannare nessun consumatore come “würstel di soia” e “burger vegetale”.

Mentre Coldiretti festeggiava con una chiassosa manifestazione muscolare, ASSICA (l’associazione degli industriali delle carni e dei salumi, che sulla questione ha speso in una decina d’anni molto tempo e molto denaro), più sobriamente, plaudeva defilata alla norma che, a suo dire, riporta correttezza e chiarezza sul mercato, restituendo la dignità sottratta “a un settore fatto di tanta competenza e capacità umana, tradizioni e impegno, nonchè investimenti”, e ringraziava il vice presidente del senato Gian Marco Centinaio e il presidente della commissione Agricoltura della camera Mirco Carloni “il cui impegno e attenzione al dossier sono risultati chiave per il successo dell’iniziativa e la soddisfazione dei settori direttamente tutelati dalla norma”.

Tra ottusità della politica, miopia dell’industria e maneggi vari potremmo continuare a lungo, ma siccome sono sprezzante del pericolo di farmi nemici, passo alle organizzazioni agricole.

Sbaglierò, ma a me pare che il settore biologico non abbia nulla da spartire con le organizzazioni agricole che esultano per esser riuscite a ostacolare l’adozione di misure per favorire la sostenibilità della filiera agroalimentare.

COPA-COGECA ha 51 gruppi di lavoro; ben uno di questi 51 è dedicato all’agricoltura biologica, presidente la danese Lone Andersen, vice-presidente l’imprenditore vitivinicolo veneto Emilio Fidora, di Confagricoltura.

Chi va a leggere il sito comune delle due organizzazioni trova indicato “Nutriamo insieme il futuro dell’Europa! Il Copa e la Cogeca esprimono la voce unanime degli agricoltori e delle cooperative agricole dell’Unione europea. Unendo le nostre forze, assicuriamo un’agricoltura europea sostenibile, innovativa e competitiva, garantendo nel contempo l’approvvigionamento alimentare di 500 milioni di persone in tutta Europa”.

Sbaglierò, ma questa sedicente “voce unanime” non è la mia.

Chi va a leggersi i documenti accessibili, trova la raccomandazione alla Commissione di ri-autorizzare per dieci anni il glifosate (“Attualmente non esiste un’alternativa a questo erbicida, senza il quale molte pratiche agricole, in particolare la conservazione del suolo, sarebbero rese più complesse, lasciando gli agricoltori senza soluzioni o con l’alternativa di usare ancora più erbicidi”).

Trova il position paper sulle nuove tecniche genomiche (nel documento non si dà il minimo conto del fatto che il gruppo di lavoro sull’agricoltura biologica ha espresso la sua contrarietà, anzi, si riesce nel miracolo di non citare nemmeno una volta l’agricoltura biologica: per la sedicente “voce unanime degli agricoltori dell’Unione europea” semplicemente non esiste) che raccomanda di non etichettare le varietà NBT di categoria 1 (in fin dei conti hanno non più di 20 modifiche genetiche…), dato che si tratterebbe di una questione irrilevante per i consumatori e, soprattutto, comporterebbe costi aggiuntivi per la filiera.

Trova la netta contrarietà alla Nature Restoration Law Legge (“Possiamo lavorare sul ripristino della natura, ma sarà difficile con la norma proposta dalla Commissione, che rimane fondamentalmente mal preparata, senza budget e inattuabile per gli agricoltori e i proprietari forestali”), poiapprovata dal parlamento europeo il 12 luglio, ma con lo stralcio dell’articolo 9, quindi senza gli impegni per gli agroecosistemi (miglioramento dello stato di conservazione degli uccelli e delle farfalle degli ambienti agricoli, mantenimento di almeno il 10% di elementi naturali negli agro-ecosistemi) in ossequio alle pretese dell’organizzazione e delle destre europee.

Trova l’accusa alla commissione Ambiente del parlamento europeo di retorica politica sulla proposta di Regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi.

Trova in un documento che “è prevedibile che l’imposizione dell’agricoltura biologica in ampie zone d’Europa provochi difficoltà esistenziali a innumerevoli aziende agricole senza alcun beneficio apprezzabile per l’ambiente. I metodi biologici e meccanici di eliminare gli organismi nocivi non sono sufficienti in alcune regioni (…). La conversione al biologico non è semplice. Oltre ad applicare nuove tecniche e rispettare nuovi requisiti, gli agricoltori avranno bisogno di una formazione adeguata per rispettare i criteri stabiliti dal regolamento 2018/848”: troppo complicato, meglio lasciar perdere e continuare nel business as usual.

Trova un documento che contesta con vigore gli ipotizzati cambiamenti della densità di allevamento perché porteranno a devastanti riduzioni della produzione di uova, di conigli e di suinetti.

La posizione di COPA-COGECA è chiara, da sempre: il mantra costante è che non è necessaria una regolamentazione, che vanno evitati obblighi di attenersi a inutili criteri di sostenibilità e che meglio lasciar fare al mercato (salvo prevedere nuovi premi per gli agricoltori).

Nel 2021 era trapelato un documento interno (ne scrissi su Greenplanet: https://greenplanet.net/cosi-copa-e-cogeca-tentano-di-distruggere-la-farm-to-fork/) in cui COPA-COGECA raccomandava a tutte le organizzazioni aderenti nei diversi Paesi di impegnarsi nel ritardare il voto del Parlamento europeo sulla strategia Farm to Fork, esercitando pressioni su parlamentari e ministeri, coordinandosi tra loro e prospettando azioni congiunte con l’AgriFood Chain Coalition (soci AnimalHealthEurope, l’associazione dei produttori di antibiotici e farmaci veterinari, CropLife Europe, quella dei produttori di pesticidi, la lobby dell’industria OGM EuropaBio, le industrie sementiere di Euroseeds, i mangimisti di FEFAC e FEFANA, l’industria dei fertilizzanti Fertilizers Europe eccetera) e European Livestock Voice, il raggruppamento dell’industria della carne (soci italiani nell’orbita di Assocarni: Carni Sostenibili, Carni Rosse Buone e sicure).

La mobilitazione era tesa alla modifica degli obiettivi di riduzione di pesticidi, fertilizzanti e antibiotici, ma anche al contrasto alle etichette nutrizionali e alla lotta allo spreco alimentare.

I parlamentari europei dovevano essere invitati a eliminare dal documento della Commissione la scomoda affermazione “attualmente il sistema agroalimentare è responsabile di una serie di impatti sulla salute umana e animale, sull’ambiente, il clima e la biodiversità” (non sia mai),a modificare la parte che addirittura riconosceva l’impatto dell’agricoltura e dell’allevamento sull’emissione dei gas serra: avrebbe piuttosto dovuto sottolineare che l’agricoltura europea è l’unico grande sistema al mondo ad aver ridotto significativamente le emissioni, che in ogni caso derivano da processi naturali.

Doveva essere assolutamente eliminata la previsione del taglio del sostegno economico climatico e di altri incentivi ai sistemi agricoli intensivi e industriali con impatto negativo sulla biodiversità. Anche qui, non sia mai.

Bisognava smettere di “perdere tempo astenendoci dall’utilizzare tecnologie all’avanguardia come le nuove tecniche di gene-editing di animali e piante”.

Ciliegina sulla (nostra) torta, COPA-COGECA e il resto della combriccola biotech e agrochimica chiedevano che non si prevedessero quantità minime obbligatorie di prodotti biologici nelle scuole e nelle altre istituzioni pubbliche e che, al più, si favorissero “alimenti locali e sostenibili”, qualunque cosa significhi.

Mi chiedevo allora, e continuo a chiedermi adesso come possano gli 82.627 agricoltori biologici italiani sentirsi rappresentati da un’organizzazione europea (costituita dalle organizzazioni nazionali) che ha una politica negazionista, che assieme alle multinazionali produttrici di fitofarmaci s’impegna ad affossare ogni politica di rinnovamento sostenibile del settore primario, che non tiene in nessun conto le posizioni che esprimono, ma ha a mente soltanto gli interessi dei loro colleghi convenzionali (oltre che delle multinazionali produttrici di fitofarmaci e biotech) e che mette le mani nelle loro tasche, cercando di sottrarre loro opportunità.

Come possano fare riferimento alle organizzazioni nazionali che continuano a esprimere scelte che hanno impatto negativo sui beni comuni e sono contrarie ai loro orientamenti e alle legittime attese dei consumatori, nel superiore interesse sempre di qualcun altro.

Come possano coricarsi senza un groppo allo stomaco per la consapevolezza della propria irrilevanza e del loro ruolo strumentale di utili pupazzi i dirigenti delle associazioni biologiche afferenti alle organizzazioni a vocazione generale (organizzazioni che pure, in base alla legge 23/2022 avranno incomprensibilmente un ruolo nel Tavolo tecnico per la produzione biologica, che è tutto fuorché tecnico, dovendo occuparsi di delineare indirizzi e priorità per il Piano d’azione nazionale, esprimere pareri sui provvedimenti nazionali ed europei, proporre interventi per la promozione e individuare strategie per favorire la conversione). Possiamo attenderci abbiano a cuore lo sviluppo del biologico più di quanto lo abbia la loro organizzazione europea?.

Antonio Sposicchi, sulla base di un’esperienza professionale vissuta per oltre tre decenni in Cia, ha scritto di poter affermare chiaro e tondo che le organizzazioni professionali a vocazione generale non riusciranno mai a rappresentare adeguatamente gli imprenditori agricoli che adottano il metodo biologico.

È un’affermazione che magari non sarà condivisa dai rappresentanti istituzionali (né, ovviamente, dalle associazioni), ma che è confermata, oltre che dai tristi avvenimenti qui accennati, dal fatto che esistono IFOAM Organics Europe e COPA/COGECA con le relative piattaforme programmatiche che su molte, troppe questioni strategiche sono in netto contrasto sia in ognuno dei 27 Paesi della UE che a Bruxelles.

Vogliamo cominciare a pensarci?

NdR: l’originale si può leggere qui

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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