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Les nouveaux réalistes: Annalisa Lombardi

Qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo
di

Annalisa Lombardi

Elisa

Traccia Uno

 

Elisa esce dal cinema e, invece di andare a sinistra verso la macchina, decide di fare una passeggiata nel grande parco vicino. È una calda sera di fine estate e pure in città si sentono le cicale, anche se sembra impossibile.

Sta pensando alla sera successiva, quando incontrerà Carlo, che vede da qualche tempo al bar sotto casa. Un bar di quartiere, senza pretese, con prezzi bassi e aperitivi abbondanti. Hanno cominciato a frequentarlo alla stessa ora. E da qualche mese, scambiano chiacchiere e si raccontano, ridono e si guardano. Lui le ha chiesto di incontrarsi da soli a cena. Un appuntamento.

Passa attraverso i pali metallici e colorati della scultura Coloris. Una donna con un hijab nero e un vestito rosso pare giocare a nascondino tra i pali, come fossero alberi di una foresta.

Elisa sente stringersi la gola e le salgono le lacrime agli occhi. Ha una paura fottuta e lo sa.

Gli altri della famiglia nordafricana che sono con la donna la osservano.

Nessuno che mi chieda che ho, cosa c’è che non va. E poi? Se lo facessero, cosa risponderei? Ho paura di incontrare un uomo, domani? Ridicola.

È l’inizio di una storia?

E gli occhi le si riempiono ancora di più.

Che bene che stai vestita da donna.

Sei andata in palestra?

Ho pensato che potevi venire qui un’oretta.

Ah, anche stasera niente tacchi?

 Le risuonano nella testa alcune frasi che le hanno detto.

Cosa volete? Cosa hanno sempre voluto? Il corpo? La bocca intorno al loro cazzo? Le mani sulle gambe sotto il tavolo. Un pompino in una macchina tappezzata? Una palpata al seno, vicino alla stalla? Che romantico l’odore dei cavalli…

Madonna, levatevi di dosso!

Camminando incontra più avanti un’altra scultura: due gatti enormi, guardiani del quartiere. Non li avrebbe mai visti, se non avesse deciso di passeggiare.

Sarà ancora così? Ci sarà ancora tempo per le scoperte? O inevitabilmente ci si accomoderà in ruoli che pian piano si definiscono? E io? Cosa voglio? Il desiderio, la carezza, la foga, il sorriso. Passare le dita sul contorno delle labbra.

Cosa c’è? Niente, ti guardo…

Non ho più voglia di stare sola. A conti fatti, però, se mi faccio toccare, divento vulnerabile. Ho il fianco tenero che si presta agli spadini.

Incontra un gruppo di giovanissimi francesi che si rinfrescano alla fontana e intanto due ragazzini fanno down hill con i monopattini.

Che voglio? Chi voglio? Voglio Carlo? Sì, mi attrae e penso alle sue mani addosso. Ma voglio tutto: voglio andare oltre l’attrazione. Voglio che Carlo mi guardi per quella che sono. Che non mi ricatti se non sono come si aspetta. Avrà questa apertura nello sguardo? Vorrei che volesse soltanto concedersi.

Si avvicina alle sculture dei gatti e sbucano dalla siepe due leprotti dal manto marrone. Elisa è piena di sorpresa. Per quella sera ha avuto il suo colpo di scena, fa dietro front e si dirige verso il parcheggio.

 

Caterina

Traccia due

 

Caterina tenìa 20 anni, i capelli ricci, legati ‘nda ‘na crocchia e occhi lucenti, due fuochi, vivi e niri. Non era mai scesa da ‘u paese a vede’ ‘o mare che era a sei chilometri – ‘n’ora e un quarto a piedi – e però sognava di sta’ da n’ata parte. Parti’ p’ ’o Brasile, comm’ ‘a sora, j’ ‘o Venezuela, comm’ ‘a tanti d’ ‘o paese. Non ce le dicìa, però, ‘ste cose a ‘o ‘nnammurato. Si incuntravano in piazza o quanno Caterina ìa a piglià l’acqua a’ funtana.

Antonio, detto Tonino, faceva ‘o falegname e c’aveva scritto ‘nu biglietto e essa non aveva saputo bene che dicere, ma ci aveva cominciato a chiacchiera’. E poi Tonino era andato a casa a parla’ c’ ’a mamma e, quanno Caterina l’aveva accompagnato abbasc ‘e scale che se ne stava andando, l’aveva vasata. ‘Nu vaso vocca contro vocca e essa s’era sentita ‘nu poco strana.

Qualche mese cchiù tardi, ci dicette che nun ‘u vulìa cchiù.

Tonino nun ci putìa crede. Si disperava. Nun capiva che Caterina tenìa bisogno di vivere ancora nu poco, di i’ cunuscenno ‘o munn’.

‘O matrimonio, i criaturi, che ne saccio e poi perché co’ Tonino? Tonino nun mi piace cchiù e poi mi sta troppo ‘ncuollo, nun m’ fa’ respira’ da quando è venuto a casa mia.

Essa asciva, iss abitava di rimpetto, ‘a vedeva e subito ‘a seguìa.

Non pozz nemmeno i’ da ‘n amica per chiacchiera’ e magna’ ‘na pastarella c’ ’u cafè.

Accussì nu juorno essa c’ ‘o dicette. Isso nun trovava pace, nu ju cchiù ‘a bottega e ‘a spiava d’ ’a finestra.

Caterina accuminciò a sta’ sempre c’ ’a mamma, perché tenìa paura. Ma non si può controlla’ tutt’ cose.

‘Nu juorno Caterina rientrò da sola a casa e lasciò ‘a porta socchiusa, perché ‘a mamma si fermò poco distante a dare da mangia’ alle galline. Tonino ‘nu mumento fu a ‘o piano ‘e coppa: “Sposami, Cateri’, scappammo”, co l’uocchie da pazzo. “No, Anto’”, fece essa, co’ l’uocchie suoi vivi, e currìo abbasc’. Ma iss’ ‘a rincorse e ‘a sparò vicino ‘o purtone, dove s’erano vasati.

Essa cadìu sui gradini di fora, come morta. Poi si sparò pure iss’ all’istante. Sti fatti ‘i cuntò Caterina, che respirava ancora quann’ ‘i truvarono pe’ terra.

Melissa

Traccia 3

 

Non mollo, non mollo, non mollo! Non posso mollare. Non posso cadere. Sono sola!

Mi sto irrigidendo. Perché ho questo dolore all’ano, anche se non ho fatto sforzi? I muscoli non mi ascoltano, invece di distendersi si contraggono. Lo spasmo aumenta. Dal buco del culo va verso la parte bassa della schiena, cazzo. Ma perché? Perché non smette? Devo governarlo, devo calmarmi. No! È un dolore sordo troppo forte, sto svenendo, mi gira la testa. Non posso! Non me lo posso permettere. Devo tenermi insieme.

Melissa si ritrova a terra, tra il letto e il pavimento. Ha battuto la testa e il ginocchio, deve aver perso conoscenza per qualche secondo.

Eccomi, ci sono, devo solo calmarmi. Ora mi tiro su. Non è successo niente. Ora i muscoli pian piano si rilassano. Ecco, è passato quasi del tutto. Sono sola, ma ce la faccio.

Melissa respira profondamente, poi in maniera più regolare e le fitte diventano più tenui.

Indossa la vestaglia che ha appoggiato sulla sedia, insieme a gonne e pantaloni sgualciti. L’aria è ancora un po’ fredda anche se è marzo. Esce dalla sua stanza, sbircia in quella del pupo e si assicura che dorma. Attraversa la sala e va a farsi una tisana in cucina. Ha ancora il culo indolenzito. Quando è pronta la tisana, la sorseggia piano e ne respira i profumi di zenzero e anice stellato.

Poi si accomoda sul divano in sala e, rischiarata solo dalla luce gialla di un lume da scrittoio, comincia a pregare la Madonna. In quanto madre, in quanto donna.

Lei, agnostica, ancora sgomenta, prega che faccia crescere la sua bambina e che possa bastarsi. Nella notte silenziosa, una voce interna le dice: “hai tutto dentro di te”. Melissa si sente avvolta e compresa.

.

Marcella

Traccia quattro

Marcella è nata nel 1950.

Bambina con le trecce, a scuola dalle suore;

a colazione zuppa di latte col pane anche il giorno della Prima Comunione.

Dalle suore fino al diploma magistrale, ma poi è andata a lavorare.

I tailleur con la gonna al ginocchio, il filo di perle, la borsa sotto il braccio.

Jeans e bandane nei capelli per qualche scampagnata a cui andare rigorosamente accompagnata.

Le sue amiche si facevano mantenere dai mariti e anche lei avrebbe potuto,

all’inizio c’erano da pagare le cambiali della casa, ma anche dopo non ha mai voluto.

Non ha mai letto Sibilla Aleramo, né Carla Lonzi o Lea Melandri.

Non ha mai sfilato con le mani a rombo, né partecipato a gruppi di autocoscienza,

ma, dicendo sì ad aborto e divorzio, ha preso coscienza.

Negli anni 80 e 90, nel giorno della “festa della donna” non ha mai seguito le amiche in pizzeria, giudicandola una fesseria.

Aveva preso coscienza ben prima, in realtà.

Sapeva che il portafogli di una donna deve essere pieno: glielo aveva insegnato sua madre al contrario, sopportando i rintuzzi, i malumori e le corna del marito.

Un giorno di baruffa Marcella, davanti al piatto di pasta e fagioli a tavola, sbottò: “Fossi io tua moglie, ti caccerei di casa”.

Il padre ricambiò lo sguardo torvo, ma per un attimo fu nudo e lei non tornò indietro.

 

Enrica e Franca

Traccia Cinque

Enrica aveva perso la mamma da piccina ed era andata in collegio con la sorella Franca, perché un uomo da solo non riusciva a occuparsi di due bambine. Lì, vicino ad Aulla, aveva imparato a ricamare e a lavorare all’uncinetto e a maglia. A Natale imparavano canzoni e poesie e realizzavano angioletti di carta da appendere all’albero, che le piacevano tanto. Tornate a Caglieglia l’aspettavano la nuova moglie del padre, due fratellini piccoli e l’inizio della guerra.

Enrica era di animo buono e capace di attraversare ogni cosa sorridendo, nonostante tutto. Aveva un viso tondo e grandi occhi. Aveva Franca che le faceva da mantello. Di notte, a volte, sia in collegio sia a casa, le si rannicchiava contro nel letto. Franca invece era segaligna e astiosa. Essendo più grande, aveva patito la morte della madre e mal sopportava la situazione che aveva ritrovato. Doveva saper badare a sé stessa e ai piccoli.

A guerra ormai inoltrata andavano in giro a cercare da mangiare: fichi, albicocche e uva rubate agli alberi e alle vigne.

Prima della guerra, nella piazza di Carrara, gli operai passavano dalla bottega di loro zia a farsi preparare la schiscia e poi andavano su alle cave a lavorare.

Durante i bombardamenti degli Alleati, un giorno, anche le due sorelle, la matrigna e i piccoli erano scappati su alle cave di marmo. Il padre non c’era perché era già stato chiamato nell’esercito. Franca teneva in mano un pentolino di latte per i bambini. All’improvviso la parete del monte di fronte fu colpita con un boato e il rimbombo tornando indietro li travolse, assordandoli.

Franca aveva il braccio tutto tremolante per lo spavento e il latte si rovesciò sulle pietre. Rivoli bianchi percorsero le sue calze e le sue scarpe. Alla paura si aggiunse lo sgomento per l’ira della “matrigna” che le urlò che era una buona a nulla.

Enrica cantava e chiacchierava, capace di attraversare ogni cosa sorridendo, nonostante tutto. Franca continuò a essere segaligna e astiosa.

Il papà di Enrica e Franca era diventato intanto un repubblichino, per cui le due ragazze temevano le rappresaglie dei partigiani.

Un giorno uno dei capi ordinò di portare biancheria, posate e quanto avevano in casa, al punto di raccolta. Franca custodiva la cassa del corredo di sua madre. Non avevano nient’altro, se non gli oggetti di uso comune. Andarono a stanarle, ma Franca, ragazzina, si sedette sulla cassa e rispose a quel manipolo di uomini:

Io di qua non mi muovo.

Loro si guardarono d’intesa l’un l’altro e decisero di lasciarla stare, forse ebbero un moto di tenerezza per la sua giovane età o, forse, apprezzarono il piglio sicuro e la voce ferma.

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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