Da “Una storia di sparizione”
[Capovolte è una piccola casa editrice indipendente, nata nel 2019 con l’obiettivo di offrire una prospettiva di genere intersezionale, su tematiche di attualità e un focus sui femminismi neri. Pubblica prevalentemente saggistica, ma nel 2022 ha aperto una piccola collana di narrativa e poesia (LA PO’ RA – anagramma di “parola” – LAtitudini, la POesia non è un lusso, RAccontarsi), in cui pubblica opere di autrici in diaspora, in italiano o in traduzione. Tra le autrici pubblicate in quest’ultima collana, le brasiliane Djamila Ribeiro, Conceição Evaristo, la poeta italo-somala Rahma Nur, l’autrice luso-angolana Yara Nakahanda Monteiro, la poeta congolese Sarah Lubala e l’autrice italo-marocchina Amal Oursana.]
di Sarah Lubala
Traduzione di Gaia Resta
La litania di Maria
Stanno dipingendo le pareti della Collégiale Notre-Dame-des-Anges;
all’interno, 122 angeli dorati accompagnano la Vergine Maria al cielo.
Mentre il crepuscolo sanguina lentamente,
rimango sotto il suo tetto malandato,
sempre più vicina,
sempre più vicina.
Madre,
concedimi una lingua segreta che sia tutta nostra.
Dirò nevicata nella Old Québec e tu saprai cosa intendo:
l’uomo che mi ha trovata nell’oscurità,
il tramonto che si tramutava in tremolio,
i mesi che mi hanno frantumato le ossa.
Nostra Signora delle Sale d’Attesa,
ho vissuto trent’anni nel terrore della forca,
toccata da Dio o dall’amore o dalla pazzia, dipende.
Sono un’orfana della domenica,
figlia del Regno Fantasma,
imploro miele dalla roccia.
Disfattrice di Nodi,
sciogli le pillole segrete nei miei denti,
la buona medicina del significato,
dammi le parole che sono Dio
quando non posso vedere Dio.
*
Una storia di sparizione
Ci sono giorni
ai quali non possiamo tornare –
l’estate in cui il fiume si prosciugò,
una fila di jacarande bianche,
la bocca di marzo
graffiata dalla nostalgia.
Che sciocchi siamo stati
a rifiutare la nostra eredità;
la lunga corda degli uomini nel nostro sangue,
la debolezza dei nostri padri.
Come rubano i giorni tutto ciò che possono;
lo spazio tra i miei denti,
l’umorismo di mia madre,
volumi interi di poesie.
Tu
che chiedi troppo,
che mangi l’aria –
richiama i tuoi cani,
lasciami dormire
*
Canzone per la partenza
in memoria della mia bisnonna
Le mucche stanno morendo nei campi, kokolo;
niente carne quest’estate,
lei viene venduta a un vecchio capo, kokolo;
dalle sue gambe un canto di acqua e sangue.
Lei seppellisce due bambini, kokolo;
due fagotti avvolti nella mussola bianca,
il sudario si impiglia nel cespuglio di rovi, kokolo;
nessuno, solo Dio può ricucire lo strappo.
Lei ripensa a sua madre, kokolo;
ricorda le sue mani ossa d’uccello,
che scavavano sconvolte dalla fame, kokolo;
la terra non ha mai reso.
Queste sono fila di manghi selvatici, kokolo;
le attraversa toccandole con mani e ginocchia,
la notte diventa un canto, kokolo;
nulla può più spaventarla.
*
Febbre
In una stanza d’albergo a Bali
disperdo elettricità,
il farmaco, per un effetto strano, si tende e si incendia,
si infiamma contro di me.
Anche la lingua è un fuoco;
attraverso i denti lenti dell’anno
tutti i giorni della mia vita parlano contro di me.
Guarda il fuoco che mangia il fuoco.
Guarda mentre dà fuoco all’intero corso di una vita,
ed esso stesso viene incendiato dall’inferno.
Dico Walungu, Okapi,
Le Grand Boulevard…
Ripercorro il vecchio quartiere:
cerco le donne agli angoli delle strade,
le barche a Maluku,
mi libero dell’erba alta –
lepre luminosa nel fumo della boscaglia.
Sul pavimento piastrellato del bagno,
chiamo un caro amico:
«Sogno fiumi», dico.
«E il fischio acuto delle quaglie blu».
Continuo a vedere mia madre;
è più giovane ora,
il suo corpo arenato su quello di mio fratello.
Lui ha soltanto quattro anni, la febbre lo sconquassa.
Lei supplica la memoria di sua madre.
Come muoiono gli incendi?
Arriviamo alla fine
e invochiamo l’inizio, urlando.
*
Domande che potresti sentire durante un colloquio per la richiesta di asilo
Da dove sei arrivata?
Pensa a un Paese,
smaltato di verde lussureggiante e incontaminato.
Ora immagina che tu abbia la forma di quel Paese,
la lunghezza del tuo corpo
il sogno di un uomo affamato.
Chi ti ha fatto del male o ti ha fatto temere di riceverne?
Là fuori,
il terrore cammina nella pelle degli uomini.
Sciacalli alla porta,
notti lunghe e un bisogno tenace,
il tanfo dei vicoli in ogni letto.
Perché ti hanno fatto del male?
Nessuna donna appartiene a se stessa,
sei una cosa presa in prestito –
oro per il corredo,
stralcio di canzone del fiume,
lo scialle consunto e sottile,
a digiuno sotto i loro sguardi.
Hai paura di tornare nel tuo Paese di origine?
La libertà è il tuo cuore nel vuoto della notte.
Prego di svegliarmi come un uccello;
un canto di tendini e piume,
con ali luminose e senza confini,
liberata da Dio.
* * *
The Litany of Mary
They’re painting the walls of the Collégiale Notre-Dame-des-Anges;
inside, 122 gold angels usher the Virgin Mary forward.
In the slow bleed of dusk
I stand below its battered awning,
ever closer,
ever closer.
Mother,
grant me a secret language that is all our own.
I’ll say snowfall in Old Quebec, and you’ll know that I mean:
the man who found me in the dark,
twilight turned to trembling,
the months that ground my bones.
Our Lady of the Waiting Rooms,
I have lived thirty years gallows-scared,
touched by God or love or madness, depending.
I am a Sunday orphan,
child of the Ghost Kingdom,
begging honey from the rock.
Undoer of Knots,
loosen the secret pills inside my teeth,
the good medicine of meaning,
give me the words that are God
when I cannot see God.
*
A History of Disappearance
There are days
we can’t go back to –
the summer the river ran dry,
a row of white jacaranda,
the mouth of March
bruised with longing.
How foolish we were
to refuse our inheritance;
the long rope of men in our blood,
our fathers’ weaknesses.
How the days steal all they can;
the gap in my teeth,
my mother’s humour,
whole volumes of poetry.
You
who asks too much,
who eats the air —
call off your dogs,
let me sleep
*
A Leaving Song
in memory of my great grandmother
The cows are dying in the fields, kokolo;
there is no meat this summer,
she is sold to an old chief, kokolo;
her legs sing blood and water.
She buries two babies, kokolo;
two bundles in white muslin,
the shroud is caught in the thorn bush, kokolo;
none but God can mend the tear.
She remembers her own mother, kokolo;
she recalls her bird-bone hands,
they dug in wild hunger, kokolo;
the earth never did yield.
There are rows of wild mangos, kokolo;
she moves hands and knees between them,
the night becomes the singing, kokolo;
nothing scares her anymore.
*
Fever
In a Bali hotel room
I shed electricity,
some quirk of the medication tends and stokes,
kindles against me.
The tongue is also a fire;
through the year’s slow teeth
all the days of my life speak against me.
See fire eat fire.
See it set the whole course of a life on fire,
and itself set on fire by hell.
I’ll say Walungu, Okapi,
Le Grand Boulevard . . .
Trace the old neighbourhood:
reach for the women on street corners,
the boats at Maluku,
slip the high grasses –
bright hare in the brush smoke.
On the bathroom’s tiled floor,
I reach a dear friend:
«I’m dreaming of rivers,» I say.
«And the high whistle of blue quails.»
*
Questions you are Likely to Hear in an Asylum Interview
Where have you come from?
Think of a country,
lush-glazed and untouched.
Now imagine yours is the shape of that country,
the length of your body
a hungry man’s dream.
Who harmed you or put you in fear of harm?
Out there,
terrors walk in men’s skins.
Jackals at the door,
long nights and dogged need,
the stench of back roads in every bed.
Why did they harm you?
No woman belongs to herself,
you are a borrowed thing –
gold for the dowry,
snatch of river-song,
the shawl worn thin,
fasting within their sights.
Non solo lieto, anche meravigliato per il colore del canto e del fluire delle parole