Addio addio, dottore mio
testo e foto di Paola Ivaldi
Godere buona salute significa non soltanto riuscire a fronteggiare la realtà, ma anche a gioire di questa riuscita; significa esser capaci di sentirsi vivi nel piacere e nel dolore; significa aver caro ma anche arrischiarsi di sopravvivere.
Ivan Illich
Il dottor V, dal 2013 mio medico di medicina generale (mmg), è prossimo alla pensione. Quando l’ho saputo ero contenta per lui, dico sul serio, felice davvero e benevolmente invidiosa come sempre mi scopro ad essere ogni qual volta mi giunga notizia di qualcuno che sta per tagliare il traguardo della quiescenza: i famosi appenditori di scarpe o di cappello al chiodo altrimenti detti tiratori di remi in barca.
So già che il dottor V mi mancherà e sarà da me rimpianto sotto diversi aspetti, ancora appartenendo alla generazione di mmg della vecchia guardia, ancora effettuando prestazioni sanitarie destinate al novecentesco dimenticatoio.
Passo in rassegna i colleghi che lo hanno preceduto, dalla metà degli anni Settanta – poiché ancor prima, il mio riferimento medico fu un pediatra, privato e blasonato, che mi incuteva enorme soggezione per via della statura elevata, della fragranza di Eau Sauvage che sempre emanava, delle siringhe che brandiva in occasione delle vaccinazioni di rito – fino al 2013: il dottor R, il dottor B, la dottoressa A. Il dottor V, tuttavia, è e resterà il più speciale di tutti, avendomi assistita nel periodo maggiormente travagliato della mia vita: questo lungo plateau anagrafico che è la mezza età, con tutti gli annessi e i connessi.
Ora si tratta di cercare, ma direi soprattutto di trovare (evenienza niente affatto scontata vista la drammatica carenza di personale medico rimasto a presidiare il territorio sempre più somigliante a un deserto dei tartari), il mio prossimo – e forse ultimo – mmg.
Nel considerare, per un attimo, il processo di inarrestabile sgretolamento della Sanità pubblica, quella fondata nel lontano 1978 sui nobili principi di universalità, gratuità ed equità, senza avere più né la forza né la voglia né tanto meno la capacità di additare gli innumerevoli responsabili di tale sfacelo, inizio a giocare di immaginazione.
Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che verrà potrebbe essere qualcosa di simile a una mastodontica e caotica lotteria, ma converrà molto di più che nulla, ma proprio nulla, sia lasciato al caso. Mi spiego. Di denaro pubblico ce ne sarà sempre di meno, così come di personale e di posti letto; mentre, per contro, aumenteranno i vecchi e i grandi vecchi, i pazienti affetti da patologie cronico-degenerative o afflitti da penose condizioni di multimorbilità, ma poi con essi anche gli indigenti, persone del tutto impossibilitate a farsi carico delle spese che costellano i percorsi diagnostici ed eventualmente terapeutico-assistenziali scanditi dalla malattia.
Che fare? Ecco che dal cappello a cilindro il SSN del futuro farà sbucare una tessera speciale, che segnerà l’avvio del nuovo corso, quello basato sui “crediti sanitari”. Il sistema sarà facile e veloce (parole-chiave la cui potenza evocativa non farà che lievitare nei nostri domani), garantendo l’accesso gratuito e tempestivo (salta-la-coda) alle procedure diagnostiche e di cura (tranne in caso di emergenza, ma esclusivamente per i codici rossi e arancione) solo a coloro che vanteranno un determinato numero di punti dimostrabile esibendo la propria card, assai bellina d’aspetto e naturalmente molto smart.
E in che modo si otterranno i punti? Semplice: aderendo puntualmente ai programmi di screening e alle campagne vaccinali, dichiarandosi favorevoli all’espianto degli organi, donando periodicamente campioni biologici, prendendo parte a trial clinici e a studi osservazionali, indossando o collegandosi oppure facendosi impiantare sottopelle dei dispositivi ad hoc per il monitoraggio da remoto dei principali parametri di salute (ad es. numero di passi giornalieri, indice di massa corporea, frequenza cardiaca, pressione arteriosa, saturazione sanguigna), non fumando, neanche passivamente, e non vedendo più nemmeno con il cannocchiale un calice di vino.
Una vita di quotidiane privazioni e sacrifici continui e, tutto sommato, di ansie crescenti, in nome di una salute imposta, una salute, per questo, non più sinonimo di benessere. La compliance sarà comunque premiata attraverso l’assegnazione di ulteriori bonus come, per esempio, sconti significativi sull’acquisto di prodotti farmaceutici e la straordinaria possibilità di partecipare annualmente al Premio Fedeltà con le allettanti offerte sulla crioconservazione del cervello.
La salute, insomma, cesserà definitivamente di essere un diritto, assomigliando sempre di più a un dovere, ma anche una nuova invisibile prigione. Gli utenti del nuovo SSN saranno costretti a mercificare il proprio corpo e con esso tutto ciò che vi sia contenuto, non essendo più in grado di pagare i medici liberi professionisti ai quali, invece, seguiteranno a rivolgersi i più facoltosi; questi ultimi, infatti, potranno beatamente godersi la vita, tra brindisi e sigari cubani e pranzi luculliani, ingrassando e dimagrendo a piacere, addirittura oziando senza dover rendere conto a nessuno della propria sedentarietà, ma soprattutto: tutelando la privacy personale.
Perché, ahimè, se i dati sono il nuovo petrolio ci sarà chi dirà: sì, eccomi! fate di me il vostro pozzetto, trivellatemi pure incessantemente, giorno e notte, prelevate tutto ciò che vi serve, sono il vostro inesauribile giacimento purché in cambio, se io mi ammalo, voi mi prendiate in carico, mi curiate e mi guariate, purché mi garantiate che aderendo al miracolistico sistema dei crediti sanitari io vivrò di più, più a lungo degli altri, magari non morirò mai o, almeno, mi illuderò di poter rinascere ancora e ancora e ancora.
Punti, punti, sempre più punti, esattamente come al supermercato solo che lì ci si porta a casa la zuppiera o un trolley, qui si vincono gastroscopie e prostatectomie, la visita ginecologica e la densitometria ossea.
Se poi, da lavoratore, ti ammalerai per più di un certo numero di giorni all’anno, attenzione: ti verranno decurtati tot punti a causa della conseguente improduttività. Dunque, come detto, lo stato di salute diventerà un dovere, più che un diritto, e l’imperativo del suo mantenimento per la popolazione over cinquanta potrebbe rivelarsi una grande, immensa, crescente fatica.
Basta con la fantasanità. Rivolgo ora l’attenzione al pesante dossier sul cui dorso scrissi tanti anni fa la parola Salute: è ormai di uno spessore tale che quasi non riesco più a far scattare la chiusura metallica per compattarne il contenuto e riporlo nella custodia. Interi decenni di diagnosi, terapie, referti, sporadici ricoveri, innumerevoli controlli, nulla di grave, per fortuna, ma di certo tutti quei fogli dicono di me qualcosa che esula dalla mia effettiva traiettoria di salute; parlano di un’ansia eteroindotta, di una lieve ossessione di controllo, del timore costante della malattia, dell’arrogante pretesa di certezze, che durante la maggior parte della mia vita mi hanno abitata stabilmente, ospiti indesiderati di lungo corso.
Il dossier, al momento e finché gli dèi vorranno, non l’ho più appesantito con nuovi fogli, da alcuni anni avvertendo scemare l’ansia ipocondriaca, mi pare a tratti d’aver fatto pace con l’idea della sempre possibile malattia e della morte come inevitabile esito terminale della mia permanenza sul pianeta, ne sto accogliendo l’idea, mi sto allenando a farlo fin da ora; so che, salvo incidenti o accidenti, verranno a farmi visita, prima o poi, ma ho stabilito che me ne (pre)occuperò allorquando busseranno alla porta.
Ho deciso di tentare di vivere il presente, attenermi all’idea semplice e salvifica dell’impermanenza, avendo cura e rispetto di me, forse come mai prima d’ora. Perché alla fin fine, il sospetto che qualcuno tragga crescente profitto dalla malattia e, ancor peggio, dalla paura della malattia ha insozzato il concetto stesso di salute, lo ha incrostato di irrimediabile sfiducia in porzioni crescenti di popolazione. Dunque stare bene non per fini utilitaristici, per ottenere in cambio prestazioni, ma avere cura di sé per il valore che si conferisce alla vita e per un senso di dignità e libertà che ai miei occhi appare tra le nuove forme possibili di resistenza.
Oh, quanto vorrei saper suonare uno strumento! Di certo io mi recherei nell’orario di visita sotto la ben nota finestra del piano rialzato, dove il mio mmg ancora per qualche tempo eserciterà la professione, per improvvisare una solitaria serenata di addio, una stramba gavotta o un misurato mottetto, in grado di esprimere tutta la mia gratitudine per lo scrupoloso operato, per le cure ricevute, per l’ascolto attento e paziente.
Non escludo che la musica, in corso di esecuzione, potrebbe essere contaminata da sonorità dal tono decisamente più lugubre e il dottor V ed io potremmo perfino ritrovarci lì, sul marciapiedi, a intonare un De profundis nella consapevolezza, tacitamente condivisa, della penosissima agonia del diritto costituzionale numero trentadue.
Cara Paola,
grazie per questo testo, importante in un’epoca in cui la fantasanità di cui parli, a me sembra tutto sommato poco “fanta”. Per nulla distopica. Proprio ieri (giornata mondiale della salute mentale), mi è capitato di leggere un articolo in cui si parlava di una nuova discutibile – per me allucinante – pubblicità: i prodotti Chilly per l’igiene intima: se spendi 10 euro in prodotti, “ti regaliamo l’inizio di un percorso psicologico per conoscerti meglio, 2 sedute con Unobravo”. Unobravo è sostanzialmente una piattaforma in cui psicologi e psicoterapeuti propongono pacchetti di sedute per raggiungere più utenti possibili, cosa in cui di fatto riescono perché il loro profilo instagram ha un numero di follower maggiore di quello di tutti gli ordini degli psicologi d’Italia messi insieme. La salute, come anche quella mentale, è sempre più “spinta” da enti privati. Del resto cominciano già a nascere pubblicità sulle assicurazioni mediche, il ché ci fa intendere come 1. la sanità pubblica – e lo sappiamo – si stia sgretolando 2. ci si avvicina sempre di più ad un modello per cui solo chi avrà abbastanza denaro da poterselo permettere, potrà curarsi a dovere. Che si lucri anche sulla salute mentale mi dà una rabbia infinita, ma me la dà su tutte le questioni riguardanti la salute. Popoli di medici influencer, che cominciano con l’aprire un canale youtube “divulgativo”, per poi pian piano far cadere il velo, modificare i contenuti abilmente, sponsorizzare il loro nuovo libro o corso per una buona vita in salute, da youtube passano ad aprirsi il loro instagram, facebook, tik tok e quant’altro. Per raggiungere tutti. E per poi, alla fine, smettere di fare i medici e diventare solo influencer. Un classico, sotto i commenti di youtube di questi grandi dottori, persone che, fidandosi ciecamente come lo si fa per una routine di bellezza, chiedono: Dottore, lei dove visita? Lei è il più bravo, può dirmi come poterle parlare? E la risposta, se c’è risposta è: “attualmente non visito più”. Certo, perché è molto più allettante un bel rincaro egoico, tanti like e cuoricini e sei bellissimo e bravissimo, e soldi facilini diventando influencer che non la porta aperta di uno studio medico, in cui si richiede un rapporto soggettivato, tu a tu, d’impegno, costruttivo. Così vale per il mostriciattolo di Unobravo o di altre piattaforme per psicoterapeuti, in cui si marketizza la salute mentale. Crediti accumulati stando bene per poi poter ricevere cure adeguate? Non lo troverei così strano, tanto più oggi, in un mondo in cui, appunto, la parola che ricorre più di frequente di bocca in bocca è: lifestyle. Crediti o non crediti, si è premiati per “tenersi in forma”, psicologicamente e fisicamente. Ma questo va anche ad aumentare l’uso di costosi prodotti parafarmaceutici, erboristici, integratori di vitamine o quant’altro, o ancora l’acquisto di libri di guru che propongono ottimi stili di vita per non ammalarsi. Basti entrare in una farmacia. Il reparto di integratori, creme e presidi non medicali sta superando quello dei farmaci da prescrizione o da banco. Gli stessi farmacisti, per una brutta tosse, ora smettono di darti un classico sciroppo da pochi euro per proporti il rimedio “tutto naturale” per rafforzare il sistema immunitario a costi altissimi (sempre più alta di quella dei farmaci). La tosse non va via, ma la percezione di star facendo qualcosa per migliorare tutto l’organismo alletta e inganna. Capitalizzazione della salute. Forse sto uscendo fuori tema, non lo so. Ci sarebbe sicuramente molto altro da dire. Quello che so è che, sicuramente, dei medici come il dottor V avremo sempre più nostalgia.
Cara Mariasole,
grazie per il tuo commento che mi trova pienamente d’accordo. Ed è vero: ci sarebbe moltissimo da dire e su cui riflettere.
Per me l’illuminazione è stata quando mi sono resa conto della tendenza sempre più spinta, ma anche camuffata, a medicalizzare censurare tappare qualsiasi disturbo della nostra vita che ci porti a scendere dalla giostra, lasciandoci il tendone del circo alle spalle. “Andrà tutto bene” è il leitmotiv ormai imperante.
La presa di coscienza, di tutto questo, per me è stata la menopausa o la profonda tristezza conseguente a una separazione. Mi si voleva psichiatrizzare. Poi ho capito, semplicemente, che ci vuole tempo per trovare nuovi equilibri. A volte il tempo che ci vuole è tanto. E poi risorse nostre, intime, spirituali: nel mio caso è stata la meditazione, camminare, fare pace con il mio corpo che invecchia. Lasciare andare, non cadere nella trappola della paura di avere paura, paura della vecchiaia e della morte. Fare pace, anche con la paura. Essere grata di essere, di respirare. Grata anche di queste righe intorno alle quali ci ritroviamo scambiare pensieri nella sera che scende.
Ti mando un saluto molto caro