Io non ci volevo venire

Gianni Biondillo intervista Roberto Alajmo

Roberto Alajmo, Io non ci volevo venire, Sellerio, 2021

Scegli come protagonista del tuo romanzo un non-eroe. Un inetto accidioso, Giovà, quello che nelle partitelle si mette in porta per non dare fastidio. Eppure, alla fine il lettore si identifica con lui. Siamo tutti Giovà?

Un fondo di Giovà c’è in tutti noi, così come c’è un fondo di Pinocchio, o di Paperino. È il motivo per cui questo genere di antieroi risulta così empatico. Ma in generale tutti gli investigatori nella storia del poliziesco risultano più empatici per i loro difetti, che per i loro pregi o la loro intelligenza. Giovà in questo senso è un vero campione: assieme a Clouseau è l’investigatore più incompetente della storia. Lui oltretutto non ha nemmeno titoli per investigare, visto che fa di mestiere la guardia giurata, e il suo committente è un mafioso.

Il mondo di Giovà non prevede l’aiuto delle autorità ufficiali. Il “potere quotidiano” in Sicilia è ancora nelle mani di più o meno piccoli potenti locali? Giovà è la versione moderna di Don Abbondio?

In certi quartieri di Palermo nemmeno sanno come è fatta la divisa dei vigili urbani, e Partanna è uno di questi quartieri. La mafia di borgata quindi viene vista come un riferimento per l’amministrazione delle piccole controversie. È il grado zero di Cosa Nostra: non ci sono grandi affari, ma un minuzioso controllo del territorio. Lo Stato viene vissuto come un’entità remota, e tutte le sue manifestazioni vengono considerate un’ingerenza. Persino certi semafori, che a loro modo sono un segnale della presenza dello Stato, vengono regolarmente presi a pietrate e distrutti. Siccome poi nessuno li ripara, si conferma l’idea che lo Stato sia un fantasma. In questo contesto si muove Giovà, e Don Abbondio è senz’altro uno dei riferimenti letterari più calzanti.

Lo Zzu e suo figlio Giampaolo sembrano i rappresentanti di un patriarcato senza discussioni, eppure il libro ha nelle donne le vere protagonista: sono vittime, indagatrici, portatrici di segreti, risolutrici. Le uniche che agiscono per davvero.

Nel nucleo portante della società siciliana, cioè la famiglia, vige una forma di maschilismo matriarcale. Può sembrare contraddittorio, ma è così. Comandano formalmente gli uomini, le donne però sono quelle che prendono le decisioni, parafrasando Woody Allen. Le donne lasciano che gli uomini si prendano il merito, ma sono loro che manipolano la realtà a uso e consumo della famiglia.

Il tuo è un “giallo sbagliato” dove l’investigatore non solo non vuole indagare, ma non ne è capace. Quanto ti sei divertito a prendere in giro un genere che oggi si prende troppo sul serio?

Non è tanto il fatto di non prendersi sul serio, perché una vena di commedia attraversa quasi tutti i polizieschi, almeno italiani. Io mi sono prefissato semmai di sovvertire certe convenzioni di genere. L’investigatore riluttante che ho immaginato non solo non è in condizioni di investigare, ma nemmeno vuole scoprire la Verità. In un certo senso alla fine è la Verità a scoprire lui.

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(pubblicato precedentemente su Cooperazione, nel 2021)

1 commento

  1. A tale proposito molto bella la testimonianza di Costanza Burgio “Io sono la Mafia”, pubblicato per Edizioni GOT nel 2014. Tutto da scoprire.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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