Note da Gerusalemme: Lucia D’Anna (suite)

 

Vivere di musica

di

Lucia D’Anna

“Come da manuale” quando si suona in ensemble d’archi, prima di iniziare a produrre suoni, succedono una serie di piccole cose che di solito nessuno nota ma sono importanti. Si poggia l’arco sulle corde del proprio strumento, passa una frazione di secondo, poi si alza il proprio sguardo per incontrare quello di chi sta dirigendo. Un mese e mezzo dopo il 7 ottobre, tutti i ragazzi erano seduti con i loro strumenti per la prima prova dopo la sospensione a causa dell’inizio della guerra ma dopo aver poggiato il proprio archetto, nessuno voleva alzare lo sguardo. Rabbia, paura aleggiavano nella stanza, non condivisione e voglia di fare musica.

E come dargli torto?

Ragazzi palestinesi di fronte al loro nemico, il direttore israeliano. Dopo che erano passati alcuni minuti qualcuno doveva pur rompere il ghiaccio. Con poche parole l’insegnante ha messo i ragazzi davanti a un compromesso, a una proposta semplice, naturale che prima era sempre stata data per scontata ma dopo gli avvenimenti recenti non lo era più. Stare insieme in quell’aula per fare solo musica, lasciare per un’ora e mezza tutto fuori. Niente opinioni, niente politica, solo cercare di ri-suonare insieme. Stare seduti vicini di nuovo, riscoprire la bellezza di poter essere uniti da un’arte e non divisi dall’odio. Facile da dirsi, un po’ più difficile da farsi. C’è voluto tempo per gli allievi per lasciarsi andare, per fidarsi di nuovo. Le persone erano le stesse ma le nuove fratture erano tante. Ma alla fine ce l’hanno fatta, suonando per la scuola forse alcuni dei migliori concerti. La bellezza di vedere il direttore emozionato, fiero di questi ragazzi così lontani dalla sua vita e dal suo modo di pensare, vedere gli studenti sorridere e cercare approvazione. Questa è la realtà in cui insegno, una piccola oasi di pace.

Si cerca ancora in questi 300 giorni e più di guerra di fare concerti con orchestre miste tra palestinesi ed israeliani, prima erano tantissimi i progetti ora sono meno della metà. C’è una paura di farsi vedere in pubblico insieme, da alcuni anche la cultura viene vista come un’arma da utilizzare dentro questa guerra fisica e psicologica. Ho partecipato ad alcuni di questi eventi, al nord del paese quando la situazione non era ancora così tragica, l’auditorium si trovava a circa mezz’ora dal confine del libano. Eravamo sul palco a suonare una sinfonia di Schubert e si sentivano i rumori provocati dai missili di Hezbollah non troppo lontani e per ragioni di sicurezza c’era il limite di 100 persone massimo in sala.

Di sicuro, nonostante le bombe di sottofondo, sul palco c’era un’atmosfera di amicizia e di condivisione, di nuovo la musica aveva fatto la sua piccola magia di cancellare le divisioni, almeno per qualche ora.

Un’importante precisazione è dire che tutti questi progetti, eventi, la nostra scuola stessa, sono possibili solo tra israeliani e palestinesi che vivono a Gerusalemme o nei territori del 1948. Per chi vive in West Bank fare musica, vivere di musica è diventato quasi impossibile. Siamo pochissimi insegnanti stranieri che possiamo spostarci per dar man forte ai corpi docenti locali, cerchiamo di fare il più possibile per non distruggere i soldi dei ragazzi ma è davvero una missione quasi impossibile. Le possibilità offerte non sono assolutamente paragonabili, non c’è libertà di movimento e quindi neanche di scambio di idee e risorse, ritrovarsi per creare un’orchestra non è fattibile.

Nonostante tutto ho una mia speranza ovvero che posti come la scuola dove insegno, le poche organizzazioni che hanno ancora il coraggio di mettere in piedi questi concerti con entrambe le parti sul palco siano un terreno fertile per regalare ai bambini un futuro migliore magari senza odio. Da qualche parte bisogna partire e per ora, anche se non per tutti, è una visione positiva per il futuro.

Quello che vi chiedo è anche di non dimenticarsi mai di tutti i piccoli che in West Bank e anche a Gaza cercano lo stesso di inseguire il loro sogno, con pochissimi strumenti, tanta voglia di fare. La musica ci ha aiutato e sta aiutando tante persone in una situazione così dura dal punto di vista psicologico e addirittura, a chi ha perso un arto, chi ha perso la sua famiglia e non ha più nulla neanche un tetto sulla testa come a Gaza, ha ridato il sorriso.

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francesco forlani
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Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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